08 Mag 2024
Editoriale

Anamnesi di una crisi

Estirpazione.

[dal lat. exstirpatio –onis]. – L’azione e l’effetto dell’estirpare, spec. nel senso fig.: edi abusidi mali socialidi vizîdi errori. In agraria, lavoro compiuto con l’estirpatore per amminutare il terreno dopo l’aratura: è più energico dell’erpicatura e la sostituisce quando questa risulta insufficiente.

Così recita la Treccani.

Amminutare, per i meno esperti, vuol dire preparare il terreno per la semina. Erpicatura consiste nello spianare e sminuzzare il terreno sempre prima della semina.

Oggi si parla insistentemente dell’estirpazione dei vigneti per ovviare alla sovrapproduzione. O almeno così si dice.

Che ci sia una sovrapproduzione ho francamente forti dubbi visto i danni dalla Peronospora della scorsa vendemmia. Forse gli anni precedenti. Molte cantine hanno ancora nei magazzini grandi quantità di vino delle vendemmie 2022 e 2021. L’annata 2023, a causa della Peronospera, è stata un dramma. Questo implica che se qualcuno manifesterà problemi di stock sarà solo segno che ha acquistato partite di uva o di vino dall’estero. Altro che sovrapproduzione!

Eppure tutti parlano di diradamento in pianta, di attenzione alla qualità. Che strano fenomeno!

Diciamocelo chiaramente. Il problema non è una sovvraproduzione ma una mancanza di rispondenza tra vino sugli scaffali e consumi. C’è un calo dei consumi e c’è l’incremento dei costi di produzione. Due fenomeni che si sommano generando una tempesta perfetta.

Capiamo bene cosa sta accadendo.

I consumi stanno diminuendo.

Vero. In Italia si sta assistendo ad una lenta ma progressiva diminuzione dei consumi di vino (non di birra!). Perché?

I produttori affermano che questo sia frutto della sovrapproduzione di vino alla quale si aggiunge l’importazione di vino dall’estero. Eccessiva quantità con influenza sui prezzi.

Francamente questo, economicamente, non ha senso. In un mercato maturo, la produzione aumenta quando aumentano i consumi. Ci possono essere momenti nei quali i consumi si contraggono a fronte di un sistema produttivo che si è strutturato per determinati volumi. In questo caso l’unica alternativa possibile sono gli sconti. Deve calare il prezzo di vendita altrimenti gli stock rimangono elevati. Molto semplice.

Il problema è insito nella filiera del vino che, per come è stata costruita, rappresenta, a mio modo di vedere, la vera problematica.

Einstein diceva però che non si può risolvere un problema con lo stesso livello di pensiero che sta creando il problema. Parole sante che in questo caso cadono a pennello.

La distribuzione, così come è, è stata voluta o perlomeno incentivata dagli stessi produttori. Da quelli grandi si intende.

Dove si vende il vino?

Principalmente tre canali con pesi profondamenti diversi: distribuzione, horeca, cliente finale.

Aldilà dei pesi dei singoli canali, la crescita dell’enotorusimo dunque della vendita a cliente finale, non riesce per ora a sostituire distribuzione e horeca che, dunque, gestiscono il mercato. Ciò implica che siano loro, distributori in primis, a determinare il prezzo alla fonte e al cliente finale.

Secondo un recente articolo de Il Sole 24 ore, il canale horeca e distributori sono in crescita, cosa questa abbastanza prevedibile con lo stock di cui sopra.

Andare a cena in qualunque ristorante ed ordinare una bottiglia di vino sta diventando proibitivo. Una prodotto che in cantina comprereste a 10/15€, nella migliore delle ipotesi nel conto lievita a 30/35€. Nella peggiore fino a 45€.

Non voglio assolutamente gettare la croce sui ristoratori ma la categoria non si sta comportando propriamente bene. Il costo di un pasto al ristorante è aumentato vertiginosamente sbandierando aumenti dei costi. Peccato che a fronte di aumento di costi (energia e materie prima certo ma non retribuzioni del personale) la ricaduta sul conto è decisamente più marcata. Se il conto sale e la capacità economica delle persone rimane invariata, a qualcosa si dovrà pure rinunciare. D’altronde anche gli acquisti al supermercato del vino sono diminuiti. Vale il concetto che se tutto aumenta, si cerca di rinunciare a qualcosa nel carrello.

