18 Ott 2024
Suggestioni di Vino

Mila Vuolo. Dalla vigna al mare

Ed è qualcosa da cui non puoi scappare. Il mare… Ma soprattutto: il mare chiama… Non smette mai, ti entra dentro, ce l’hai addosso, è te che vuole… Puoi anche far finta di niente, ma non serve. Continuerà a chiamarti… Senza spiegare nulla, senza dirti dove, ci sarà sempre un mare, che ti chiamerà (Alessandro Baricco)

Come si fa a scappare dal mare? Ma soprattutto, perché si dovrebbe scappare? Quando è nel mare che nasci, la salsedine, il suo odore acre, fanno parte del tuo respiro; lo sciabordio delle onde è il suono che regala tranquillità. Non c’è paura, solo rispetto per qualcosa che, sai, essere più grande, molto più grande di te.

Mila Vuolo è dal mare che arriva. Il mare è il suo elemento. Dalla sua casa non vede il mare, lo tocca. Ci sta con i piedi dentro. Solo a vederla in viso, comprendi come i suoi colori sono quelli di una donna che il mare lo ha vissuto e lo vive. Un sorriso bianchissimo che spicca sulla pelle scura dove io capelli che sembrano appena asciugati dopo una nuotata in mare aperto.mila vuolo

Mio padre era di Cetara. Io vengo dal mare non dalla campagna. Ogni giorno cerco di ricavarmi l’ora di mare. Quella è la mia passione.

L’aria aperta è il mare. L’elemento primordiale. Le nuotate, la barca a vela. Il sole che scalda la pelle. Il sale che la liscia per poi scavare lunghe crepe su di essa. Un elemento concreto ancorché evanescente poiché puoi amarlo e viverlo ma mai utilizzarlo come base per costruire qualcosa.

Mi piace l’idea di costruire qualcosa che al mare non posso costruire. Un paesaggio modificato, un prodotto mio. Anche se non so che fine farà. Ci ho investito e ci continuo ad investire. Che non posso cambiarmi la macchina, non mi interessa. Sto raccogliendo risultati sempre di più ma non ancora abbastanza.

È vero che se devo identificarmi nel tempo libero mi identifico nel mare ma vivere in campagna mi piace. Siamo nei rioni collinari ma a pochi km dal centro. Quando vivevo a Roma impiegavo più tempo per arrivare in piscina. Qui vivo i ritmi della campagna, faccio la vita sociale di città e il tempo libero del mare.

È alla terra Mila che fa riferimento. Una terra che forse non ha mai voluto ma che si è trovata. Per poi viverla, amarla e trovare in essa la possibilità di una vita tutta sua.

Mila ha un sorriso che illumina ciò che le è intorno e che usa quasi come modo per celare una certa timidezza. O magari quella voglia di essere da un’altra parte. Magari al mare, su uno scoglio a contemplare l’orizzonte mentre le onde si infrangono e il sale è l’unico sapore che hai in mente.

Prima di sette figli e con un padre noto ginecologo di Cetara, meraviglioso borgo di pescatori della costiera amalfitana, Mila studia informatica all’università per poi trasferirsi immediatamente a Roma in quella che era la Telecom.

È il 1990 quando, a soli 25 anni, Mila sbarca a Roma. Single. Neolaureata. Un lavoro fisso. Una casa. I Mondiali di calcio. Il mix perfetto per stare bene e divertirsi e, soprattutto, per guadagnarsi quella indipendenza e autonomia che prima non aveva. Quando parlo con Mila ho sempre, costantemente, l’impressione che in lei ci sia sempre stata una voglia di autonomia frenata in qualche modo dal padre. Quel padre che con tutta probabilità le aveva trasmesso l’amore viscerale per il mare e che nel 1980, animato dalla voglia di fornire ai propri figli prodotti genuini, aveva acquistato un piccolo fondo agricolo alle porte di Salerno. Quasi tredici ettari con una casa colonica e un colono che era li da tempo immemore. Qualche filare di vite, nocciole, ortaggi.salerno

Tra i miei fratelli ci sono tre medici, un ingegnere, due laureati in giurisprudenza. Mio padre non c’era più e a quel punto avrei avuto l’autonomia che non avevo prima. Era un peccato abbandonare questo posto. Nel frattempo al lavoro, mentre all’inizio mi entusiasmava poi non era più la stessa epoca. Si facevano fesserie in modo pomposo. C’è stata l’occasione e sono andata via dal lavoro.

