Provato per Voi

La nostra redazione, come dei veri 007, andranno alla scoperta di locali, cantine ed esperienze culinarie e non solo…senza nessun fine commerciale ci racconteranno pregi e difetti della loro esperienza.
Come ogni agente segreto che si rispetti, la firma sarà anonima…

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12 Marzo, 2022

Hosteria Pamphili, Roma

Hosteria Pamphili a tavola Mi è capitato a dicembre scorso, di ritorno da una degustazione tenutasi a Frosinone, di fermarmi due giorni a Roma per incontrare amici. Volendo passare il primo pomeriggio in giro decido di andare in zona Parco Villa Doria Pamphili,  uno straordinario parco situato nel quartiere Monteverde – Gianicolense, ad ovest del Centro Storico di Roma. Con isuoi 181 ettari è una delle aree verdi più grandi della città, ed offre al visitatore un ricco insieme di bellezze architettoniche e paesaggistiche formatesi a partire dal Seicento, con gli edifici della villa barocca ampliata e arricchita nel secoli successivi (lo Chalet Svizzero, la Cascina Floridi, il Casino del Bel Respiro, la Villa Vecchia, il Casale dei Cedrati, la Cappella Doria Pamphilj, numerose fontane monumentali e gli splendidi giardini) ma anche vestigia della grandezza della Roma antica (l’Acquedotto Traiano Paolo) . E per godere di questo tempo libero cerco un posticino per il pranzo nei pressi dell’ingresso al Parco. La Scelta Cellulare alla mano, inciampo e poi prenoto un tavolo per due all’Hosteria Pamphili, grande presentazione, menù curioso… Arrivati a destinazione con un po’ di anticipo vaghiamo per qualche minuto intorno al ristorante, che da fuori non ha certo l’appeal che trasmette il sito del locale. Penso ad una “fregatura”: possibile che in un locale così piccolo e dall’aspetto provvisorio si possano fare le esperienze culinarie, anche semplici ma indimenticabili? Bhe, ogni delusione passa poco dopo esserci accomodati: un po’ di freddezza e sospetto da parte nostra, un po’ di freddezza e perplessità da parte di chi ci ha accolto. Normale, ci sta. Ci si deve annusare, conoscere, si deve capire dove si è arrivati e chi fa ristorazione cerca di capire con che tipo di cliente avrà a che fare. Il menù ci ha entusiasmato subito, e anche la breve ma significativa lista vini ci ha colpito piacevolmente. Nonostante la location semplice, quasi nascosta e defilata, ecco arrivare creazioni che si presentano benissimo: avvolgono con profumi che scatenano salivazione immediata, parlano da soli, comunicano immediatamente, anche nel loro impiattamento, la voglia di regalare, a chi giunge  all’Hostaria, dei mix di ingredienti così inaspettati da scaldare il cuore in pochi secondi. Chef Simone Turnaturi, Roma classe 1992  Non abbiamo avuto occasione di chiacchierare con lui, ma sicuramente i suoi piatti coniugano sapientemente pesce, verdure, frutta fresca e secca, erbe e fiori, e partono da ingredienti di grande qualità, si sublimano in consistenze e preparazioni che sorprendono il palato ad ogni boccone. Vuole che i suoi piatti siano opere d’arte. Sicuramente siamo sulla strada giusta, e vorresti che il cammino non finisse mai! Pasta fatta a mano, e si sente nello spessore, pane fatto in casa, e si sente dal sapore. L’amore però è scattato al primo assaggio, al primo boccone. Non ci siamo fatti mancare nulla, e non ci è mancato nulla, nemmeno il saluto dalla cucina, come nei migliori ristoranti. Mise en place esteticamente perfetta, un servizio attento che non ha fatto mancare alcuna informazione sui piatti, un’elegante semplicità che ci ha messo in fretta a nostro agio. Piatti belli, saporiti, con accoppiamenti di ingredienti e consistenze di diversi mondi, culture, in un mix creativo di grande lungimiranza, da fare invidia ad uno stellato. Ecco le nostre scelte dal menù invernale, vi raccontiamo il menù da noi provato ma ora superato, affinché possiate cogliere i sapori grazie ai quali le nostre papille gustative hanno fatto festa, anzi hanno partecipato ad un rave da sballo: Capasanta d’autunno: castagne porcini nocciole topinambur e tartufo Ostrica dello chef: uva fragola tartufo e rosmarino Cappelletto di zucca: Baccala’ mantecato, zucca affumicata, salicornia e mandorle Le fettuccine: fondo di radici frutti di bosco noci gambero rosso  Ricciola affumicata: melograno al bbq e mela verde Tataki di tonno rosso: canapa maionese alle erbe e limone   Montblanc, basta guardare la foto. Grande esperienza ad ogni portata, un crescendo che si è concluso con un arrivederci di sicuro effetto: un pacchettino con due biscotti fatti in cucina, chiuso dal biglietto da visita del ristorante Hosteria Pamphili Meraviglia delle meraviglie.      Ci auguriamo che questo piccolo angolo di benessere enogastronomico abbia la fortuna che si merita: non deve essere facilissimo puntare così in alto nei piatti in un luogo della città che definirei defilato, probabilmente più movimentato con la bella stagione ma sicuramente un posto in cui non si arriva per caso. Punti di forza: piatti davvero originali – Rapporto qualità prezzo correttissimo Punti di debolezza: un po’ freddo l’ambiente in cui abbiamo pranzato, almeno all’inizio. Si tratta di un dehors chiuso al meglio possibile ma comunque in cui mantenere la temperatura non è semplicissimo. Su richiesta comunque la temperatura è stata alzata:-) The Ghost Writer  15745|https://winetalesmagazine.com/wp-content/uploads/2022/02/Villa-Pamphilji-150×150.jpeg,15744|https://winetalesmagazine.com/wp-content/uploads/2022/02/tonno-150×150.jpeg,15743|https://winetalesmagazine.com/wp-content/uploads/2022/02/ricciola-150×150.jpeg,15742|https://winetalesmagazine.com/wp-content/uploads/2022/02/Ravioli-150×150.jpeg,15741|https://winetalesmagazine.com/wp-content/uploads/2022/02/Principe-Pallavicini-malvasia-puntinata-2-150×150.jpeg,15740|https://winetalesmagazine.com/wp-content/uploads/2022/02/ostrica-2-150×150.jpeg,15739|https://winetalesmagazine.com/wp-content/uploads/2022/02/Montblanc-1-e1646944013561-150×150.jpeg,15738|https://winetalesmagazine.com/wp-content/uploads/2022/02/le-fettuccine-150×150.jpeg
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6 Marzo, 2022

