23 Ago 2024
Suggestioni di Vino

Judith e Michele. La Matina, youandme

Su di noi 
Nemmeno una nuvola
Su di noi 
L’amore è una favola
Su di noi 
Se tu vuoi volare
Lontano dal mondo, portati dal vento
Non chiedermi dove si va
Noi due respirando lo stesso momento
Poi fare l’amore qua e là
Mi stavi vicino e non mi accorgevo
Di quanto importante eri tu
Adesso ci siamo
Fai presto, ti amo
Non perdere un attimo in più

Eh si lo so, Pupo. Anche Pupo direte voi. Si, Pupo. Proprio Pupo.
Che ci posso fare se la mia mente ogni tanto ha queste digressioni. Come è venuta in mente la canzone “Su di noi”? Semplice quando Judith mi ha parlato di You&Me.

Ci siamo fidanzati che avevo diciassette anni. Adesso ne ho 45. Siamo cresciuti insieme singolarmente e come coppia. Dai compagni di scuola, ai parrocchiani, al calcetto, alla pallavolo siamo sempre stati Judith e Michele. Con l’avvento dei cellulari la Vodafone fece la promozione you&me. Per gli amici era nata per noi.

Judith è Judith Sandonato. Michele è Michele Valentoni. Anzi il Barone Michele Valentoni. Una necessaria sottolineatura non per attribuire a Michele il grado nobiliare (cosa che nella sua semplicità non da a vedere neanche lontanamente) quanto perché si possa comprendere al meglio il contesto. Contesto che si arricchisce anche del luogo, San Marco Argentaro, comune di poco più di 6000 abitanti dell’entroterra cosentino.

Judith e Michele sono una di quelle coppie monolitiche. Cresciute insieme dai tempi della scuola e insieme. tenendosi saldamente per mano, hanno attraversato gran parte della vita compensandosi vicendevolmente. Anche se per Judith non deve essere stato particolarmente facile: un paesino del sud, un Barone con il suo palazzetto e gli oltre cento ettari di terreni, una famiglia semplice. Un mix che fa sognare. O incute timore. O un mix tra questi.

Nel momento stesso vado a vedere dove lui abita e vedo questa abbazia, capisci bene che la cosa non mi ha turbato ma di più. Chi ho io davanti? Per poi capire che è soltanto una sorta di involucro che si portano dietro per eredità ma loro hanno sempre vissuto con normalità e naturalezza.

Ah già, l’Abbazia. C’è anche una abbazia.
Poteva accadere, nel passato, di avere una chiesa all’interno della proprietà. Sintomo di maggior potere e prestigio. Funzioni private con sacerdote personale. Visite di prelati, magari del Papa!
Nel caso della famiglia Valentoni, l’Abbazia è quella di Santa Maria de La Matina costruita e consacrata nel lontanissimo 1065. Da li in poi una storia altalenante fatta di crociate, papi, vescovi….Come quando nel 1194 Federico Barbarossa la concede ai monaci cistercensi. Arriva alla famiglia Valentoni con Luigi, generale borbonico che la acquista insieme ai terreni circostanti.
Una vera abbazia insomma. Nel patrimonio di famiglia. Come non rimanerne stupiti se hai 17 anni?

Due ragazzi che aldilà dei titoli nobiliari e delle differenze che ci possono sempre essere, vivono la loro storia d’amore come solo due adolescenti (o quasi) possono e devono fare.

Io sono dello stesso comune di mio marito, San Marco. Però con un stile di vita e un approccio familiare esattamente opposto. Mio padre parte quindicenne come emigrato in Svizzera. La sua famiglia era di stampo patriarcale dunque con i figli maschi dovevano andare a lavorare fuori per fare il corredo alle sorelle. Raggiunge i fratelli maggiori e lavora li. Nei ritorni si innamora di mia madre ma inizia una relazione a distanza perché al tempo la Svizzera aveva regole rigide per quanto riguarda il ricongiungimento. Mia madre poteva raggiungere mia madre solo quando lei aveva un contratto stagionale.

