product placement
28 Gen 2022
In legge veritas

Il vino al servizio di Sua Maestà

Prosegue da una diversa angolazione rispetto ai miei precedenti interventi sull’importanza di un’efficace e vincente comunicazione per conoscere, riconoscere, apprezzare, consolidare e, in ultima analisi, per far vendere un determinato vino e relativa etichetta, parlando oggi del fenomeno del product placement, sempre più diffuso ed utilizzato, anche se non sempre direttamente percepito, ma subliminarmente recepito da consumatori qui in veste anche di spettatori.

A riportare in auge l’argomento delle promozioni pubblicitarie destinate al vino è stato l’ultimo film di 007, “No time to die”, che in questa edizione ha tenuto la scena da protagonista, scalzando l’immancabile champagne Bollinger, che qui se ne scorge appena la bottiglia, ma non viene più bevuto da Daniel Craig.

Il vino in questione è un Rosso Bordeaux Saint Emilion Gran Cru Angelus, la cui annata 82 era già piaciuta a James Bond, avendolo apprezzato nel vagone ristorante che, nel film Casino Royale del 2006, lo porta, in compagnia di Vesper Lynd, in Montenegro.

Come noto, il product placement (letteralmente “posizione di prodotto”) è la tecnica di marketing mediante la quale si realizza la collocazione di un prodotto o di una marca commerciale all’interno di una produzione cinematografica, televisiva, teatrale, sportiva…

L’operazione in parola, secondo la normativa che lo consente  e la legittima sin dal 2004 con il decreto legislativo n. 28 a firma del Ministro per le Attività Culturali Giuliano Urbani, impone, tra le tante prescrizioni, quella principale per la quale il prodotto (o brand) da inserire in un’opera cinematografica e televisiva debba essere legata al contesto narrativo, così da rendere riconoscibile i segni distintivi, che debbano risultare come il frutto spontaneo delle scelte dei soggetti che vi prendono parte.

E’ il connubio, in altre parole, tra la forza della comunicazione di un’opera per conseguire anche la promozione di brand diversi e in questo contesto, anche il vino ed altri similari prodotti (compresa la concorrenziale birra) possono trovare una collocazione adeguata e di sicuro ritorno di immagine.

Gli investimenti in product placement, strumento ancora sottostimato e sottovalutato quale alternativa o complementare forma di investimento per la promozione commerciale, significa generalmente sostenere una spesa contenuta a fronte del potenziale ritorno in tema di pubblico raggiunto, ampio e diversificato, capace di essere diffuso in territori e nazioni non programmati, toccando più generi di potenziali consumatori, in grado di stimolare ed influenzare mode e stili di vita, giovandosi  dell’allungamento dei termini temporali di esposizione del brand al pubblico, senza che si debba mettere a budget una nuova voce di spesa.

Anche il vino è apparso sin dall’inizio del fenomeno un prodotto versatile ad essere impiegato in operazione di placement, (in alcuni casi modesti purtroppo, ad iniziativa di consorzi di tutela di quel vitigno e di quell’appellativo), anche se come è intuibile, usare o descrivere un vino all’interno di un film non è un’operazione agevole, e se non viene collocato con la necessaria esperienza vicino ad un personaggio compatibile, in una sceneggiatura e una trama credibile con il messaggio che si intende trasmettere, si rischia di generare un effetto inverso a quello desiderato.

Si parla in questo caso di “brand equity”, cioè la forza di un marchio che viene abbinato ad un determinato personaggio e che si ripropone anche nel tempo e al di fuori di una produzione cinematografica.

Il discorso si fa sottile, ma più avvincente e le regole della comunicazione messe a dura prova!

L’esempio torna bene proprio con 007, stimata icona che ha attratto sempre di più l’interesse e l’attenzione del mondo della pubblicità e dei consumi per essere il personaggio anche un simbolo di stile, successo, eleganza, prestanza e ancora tante positività.

Da qui lo studio tra il peso di un brand e l’immagine associata.