Cichéti in Alta Brianza

Cichéti e piccola cucina: dove si descrive la proposta per una cena d’arguta, diversamente ignorante soddisfazione a cura di una trattoria alquanto nascosta nell’Alta Brianza (comasca) attraverso un pajo d’occhiali rossi presi a prestito da quell’antico precettore di Alessandro il Macedone… come si chiamava? Ecco, sì, Aristotele. POLENTINA E GRàS PISTàA Le quattro cause, ipse dixit Prendiamola così, alla lontana: all’inizio della sua Nuova Storia della Filosofia Occidentale, Sir Anthony Kenny invoca nientemeno che l’uber-filosofo dell’antichità Aristotele a sua volta in veste di storico della filosofia, attraverso la di lui teoria delle quattro cause. Lo stagirita, infatti, riteneva l’indagine scientifica avesse a che fare soprattutto con le cause per le quali le cose accadono, e che queste cause fossero poi di (soli) quattro tipi: la causa materiale, la causa efficiente, la causa formale e la causa finale. Ipse dixit, l’ha detto lui. Che Aristotele intendesse catalogare i filosofi venuti prima di lui a suoi utili gregari intestandoli a una delle prime tre cause e di vincere la volata per la corsa riservandosi il diritto di definirsi campione della quarta e per lui definitiva causa finale è cosa che assai poco interessa, in fondo la storia della filosofia non sarà poi avara di sistematizzatori che si porranno a termine ultimo e all’apparenza insuperabile dello sviluppo del pensiero… vabbé: torniamo alle cause. SALSICCIA COTTA NEL BARBERA Quattro cause al ristorante Il Kenny, non riesco a ben realizzare quanto serio o ironico nel caso – ma immagino si sia divertito un bel po’ a scriverne – il Kenny, dicevo, per fortuna ci spiega cosa s’intenda per tipo di causa con un esempio finalmente in tema. Lo riporto così come l’ho trovato: la sua chiarezza e cogenza restano insuperabili, metto solo qualche mia parola tra parentesi. Per chiarire, sia pure un po’ rozzamente (che diamine, siamo pur sempre in un testo di filosofia), che cosa Aristotele avesse in mente in proposito (delle cause), pensiamo a quanto segue: quando Alfredo cucina un risotto, le cause materiali del risotto sono gli ingredianti che occorrono nella preparazione, la causa efficiente è il cuoco stesso (Alfredo), la ricetta è la causa formale, e la soddisfazione del cliente del suo ristorante è la causa finale. Analisi “scientifica” della cenetta His fretus, ora si tratta solo di applicare questo modello di riferimento al prossimo pranzetto, o alla prossima cenetta: che l’indagine possa dirsi scientifica è piuttosto in quel senso già così ben intuito e poeticamente descritto da Francesco Guccini nella sua divertentissima I Fichi: La canzone, vi sarete resi conto che è di grande serietà e di grande impegno. È una canzone scientifico-morale e in questa strofa io vado a spiegare le prove scientifiche della beneficità del fico per gli esseri umani.
Eccoci quindi alla Trattoria San Biagio (Sàn Biàs), di Parzano, frazione di Orsenigo, provincia di Como (Brianza comasca). Per arrivarci prendi la ex stada provinciale che da Arosio porta a Canzo e confida nel tuo navigatore GPS: un paio di cartelli che la menzionano vi sono, ma solo quasi in vista del traguardo. La sala del bar, la due salette interne, la veranda quando fa bello: i tavoli non sono poi molti. Il mio preferito è all’ingresso sulla sinistra, quando non ne faccio uso, ve lo concedo davvero volentieri. L’arredo è da fine anni 70, dove Reagan e la Thatcher qui non sono mai visti, e forse non sono mai nemmeno esistiti e di certo la decadente stagione dei bimbiminkia non è mai cominciata. Il piano della trattoria Conducono le danze lo chef Danilo ai fornelli e Anita, la padrona di casa. Per chi, e