Il dottor Vuolo muore nel 1999. Nove anni dopo che Mila arriva a Roma e dopo 19 dall’acquisto del fondo. Fino a quel momento Mila non si era minimamente interessata del fondo.

Nominalmente era intestata a mia madre ma la seguiva lui con il colono. Era una tenuta fatta per investimento e per avere il vino, la frutta, gli ortaggi a tavola. C’erano le nocciole che si vendevano. Era una delle realtà di inizio secolo. Animali, grano. Papà mi diceva “perché non ti interessi della campagna?”. Perché non mi lasceresti fare e da te io non voglio prendere ordini. Papà ha aperto la strada a tutti. Ha aperto il futuro a noi.

Amore e odio; rispetto e riconoscenza. Ma lontananza. La vita di Mila era a Roma e il ritorno a casa voleva dire Cetara e mare. Non terra.

Ho cominciato a lavorare a gennaio ’90. Papà è morto nel ’99. Già nel 2000 avevo però preso tre mesi di aspettativa per vedere di poter far qualcosa qui con i progetti di imprenditoria giovanile. Progetto che in realtà ho presentato il giorno prima di fare trentasei anni. Non è andato a buon fine. Ho continuato il lavoro e nel frattempo abbiamo impiantato un pezzo di vigna perché già con mia madre e le mie sorelle ne avevamo iniziato a parlare.

Sarà pure una bella vita quella di una neolaureata a Roma in un momento storico nel quale non è che la vita costasse come ai giorni d’oggi, ma se da un lato hai il mare che ti scorre nelle vene, il lavoro non soddisfa più e non c’è più nulla che possa minare la tua indipendenza, allora anche Roma diventa un ostacolo.

Sono venuta definitivamente qui con un esodo agevolato. Mi sono offerta volontaria.

È il 2002 e Mila prende tutta la sua vita di Roma riportandola a Salerno e Cetara. L’aveva programmato già dal 2000 aspettando solo una occasione. Programmato e progettato cominciando a fare l’impianto delle viti espiantate tempo prima.
Malessere? Noia? Nostalgia? Di tutto un pò.

Dalle colline di Salerno, le Colline di Giovi, il mare del golfo si vede in maniera nitida. Non è solo una visione meravigliosa ma una esperienza sensoriale con gli occhi che viaggiano verso l’infinito del mare e le narici che assorbono l’odore dello iodio che i venti marini portano fin qui su. Su queste colline, il vino si è sempre fatto. Fiano e Aglianico principalmente con il Cabernet Sauvignon usato per mitigare il gusto forte di quest’ultimo. Un vino di quelli veri, tradizionalmente venduto sfuso. Almeno fino a quando, nel 1986, lo scandalo del metanolo non portò alla impossibilità di venderlo in questa forma. La conseguenza? Vigneti espiantati.
Anche quello del dott. Luca Vuolo fece la stesa fine. Addio ai circa 500 ettolitri prodotti e immediatamente venduti.
Proprio però nel ricordo di questa qualità delle vigne, Mila con la sua famiglia, già nel 2000, decidono di impiantare nuovi vigenti.salerno

Nel 2000 c’eravamo appoggiati alla persona che ci aveva fatto l’impianto. Però non era capace di seguirmi né io di capire come andavano le cose. Mi sono cosi avvalsa della collaborazione di un enologo/agronomo con il quale collaboro ancora oggi, Guido Busatto che è Veneto e all’epoca seguiva qualche altra cantina in Campania.

Il ritorno di Mila non è semplice. La terra c’è ma non è la sua terra. È quella della famiglia anche se nessuno la vuole coltivare assorbiti come sono in altre attività.. Lei si. Il progetto che ha in mente contempla la terra. Anche se di questa non sa nulla e si deve affidare a qualcuno.

Ero cosi fuori dal mondo che mi sono affidata all’enologo. Poi mano mano ho imparato a prenderne confidenza e a protestare. Mi sono iscritta nel 2007 al corso di viticoltura ed enologia. Ho seguito per tre anni le lezione però di esami ne ho fatti pochi perché non ne avevo più voglia. Ogni anno c’è qualcosa per la quale è bene che all’enologo mi ci affidi.

Mila sa che deve affidarsi c’è poco da fare. Lei non sa e deve farsi seguire
Se conosceste Mila, capireste come sia una che non si abbatte. Mai. Parla con una quella calma alternata da sorrisi che è propria delle persone che prendono la vita con serietà ma leggerezza. Un quasi fatalismo che non è quello dei pessimisti. Al contrario, delle persone che amano la vita giorno dopo giorno.

