26 Lug 2024
Suggestioni di Vino

Papalino. Di padre in figlio. Con entusiasmo

L’entusiasmo è quella forza che muove il mondo. L’energia vitale e propulsiva in grado di farci arrivare laddove non avevamo nemmeno idea si potesse. C’è chi ce l’ha innata e chi deve far ricorso ad aiuti più o meno leciti per farla propria. Solo che se si è in questa seconda modalità, finito l’effetto, altro che entusiasmo, si cade nella depressione.
Certo però che per creare e gestire una azienda, qualunque essa sia, l’entusiasmo da solo non basta. C’è bisogno, ad esempio, di soldi così come di capacità e professionalità. Oltre che una bella dose di fortuna. Per non parlare di tanta ma tanta forza.

Erminio Papalino è una di quelle persone che racchiude in se tutte queste caratteristiche. Personalmente, lo definirei più propriamente un rullo compressore. Un pò come si immagina che sia un venditore di Folletto o di auto usate: provate a rimanere qualche minuto soli con un personaggio del genere e vi ritroverete con un aspirapolvere nuovo o una vettura usata.
Erminio sì magari vuole vendere le sue bottiglie, ma quello che prima di tutto vuole far emergere è il suo territorio e la sua azienda che ora è intestata al figlio Gabriele. Coinvolgendolo, integrandolo, contaminandolo con tutto il suo entusiasmo. Di padre in figlio

L’azienda agricola Papalino nasce dall’idea di mio padre quando nel 1960 con le agevolazioni dell’epoca della Piccola Proprietà Contadina, ha acquistato tredici ettari a Castiglione in Teverina. Insomma un finanziamento le cui ultime rate del mutuo sono state estinte nel 1990. Ultime rate che ho pagato io. Quattro milioni e centomila lire. Ho ancora l’atto originale. Finanziamento a trenta anni. Centomila lire all’anno. Papà faceva il bracciante agricolo, il fattore di un “sor”, un benestante. È diventato proprietario. Lui ha sempre fatto produzione di cereali, olive e uva. I filari erano a coltura promiscua a 12 metri di distanza per avere le coltivazioni in mezzo. Le viti erano a stucchio ovvero maritate. L’albero veniva potato cosi che sui quattro rami venivano messe le trecci di filari.

Un pò per volta. Mettiamo le cose in fila perché se avessi avuto una telecamera per filmare il nostro incontro avreste visto Gabriele ed il sottoscritto ammutoliti ad ascoltare il racconto di Erminio. L’entusiasmo appunto. Quello di un uomo che dal padre, con il padre e con il figlio, ha fortemente voluto valorizzare un investimento che aveva rappresentato lo smarcarsi dal lavoro sotto padrone.
Tredici ettari, diventati poi la metà alla morte del padre poiché divisi con la sorella, sono per Erminio prima, Gabriele poi, un cruccio. Tenerli senza valorizzarli non aveva proprio significato.
Storia comune. Già vista si direbbe. La solita storia di un figlio che gioca a fare il vignaiolo mantenendo il suo lavoro principale.
Sarà certamente la solita storia ma quando ti ritrovi così pochi ettari di terreno non è che puoi fare altrimenti. Al massimo vendi la terra e amen.
Ricordo che pure mio papà acquistò un pezzo di terra a Latina. Ne aveva tanta a Santi Cosma e Damiano, il paese nel quale era nato. Tanta con piante di olivi su terreno scosceso. Lavorare li era difficile e soprattutto lontano. Così un pezzo di terra vicino casa poteva essere un ritorno alle origini. Durò poco e il terreno rimase incolto fino alla sua morte. Con i miei fratelli lo vendemmo per evitare che il Comune continuasse a multarci perché diserbavamo in ritardo (però il Comune stesso lasciava le aiuole e i giardini pubblici come se fossero giungla).

La terra del papà di Erminio era un pò così. Anche se non così incolta. C’erano le piante di olivo. Anche quelle trecento impiantate nel 1995, anno di nascita di Gabriele.

Piano piano le forze del babbo sono venute meno. Ho sempre dato una mano ma mai a pieno. I filari di coltura promiscua, sempre meno redditizi, vennero estirpati. Rimanemmo con 5000 mq di vigneto.

Ecco che l’entusiasmo arriva. Non lo vedi arrivare. Non te ne accorgi. Ti coglie come una folata di vento che sposta le tende arrivando a farti vedere fuori dalla finestra senza che lo hai veramente voluto. Gli occhi guardano e se hai l’entusiasmo, vai in una direzione. Altrimenti nell’altra.