con una certa ragione, abbia a temere un certo registro virato sull’algido dell’ospitalità altobrianzola… si rassicuri: qui vige un benevolo medèn àgan, giusto mezzo – fin dall’impronta solerti e affettuosi, sempre astenuti dal piacioneggiare. L’attenzione della trattoria è da lungi orientata al farsi conoscere attraverso le proprie opere: in tempi non sospetti, l’iniziativa del Giovedì Pop (poi della Serata Pop) permetteva – si confida prima o poi vederla riproposta – di fare felici incursioni verso cucine vuoi di tradizione locale, vuoi da culture forestiere nel formato essenziale piatto più bicchiere di serata, con la carta sempre disponibile. Prerequisito soddisfatto la fantasia e l’applicazione dello chef, in grado di spaziare tra i generi sempre conservando nel piatto l’impronta della sua educatissima mano: non ne sbaglia una. LAVAGNA DEI CICHéTI E DEI PIATTI DI SERATA Lo spirito del tempo è però il tentativo di ritorno a una nuova normalità postpandemica, dove i timori nell’uscir di casa sono ancora parecchi: la soluzione proposta è quella del piattino che invoglia: benvenuti quindi i cichéti (gli stuzzichini celebri nelle osterie popolari di Venezia, i bàcari) benvenuta la piccola cucina (carta ridotta a pochi piatti), spazio al bicchier di vino, alle chiacchiere consolatorie da scampato pericolo. I cichéti di serata e Franciacorta Alla lavagna la disponibilità della serata, sul foglio di carta la lista vini. Da consumato rulebreaker (fa più figo di rompiscatole), quasi abusando della pazienza della casa, ho chiesto cortesemente l’applicazione del diritto di tappo: con benevolenza, appunto, tale consuetudine non mi è stata negata. Pregustando i cichéti mi sono portato dietro un mio caro Franciacorta; si andava verso preparazioni gioiose, comunque ben studiate: ho scelto quindi un vino biologico, senza solfiti aggiunti, garrulo, impegnativo quanto basta. Etichetta Simbiotico, cantina Villa Crespia. È andata benissimo. FRANCIACORTA SIMBIOTICO BIO, VILLA CRESPIA Dei chichèti, è la volta delle sarde in saòr, della polentina con gràs pistàa, delle salsiccette cotte nel barbera, della testina di vitella: ricca la jam session, pregna di sapori decisi e ben educati, ai quali il Simbiotico suggerisce un’armonizzazione seconda, da sperimentare direttamente sul palato. TESTINA DI VITELLA Dolcetto e vino passito Per dolce, poi, due biscotti di pan meino (cifra del minimalismo pasticcero lombardo, da provare e da provare a fare in casa) con un bicchiere di passito: in trattoria hanno ancora una bottiglia di Càlido, il passito da moscato rosso della brianzolissima (lecchese) Azienda Agricola La Costa. PASSITO CàLIDO, La COSTA Ah, però: dal produttore è dato per esaurito (dichiarava comunque 900 bottiglie da 0.375 lt, meno di 350 litri in tutto) – godiamocelo adesso, in attesa del prossimo nuovo imbottigliamento. L’accostamento (e tè dài) è di quelli giusti. BISCOTTI DI PAN MEINO In sintesi: abbiamo delle materie prime di qualità, lo chef dalla mano fatata, alcune delle meglio proustiane ricette della tradizione e infine dalla cenetta se ne esce rallegrati, contenti e soddisfatti. A voler di più, si rischia d’irritare il dio. Alla prossima fotocenetta, sempre a cura del vostro cialtrosaccente consapevole @magnosolo. p.s.: in un post di @magnosolo ricordarsi di Alessandro Magno fa quasi cliché. p.p.s.: quando il nerd un cicinìn s’indigna. Come far contento il SEO? basta ripetersi pedissequamente: Cichéti in Alta Brianza / Cichéti in Alta Brianza / Cichéti in Alta Brianza. Se allunghi il testo devi ripeterti once more: Cichéti in Alta Brianza. La decadenza continua.
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26 Febbraio, 2022

