14 Giu 2024
Suggestioni di Vino

Komjanc Alessio. La famiglia. Družina

Non parlo sloveno. Sono italiana. Anche se ora dalla finestra vedo le case della Slovenia.

Italia. Slovenia. Confine. Terre di confine. Popoli che si uniscono o si dividono. Confini fisici che non sono quelli delle persone. Non esistono se non sulle carte geografiche, nelle competenze degli enti locali, degli stati sovrani. Mentre le persone, attraversano e attraversavano il confine nazionale senza curarsi della diversa nazionalità o etnia. Come se la nazionalità poi fosse un muro divisorio di culture: io di qui, tu di li. Diversi. Ma perché?
Solo una guerra può costringere le persone a restare da una delle due parti. Magari a combattere l’amico aldilà di quello stupido, imposto, confine. Magari invece a resistere. Insieme.

Un uomo nato in Italia da madre italiana e da padre ignoto che cos’è?
Aspetti un momento mi lasci riflettere…nato in Italia..madre italiana…padre ignoto..è italiano!
Arrivederci
È sicuro che è italiano?
Sicuro
Ma se alla nascita è stato dichiarato al municipio francese, che cos’è?
Questo è un pochino più difficile. Nato in Italia…madre italiana…padre ignoto…ma dichiarato al municipio francese…è francese
È francese! Hai visto?

La legge è legge, è un film del 1958 con gli indimenticabili Totò e Fernandel. Nel paesino immaginario di Assola, con la via principale a fare da confine tra Italia e Francia, i due nemici amici danno vita ad una spassosissima storia all’insegna proprio del rapporto tra persone di confine. Una guardia, l’altro ladro. Pur sempre persone. Che si conoscono da una vita. Indipendentemente dalla nazionalità.
Francia, Slovenia, Austria, Svizzera. Che cambia? Quando c’è un confine, tutto si miscela. Tutto diventa più sfumato. Filo spinato. Fiumi. Muri. Tutto si supera.

Il confine con la Slovenia vuol dire Collio. Un meraviglioso territorio melting pot di due popoli in grado di produrre fantastici vini colmi di mineralità, eleganza, finezza, profumi e freschezza. Identità.
Un territorio incastonato tra le alpi e il mare, conteso da chi passava di li. La Grande Guerra a fare da spartiacque temporale: l’Austria prima, l’Italia dopo. I tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale, le milizie di Tito e la nascente Jugoslavia poi. Repubblica Slovena e Italia alla fine. In pace. Così come la pace che regna in queste zone. Anche se per alcuni essere italiani, non sloveni o sloveni, non italiani è un vanto. Un orgoglio.

Alessio Komjanc oggi ha superato gli ottanta anni. È lui la seconda delle tre generazioni della famiglia che produce vino. Famiglia. Družina.La famiglia che c’è e ci sarà. Qui a Giasbana, piccola frazione di San Floriano del Collio, a pochi metri dal confine con la Slovenia, l’azienda Alessio Komjanc e figli è davvero una azienda di famiglia. Di quelle che fanno tutto da loro. Che si sono strutturati per fare le cose da se. In famiglia.

Siamo una famiglia da sempre e vogliamo rimanere tali. Siamo qui da inizio 800 e siamo da sempre viti viticoltori.

Fino agli anni 70 questa era una azienda promiscua. Così erano le realtà e non solo nel Collio. Nessuno produceva vino per venderlo. Almeno in Italia dove le campagne si spopolavano.
Neanche lo si imbottigliava. Damigiane o sfuso. Per riempire le damigiane.

Mio suocero negli anni 70, dopo aver lavorato con il padre e ricevuto da questo qualche appezzamento, decise di mettersi in proprio partendo con la viticoltura. Impianta i primi vigneti con l’idea di una azienda di sola viticoltura. Costruisce poi la cantina e ai primi anni 80 inserisce la linea di imbottigliamento per completare tutta la filiera. La prima bottiglia che abbiamo trovato è del 1973.