Il problema si è, per esempio, presentato quando per “Skyfall” la multinazionale olandese della birra Heineken ha messo sul piatto della produzione la modesta cifra di 45 milioni di dollari per essere inserita nel placement del fascinoso agente segreto.

Gli esperti in comunicazione, proprio per evitare che si creassero delle dissonanze tra l’immagine assegnata (Bond) ed il peso del brand (Heineken), ha inserito la popolare bevanda in un’occasione creata ad hoc dalla produzione (desiderosa comunque di incamerare il corrispettivo messo a disposizione) e cioè quando 007 è depresso in riva al mare, barba lunga, vero “uomo” nella spiaggia turca di Calis Beach, tra Bodrum e Adalia, alle prese con le sue considerazioni esistenziali e più vicino ai problemi della quotidianità degli spettatori, ma torna al suo Vodka Martini (vodka e vermut) “stirring and not shaked” anche nella versione “Vesper”, in ricordo della Bond girl Vesper Lynd da cui il nome, cocktail composto da vodka, gin e un goccio di vermut Lillet Blanc quando ritorna ad indossare l’impeccabile smoking “al servizio di sua Maestà britannica”.

Così operando l’operazione di product placement è vincente sia per il marchio, che per l’immagine associata e direi anche per la società di produzione, che grazie alla sottoscrizione dell’atipico contratto di product placement di origine common law, riesce a disporre di importanti risorse finanziarie prima e durante la realizzazione dell’opera cinematografica.

Il vino, tra le tante apparizioni, è stato comunque fortunato “attore” anche in tante altre pellicole come, a titolo esemplificativo, il Riserva Ducale Chianti Classico Rufino in Rocky Balboa o in Sex and The City, ove dice la sua anche lo Shiraz che sorseggia Carrie (al secolo Sarah Jessica Parker), e ancora in Letters to Julliet ove hanno fatto bella mostra i vini Biondi Santi di Villa Poggio Salvi; il vino dei Feudi di San Gregorio nel film di Woody Allen “To Rome with Love”.

E poi che dire del “Sagrantino 25 anni” di Caprai in “Holy Money” del regista belga Maxime Alexander, che è stato indicato come la risposta italiana a “Sideways – In Viaggio con Jack” con Paul Giamatti, e a “Un ottima annata” di Riddley Scott regista e Russel Crowe come protagonista.

La versatilità e i diversi impieghi dei brand nelle produzioni cinematografiche offerti dalle operazioni di product placement,  (regola valida anche per tutti gli altri generi merceologici) comporta che quel prodotto, il vino ora per noi, sia recepito dallo spettatore in un tutt’uno con la trama e non già come momento pubblicitario per quella marca. E’ il caso, ad esempio, del timorasso “Derthona” nel film di Giovanni Veronesi “Non è un paese per giovani”, in cui i protagonisti, partendo da un equivoco sul nome del vino scelto, trovano l’occasione di spiegare che è più godibile con l’invecchiamento.

Insomma è ormai acclarato che il vino costituisce, proprio per i valori e le declinazioni che in esso sono racchiuse, un “prodotto” capace di comunicare in funzione marketing per una sua maggiore commerciabilità e vendita, senza tradire però i significati, che un attento regista a un sensibile produttore possono far del vino risaltare come espressione del made in Italy, piuttosto che uno stile di vita, quello del saper gustare i frutti della natura, del godere di momenti di riposo, complicità, amore, riflessione, benessere, ma anche elemento di distinzione di un elevato standing culturale e di disponibilità economiche per colui che lo consuma.

Tanto ancora sarebbe interessare sapere su questo argomento, che spazia dal marketing al diritto, passando dalla pubblicità all’opera d’arte che la ospita, al ruolo che le nuove tecnologie assolvono per una comunicazione aziendale di effetto e dirompente.

Direi allora di darci appuntamento alla prossima uscita di “In legge veritas” per saperne di più.

Avv. Paolo Spacchetti