Il piolismo ci salverà

Qui si parla di osteria e di trattoria di prossimità, s’introduce un tema “il piolismo ci salverà” come pretesto per la narrazione di un bel pranzetto; si citano poi alcuni noti piatti tipici piemontesi e finalmente anche un vino piemontese, il Ruchè, forse un po’ meno noto: portate pazienza, con un po’ di pazienza ci arriviamo. Iniziamo dal Piolismo. Certo, per i tifosi dell’A.C.Milan il Piolismo è la (recente) fede cieca, illimitata et adorante nel verbo calcistico così come professato in perfetto understatement dall’allenatore Stefano Pioli, come prima di lui sono stati il Sarrismo o il Cholismo, insomma; ma qui si viene per almanaccare sul mangiare, non per fingersi commissari tecnici nel guardare giocare al pallone: il livello di coinvolgimento richiesto è maggiore, in fondo Feuerbach viene ricordato per quell’aforisma-tormentone “l’uomo è ciò che mangia”, mica – e mi si conceda licenza per l’evidente falso storico – per esser stato supertifoso di una qualche squadra di calcio. Nei dizionari del dialetto piemontese di fine ottocento – sul sito internet archive.org se ne trovano, eccome, il termine “piola” significa “accetta” – una piccola ascia – o “persona poco intelligente”; per ricollegare questa parola ad un’osteria bisogna quindi ricorrere ad un prestito-calco dal francese piaule, piôle, la taverna, a sua volta dal francese antico pier “bere” (occhio che se però metto “piolle” nel traduttore di Google questo mi risponde “piccone”… e si ritorna in zona accetta). La stagione della piola Ricreazione finita, torniamo alle cose: la piola è l’osteria/trattoria piemontese: arredi a patchwork, menù alla lavagna, vini alla mescita, piatti dalla fortunatissima tradizione locale diligentemente attualizzati vuoi per fattura, vuoi per presentazione, prezzi sostenibili anche alla terza settimana del mese (ovvero quando con il salario si studia su come ad arrivare alla quarta). Sembrerebbe un programma più indicato per tipi alla Heinz l’Autoriductoren, sembrerebbe: invece si presta a interpretazioni di tale meditata autenticità ed eleganza concettuale da far eleggere il paradigma del piolismo, dell’osteria di prossimità, a messaggio di speranza per tutti i golosi ormai cronici pessimisti nella ragione, seppur forse ancora tiepidamente ottimisti nella volontà: “il piolismo ci salverà”. A Torino in San Salvario, a esserci posto, andiamo da Barbagusto: troveremo di tutto questo, e in abbondanza, e ne resteremo affascinati. Barbagusto, in San Salvario BARBAGUSTO, PIOLA IN SAN SALVARIO, TORINO Domina l’ingresso il bancone da bar, con antipasti in vetrina e bottiglie esibite per l’evocazione dell’assaggio e a memorabilia del loro compiuto destino; bancone come dogana inflessibile, ma benevola, tra la cucina ed il servizio in sala. Pochi i tavoli, da aver prenotato anzitempo. Il menù? Eccolo lì, alla lavagna. Il Ruchè di Castigliole Monferrato, DOCG DOCG RUCHè DI CASTIGLIOLE MONFERRATO Antipasto, un piatto, il dolcetto. Un bicchiere di vino: restiamo in regione, e ci mancherebbe altro: il Ruchè del Monferrato vitigno autoctono allevato nel Monferrato astigiano, da terreni calcarei, asciutti e assolati. Aveva perso interesse, ma dagli anni Sessanta è cominciata la sua rinnovata ascesa: DOC dal 1987, DOCG (Ruchè di Castigliole Monferrato) dal 2010. Appena superata, nel 2021, la barriera del milione di bottiglie, a cinque bicchieri la bottiglia… insomma è un vino piuttosto di nicchia, ma se non siete pigri fate in tempo ad assaggiarlo. Antipasti piemontesi misti ANTIPASTI PIEMONTESI MISTI Nel piolismo resta molto difficile derogare dagli antipasti misti, in quello torinese solitamente arrivano tutti assieme nel vassojo: questa volta le acciughe, i tomini con i due bagnetti rosso e verde, la salsiccietta cruda, la carne (qui un meno consueto lonzino) tonnata, la battuta di fassone, l’insalata russa, le verdure, i carciofi sott’olio. Ineccepibile, tutto ineccepibile, ghiotto fin dalla vista. Agnolotti al ragù AGNOLOTTI, RAGù DI BARBERA E SALSICCIA DI BRA Segue il main course, qui gli agnolotti con ragù di barbera e salsiccia di Bra: la nota acida del vino equalizza ed esalta l’impianto dolce della pasta ripiena e della carne del ragù. Scrivo giusto due note prima di perdermi nel piatto e di riprendere coscienza a scarpetta compiuta. Ed ora prendiamo cappello BONET, DOLCE TIPICO PIEMONTESE Il dolce: inevitabile il bunet (scritto anche bonet ma pronunziato comunque bunèt): indovinatissimo minotauro tra budino e creme caramel, agli amaretti. Si prende da ultimo, prima di terminare il pranzo o la cena: a cappello di tutto il resto, così come da ultimo si indossa il cappello prima di uscire (questa l’ho rubata da Wikipedìa). Nella declinazione barbagustosa è squisito, eccelso, fenomenale, roba che le maddalene proustiane possono solo accompagnare. Alla fine ALLA FINE, IL PIATTO PARLA La soddisfazione del palato e la piacevolezza dell’ambientazione vanno a braccetto: sarà che son piolista, ma Barbagusto, questo tema, lo svolge in eccellenza e lo studiato understatement della rappresentazione ne contribuisce ulteriormente al fascino. Bravi, bravissimi tutti, forse davvero di questo passo “Il piolismo ci salverà”. Arrivederci, secondo fortuna, al prossimo pranzetto, così come fotoassaggiato da @magnosolo, il vostro mangiatore resipiscente.
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20 Febbraio, 2022