In questo contesto, regolare il mercato con l’estirpazione, che senso ha? L’obiettivo di chi ha avanzato la proposta estirpante è quello di abbassare le produzioni per gestire il prezzo verso proprio i distributori.

Estirpare vuol dire certamente diminuire la produzione. Non per un anno ma per gli anni necessari a impiantare di nuovo le barbatelle e farle arrivare alla produzione. Una operazione non irreversibile ma certo rischiosa.

Diamo pure per assodato che si diminuisca la produzione italiana (e quella francesce visto che stanno già andando in quella direzione), gli altri stati cosa faranno? Viviamo in un mercato globale. Non solo europeo. Possiamo anche arrivare a mettere i dazi per le importazioni extra eu, ma i costi dei vini, esempio quelli sud americani, sono così bassi che invaderci, sarebbe un attimo.

Come uscirne?

Qualità e trasparenza.

La ricerca della qualità del prodotto è un punto fondamentale per lo sviluppo del mercato.

Ciò vuol dire alcune cose.

  1. smettere di avere produzioni per ettaro superiore ad una cifra fissata per il vino imbottigliato e sfuso.
  2. uscire dall’attuale sistema di denominazioni e lavorare su una classificazione in base a chiari criteri qualitativi che devono assolutamente passare per la resa per ettaro.
  3. Vietare la produzione di vino con partite di uva provenienti da coltivazioni non dell’azienda proprietaria dell’etichetta
  4. Vietare assolutamente l’utilizzo di additivi come il mosto concentrato

 

La trasparenza verso il consumatore finale.

La catena distributiva del vino è così ignobile che il guadagno dei ristoratori non può, e sottolineo NON può, essere così elevato.

Se acquisto un vino da 10€ in cantina, sarà certamente un buon vino ma non un capolavoro. Se acquisto lo stesso vino al ristorante a 30€ penso che sia un ottimo vino. Ma quante volte me lo potrò permettere?

Qualcuno ha sostenuto come lo sviluppo del settore possa essere nell’alveo dei vini premium. L’intento è ovviamente quello di aumentare i prezzi dei vini. Maggior prezzo, maggiori guadagni con minori volumi. Una vecchia formula che non funziona mai. Specialmente in un mercato in contrazione dove, aumentare i prezzi, è pura follia sapendo, non facendo finta di nulla, cosa significherebbe poi al tavolo.

Serve invece tanta comunicazione seria. Persone che sappiano comunicare dei vini  con cognizione di causa. Senza vedere voti assurdi per vini che sono lontani anni luce da quei numeri.

Mi capita di assaggiare vini valutati 95, 96, 98 punti e solo all’esame olfattivo non c’è quella complessità necessaria. Non si dice e non si deve dire, ma dietro quei voti, dietro la presenza in una guida, ci sono soldi. Tanti soldi.

Si racconta un vino come se si fosse sempre dinanzi ad una platea di esperti quando invece al consumatore finale interessa solo capire pochi semplici concetti. Si parla di abbinamenti trovabili solo presso ristoranti stellati. Ma poi la bottiglia di vinio si apre anche a casa. E con la fettina di pollo che mi aspetta stasera, cosa stappo?

Saper parlare alle persone, saper esser umili, saper essere onesti.

Se si vuole uscire da questo cul de sac occorre tanta tanta ma tanta capacità di analisi e, soprattutto, autocritica. Non certo la estirpazione delle vigne. Non certo rimanendo piccoli ed isolati produttori. Non certo non investendo nei consorzi, nella promozione del territorio, nel rapporto cibo-vino.
Siamo l’Italia, siamo il bel paese. Quello dove la qualità, la varietà e la tradizione sono valori da preservare e coltivare.
Non estirpare!

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

Mi trovi su Instagram come @ivan_1969