Oggi si parla, giustamente, di cittadinanza per gli immigrati. Un diritto di civiltà certamente, per capire il quale occorre proprio guardare al passato. A quando eravamo noi, gli italiani, ad andare in luoghi ove questo diritto veniva negato. Non che il papà di Judith ci tenesse particolarmente a diventare cittadino svizzero, ma almeno a vivere con sua moglie si.
Costretti a vedersi solo in presenza di un contratto stagionale. Generalmente estivo. E cosa possono fare due sposini non vedendosi da tanto tempo?

Il mio nome racconta la mia storia. Il nome svizzero tedesco Judith non fa che ricordare il mio concepimento. Certo non è un nome calabrese.

Una bellissima suggestione per un nome tipicamente ebraico. Però una certa assonanza con giugno in italiano e juni in tedesco indubbiamente c’è.

Papà mette da parte dei soldi e investe nel mattone dopo molti anni fuori. Cade la scelta su un piccolo appezzamento che è la parte alta dell’azienda Valentoni. In realtà mio padre acquista qualcosa che era stato di proprietà del nonno di Michele che lo aveva poi venduto perché al di fuori della sua visuale in quanto parte più alta. Mi viene da pensare che mio marito mi sposò per interesse affinché quello che era della sua famiglia tornasse indietro.

Scherza Judith ma se lo può permettere per l’amore e la sintonia che c’è con Michele.

Che Michele sia un Barone non ce ne si accorge davvero. Quando lo conosco, è la persona semplice che prevale. Uno che lavora la terra e non si atteggia. Le sue mani ne sono la dimostrazione.

Per scelta abbiamo deciso di abitare sopra i miei. Nella casa che papà aveva realizzato sul terreno comprato. Papà ha costruito questa casa di 400 metri quadrati e noi scegliamo di vivere qui per staccare dal lavoro. Con l’azienda agricola giù stare sempre giù non andava bene.
Dal nostro terrazzo invece si vede tutta la proprietà a valle. Il contrario di quello che aveva fatto il nonno.

Come sarebbe che il Barone Michele Valentoni va a vivere a casa della moglie?
Già me le immagino le teste coronate che spettegolano e la gente che si affretta ad immaginare ad un patrimonio dilapidato sul tavolo da gioco. Il paese è piccolo e la gente, mormora!
Niente di tutto questo. Anche perché le storie che sembrano patinate spesso celano lati o comunque situazioni che fano riflettere. Aristotele diceva che

è chiaro che non è la ricchezza il bene da noi cercato. Essa infatti h valore in quanto utile, cioè funzione di qualcos’altro

Il papà di Michele muore giovane. A soli 47 anni. Michele ha appena otto anni e già capisce che la sua vita non sarà mai più la stessa. Sua mamma trenta. Sua sorella cinque. Si cresce in fretta. Si deve crescere in fretta in certe situazioni anche se non è lui a dover mandare avanti l’azienda.
Come in tutte le famiglie di un certo “rango” sono gli altri che scelgono il destino degli eredi: prima il liceo Classico (e meno male dico io altrimenti non avrebbe conosciuto Judith), poi la facoltà di Giurisprudenza. A Roma ovviamente.

Come pensate che potesse trovarsi a Roma un ragazzo del profondo sud nato e cresciuto nella piccola contrada di San Marco Argentano?

Si inseriva in tutte le feste, conosceva tutti. Gli studi ne hanno risentito.

Mentre Judith studia a lavora perché si era imposta di voler finire l’università in cinque anni, Michele bighelloneggia a Roma. Fino a quando non incappa in uno dei fatti di cronaca più inquietanti della storia italiana. Uno dei tanti misteri che, per quanto processualmente risolto, ci portiamo sempre dietro.
È il 9 maggio 1997 quando Marta Russo, una studentessa dell’Università La Sapienza di Roma viene ferita alla testa da un proiettile. Morirà cinque giorni dopo in ospedale.
Michele ha appena sostenuto un esame con il prof. Lipari, padre di quella Maria Chiara che sarà testimone chiave del processo. Tutti gli esami di quel giorno non risultano e vanno rifatti. Misteri italiani.