La lungimiranza di una persona semplice che ha alle spalle l’esperienza della famiglia ma non gli studi. Studiare era per pochi e se abiti in una terra di confine, ancora per meno.
Alle viti aggiunge, negli anni 80, gli ulivi abbandonati nel Collio dopo il 1929.
Fino a quella data qui c’erano frutteti, vigneti ed oliveti. Il 1929 segna per l’Europa una delle ondate di freddo, intensa e inaspettata, più severe del secolo scorso (forse anche di quello attuale). Si ripeté in maniera simile solo nel 1956 e nel 1985. Arrivarono 30 cm di neve a Roma, 20 a Napoli, 70 a Bari. Figuriamoci qui nel Collio, porta di accesso all’Europa continentale e balcanica. Le coltivazioni furono devastate aggiungendo così alla macerie della guerra e della successiva crisi economica, solo altra povertà. Le persone erano già scappate per via della guerra e le gelate diedero la mazzata finale a chi rimase. Solo nel 1970 i monaci dell’Abbazia di Rosazzo provarono a reimpiantare qualche pianta di olivo per capirne la resistenza. Con la speranza, magari accompagnata da qualche preghiera, di non rivedere più quel freddo

Mio suocero ha sei figli. Provò ad impiantare gli olivi dicendo “al limite faccio l’olio per la famiglia”. Adesso ci sono circa 2000 piante.

24 ettari a vite, 52 ettari ad olivo, 2 ettari a bosco. Una azienda, quella di Alessio, cresciuta nell’ottica della sostenibilità.

Abbiamo avuto da sempre i vigneti inerbiti ed il bosco. Va di modo la sostenibilità, la biodiversità. Ma qui non hanno mai estirpato nulla. Mai tagliato i boschi per coltivare la vite. Non hanno impiantato selvaggiamente. Ci sono molti cacciatori anche in famiglia e ci tengono. Tutto serve a mantenere un certo equilibrio.

Un legame con la terra. Un legame con le persone. Un legame all’interno della famiglia. Tutto per la famiglia.
Qui ogni legame è forte e duraturo. Si lavora e si lavora tanto. Senza mai tirarsi indietro. Perché solo così, con il lavoro, si cementano i rapporti all’interno della famiglia.
La famiglia.
Alessio è una di quelle persone che ha lavorato tanto desiderando tanto. Non per se. Per la famiglia. Numerosa. Come erano le famiglie di un tempo nelle quali servivano braccia forti per mandare avanti l’azienda. Sei figli. Quattro maschi: Beniamin, Roberto, Patrik, Ivan che nel 2004 si cementano per mandare avanti l’azienda di famiglia.
La famiglia.
L’intelligenza e la lungimiranza hanno posto le basi per una ripartizione di compiti. Difficile pensare di mandare avanti l’azienda con tutti a fare tutto. Evitare i contrasti attraverso specifici ruoli e rispetto reciproco. È cosi che Beniamin, Patrik e Ivan si dedicano alla terra aiutando papà Alessio; Roberto in cantina e la parte commerciale.

Quattro figli a casa possono rappresentare una difficoltà. Nati qui in questa azienda, che è casa. Ci si sente a casa con la voglia e la libertà di dire tutto ciò che si vuole. L’intelligenza del dividere i compiti. La sensibilità e l’ulteriore grande prova di intelligenza, di tutti, nel rispettarli.

Le decisioni importanti si prendono insieme ma poi ognuno nel proprio ambito

È qui che entra in gioco Raffaella, la moglie di Roberto. È con lei che parlo. È lei che mi guida. Una donna venuta dal Friuli e che incontra l’amore, Roberto, a Milano. Entrambi studiano all’università. Roberto agronomia, Raffaella lingue. L’amore e il sogno di fare qualcosa insieme si legano alla difficoltà di due facoltà che poco hanno da spartire.

Io vengo da studi linguistici a Milano e lavoravo con le lingue. Poi ci siamo sposati. Da studenti l’idea era di lavorare insieme. Lui faceva agraria, io lingue e ci sembrava un pò difficile. La fortuna era che lui aveva l’azienda a casa e ci siamo buttati.

Buttati. Altro che buttati. È un salto quantico. Una sfida che ha in se due forze incredibili. La prima è ovviamente l’amore tra Roberto e Raffaella. La seconda è lo spirito di Raffaella che la porta a compenetrarsi così tanto nell’azienda e nella famiglia Komjanc che diventa parte di essa.

Alessio aveva lasciato un pò andare la parte commerciale. Un figlio solo che lavorava in azienda ma in campagna. Erano gli anni 90, quelli nei quali molti nascevano molte aziende per via della fine della mezzadria. Alessio si è sentito in difficoltà. Roberto è intervenuto dicendo che l’azienda era seduta sull’oro del Collio e occorreva sfruttarlo. Abbiamo rinunciato entrambi a qualcosa.

La donna con la quale parlo è una della famiglia. Lei non parla con il benché minimo distacco. Vive l’azienda e la famiglia come se ci fosse nata. Non ci sono tentennamenti. Non c’è nulla che possa far apparire, neanche minimamente, una incertezza.