I sistemi di gestione dei ripartitori elettronico digitale io che ne sapevo che erano? Adesso gestisco alberi di olivo. Le fasi alte sono accomunate. Mi appoggio alle persone ma poi decido io. L’unica cosa che riesco a delegare è il lavoro nei campi.

Quattro sono gli ettari impiantati a Fiano, Aglianico e Cabernet Sauvignon. Il resto della azienda olivi e nocciole.

Ho cercato di far salire il livello qualitativo delle colture. Adesso cerco i frantoi. Vado tutti i giorni in azienda. Le nocciole sono un investimento più tranquillo. Le raccogli e il mese dopo arriva l’incasso. Con il vino ci metto anche sei sette anni per far uscire una bottiglia.

Già, sette anni. Sembrano tanti ma per far ammorbidire l’Aglianico, alle volte non bastano. Un vitigno ostico, duro, determinato. tannico. Richiede tempo per essere domato. Così tanto che induceva i contadini ad usare il Cabernet per ammansirlo. Che poi un simile blend non fosse più identitario, era il prezzo da pagare. Ma tanto, con l’Irpina a pochi km, a chi volete importasse del vino salernitano?

La mia prima vendemmia con Guido Busatto è stata nel 2003. Molto siccitosa. Di Aglianico sono riuscita a produrre qualcosa mentre di Cabernet niente. Un paio di damigiane che abbiamo bevuto l’anno dopo alla festa dei miei quaranta anni. L’Aglianico è rimasto in purezza non per scelta ma per caso. È venuto meglio di quanto ce lo aspettassimo. Si conosceva in giro come il primo Aglianico in purezza dei colli di Salerno. Abbiamo continuato a farlo per una scelta di coerenza. Cosi vinifico a parte e in purezza il Cabernet Sauvignon.

Scoprire, casualmente, come si è scoperta la penicillina, che il Cabernet non serviva a meno di non volerlo bere fresco, deve essere stato un bel punto segnato da Mila. Anche se poi un Aglianico da bere giovane Mila lo produce comunque. È il Prêt-à-porter che ho testato nella annata 2021.
Siamo sui colli di Giovi e non in Irpinia. I terreni sono calcarei con arenaria e marne mentre in Irpinia (senza voler generalizzare) calcarei e argillosi a matrice di riporto vulcanico. Ciò che però cambia drasticamente è il clima con le limitate escursioni termiche di Giovi nonché la presenza del mare.
Il risultato è un vino che, sempre e comunque con tre anni di vita dopo il solo acciaio, assume sentori freschi e vinosi con la frutta che è delicata, non particolarmente matura. Prevale la arancia e un fiori ancora non particolarmente rossi. Una ciliegia, di quelle gialle e rosse, una susina fanno sentire la loro presenza.
Assaggiandolo si percepisce l’Aglianico per la sua importante trama tannica che tende a non essere aggressiva. Prêt-à-porter si lascia bere in maniera scorrevole per via di un percorso sensoriale molto interessante: parte indubbiamente fresco e con un bellissimo gusto dei frutti scoperti all’olfatto; il tannino prende il sopravvento, ma dura poco così da far rimanere la bocca in un piacevole stato. La persistenza che comunque è buona, non viene disturbata dalla ruvidezza del tannino. Il finale, solo leggermente amarognolo, lo rende abbinabile con piatti di pasta (magari all’uovo) al ragù così come con una carne, purché non sia alla brace. Il bilanciamento è ben riuscito e quello che mi piace di più è il percorso gustativo che lo rende bevibile. Rimanendo Aglianico!

Il mio vino è l’Aglianico in versione classica. Mi sono resa conto che anche quello del 2009 sta ancora benissimo. Dunque dico questo è il mio vino e quando riesco a venderlo lo vendo. Senza manovre commerciali. Per evitare lo stoccaggio delle bottiglie ho deciso di fare una linea più veloce. Tenere ferma la produzione di diecimila bottiglie all’anno non è possibile.

L’Aglianico Colli di Salerno in purezza è quello del 2016. Un tempo congruo per poter far ammorbidire il vitigno che ha comunque avuto il suo passaggio in legno. Il riflesso che ha un accenno di granato sembra far sperare in un ammorbidimento che i sentori di frutta abbastanza matura confermano. La freschezza del sottobosco, accentuate dal leggero balsamico, sembrano dire che ancora non è tempo per le morbidezze. Non ci sono sentori particolarmente legnosi e questo mi piace perché vuol dire che si conserva l’autenticità. Le ciliegie si trasformano piano piano in visciole; la liquirizia, la cannella, la noce moscata si fanno strada. Tutto esprime semplicità e schiettezza. Veridicità.
Il sorso è immediatamente denso di tannino con la ciliegia che dona, al contempo, freschezza e dolcezza creando un giusto bilanciamento con una persistenza non particolarmente lunga. Il tannino è maturo e importante come si conviene ad un Aglianico. Si avvicina certamente a quelli irpini ma decisamente più morbido e, soprattutto, con una straordinaria potenzialità evolutiva.