Lungaggini burocratici per farselo riconoscere, ecc. Ma non risultava e avrebbe dovuto rifarlo. Forse insabbiarono qualcosa perché non era possibile. Insomma si allontanò dagli studi anche con tre soli esami alla laurea.

Nel mentre di questa brutta storia, Judith si laurea in Scienze Politiche con la grande ambizione di intraprendere la carriera diplomatica.

Volevo fare il diplomatico. Il mio professore di Diritto Amministrativo mi diceva: le posso chiedere una cosa? Io la vedo sempre con un ragazzo. Ma è una cosa seria? Io pensavo ma a te che te frega. Nel rispetto dei ruoli rispondevo: si. Dal suo curriculum si evince che lei vuole e può fare la carriera diplomatica. Ci sono tutte le condizioni positive ma ce ne è una talmente negativa che le impedisce. Ebbe ragione. Dopo la laurea inizio dunque a fare degli stage aziendali nelle aziende agricole più importanti del cosentino.

Guarda avanti Judith. Nella testa c’è la carriera diplomatica, nel cuore il suo futuro a San Marco vicino a Michele. Un conto sono le ambizioni che l’avrebbero portata chissà dove, altro è il cuore.

Michele infatti è tornato a San Marco. Li c’è la sua casa. Li c’è la sua famiglia. Li, soprattutto, c’è la sua storia. Una storia, una grande responsabilità che fino a quel momento è gravata sulle spalle della madre.
Trovarsi a trent’anni, da sola, con due figli, una azienda, una Abbazia, un palazzotto, le tasse di successione da pagare. Tutto dannatamente complicato con solo i propri parenti a dare una mano visto che il marito, papà di Michele, era figlio unico.
Difficile. Dannatamente difficile.

L’azienda agricola lavorava e lavora principalmente con le produzioni agricole stagionali. Peperoni, pomodori, ortaggi ecc. poi cereali. 104 ettari compreso il complesso monumentale.
Dannatamente difficile.

Michele torna e capisce che l’azienda rappresenta una bela possibilità di fare il soldo facile. Solo con le risorse europee si poteva andare avanti. Adesso è molto complicato e spesso non ne vale la pena. Preso da questo guadagno e dallo stare sui trattori, non ha portato a termini gli studi. Nemmeno dopo con le università telematiche.

Judith è schietta e vera. Non ha paura della sue parole. Parla a ruota libera con la voglia di raccontare ciò che li ha portati ad essere ancor più cementati come coppia e come persona.

Anche quando era in vita il papà, l’attività pomeridiana di Michele era quella di andare dietro agli operai per vedere cosa facevano ma anche rubare il pranzo. Nella gestione aziendale sono subentrati gli zii materni di Michele. Il papà era figlio unico. Lo viziavano facendogli fare tutto ciò che volevano.

Dopo qualche anno Michele si accorge che qualcosa di più con l’azienda si può fare e capisce che Judith, che nel frattempo si è fatta non solo le ossa ma anche le giuste esperienze, può essere la persona giusta ad affiancarlo. La convince. Nel 2016. Ci sono già entrambe i figli e insieme lavorano all’idea del vigneto. Prima Judith dava una mano come factotum amministrativo come “moglie di Michele”. Ora invece è un appoggio e un rafforzamento nelle scelte di Michele. Non solo la moglie ma anche spalla fondamentale. È You&Me che si rafforza. Si rafforza nella gestione. Si rafforza nelle scelte. Si rafforza nelle idee. Come quella del vigneto.