Mancano due sorelle che non lavorano in azienda. C’è anche qualche cognata che occasionalmente è in azienda. Siamo cinque famiglie che lavorano in questa azienda. Ci teniamo a rimanere azienda familiare perché per noi è un valore. Per quanto si voglia mantenere una certa filosofia, con altri dipendenti si perde quello spirito.

I vini sono un omaggio ai vitigni autoctoni. Ci sono, come è tradizione in queste zone, tutti i bianchi consentiti dal disciplinare della DOC mentre per il rosso lo Schioppettino, autoctono ma non nella DOC. Dunque IGT. Poi il Pinot Nero, presente già negli anni 70.

Nei documenti del Collio di inizio 900 il Pinot Nero era presente. Dunque è stato mantenuto. Noi siamo imparentati con l’Alto Adige e quella cultura.

In effetti, i conti di Gorizia annetterono alla Contea, nella metà del XIII secolo, il Tirolo creando legami solidi anche con il vino e i vitigni. Legami solidi che si aggiunsero alla mescolanza del confine.

Il Pinot Nero è stato impiantato negli anni 70. Le vigne sono esposte a nord ovest nella parte bassa della collina ai margini di un bosco. Una zona molto fresca che bene si addice al vitigno.

Diciotto sono le tipologie di vino. Tanti? Forse si, forse no.

Alessio, mio suocero desidera sempre avere tanto. Tanti ettari, tanti figli, tanti vitigni. Dunque tanti vini. Lui nasce nell’epoca dove ha fatto anche la fame. La sua mentalità era anche produrre tanto ma noi siamo riusciti a ridurre drasticamente la produzione per ettaro. Con la consulenza enologica che abbiamo, vengono bene dunque, perché dismetterli?

Diciotto tipologie di vino rappresentano a pieno la capacità espressiva del territorio. La mescolanza porta frutti meravigliosi come a dire che le differenze, arricchiscono. Specialmente in una terra, il Collio, in grado di far esprimere al meglio anche varietà differenti. Con tutte le difficoltà del caso.

Una difficolta e una fatica. Iniziamo la vendemmia, negli ultimi anni ad agosto, con Sauvignon, Pinot Grigio e Pinot Nero, la finiamo con lo Schioppettino, 45 giorni dopo. Se aggiungiamo pure il Picolit, che facciamo passito, un anno lo abbiamo pressato alla vigilia di Natale. Una fatica!

In ognuno dei vini di Alessio Komjanc e figli c’è eleganza e tipicità. Tipicità nel lavorare vitigni autoctoni rispettando ciò che il Collio riesce ad esprimere. Rispettando la natura. Senza eccessi e con intelligenza. Rispettando la famiglia.

Roberto, che si occupa anche del campionamento, quando assaggia l’uva nel momento migliore, dice: da sempre io voglio ritrovare nel bicchiere quello che sento nell’acino quando è matura. In cantina occorre rispettare questo. Siamo in agricoltura integrata dettata da una scelta oculata. Attaccati al territorio, siamo i primi consumatori e non vogliamo porcherie. La zona è abbastanza piovosa e grazie alla escursione termica, l’aromaticità è una componente essenziale. Fare biologico vorrebbe dire eseguire dei trattamenti con rame che potrebbero abbassare l’aromaticità dell’uva nei vini. Vogliamo mantenere vini nei quali si esprimano bene gli aromi primari. Siamo dunque una via di mezzo come agricoltura. Noi facevamo già quello che prevedeva il disciplinare dell’agricoltura integrata. Ci siamo accorti che non ci discostavamo. Il biologico ci limita.

Proprio da parole come questo si capisce come Raffaella sia compenetrata nell’azienda. Sembra appartenere alla famiglia e alla storia. Parla dei familiari con rispetto passione ed amore così che la storia è anche sua.

Avremmo voluto fare il Pignolo. Non l’abbiamo fatto perché ci spaventava. Tutti ci hanno sconsigliato. Dicevano che era da diventate matti. Ci attrae però. Anche il Pinot Nero ci sta facendo impazzire perché non tutti gli anni si raggiungono gli obiettivi che ci siamo posti.

L’enologo è Gianni Menotti. Figlio di questo territorio dove conserva la anima. Da qui e per qui ha inanellato per le sue creazioni premi su premi.

È una consulenza esterna. Lui nasce agronomo dunque ci fa supporto anche nelle vigne. Con lui abbiamo fatto un salto davvero.

