Basta che il vino sia buono per essere venduto?
Nell’ultima uscita di “In legge veritas” accennavo al mercato cinese del vino dove una delle modalità più diffuse di distribuzione di questo prodotto avviene con l’utilizzo di INTERNET mediante operazioni di e-commerce, impiegando i sempre più innovativi e persuasivi metodi di influenzare ed interessare i consumatori verso un prodotto piuttosto che un altro.
Non è un caso che la Cina sia diventata il più grande mercato finale nel settore Food & Beverages, con un fatturato di circa 600 miliardi di dollari e una crescita stimata oltre il 15% annuo.
Se la soluzione di operazioni di e-commerce si presenta quella più adeguata ed immediata per supplire agli ostacoli frapposti dalla pandemia e mantenere quindi i canali di vendita e di profitto vivi e vivaci, proporla per il mercato cinese rappresenta, senza dubbio, una maggiore soddisfazione, oltre che, direi, quasi scelta obbligata per cantine e consorzi, anche medio-piccoli, che intendono spingersi verso traguardi commerciali diversamente non facili da raggiungere.
In altre parole, la pandemia ha spinto gli imprenditori a rinnovarsi e a rivedere le strategie di business e di marchio con maggiore velocità e determinazione e l’attrazione per l’Estremo Oriente è fin troppo giustificata.
Non va infatti trascurata la notazione che pone la Repubblica Popolare di Cina quale primo mercato al mondo per e-commerce, con quote superiori al 50% rispetto alla quota globale che è pari ad un miliardo circa di consumatori (dato 2019).
Alcune cifre che confortano i miei (e non solo miei!) assunti: transazioni online realizzati per circa 630 miliardi di euro nel primo semestre 2020, 700 milioni di utenti che hanno almeno una volta effettuato un acquisto online, il 93% ha visitato un negozio online e il 78% ha poi proceduto all’acquisto.
Dati che confermano l’incremento di acquisto online del 7% dopo l’emergenza Coronavirus e un PIL in crescita tanto che la Cina può essere considerato il primo mercato a riprendersi dopo il COVID e quindi il Paese da sfruttare in termini di mercato, clienti e fatturato.
Un altro indice da tenere in considerazione è l’utilizzo di INTERNET da parte della popolazione cinese che si attesta nella percentuale del 60%, tendente a salire con quel movimento di gente in esodo dalla campagna alla città; social media utilizzati per circa 3 ore e mezza al giorno contro le nostre 2 ore; 850 milioni di utenti connessi.
Va inoltre considerato che proprio grazie alla dimestichezza e facilità di accesso al web di questa popolazione, altrettanto sorprendente è l’uso e il ruolo dei social media che, come WhatsApp (strumento impiegato da tutti coloro che hanno uno smartphone) è diventato anche uno store virtuale per e-commerce e un marketplace (piattaforme cioè già utilizzate per e-commerce e non il sito privato della singola azienda) che aiuta i consumatori ad acquisire quella fiducia nei beni e servizi anche di quell’azienda sconosciuta, che appare però subito affidabile solo per il fatto che è presente in quella piattaforma che garantisce serietà e autenticità, facendo superare l’innato scetticismo dei cinesi per tutto ciò che è nuovo.
Non va inoltre sottovalutato il progresso costante dei sistemi di contatto, anche sempre più sofisticati, del consumatore cinese ai prodotti stranieri che si intendono collocare con il conseguenziale e necessario adeguamento e conoscenza del venditore online agli stessi se non si vogliono perdere occasioni di vendite, di fidelizzazione del cliente, della creazione di nuovi canali distributivi.
Mi riferisco al rilievo che soprattutto i Millenials ( o Net Generation, cioè coloro che sono nati alla fine del XX secolo, primi anni 80 e inizio anni 90, cioè “del millennio”) che hanno maggiore familiarità con la comunicazione, i media e le tecnologie digitali (e-mail, Internet, SMS, YouTube, Facebook, Twitter) e la generazione Z (nati tra il 1995 e 2010) (quelli dopo il 2010 invece generazione Alpha) per le quali le aziende devono cambiare le loro strategie di marketing per cercare di attirare l’attenzione di un pubblico sempre più giovane con un’attenzione particolare alla responsabilità sociale e alla curiosità verso quanto avviene nel mondo e il relativo impatto e costo ambientale.
Tali informazioni non debbono trarre in errore l’imprenditore vitivinicolo al quale potrebbe sembrare che sia sufficiente che la sua bottiglia sia ben “vestita”, che le nutrition facts siano incoraggianti per poter conquistare questo tipo di consumatore.
Al contrario, le vendite a distanza in questo settore, esteso a quello del food in generale, hanno portato il consumatore che si rivolge all’e-commerce a ricercare non solo la comodità di acquisto del prodotto, ma anche informazioni e report circa la sicurezza di detto prodotto sotto il profilo della genuinità, dell’origine e del gusto, esigenze che appunto la digitalizzazione riesce a soddisfare, formando un consumatore orientato, consapevole, colto e in grado di poter scegliere, funzioni queste che non debbono essere sottovalutate dall’impresa che viene giudicata ed inquadrata. Ecco perché la scelta alimentare e del vino è filtrata non solo dal prezzo, ma i marchi preferiti sono quelli che riescono ad esprimere esperienza, responsabilità, eco-sostenibilità, innovazione.
Formidabile il ruolo degli spot video di non più di 60 secondi per sollecitare acquisti; life streaming che permette di assistere ad un evento (lo Shopping Festival dell’11 novembre che nel Single Day ha venduto online quanto l’Italia avrebbe venduto con le stesse modalità in 6 mesi); social e-commerce (social media che interagisce con giochi e sondaggi); mini-program, cioè mini app personalizzabili secondo le esigenze del brand, passando per la “realtà aumentata” come la Fashion Week di Milano o Parigi in occasione delle quali, consento al virtuale cliente di entrare nel mio negozio o stand; o ancora, il settore gaming che funziona tanto perché i cinesi ne sono appassionati e che viene sfruttato per conoscere i dati di consumo dei cinesi per poi vendergli i prodotti secondo gusti ed inclinazioni.
Completato (si fa per dire) questo quadro introduttivo, vedremo prossimamente altre importanti variabili per il successo in operazioni di e-commerce verso l’Estremo Oriente, ove anche l’impatto culturale e religioso e, perché no, anche quello della superstizione possono fare la differenza!