In queste zone si è sempre prodotto vino. Per pochi e non per molti. Un pò come tutti i prodotti calabri mi verrebbe da dire. In questo caso però la vigna era il passatempo di nonno Michele che produceva vino solo per la propria famiglia e gli amici.
Impiantare una vigna e produrre vino può essere per Judith e Michele un modo per elevare l’azienda. Si dovrebbe dire “nobilitare”, ma essendo di proprietà di un nobile, sarebbe stato cacofonico.

Impianto nel 2017. 2019 primo imbottigliamento. Poi inizia l’era covid che spezza la programmazione. Avevo programmato tutto anche gli appuntamenti. Avevamo investito nelle quote per i vigneti. Anziché partire con grande entusiasmo, iniziamo con grande preoccupazione.

Judith è una donna spigliata e determinata. Capisce il contesto. Legge le situazioni. Studia, analizza, programma. Con Michele si rendono conto di avere per le mani non una semplice tenuta ma un vero patrimonio artistico culturale. L’Abbazia è monumento protetto dalla Soprintendenza alle Belle Arti. Però è di Michele. È della famiglia. Un bene, insieme alle terre, indivisibile. Inalienabile. Come si conviene ad una famiglia nobiliare. Ecco quindi che La Matina, qualcosa che durerà per sempre, non può che essere il loro brand. C’è una storia da raccontare. C’è un marchio che è nel portale dell’Abbazia. C’è un territorio da rispettare ed esaltare. Il vitigno non può che essere il Magliocco che qui è di casa. Le espressioni non possono che essere rosso e rosato. Niente altro. Non serve altro per iniziare l’avventura nel mondo del vino.

Perché non registrare il brand La Matina? A seconda del progetto ci presentiamo come Azienda Agricola La Matina o come La Matina e il logo del portale. La Matina è il nome della località: contrada La Matina. Mata, bosco. Il fulcro è l’Abbazia. Oggi la stiamo valorizzando ma in passato il nonno di Michele utilizzava il parlatoio dei monaci come granaio, quella che è cantina di rappresentanza come cantina vera e propria. Il nonno di Michele produceva vino per gli amici senza venderlo. Lui viveva il ruolo di Barone. Il nonno di Michele, Michele Valentoni è stato il primo cavaliere al merito agricolo della Regione Calabria.

Una azienda non solamente agricola. Un brand. Una storia. Un prodotto nobile e vendibile. Una vera strategia che comporta si investimenti ingenti ma, se non altro un impegno inferiore rispetto ad una produzione di tipo stagionale a campo aperto.

La zucchina ad esempio richiede una raccolta quotidiana. Il vigneto ti da meno problemi. Tutta la zona collinare con impianto a vigneto è rendere l’azienda più profittevole immaginando nel lungo periodo una bella opportunità.

Due ettari vitati per iniziare. Pochi si ma realizzati in autofinanziamento. Senza l’aiuto di nessuno e con le quote che consentirebbero di arrivare a sei. Non c’è spazio per la cantina a meno di non utilizzare ancora il parlatoio: non credo che le Belle Arti approverebbero.

Vinifichiamo presso terzi ma la cantina è attaccata a noi. Vendemmia manuale e scarichiamo direttamente in cantina.

Barone, terra, vitigno autoctono, abbazia. Se fossimo in altre regioni si sarebbe chiamato un enologo importante, si sarebbero affiancati vitigni nobili ed internazionali, si sarebbe studiata una etichetta con tanto di blasone. Una strategia di marketing pura che, qualora accompagnata da un cospicuo investimento di comunicazione, avrebbe portato ad uno, quasi, scontato successo.

Michele però rimane con i piedi per terra. Judith gli va dietro. Elevarsi con un vitigno che non è nelle condizioni pedoclimatiche sarebbe stato un rischio inutile. Perlomeno senza le competenze necessarie.