Cos’è che mi spezza il cuore tra canzoni e amore
Che mi fa cantare e amare sempre più
Perché domani sia migliore, perché domani tu
Strada facendo vedrai
Perché domani sia migliore, perché domani tu

Il vigneto non era più sostenibile. Ho pensato di fare tre ettari di vigneto specializzato. Elevare la mentalità vecchia dell’azienda. Solo vitigni autoctoni. Sangiovese, Montepulciano, Grechetto, Malvasia, Trebbiano, Merlot. Nel frattempo il babbo se ne era andato. Mia sorella si è venduta la parte spettante e io sono rimasto con i miei sette ettari di terreno e il casolare preso con il conguaglio. Piuttosto che conferire le uve alla cantina sociale volevamo fare qualcosa di più redditizio. Abbiamo preso un enologo, Maurilio Chioccia, un personaggio importante che crede in ciò che fa e soprattutto ci siamo trovati. Io a causa delle mie dimensioni, non ho voglia di vendermi per quello che non sono. Con i miei tre ettari ti potevo dare solo la qualità e ciò che sono.

Erminio l’entusiasta. Con il sorriso e gli occhi che gli sorridono ricorda quei tempi. Era il 2009. Ne parla come se fosse accaduto da poco. L’entusiasmo nel rivivere quei momenti è palese. Lui è un Caterpillar. Un fiume in piena che ha bisogno di raccontarsi e raccontare per far si che il suo entusiasmo possa fluire liberamente. Magari contagiando il figlio Gabriele che un pò si sente investito da una responsabilità importante non essendo ancora pronto (deve ancora laurearsi!).

Perché ti serve la mia collaborazione?

Guarda, fino al taglio dell’uva ce la faccio da solo perché sono un perito agrario, il resto, in cantina non sono in grado.

Aò, guarda che io in cantina il vino te lo rovino e basta. Il lavoro lo devi fare tu in campo.

Aiutami a mettere nella bottiglia le caratteristiche del vitigno e il territorio dal quale proviene.

Ma tu lo sai cosa mi stai chiedendo? Sarà una impresa ardua perché il mercato non è pronto per capire cosa può raccontare un territorio.

Maurilio io in testa ho questo. Vediamo cosa possiamo fare.

Erminio che è si entusiasta, è si un Caterpillar, è si un idealista ma soprattutto è uno che non vuole fare le cose tanto per farle. Sa cosa vuole. Essere un rappresentate gli fa capire che nel mondo se vuoi avere successo devi differenziarti. Se poi sei piccolo, devi anche rappresentare qualcosa. Altrimenti chi ti calcola?
Esaltare le caratteristiche del vitigno e del territorio diventa non solo una esigenza stilistica ma l’unico vero modo di emergere.

Nel 2014 abbiamo vinto la medaglia ai Vini buoni d’Italia come miglior Grechetto. Questo ci ha permesso di affinare di più la caratteristica di vini che somigliassero sempre di più al territorio di provenienza. Abbiamo concentrato le forze sul Grechetto. Vediamo cosa possiamo fare, ci siamo detti. Oggi facciamo una vendemmia a scalare ovvero con diversi stati di maturazione e concentrazione zuccherina anche in surmaturazione. Tre vendemmie con fermentazione in acciaio e una piccola parte in tonneau in media tostatura con rovere francese. Dopo l’assemblaggio di fermentazioni separate con prove e controprove. Poi affinamento sulle fecce fini per otto/nove mesi circa.

In effetti l’Ametis che ho assaggiato (annata 2021) l’ho trovato davvero interessante nella sua semplicità. I sentori sono semplici è vero ma due cose hanno catturato la mia attenzione. Anzitutto la croccantezza dei frutti e la freschezza dei fiori. Poi la nota balsamica che è di quelle che ti invita a respirare a pieni polmoni.
Il sorso poi mi ha entusiasmato per l’estrema sapidità e la grandissima freschezza amalgamati da un agrume che pulisce la bocca in maniera egregia. Il finale lievemente ammandorlato identifica e marchia il Grechetto. Verticalissimo e pulitissimo richiama al morso qualcosa di carnoso come una aragosta così da bilanciare perfettamente il percorso che ha in bocca il vino: partenza morbida, salivazione abbondante, freschezza, pulizia di bocca, amarognolo finale. Fantastico e unico.

Un pò forzatamente un pò per mezza passione ho coinvolto Gabriele che è il titolare dell’azienda. Si divide tra università ed il trattore. Anche con le scaramucce padre figlio. Mi da una mano sulle vendite. Lui si occupa del marketing.

