27 Feb 2024
Editoriale

Report. Facciamo il punto

Ho voluto far passare del tempo e con esso l’ondata lunga delle polemiche seguite all’ultima puntata di Report per cercare qualche punto di ulteriore discussione sul tema o sui temi sollevati.

Partiamo dal metodo.

Le inchieste giornalistiche devono esserci. Sono l’essenza della democrazia oltre che del giornalismo. Mettono spesso in risalto qualcosa di sotteso, sotterraneo, sporco, cattivo.

Ciò che non dovrebbero mai fare, senza dichiararlo anticipatamente, è esprimere una opinione o voler dimostrare un teorema.

Faccio un esempio estremo. Se volessi fare un servizio giornalistico per rafforzare la mia opinione che la terra è piatta, basterebbe intervistare portandone le istanze, una serie di terrappiattisti e il gioco è fatto.

Senza un contraddittorio ovvero senza un equilibrio, passerebbero dei concetti privi di un parere più rotondo.

Oltre questo, parlare solo ed esclusivamente di un paese, in questo caso l’Italia, facendone emergere un quadro, ancorché parziale e non oggettivo, desolante, senza alcun tipo di rimando ad altri mercati, identifica quest’ultimi come migliori.

Ma questo non corrisponde alla realtà.

Che le logiche di una grande azienda vitivinicola siano e debbano essere diverse da quelle del piccolo artigiano, è palese. Nei primi conta di più il volume dunque il margine, nei secondi, magari lo stesso ma con valori numerici decisamente inferiori. Di certo, la qualità non può che essere un focus di entrambe le categorie anche se con specificità diverse. Per le grandi aziende ciò che conta maggiormente è una “uniformità” dei prodotti per garantirne “l’identità”; per gli artigiani o le piccole medie aziende la “riconoscibilità” del territorio ovvero del terroir.
Ci sono vini standard? Si, certo. Negarlo sarebbe osceno. Lo sono per logica commerciale e non già per “frode”.

Tempo fa andai al Lidl a provare del vino che poi ho recensito sul mio blog Instagram. Era un Aglianico del Vulture acquistato a meno di 3€. Le conclusioni furono queste:

Non si tratta di un grande Aglianico né di un grande vino ma nemmeno di una schifezza. Un vino buono, certamente migliore di tanti altri che costano anche di più. Lo suggerisco? Suggerisco solo di non avere mai pregiudizi!

Nel volantino del mese di Lidl c’è ad esempio Muller Turgau a 2.19€, un Cabernet Sauvignon a 2.39€, un Rosso di Montefalco a 5.99€. Quello che costa di più è un Prosecco DOC millesimato a 6.99. Spesso si trovano anche Chianti Classico DOCG, Amarone, Barolo. Possibile? Tecnicamente no certo però, grazie alle multinazionali e ad un po’ di attività in cantina, si possono ottenere prodotti, non nocivi, ma per tutti. Sbagliato? Non lo so e ognuno avrà la sua opinione.

Un vino omologato è peggiore di altri?

Mi sarebbe piaciuto che i giornalisti di Report fossero andati nello Champagne. Li, specialmente le grandi Maison, sono maestri della omologazione. Non vorrei bestemmiare ma aggiungere il liqueur d’expedition al vino base dopo il degorgement, oltre che per determinare il grado zuccherino del prodotto finale, serve ovviamente per fornire un gusto “riconoscibile”.

Forse è meglio che non ci siano andati in Francia. Sai che incidente diplomatico avrebbero creato?

 

La chimica e i metodi.

Quando nostro figlio ha la febbre, gli diamo il paracetamolo. Se sta ancora più male, probabilmente, sarà necessario l’antibiotico. Non siamo scettici. Non pensiamo che gli stiamo dando qualcosa di non naturale. Certo, ci sono i prodotti omeopatici o i rimedi della nonna ma, sfido chiunque a dire che non ha mai dato antibiotici al proprio figlio anche se il pediatra lo ha prescritto.

Allo stesso modo, se una pianta sta male, non usare la chimica, potrebbe essere drammatico ai fini del risultato finale.

Ci sono ovviamente altri metodi, naturali, previsti dai disciplinari biologici e biodinamici. Anche se spesso vengono comunque permessi rame e zolfo poiché considerati come naturali. Poi le conseguenze sul terreno non sempre vengono calcolate. Senza dimenticare che non esiste un vero disciplinare per i vini naturali con la conseguenza che ognuno fa un pò come vuole.

Oggi, sempre più rispetto al passato, i produttori stanno puntando la propria attenzione sulla qualità della vigna. Non è tanto un tema di manualità o meccanizzazione dei processi quanto della necessità di far arrivare in cantina acini sani. Solo così infatti, si può non solo immettere tutto il territorio nella bottiglia ma rendere il processo di vinificazione più lineare possibile.