80.000 bottiglie. 18 vini. 9 vitigni a bacca bianca. 4 a bacca rossa. Un immenso patrimonio di culture riunito nelle nuove etichette studiate, anzi, lasciate studiare per loro.

I vini
Partiamo dal Pinot Nero Dedica. Il più internazionale e il più locale al tempo stesso. Qui assume colore e sentori finissimi anche grazie ai due anni di affinamento in tonneaux. Piccoli frutti rossi ancora non matura che si uniscono ad arancia e prugna per poi lasciare spazio al sottobosco erbaceo, ai fiori di peonia e rosa. Il balsamico ci ricorda a pieno dove siamo preparandoci a percepire le note speziate di pepe che pungono il naso. Poi nasce moscata e cannella per un bouquet di rara finezza.
Il sorso è caldo, fresco, secco con buona mineralità. I tannini maturi non aggrediscono anzi, contribuiscono a sottolineare la sensazione di finezza. Bilanciamento ottimo e persistenza non particolarmente lunga con una frutta che rimane a far compagnia senza essere invadente. Elegante!

Bratje in lingua slovena significa fratelli. Roberto, Ivan, Beniamin, Patrik sono i fratelli Komjanc. Chardonnay, Riesling Italico, Friuliano, Pinot Bianco i vitigni che compongono Bratje. La sequenza non è a caso: ogni vitigno rispecchia la personalità di ognuno e la loro fusione in acciaio, con il solo Pinot Bianco che che affina in tonneaux per 12 mesi, da vita ad un vino interessantissimo.
Un vino che è un vero abbraccio tra fratelli: caldo e caldo (ovvero ad almeno 10°) va bevuto così che i sentori possano arrivano nella loro completezza alleviando tutte le spigolature.
Il naso è di pera, frutti tropicale, agrumi, vaniglia e cera d’api. Morbidezza di velluto che solo una scorsa di limone candito prova a scalfire con un pizzico di brio. La sensazione è di sentori dolci accarezzati da una fresca brezza.
In bocca è fresco e secco ma soprattutto caldo, morbido e con una grandissima mineralità. La sensazione di morbidezza lascia il campo ad una astringenza che deve essere compensata con un qualcosa di succulento. Con lo scaldarsi la persistenza aumenta e la bocca rimane pulitissma con le note di frutta che diventano spezie. Torna l’agrume del naso che abbraccia morbidamente la bocca. Un vino complesso, particolare e identitario dell’azienda. Verticale ma solo quando la morbidezza lo consente. Ho ritrovato dentro il Collio e, soprattutto, il confine tra morbidezza e durezza che fondendosi aiutano a far capire quanto in famiglia i confini, non esistano.

Chardonnay Dedica 2021. Non un semplice Chardonnay ma un elegante bouquet di fiori e frutta che spiazza e meraviglia. Fine, complesso, unico anche grazie ad un passaggio a metà fermentazione e per 12 mesi in tonneaux.
Al naso mi ha spiazzato. L’etichetta recita Chardonnay, il naso dice altro per via degli agrumi che si miscelano alla pera, alla pesca di mio padre messa nel vino, alla banana e, soprattutto, a salvia e mentuccia. Poi arrivano i fiori freschi che danno una ventata di campo fiorito: lavanda, margherite e fiori di camomilla che arrivano ad essere miele al limone. Difficile voler togliere il naso dal calice.
Il sorso è secco e morbido. Perfettamente in linea con lo stile della Komjanc. Grande avvoglenza e un finale di bocca molto ma molto convincente. La mineralità anche qui è presente in maniera evidente. La bocca si bea di una ampiezza iniziale che si trasforma poi in verticalità spinta con la mineralità che continua legandosi ad una sensazione di calore non eccessiva ma vivace (nonostante i suoi 15°). La temperatura di servizio non può essere superiore agli 8° altrimenti l’alcol si sentirebbe troppo.
Insomma, le sensazioni che questo vino fornisce sono indubbiamente eleganti e fine. Mi è piaciuto per la sua “vivibilità” e per essere uno Chardonnay atipico ma nobilitato. Non si può non finire la bottiglia.