Gabriele

Ringrazio il supporto del babbo ma il mio contributo si limita al marketing e alla comunicazione. Sul resto, ovvero la parte commerciale, sulla quale si dedica da trent’anni può insegnarmi molto. Sul campo sto muovendo i primi passi. A seguito del diploma scientifico girovago tra branding, storytelling, ecc. è importante ma il contesto è familiare e va adattato bene.

Avere a che fare con un papà come Erminio non deve essere stato semplice per Gabriele. Non che sia invadente o pressante ma essendo un Caterpillar il rischio è di coinvolgere in maniera involontariamente dirompente.

Il babbo anche per vicissitudini personali ha sempre cercato di coinvolgermi. Ricordo una scenata tipica tra mamma e babbo quando a quattro anni papà mi ha fatto salire sul trattore. Fino al 2004, abbiamo vissuto qui al casale. Poi ci siamo trasferiti ad Orvieto. Durante la vendemmia diamo una spolverata e dormiamo qui. A dieci anni mi ha costruito una casa sull’albero. Con la sega potavo qualche ramo sulla casa. Insomma tutto è avvenuto in maniera graduale.

Diciamola tutta però, i lavori agricoli li sta portando avanti lui.

Adesso la mamma non si arrabbia più perché sto sul trattore. Semmai perché non rispondo al telefono in quanto sul trattore.

In cantina, quando io sono impegnato, fa anche lui. Ha bisogno di essere seguito perché gli manca la formazione tecnica. L’enologo ci da le dritte ma poi ci sono delle cose per estro, come per il Violone ovvero il Montepulciano della Tuscia. Finita la fermentazione il 25 ottobre abbiamo svinato ed è rimasto sulle fecce fino a marzo. L’enologo mi chiamava per invitarmi a svinare. Poteva andare in riduzione. Assaggiavo il prodotto ogni settimana e dicevo all’enologo: devi stare tranquillo. Il vino ha un’altro sapore rispetto all’anno precedente. È stata una sfida con il patema d’animo. Insomma ci mettiamo del nostro.

Un vero duetto quello di Erminio e Gabriele. Me ne sto in silenzio e lascio che siano loro, padre e figlio ad esprimersi. Da un lato Erminio con la sua forza giocosa che con orgoglio coinvolge Gabriele. Gabriele che ha la voglia di non deludere il padre ma, soprattutto, l’umiltà per imparare piano piano. Una umiltà che è anche di Erminio. Non c’è niente in loro che sappia di diverso.

Ho delegato la potatura due anni fa e non mi è piaciuto. Adesso la facciamo noi.

Bello vederli insieme. Bello capire quanto questo progetto sia qualcosa di famiglia e quanto la terra possa unire padre e figlio. Costruendo senza fretta, nel tempo. Seguendo le vendemmie come si segue un figlio nella sua crescita. La terra, la vigna, il vino. È capace anche di questo. La forza dirompente di un amore che può unire come dividere. Senza mezze misure.

Il Grechetto è quello dove ci mettiamo molto impegno. Una sfida. Poi Lazolum che è Procanico e Malvasia. È il vino più semplice nonostante ha i suoi 14 gradi. Un pò in controtendenza rispetto ai vini moderni. Un vino di struttura nonostante la sua complessità.

Lazolum è un vino che è si strutturato per un bianco ma al contempo semplice e piacevole. Un bianco che sa di bianco. Diretto e senza fronzoli. Colore da bianco ovvero paglierino al limite del verdognolo. Sentori di entusiasmante mela verde Granny e pera Smith; lime, mentuccia e salvia. Insomma, freschezza e piacevolezza.
Sullo stesso piano si presenta in bocca con però la struttura che si fa sentire proprio nella croccantezza di quella mela scoperta al naso. Bellissima la sensazione agrumata che offre una eccellente pulizia di bocca e una inaspettata morbidezza finale che definirei vellutata. Fresco, secco, sapido e non particolarmente persistente. Insomma, molto ben equilibrato, molto semplice, molto piacevole. Morbido il giusto, fresco il giusto.
Con una pasta fredda al pesto e pomodorini sta da Dio.

Ametis, Grechetto in purezza, che fa della semplicità, non banalità, la sua forza. I suoi sentori esprimono ancora la croccantezza della pera e della mela verde; la freschezza degli agrumi e dell’erba tagliata che diventa fieno. I fiori di campo sono così vivi da fornire la sensazione dell’incontro tra la brezza del mare e il venticello del campo dove sbocciano. Sentori delicati che si amplificano grazie a quel velo di balsamico che aggiunge alla semplicità, pienezza.
Il sorso è secco e fresco, caldo e così sapido da esaltare in bocca la pulizia che il senso di agrumi fornisce. Un vino fresco, verticale, che lascia la bocca pronta e vogliosa del nuovo sorso, impaziente di addentare qualcosa di carnoso come una aragosta. Il finale leggermente mandorlato (tipico del Grechetto) rende le sensazioni intriganti e non banali.