Oltre l’Aglianico in purezza nelle due versioni, anche un rosato, un Fiano e il Cabernet Sauvignon che Mila adesso vinifica in purezza.

Anche se il fiano sta andando troppo bene. Uscivo con le annate vecchie ma ho finito tutto. Non sono riuscita, con le tremila bottiglie, a farlo uscire nel momento quando sta al meglio. Ma non ci stavo dietro per il mercato.

Mila non è persona con l’animo propriamente commerciale. Rifugge i social, non ha un sito internet. Vende solo con piccole distribuzioni o facendo assaggiare i suo vini durante le manifestazioni tematiche.

Non ho mai fatto una commercializzazione spinta. Non amo i social cosi faccio di tutto per far assaggiare il vino. Altrimenti si conserva e in qualche modo lo vendo. L’azienda è piccola. Si riesce a gestire.

Nessuna velleità di ampliare perché di grande c’è già il mare. Andare incontro all’ignoto si può fare certamente ma vorrebbe dire imbarcarsi in qualcosa che magari la distoglierebbe dal suo mare.salerno

Non ho mai voluto prendere uva da fuori o da ampliare. Se ci fosse qualcosa di adiacente ci penserei ma mi piace l’idea che quando entro nel mio cancello so cosa fare. Questa è la dimensione che mi piace. È una attività che ho scelto dunque mi deve piacere.

Parlare con Mila è come parlare con qualcuno di famiglia. Che sia la mamma o la zia, inocula tranquillità. Non ama gli eccessi, non ci sono sfarzi attorno a lei. Tutto è essenziale. Come le etichette dei suoi vini: quando si sta in spiaggia o su una barca, basta un costume. Niente di più.

L’essenzialità di Mila, la voglia di mare, forse anche di lontananza dal mondo.

È nella mia indole stare sola. Voglio accentrare un pò perché delego poco. Le cose mie mi piace seguirle.

Mila è indipendente. Lo voleva essere con il padre, l’esperienza di Roma lo dimostra, quella della vigna lo conferma. Determinata, decisa, cosi che anche per il vino la devi convincere.

Il rosato l’ho voluto fare io perché il Fiano mi finiva mentre l’Aglianico mi rimaneva. Per sopperire a questi due limiti mi sono imposta nel farlo con le proteste dei miei collaboratori che pensavano si incasinasse tutto. È venuto bene ci è piaciuto.

Magari non ho conosciuto Mila nel suo aspetto di determinazione e decisione però ciò che vedo è una persona delicata, quasi nascosta. Che deve comunque coinvolgere le persone in tante attività. Perché il vino è così.

Ho sempre fatto la vendemmia pubblica. Dopo i primi anni siccitosi e visto che l’Aglianico teme l’umidità, sono in biologico e le vigne giovani, capitava spesso che l’uva cominciava a guastarsi e serviva selezionare gli acini. Serviva tanta manodopera e ho coinvolto gli amici. Dopodiché è rimasta la tradizione. È importante far vedere cosa c’è dietro una bottiglia di vino. Vengono i miei fratelli e gli amici. Si creano delle belle situazioni.

Cosa ci sarà nel futuro, nemmeno lei lo sa. Non può porsi il problema perché formalmente la proprietà non è sua ma della famiglia. Figli non ce ne sono e i nipoti devono ancora farsi sotto.

Una delle mie tre sorelle è diventata sommelier dunque viene con piacere. Non ho figli e non so se qualcuno dei miei nipoti vorrà interessarsene. La proprietà non è mia e non posso delegare qualcuno. Ho sessanta anni e va bene cosi.

Il mood tranquillo. Le parole posate. Una celata impazienza di scappare al mare. La sua è una scelta di vita non di azienda. Poi gli amici, la famiglia e il mare.

Il mare. C’è una frase di Herman Broch, scrittore austriaco, che descrive meglio di me una persona come Mila. Gliela dedico

Coloro che vivono in riva al mare difficilmente possono formare un solo pensiero di cui il mare non sia parte.

 

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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