Occorre partire da ciò che si sa fare. Stare con i piedi per terra. Io non mi posso elevare con qualcosa che non mi appartiene. Devo iniziare con qualcosa che mi dia credibilità. Non devo Imitare o rubare qualcosa che non è mio.

Credibilità. Non è solo una questione di dignità ma di rispetto per la propria storia e peri quella della famiglia. Rispetto per il territorio. Rispetto per le persone che lavorano la terra. Un Michele che sa comunque il fatto suo e già appena rientrato in azienda capisce che deve fare le cose a modo suo. Investendo.

Michele tu vuoi fare le cose a modo tuo.

Immagino gli zii che così gli dicevano. Quasi a lamentarsi della ventata di novità che un ragazzo vuole, forse perché padrone, potare in azienda. Magari portandola alla rovina.
Invece Michele conduce l’azienda con un occhio ai conti e l’altro alla innovazione.
Il vino è un investimento, senza ancora un ritorno economico, che risponde alla precisa necessità di elevarsi. Non tanto perché sia utile a Michele e Judith quanto ai loro figli Anastasia e Carlo Maria. Sono ancora piccoli ma Michele sa cosa voglia dire veder spezzati i propri sogni. Non vuole che accada ancora. Avere per le mani una azienda che si distingue, che ha un valore oltre le dimensioni. Ecco questo vuole lasciare ai suoi figli.

Una volta che i vigneti ci sono possiamo anche mantenere la vigna per i clienti affezionati e per il brand. Magari ci sarà un momento nel quale il vino può diventare primaria come produzione.

Oggi 10.000 sono le bottiglie prodotte. 1000 bottiglie di rosato Madame c e 9000 di rosso Muntu. Con certificazione biologica.

Muntu e Madame raccontano la storia dell’azienda. Muntu e Madame sono i genitori di Michele e siamo noi. Muntu esprime il sacrificio, radicata alla tradizione. Madame la parte di pregio e prestigio del casato nobiliare e di anima. La nobiltà dell’animo la può avere ciascuno di noi
Si uniscono con il portale di ingresso dell’Abbazia. La storia aziendale è un contenitore così grande. Michele vuole arrivare a omaggiare il padre non già nel nome ma andando a trovare quanto di meglio gli ha lasciato: la sua assenza. Ciò che gli ha lasciato in dono è l’assenza, la mancata presenza. La vita che non ha potuto avere e che ha avuto. Forse se fosse rimasto in vita Michele sarebbe rimasto a Roma a fare la bella vita.

Michele invece ha sperimentato sulla sua pelle cosa voglia dire fare impresa e farla al sud. Ma di quel sud lui ne porta con se l’orgoglio. Le tradizioni, la storia. Questo conta.
La fatica è tanta. Le idee in testa ancor di più. Gli ettari sono diventati cinque. Sempre e solo con il Magliocco.

Michele ha il sogno di fare tutti vigneti. Un sogno al quale stiamo lavorando. Io sono più pratica e dico vediamo se si pone l’occasione. Non quella che arriva dal cielo ma quella che l’imprenditore deve creare con il lavoro e la programmazione. Non posso seguirla io questa cosa.

L’enologo è il medesimo della cantina dove si vinifica ma Michele è uno che si mette di traverso se qualcosa non gli piace. Ecco perché i vini lo identificano senza necessità alcuna di adeguarsi alle logiche di mercato. Poche bottiglie per una vendita selezionata. Con tanto ricorso all’enoturismo che grazie all’Abbazia e alla sapiente mano di Judith è un punto di estrema forza.

Stamattina ho fatto accoglienza ad una scolaresca di venti ragazzi. Mi facevano le domande e capivo che le risposte erano quelle giuste. Poi i professori hanno voluto fare la degustazione e mi sono messa i panni del sommelier. Poi accogli il dipartimento universitario di ingegneria o belle arti dai quali ho solo da imparare. Riesco a contestualizzarmi e questo mi da entusiasmo e la carica. Per il ritorno economico c’è da guardare a lungo tempo.