Solidago, Violone in purezza. Fermentazione e affinamento in acciaio. Credo che rispecchi bene il territorio. Un rosso che rappresenta la zona. Ci sono ancora margini di miglioramento. Magari una riserva. Quest’anno è entrata in produzione una area di due ettari piantata da me e Gabriele. Tutto da soli nel periodo del covid. 6666 barbatelle. Una ammazzata. Questo l’abbiamo fatto noi. Arriviamo sempre lunghi con le lavorazioni perché entrambi abbiamo a fare. Siamo orgogliosi di dire che il vino che sta dentro questa bottiglia è garantito per il controllo della filiera.

“Credo che rispetti bene il territorio”. Parto da questa affermazione di Erminio per descrivere il Solidago che ho assaggiato nella versione 2021. La Tuscia è un territorio semplice, scelto dagli Etruschi per il loro stanziamento. Pochi fronzoli e tanta concretezza condita da prodotti genuini ottenuti anche grazie alla lontananza dai grandi centri.

Così è il Solidago. Un vino semplice, schietto, sincero, con pochi fronzoli. Non è necessario accompagnarlo con cibi particolari perché basta una tagliatella al ragù così come uno spaghetto al pomodoro; un tagliere di formaggi e salumi così come una carne alla brace.
Non serve mettere il naso a lungo nel calice per carpire chissà quale complessità nei sentori perché questi sono vivi di frutta croccante e non particolarmente matura (arancia, ciliegia, prugna); di fiori rossi senza strafare; di un leggero sottobosco; di un balsamico che fa ricordare come si è in aperta campagna.
Non serve ragionare tanto sul sorso perché fresco, secco, con il tannino maturo ma non invadente; morbidezze e durezze che si bilanciano armoniosamente e una struttura non altezzosa ma nemmeno banale; caldo, il giusto; un finale che timidamente vorrebbe andare verso l’amarognolo ma per mantenere la semplicità, non ci va proprio.
Insomma un bel vino, ben fatto, ben calibrato. Rappresenta la Tuscia a pieno nella sua semplicità e nel modo di non apparire. Con sostanza

Il Senauro è il blend di Sangiovese e Merlot. Barricato. Abbiamo sei barrique in genere. Quest’anno quattro. 1780 bottiglie. Finito quello non c’è più. Il Grechetto a seconda della richiesta facciamo tremila duecento o seimila seicento bottiglie. Finito non c’è più. Se inizio ad andare ovunque non sono più io. L’enologo mi dice che devo essere credibilità. Tutto il business si basa sulla credibilità. Con tre o cinque ettari di vigneto non puoi avere tanti vini.

Rubino con unghia granata nel calice. Non serve avvicinare il naso per sentirne gli effluvi. Avete presente quando Abus Silente agita la bacchetta nell’aria e da questa escono magiche scie? Ecco, questa è la sensazione avuta nel versare Senauro nel calice venendo avvolto nei suoi sentori di ciliegia e prugna matura. Sensazione arricchita poi dall’arrivo dell’immancabile violetta e di tanti fiori in potpurri. C’è sì dolcezza ma anche tanta freschezza così da creare una convincente avvolgenza. Tabacco, cannella e noce moscata sono la dolcezza; un che di vegetale, pepe e chiodi di garofano la pungenza. Piccoli spruzzi di balsamico allargano le narici e facilitano l’olfazione.
Nonostante i suoi 4 anni (ho aperto la versione 2020 che ha fatto 10 mesi di barrique), c’è al sorso una bella freschezza accompagnata da tannini maturi non invadenti. Secco, sapido e con un calore percepito inferiore ai 14.5° dichiarati. Persistenza buona, equilibrio raggiunto e, soprattutto, un finale di bocca molto gradevole che amplifica la voglia di continuare a berlo. Con una tagliatella al ragù, lo vedo perfetto

Abbiamo la certificazione SQNP e siamo ecosostenibili. Ero sostenibile da quindici anni e non lo sapevo. Da dodici anni non uso più diserbo. Ho sempre cercato di fare qualcosa di naturale. Abbiamo il protocollo per il terreno e uno per la cantina.

La scelta di Erminio e Gabriele è affidarsi per la distribuzione ad un partner di fiducia, Partesa che è sì un colosso ma di qualità. Legarsi in esclusiva può sembrare insolito, ma non per uno come Erminio che sa bene cosa voglia dire il mercato e la distribuzione.