L’Alchimia del borgo

L’Alchimia del borgo dicevamo e dopo tutto in Italia ci sono sempre nuovi posti da visitare non troppo lontani da casa. A pochi chilometri da Milano, in provincia di Pavia, si erge il campanile di Golferenzo, unico nel suo stile, visibile già dalla pianura che domina la Valle Versa quasi a difendere il suo Borgo altomedievale e già ai tempi di Federico I, nel 1164, era stato riconosciuto come parte del dominio pavese. In questo borgo ancora incontaminato, dalle mura in pietra originale, nasce la Corte del Lupo, ristorante ma anche enoteca che con il suo nome così importante vuole regalare emozioni, esperienze e serenità agli ospiti, definendosi l’alchimia del borgo speciale. La Corte del Lupo, si presenta con una zona bar ben assortita, la sala interna di soli dieci tavoli, in ciascuno di essi una piantina di muscari che dona colore e armonia, e ancora un camino ed un cielo di travi a vista. Nelle pareti della sala una ricercata enoteca che ricorda l’imprescindibile legame al territorio dell’Oltrepo’ Pavese, dominata da Matteo, il cantiniere. All’esterno il prato verde del terrazzo estivo ed il dehor riscaldato per il periodo invernale, circondato da vetrate per godere della vista delle colline dove i vigneti la fanno da padrone. Ci accoglie Paola che ha già intuito la nostra voglia di stare nel dehor invernale per godere della tranquillità delle luci e del panorama notturno. Paola, racconta del loro progetto, che oltre a racchiudere il ristorante definito più come “osteria moderna” dove poter conversare, degustare vini e cibo, hanno creato la “Bottega del Lino”, gestita dalla Dama della sala, Federica, per poter acquistare i prodotti tipici del territorio. Per finire, il Relais di Campagna, Borgo dei Gatti, o Albergo diffuso dove poter trovare dimora, che nel 2022 oltre ad espandersi avrà anche la SPA. Il menù dello chef Reduan soddisfa il palato di tutti utilizzando sempre i prodotti originali della zona: Un entrèe di benvenuto, nagiri vegetariano con riso venere, verdurine fresche e tartufo, dal sapore inaspettato. Agnolotti “Palio dell’Agnolotto 2021” con il loro fondo ristretto, parmigiano Vacche Rosse 24 mesi, premiazione ben meritata. Calamaro del Mediterraneo farcito con patata quarantina genovese, gel di cime di rapa e bagna cauda leggera, direi senza parole! I dolci, anch’essi di bella presenza ma poco decisi, sicuramente da rivalidare per gusto e armonia, al contrario la piccola pasticceria, è stata molto apprezzata. La serata è iniziata con la scelta di un Pinot Noir 2019 di Torti Wines per celebrare i piatti dello chef, continuando con gli sfiziosi e colorati cocktail preparati dalla regina del bancone, Luana. Il motto della Corte del Lupo è: Non è solo cibo. Non è solo vino. É un’alchimia speciale. Prezzo: da 25 a 45 euro The Ghost Writer 
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30 Dicembre, 2021