Malvasia IGT. Identitaria, pulita, memorabile. Mi è piaciuta e molto già al naso per le note olfattive semplici ma pulite. La pesca bianca, la pera, l’arancia (quella arancione con la buccia sottile), i fiori di camomilla e le margherite di campo. Niente è banale. Niente è complesso. Ma tutto preciso, puntuale, identitario.
Altrettanto il sorso niente affatto banale. Deciso e fine senza essere grandemente aromatico come magari ci si aspetterebbe da una Malvasia. Niente di opulento o sovrastrutturato. Bella freschezza, bella pulizia di bocca, bella sapidità. Il calore? Non si sente ma è traditore.I suoi 14° sono celati, nascosti dietro una superba morbidezza mai stucchevole, dietro una ampiezza di bocca ammirevole, dietro un suo essere buono ma buono. Proprio questo abilita a berne e berne ancora così che poi, gioco forza, i gradi si sentono tutti. La persistenza con il calore si allunga ma attenzione alla temperatura di servizio ovvero a non farlo scaldare troppo perché potrebbe dare un finale verso l’amaricante. Ma non credo si corra questo rischio!

Sauvignon 2022. I frutti qui la fanno da padrone. Pera, mela, melone, pesca a pasta bianca, ananas, mango, albicocca. Poi agrumi. Frutti vivi e polposi che inebriano e conquistano. I fiori di biancospino e le note balsamiche donano freschezza consentendo al naso di percepire meglio i sentori. Insomma, sentori molto ma molto piacevoli grazie ad una altalenanza di freschezze e morbidezze. Mai stucchevoli. Piacevolmente estivi.
In bocca la prima sensazione è quella dell’agrume misto alla pesca. Che piacevolezza! Fresco, secco, estremamente sapido da subito e un calore che non parte immediatamente ma è progressivo. In fondo, sempre 14° ha questo Sauvignon. Ottimo equilibrio e una bocca che chiude piacevolmente. Un vino estremamente verticale che si lascia bere soprattutto per una non stucchevolezza. Lascia in bocca la giusta secchezza che merita di essere accompagnata con una pasta al pesce o con vongole ad esempio. Di grande carattere insomma. Di seria identità.

Pinot Grigio 2022. Già il colore paglierino al limite del dorato lo differenzia dagli altri. Mantiene però il carattere dei Komjanc: riservato, semplice, non banale.
Non ci sono grandi sentori ma quelli che trovo, rinfrancati da una evidente, continua, sempre presente, mineralità, sono vivi. Puliti Semplici. Rigeneranti. Anche per via del balsamico che comunque mi ha accompagnato in questa degustazione. Roteando il calice però scopro inaspettatamente anche degli aghi di pino.
Fresco al naso con una pungente dovuta alla mineralità. La frutta è a pasta bianca non matura e i fiori sono, manco a dirlo, bianchi. Semplice ed efficace.
Ci si sarebbe aspettato un sorso semplice. Invece è proprio qui che arriva la meraviglia. Altra caratteristica dei Komjanc: pragmaticità. Estrema mineralità anche in bocca che si trasforma In sapidità. Secco e fresco dunque con un calore che si percepisce in maniera evidente. Mi viene da dire che stavolta i Komjanc non si sono risparmiati. Anche questo vino fa 14°. C’è sostanza! Il marchio di famiglia continua ad esserci: partenza morbida, poi secchezza, infine sapidità. Grande forza in questo Pinot. Lunga persistenza. Ampia avvolgente ed equilibrio raggiunto. Un vino che va abbinato per poterlo gustare al meglio. Ma basta un bel formaggio non stagionato per farlo esaltare. Non smetterei di berlo perché intriga ad ogni sorso anche grazie ad un finale piacevolmente vegetale.

Abbiamo trovato un bravo grafico per un progetto importante sul quale abbiamo investito. Volevamo una etichetta che ci rappresentasse, che parlasse del Collio e della famiglia. Il grafico dopo aver assaggiato il vino e a parlare con noi ha colto le nostre anime e ci ha prodotto le nuove etichette. Nel 1988 una commissione austriaca venne qui per cercare una selezione di vini per il quarantesimo di Francesco Giuseppe. L’unico vino ritenuto “buono e perfetto” fu quello di Florian Komjanc. In etichetta abbiamo proprio messa questa notizia.

La necessità e la voglia di continuare come famiglia. Anzi, cinque famiglie. 14 nipoti 9 dei quali figli dei fratelli impegnati in azienda. 20 persone di famiglia impegnati in azienda. Nessuna voglia di pensare ad un futuro diverso da questo status. Famiglia è oggi, famiglia sarà domani. C’è posto per tutti a casa Komjanc. Chi vuole può rimanere e dare una mano. Chi ambisce ad una esperienza esterna ha l’incondizionato supporto della famiglia pronta a raccogliere senza chiedere nulla in cambio.
Questa è famiglia. Famiglia o Družina, poco importa.

 

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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