Partesa sta mettendo in piedi un team di wine specialist per aggredire il mercato con le peculiarità del territorio. Il vino di Papalino è rappresentativo di Viterbo e provincia. Quando sono venuti gli ho fatto assaggiare prima le vasche in modo da far sentire che non c’è tanta differenza. La base è la stessa. Sei assaggi di vasca, sei vini diversi. Non c’è un vino uguale all’altro. Così mi hanno detto. Tutto quello che gli avevo detto lo hanno ritrovato nella bottiglia. È stato bello perché hanno riconosciuto la peculiarità e la corrispondenza tra vasca e bottiglia. Un grosso vanto. Siamo una azienda che lavora correttamente e crediamo in quello che facciamo.

È quando si parla di futuro che le differenze di vedute, figlie di generazioni diverse ma anche di formazione diversa, vengono (e meno male) fuori. Non divergenze ma approcci diversi. Che arricchiscono invece di provocare contrasti. Erminio che guarda Gabriele orgoglioso di ciò che dice e pensa. Anche se poi si fa come dice lui.

Nella mia testa l’idea è di rendere questa azienda economicamente sostenibile. Abbiamo bisogno di aumentare le vendite ed essere presente sul mercato. Aumentare il fatturato insomma. Nel prossimo futuro aumentare la numerica delle bottiglie senza diventare un grandissimo produttore. Qualche situazione confinante da acquisire.

Io più che sulla numerica delle bottiglie investirei sull’esperienza del territorio. Con il babbo ci litigo spesso su sta cosa. Io non credo che noi possiamo diventare l’Antinori della Tuscia. Castiglione è un posto piccolo e non si può tralasciare il territorio. Mi piacerebbe poter trovare il modo di riportare in vita due tre filari di quella vecchia vite e condurli come li conduceva il nonno. Ho un ricordo di nonno che andava a fare i vinchi legando i capi. Una esperienza da ripetere e da fare vivere. Potenziare il lato esperenziale e valoriale.

In fondo, non è detto che l’una escluda l’altra. Certo, per fare quello che Gabriele ha in mente occorre la sostenibilità dell’azienda. O forse, per raggiungere quest’ultima, serve proprio la parte esperenziale. Una sfida che solo il tempo potrà validare. Di certo, questa azienda si basa su fatti concreti che sono principalmente la qualità dei prodotti per i quali Erminio ha voluto scegliere nomi evocativi. Se li è studiati e li ha fortemente voluti così. Un vero venditore!

Per i bianchi Ametis e Lazolum, pietre preziose.
Ametis richiama l’Ametista la pietra legata al vino per via di Ametista, la ninfa che, perseguitata dalla corte e non gradita al dio Bacco, chiese disperata a Diana di trasformarla in cristallo. Bacco, adirato da questo le scagliò contro il suo calice pieno di vino dando vita al colore violaceo del cristallo. I Greci e i Romani credevano che proteggesse dagli effetti inebrianti del vino così che durante i banchetti offrivano quest’ultimo in coppe di cristallo.
Lazolum è la Lazulite che richiama il lapislazzulo, la stupenda pietra azzurra usata anche da Michelangelo per affrescare la Cappella Sistina. Scoperti più di seimila anni fa i lapislazzuli erano usati in Mesopotamia e dagli antichi Egizi per adornare gioielli e monili come simbolo di potere e immortalità. I Romani li usavano, in polvere, come afrodisiaco. Nel Medioevo, sempre in polvere, come pigmento per dipingere.
Solidago è la Verga d’oro, è una pianta la cui infiorescenza è così particolare da sembrare dorata. Cresce tipicamente nell’alto Lazio e in Toscana.
Senauro è il nome arcaico del Cinabro ovvero del minerale costituito da solfuro di mercurio dal tipico colore rosso. Si estraeva in grandi quantità sul Monte Amiata ed era la base di tutti i manufatti rossi nonché materia prima della pietra filosofale.
Calus infine. Erminio dice che significa per gli antichi Etruschi “buono, eccellente”. In realtà Calus per gli Etruschi era il mondo dell’oltretomba e degli Inferi.

La scelta dei nomi dei vini è lo specchio della personalità di un personaggio come Erminio, di un entusiasta come Erminio, di un sognatore come Erminio. Ha contagiato Gabriele e contagerà anche chi si avvicinerà ai suoi vini che fanno della semplicità e schiettezza la loro forza ed unicità.
Perché per sognare, non occorre fare cose fantastiche ma solo semplici. Con entusiasmo.

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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