 

La cantina e i lieviti.

Possono i lieviti selezionati e le sostanze ammesse modificare e migliorare il prodotto finale?

È inutile prenderci in giro: si.

Conti alla mano possono essere usati come “addizionanti” oltre 50 sostanze diverse. Lieviti, vitamine, acidi, solfiti, chiarificanti, stabilizzanti, addolcenti, astringenti, acidi, ammorbidenti, ecc. Chi più ne ha, più ne metta. Sempre rispettandone la legalità.

Ora, essere sostanze autorizzate, implica due cose:

  1. Non sono nocive (altrimenti non sarebbero autorizzate);
  2. Non necessariamente devono essere usati.

 

Mi concentrerei su quest’ultimo punto dando per scontato il primo dando per scontato che nessuno, a valle degli scandali del metanolo e antigelo, utilizzi più sostanze illegali.

I produttori hanno la capacità, in funzione delle proprie conoscenze e della filosofia produttiva, scegliere come realizzare il vino.

Ho personalmente conosciuto decine produttori che usano lieviti selezionati o spontanei ma mai nessuno che usa chimica e additivi. Non mi sono mai volutamente interfacciato con grandi aziende perché quelle giocano in un campionato che non mi interessa.

I piccoli e medi produttori sono aziende tipicamente a carattere familiare. Lavorano autonomamente la terra e sono i primi utilizzatori del proprio vino: chi è il pazzo che usa chimica in vigna quando è li che vive o beve il proprio vino quando non sano?

Sgombro anche il campo dall’equivoco di chi sta pensando che fanno un vino diverso per sé stessi ovvero per sé stessi buono e per gli altri edulcorato perché le attrezzature in cantina sono poche e costose e non è possibile differenziarle.

Una volta un grande vignaiolo mi disse che non ci possono essere vini naturali perché, di per sé, il vino è un prodotto di trasformazione. Prendi l’uva, la lavori, ne estrai il succo, la conservi. Si possono avere tutti i metodi che si vuole per fare questi passaggi ma di certo non sono passaggi naturali. Se prendi il frutto dalla pianta e lo mangi, allora non c’è trasformazione ed è tutto naturale. Sempre che alla pianta non sia stato dato qualcosa prima.

Oltretutto, se il “succo” lo si vuole conservare per qualche tempo, occorre aggiungere dei “conservanti” ovvero antibatterici. Non fosse altro che il vino o qualunque liquido non chimico, è materia viva per la presenza di microorganismi che, se non mutati, portano alla decomposizione dunque alla impossibilita di consumo.

Anche l’acqua presa dalla migliore fonte al mondo potrebbe fare questa fine e non già perché marcisca in bottiglia, quanto a causa di possibili contaminazioni dei recipienti. L’acqua imbottigliata, per legge, non può ricevere additivi.

Tornando ai lieviti, sarebbe bello se ogni vignaiolo potesse usare solo lieviti spontanei. Ma non è così semplice. Le diverse condizioni che si creano in vigna prima e soprattutto in cantina dopo (dove ci sono veramente i batteri responsabili dei lieviti), non è detto che generino la fermentazione. Quando questo non accade, il lavoro di un intero anno può andare direttamente nella fognatura. Pardon! Nello smaltimento.

Lavoro. Investimento. Guadagno. Tutto gettato via.

Come si fa a biasimare un vignaiolo che non riesce a rischiare? Come si fa a condannare grandi aziende con centinaia di dipendenti se non vogliono mettere a rischio il fatturato e ciò che ne consegue?

Inutile e sciocco condannare l’utilizzo di lieviti. Le caratteristiche organolettiche di un vino dipendono anche, ma non solo, dai lieviti. Sarà comunque il mercato a scegliere e compito di divulgatori e sommelier (onesti) è proprio quello di far scoprire ai consumatori i vari prodotti con le loro differenze e peculiarità.

Qualche settimana fa sono andato alla manifestazione Vignaioli Naturali a Roma e un mio amico incontrato li mi chiese sottovoce: ma perché qui ci sono produttori che usano lieviti? 

Cosa gli potevo rispondere se non che non ci sono regole per i vini naturali?

Il mercato sceglie anche, e tanto, di bere birra che è un prodotto completamente chimico e dove i lieviti sono aggiunti come nella pizza o nel pane. Ah ecco. Il pane, la pizza, la birra, i dolci. Allora tutto è edulcorato!

Dunque, giusto che i giornalisti di Report aprano la discussione su qualcosa di poco noto ma, sarebbe stato più corretto avere una visione più attenta e un maggior coinvolgimento di chi sa. Non solo di chi si vuol far parlare. Esplorare ed indagare vuol dire guardare il mondo con gli occhi di un bambino che si fa le domande. Per ottenere le risposte però, non si può usare lo stesso bambino altrimenti crederemmo ancora a Babbo Natale.

 

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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