Noïr: Sinfonia a quattro mani per il Palato

Una Sinfonia a quattro mani è da qui che partiamo in questo racconto, una sinfonia a quattro mani che ci ha emozionato. Nel linguaggio dei fiori l’achillea è il simbolo delle persone solari, essenziali, belle dentro e fuori. Un grande tavolo rotondo, un vaso e un fiore di achillea gialla come centro tavola su una tovaglia bianca che insieme alla sua ombra, ai quadri (opere d’arte) nelle pareti e alle luci perfettamente posizionate regalano un caldo benvenuto in un ristorante elegante, con un design contemporaneo: Noïr. Siamo a Ponzano Veneto, Treviso, nel ristorante di Rocco (Santon) e Nicola (Cavallin) da cui il nome stesso Noïr, nato nel 2019, che con la passione e ricerca per il particolare vogliono creare emozioni da vivere tramite i loro piatti abbinandoli ai vini scelti dalla loro Sommelier Gaia Serafini per un perfetto “food pairing”. Intervistiamo gli chef tra una portata e l’altra perché la curiosità è veramente tanta, i loro piatti esprimono il lato giocoso, spumeggiante e irruente di Nicola, ma anche la tranquilla persistenza e copiosa creatività di Rocco, la cui forza si racchiude in sensazioni che rimangono impresse durante tutta la sequenza di portate, persistenza che si ricorda anche nei giorni successivi. Sette portate, dall’antipasto al dolce passando per il pre-dessert, il pane caldo e i grissini appena sfornati accompagnati da olio d’annata, burro montato ed una tisana tiepida che rinfresca le papille gustative per poi procedere alle portate successive, nulla è lasciato al caso (non descriverò alcun piatto perché è un’esperienza da vivere). I colori, i sapori, le stagioni e la sensorialità del gusto sono state rispettate tutte, esaltando in ogni piatto l’eleganza nella presentazione dei prodotti, la territorialità e la tradizione donando “sapore alla cucina”, come ci raccontano gli chef. Attitudine, determinazione, coraggio e innovazione sono le quattro componenti di Noïr che con eleganza e design vuole dare un gusto diverso tra una portata ed un’altra, in un territorio che è più abituato a mangiare e meno a vivere emozioni e nuove esperienze…per questo la scelta di Noïr è molto coraggiosa! Mi soffermerò in conclusione sulla sfida che ha anticipato la nostra visita, che trovate nel video in basso, in questo “teatro” d’eccezione Rocco Santon ha sfidato Giuseppe Maria Ercolino, vignaiolo giovane e talentuoso proprietario di Corvèe , una sfida alla ricerca dell’abbinamento perfetto. Rocco e Giuseppe sono i due protagonisti della seconda puntata del nostro format: “The Perfect Pairing”. Scoprirete nel corso della puntata come Rocco ha scelto di abbinare la punta di diamante della cantina vitivinicola Trentina: Viàch. Questo vino è un Müller Thurgau che matura col sole del pieno mezzogiorno in una vigna che è un inno all’ingegno e alla tenacia contadina, i quattordici ettari vitati di Corvèe sono in piena Val di Cembra per un territorio fatto di terrazze di muri a secco di porfido realizzate nei secoli dai vassalli. E’ proprio da questo piano di recupero, fatto di duro lavoro manuale che la montagna si fa vigneto: i filari di viti, fitti, seghettati, mai lineari, tramano su di essa un vestito cucito su misura. Se vi ho incuriosito non resta che vedere come sarà andata a finire la sfida! The Ghost Writer 
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4 Settembre, 2021

La nuova frontiera del Saliturismo

Una giornata estiva dovrebbe essere sempre conclusa con un buon aperitivo, in un luogo suggestivo, dove il sole e l’ambiente circostante sono i protagonisti di tramonti indimenticabili. Siamo a Marsala, in Sicilia, e più precisamente nelle Saline Ettore Infersa, nel locale SEI- Mamma Caura. I proprietari, Caroline e Antonio, mi accompagnano durante una degustazione di Marsala vergine delle Cantine Florio e di pane cunzatu (e non solo…!)  tra la brezza marina e la vista dei mulini. Le saline Ettore Infersa oltre a rappresentare un luogo di produzione IGP per la raccolta a mano del sale, sono anche turismo, Caroline ci racconta del “Saliturismo”, la realizzazione di tour, diversi per ogni esigenza, per visitare e passeggiare tra i laboratori naturali, la visita al mulino o per trascorrere una giornata da Salinaio con stivali e pala in mano. Altri percorsi sono dedicati alla visita dell’Isola Lunga per una gita turistica nella riserva naturale, o ancora la chicca che aggiunge stupore ad un mondo non a tutti noto è la possibilità di soggiornare nel Salt Resort dell’Isola Lunga, una struttura dedicata al benessere ed al relax, in cui ritroviamo anche prodotti cosmetici a base di sale. Il nome Sei- Mamma Caura ha un significato ben preciso, il magma caldo, che si forma prima della precipitazione del sale ed è composto da solfati e carbonati creando un vero e proprio ecosistema naturale. Le vasche saline sono il laboratorio naturale, nelle quali è possibile osservare la cristallizzazione del sale ed il lavoro costante del Salinaio che sposta il prodotto finito da una vasca all’altra per poi prelevarlo definitivamente. I mulini a sei pale, parte suggestiva di questa fotografia, uno dei quali è illuminato anche la sera, peccato per gli altri, sono certa che anche questi ultimi brilleranno durante la notte prossimamente. Un’attenzione particolare al menù: i piatti sono stati studiati per ritrovare una sinergia costante tra i prodotti tipici della terra e del mare, focalizzando l’attenzione alla presenza del Fior di Sale e al Marsala: PANE CUNZATO con olio, sale marino, pomodoro, origano, acciughe e cacio cavallo; perfetto con un bicchiere di marsala vergine. RISOTTO “ROSA DI SALINA” con calamari, fumetto di pesce, profumi delle saline, salicornia e fior di sale; una sorpresa per il palato. COZZE SCOPPIATE AL MARSALA; esperienza stellare. Il Barman, Vito, si diverte inoltre a ideare cocktail a base di marsala e fior di sale per non lasciare nulla al caso. Il mio preferito è l’americano del salinaio, la cui presentazione ricorda i cumuli di sale con al di sotto le vasche di produzione (eccellete, provatelo!). Sei- Mamma Caura, si presenta solo all’esterno, in cui la parte ristorante è ben delineata per lasciare spazio alla calma dovuta che richiede una cena; mentre tavoli e sedie più alti propri di un aperitivo nella restante parte del terrazzo. Un’aiuola di aromi grande e ben pensate per design e profumi, che il barman nei suoi drink e lo chef in cucina utilizzano nelle loro creazioni. Un aspetto negativo di questo locale è la mancanza di uno spazio interno utilizzabile durante le stagioni più fredde, essendo una riserva naturale nulla è facilmente realizzabile. Prezzo: da 25 a 40 euro The Ghost Writer 
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26 Agosto, 2021