Judith è una forza della natura. Parla a raffica con il sorriso. Si vede che le piace ciò che fa. Il contatto con le persone. Il racconto di una azienda e di un patrimonio. Non è distaccata ma coinvolta e coinvolgente. Lei si sente parte di una storia. Con una identità precisa.

Io tendo a specificare quando do il benvenuto in struttura i ruoli familiari e il mio ruolo. Specifico che mia suocera abita gli appartamenti superiori e che la vedrete passare magari con i sacchetti della spesa o con delle uova visto che c’è il pollaio dietro la chiesa. Lei la abita come casa che però è un monumento protetto. Cerco però di contestualizzare il passato e soprattuto il presente che è frutto di esperienze familiari. Questa signora che trentenne rimane vedova e deve badare a questo bene non volendolo non lo gestisce. Ma si rimbocca le maniche.

I vini sono identitari di una storia e del territorio grazie al Magliocco. Più che identificare solo Michele, identificano la coppia Michele e Judith. Caldo e passionale il Rosso Muntu; fresco, fragrante, vivo il Rosato Madame.

Muntu dicevamo. Nel calice è pastoso così da sembrare caldo già a guardarlo. Quel rubino con riflessi granata che si potrebbe tagliare con il coltello.
Al naso c’è calore e pastosità. La frutta è cotta, i fiori sono in potpurri. La mela è quella cotta nella cannella e nei chiodi di garofano. La balsamicità esalta il cioccolato e il pellame. La nota ferrosa ed ematica finale è come un bacio passionale che ha lacerato il labbro.
Tutto sa di caldo e avvolgente. Come un abbraccio.
Al sorso ci si aspetterebbe dolcezza, invece arriva la freschezza accompagnata da tannini morbidi, non setosi. Come se l’abbraccio si fosse trasformato in amplesso.
Secco, caldo e corposamente avvolgente.
Mi piace il perfetto bilanciamento e perché è morbido quanto basta, forte quanto basta.
L’espressione è quella del sud con il calore del sole e il gioco di freschezza. Persistenza buona ma non lunga. Avvolgente

Madame. Se Muntu è il calore, Madame è la freschezza. Se Muntu è la nobiltà, Madame è la spensieratezza. Se Muntu è il tempo, Madame è l’immediatezza.
Spensierato ancorché nobile già dal colore cerasuolo. More, prugna, fieno tagliato. Ciliegia bianca, fragoline di bosco, pesca macerata nel vino. Agrumi. La sensazione è quella di una grande vasca di frutti di bosco.
Sorso ampio con qualche residuo di tannino. Fresco e non particolarmente caldo si apprezza per un sapiente gioco di durezze e morbidezze e un senso di amaro latente. Piacevolissimo cosi come piacevolissima è il finale che richiede un altro sorso.
Se Muntu è l’etichetta, Madame è la fuga spensierata in un campo di fieno a piedi nudi.

Judith e Michele. Michele e Judith. Due persone che si sono scelte nella vita e nel lavoro. Una coppia che fa della solidità, ma anche della fragilità, la propria forza.
Michele, per come lo definisce Judith, è un ingenuo ma anche una grandissima forza della natura. Una forza che compensa la Judith che si abbatte e si scoraggia. Che sprona e non si ferma. Ne dinanzi alle difficoltà del lavoro ne quelle della vita che lo ha messo di fronte ai problemi di salute. Poco conta. Conta solo l’andare avanti con la forza propulsiva propria e della coppia. Sono in due, spesso sono solo in due, ma valgono per cento, mille, diecimila. La forza motrice del nucleo familiare.
Li vedi insieme e capisci quanto la vita può togliere ma soprattutto quanto possa donare. Capisci cosa c’è dietro un lavoro frenetico, dietro tanti sacrifici, dietro apparenze patinate. Li vedi. Insieme. Tutto il resto è “solo” una logica conseguenza.
Judith e Michele, you and me.

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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