Al Monastero Bevagna

Bevagna è uno dei borghi medievali più belli ed antichi esistenti in Umbria, è stata inserita tra i Borghi più belli d’Italia e tra le Bandiere arancioni, è stata anche la città più vivibile d’Italia e solo visitandola, potete riempirvi gli occhi di tanta bellezza, arte e storia. Le sue origini sono antichissime, sin dall’età del ferro grazie a dei ritrovamenti, fanno supporre la presenza degli umbri a Bevagna. Diventa Municipio romano nel 90 a.C. col nome di Mevania, ricca di storia, Papi, poeti romani ed Imperatori, fino ai signorotti che se la contengono con i governatori pontifici del tempo. Se visitate l’Umbria è di certo una tappa d’obbligo da fare, ricca di eventi e rievocazioni storiche come il Mercato delle Gaite, che cade ogni anno nei dieci giorni a cavallo delle ultime due domeniche di giugno, dove il paese torna indietro nel tempo fino al 1200, raccontando e riproducendo la vita quotidiana, i mestieri e le botteghe di quel tempo. Le quattro gaite (quartieri) San Giorgio, San Giovanni, San Pietro e Santa Maria si sfidano in quattro gare (gara dei mestieri, gara gastronomica, gara del mercato, gara di tiro con l’arco) per decretare chi vincerà il palio. Ci sarebbero infinite cose da aggiungere ma sono qui per altro. In una sera caldissima di agosto, decido di prenotare un tavolo al ristorante Al Monastero, conosco la proprietà perché ha un altro ristorante storico a Foligno: “Il Cavaliere”, una dei migliori per me, quindi vado sul sicuro. Si entra letteralmente dentro ad un vecchio monastero che spopolatosi è stato trasformato in parte in struttura ricettiva, luogo ideale di relax e riconciliazione con lo spirito, il tutto in uno scenario che trasuda spiritualità francescana e parte nel ristorante. L’entrata è un po’ anonima e non ben visibile, ma percorso un piccolissimo passaggio, si apre un giardino e un chiostro che ti lascia letteralmente incantato e stupito. Vengo accolta calorosamente da personale giovane e cerimonioso, che durante la cena diventa piacevolmente confidenziale sempre con le dovute distanze e cortesia, il tavolo è ben curato ed apparecchiato, un sommelier ci illustra i vini in carta e cosa è stato aggiunto, ma non aggiornato, scelgo un Montefalco rosso riserva della cantina Milziade Antano. Dal menù io e i miei commensali scegliamo: carpaccio di Black Angus con stracciatella e tartufo, panzottini ripieni di ricotta e pistacchio con fonduta di parmigiano e tartufo, cappellacci ripieni di manzo al tartufo con riduzione di vinsanto, disosso di faraona in casseruola con tartufo e pistacchi, tagliata al rosmarino, radicchio e acciughe e non contenti del poco tartufo ordinato, chiediamo se durante l’attesa del servizio potessero portarci delle bruschette con l’olio con sopra del tartufo, ovviamente fuori menù, ci dicono subito di sì. Ci hanno serviti un piattino di benvenuto con del baccalà fritto, arrivano le bruschette che copiosamente vengono ricoperte da tartufo fresco grattugiato a tavola, ci vengono proposti quattro tipi di oli diversi da abbinare alle bruschette, e ci viene spiegato minuziosamente ogni olio e i propri sentori e ciò che va ad esaltare nel gusto. Siamo solo all’antipasto! Tutti i primi serviti sono incantevoli, con una menzione di merito sui panzottini ripieni di ricotta e pistacchio con fonduta di parmigiano e tartufo, veramente divini. Le tagliate ci vengono servite alla giusta cottura richiesta, carne di ottima qualità e nel piatto si sente tutta. Concludiamo con i dolci che non sono a menù ma ci vengono elencati a tavola e un gradevolissimo amaro dei Fratelli Taibi all’arancia, un must dei cannoli siciliani. Sono stata talmente bene che sono tornata il giorno successivo con la mia famiglia per festeggiare il mio compleanno. UNICA NOTA NEGATIVA: il menù è stampato in foglio A4, ma essendo aperto da poco tempo, immagino già che ci stiano lavorando. PREZZO: tra 35€ e 40€ a persona The Ghost Writer 
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21 Agosto, 2021

Le nuove leve dell’ospitalità siciliana

Oggi vi porto in un paesino della Sicilia, caldo, caldissimo in estate, sto parlando di Montallegro, in provincia di Agrigento, a soli dieci minuti dal mare dove si trova uno dei B&B più accoglienti nei quali sia stata durante gli ultimi anni. Ospitalità, design e relax sono assicurati dal proprietario, Daniele, un ragazzo di soli 27 anni che insieme alla moglie, ha deciso di trasformare una vecchia mangiatoia del 600 in un B&B: Le mangiatoie del cavaliere. Camere accoglienti all’interno delle quali è presente la vecchia mangiatoia da cui si intravede la doccia tramite una parete in vetro trasparente. Nulla è lasciato al caso: nelle camere è presente la vecchia mangiatoia da cui si intravede la doccia delimitata da una parete in vetro trasparente e dall’originale vecchia muratura riportanta in vista e valorizzata, a ricordare che lì, un tempo, quella parete riparava uomini e animali da ogni intemperia. Il mix di stile e design tra vecchio e nuovo mi ricorda che siamo in Sicilia: la cabina armadio, la scrivania, una poltrona, sul capezzale una frase: “Cu Mancia, Fa Muddichi” (chi lavora, sbaglia).  Beh cosa vuoi di più!…un piccolo frigo magari, ma sono certa, anche quello arriverà… Trovandomi in un B&B, la colazione è fondamentale, per altro essendo in estate, questo momento viene rigorosamente festeggiato nel terrazzo. Si, “festeggiato”, perché il tavolo si riempie di ogni cosa: cappuccino, pane sfornato di primo mattino, marmellate, frutta a Km zero: i fichi neri (che bontà!), il cornetto con la ricotta, la nutella, la crema al pistacchio e non solo. E poi, la pasticceria, nulla è lasciato al caso. In Sicilia la pasticceria è molto ricca e Daniele ogni giorno vuole farci assaggiare qualcosa di diverso, dal classico cannolo, alle sfogliatine di mandorla, ai “ciardoni” e così via per i prossimi 24 giorni, si esatto, 24 diversi tipi di dolci siciliani. Il B&B si trova in una posizione strategica per la visita ai Templi di Agrigento, ma anche per raggiungere spiagge con mare cristallino come Siculiana, Bovo Marina e la Riserva Naturale di Torre Salsa. A pochi chilometri di distanza ci si può fermare alla cantina “Azienda Agricola Calogero Caruana” che produce vini naturali, esaltando il territorio nella sua semplice complessità. Caratteristiche che si ritrovano perfettamente all’interno dei bicchieri di Catarratto e Inzolia. Menzione speciale, per il vino bianco non filtrato ottenuto da uve Catarratto che esprime perfettamente la forza del vitigno a bacca bianca autoctono siciliano con la sua tipicità esclusiva. Per questo, consiglio di non perdere l’occasione di conoscere e degustare questi vini prodotti da un altro giovane talentuoso di Montallegro, il vignaiolo Calogero Caruana. Nota Negativa: Il paese di Montallegro è molto piccolo e poco attrezzato per il turismo. Prezzo: da 65 a 90 euro in base alla stagione. The Ghost Writer 
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12 Agosto, 2021

Polisena, un angolo biologico sorprendente

In una domenica di agosto dove ti aspetti che ci sia caldo ma sei sorpresa dalla pioggia e dalla temperatura mite quasi autunnale l’Agriturismo Polisena a Pontida, in provincia di Bergamo, ci accoglie per un pranzo domenicale tra amici di vecchia data in una delle loro sale con il camino (spento, ovvio!), dove non manca la possibilità di godere della bellissima vista attraverso le grandi finestre o dal terrazzo al coperto con la stufa e le poltrone. Siamo in collina, la strada si impenna notevolmente, ma una volta su nel terrazzo, la vista dei vigneti e della piccola cittadina di Pontida lascia spazio solo al relax, con spa interna, vasca idromassaggio e lettini all’esterno, è inoltre possibile pernottare nelle loro camere. Il ristorante, uno dei punti forte dell’Agriturismo Polisena a Pontida, ha ricevuto riconoscimenti e segnalazioni tra cui la “Corona Radiosa Gatti Massobrio 2021” e “Osteria d’Italia”. Ma soprattutto lo abbiamo testato e gustato anche noi: Il menù presenta diverse possibilità di scelta tra cui rientrano piatti tipici bergamaschi e piatti rivisitati e vegani. La carta dei vini è della loro cantina Tosca che produce biologico. Un entree della casa vegano accompagnato da un KIKI V- BRUT ROSE’ rende l’inizio del pranzo molto accogliente. Antipasto tipico a base di formaggi e salumi bergamaschi accompagnati dalla loro giardiniera e torta fritta al rosmarino, ricercato e deciso. I secondi: Melanzana al forno, cremoso di lenticchie rosse all’alloro e bieta ripassata, bella la presentazione e ottima al palato. Manzo de La Granda al Rosso del Lupo, polenta di mais integrale e fagiolini verdi, direi un piatto veramente indimenticabile. I dolci: Torta morbida di Azuki, coulis di frutti di bosco e mousse al cioccolato fondente, ha lasciato senza fiato i commensali. Il tutto accompagnato dal loro vino “Rosso del Lupo VALCALEPIO ROSSO DOC del 2018”, corposo e deciso, con uno spiccato naso ma molto fresco al palato privo quasi di acidità. UNICA NOTA NEGATIVA: l’insistenza da parte dei camerieri che non lascia abbastanza tempo per la scelta dei piatti. PREZZO: tra 40€ e 45€ a persona The Ghost Writer 
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