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24 Aprile, 2024

Villa Santo Stefano: la Toscana che non ti aspetti

Il bello del mondo del vino è che non si finisce mai di fare belle scoperte: oggi vi racconto di Villa Santo Stefano. Tutto nasce dall’intuizione del tedesco Wolfgang Reitzle che, dopo molti anni come manager delle più importanti case automobilistiche a livello mondiale, sceglie di produrre il suo vino e il suo olio tra le colline lucchesi, una terra dal clima mite e dai frutti generosi, magari meno consueta rispetto ad altre zone produttive e per questo davvero sorprendente degustandone le creazioni. Wolfgang fin da bambino passava in Italia le sue estati con la famiglia e la passione per la Toscana lo ha portato ad acquistare Villa Bertolli, che doveva essere una casa per passare alcuni mesi in Toscana assieme alla moglie Nina Ruge, e che in poco tempo si è trasformata in una società agricola dedita alla produzione di olio e vino. Oggi l’azienda produce, nei suoi 12 ettari di terreno, circa 50.000 bottiglie di vino e 1.500 litri di olio extra vergine, con una gestione attenta all’ambiente e uno spazio dedicato all’ospitalità. Tutto è iniziato nel 2001 quando Wolfgang Reitzle e Nina Ruge acquistano in Lucchesia Villa Bertolli assieme ad alcuni oliveti e ad un vigneto di circa un ettaro. A seguito della cessione da parte della famiglia Bertolli dell’omonimo marchio a Unilever, i signori Reitzle ribattezzano la villa in onore della omonima pieve del IX secolo che si trova nelle immediate vicinanze. Nasce così Villa Santo Stefano, nelle intenzioni della proprietà come una casa per le vacanze, con una posizione unica sulle colline, la vista mozzafiato sulla valle ed in lontananza sul mare, la vegetazione rigogliosa e la città di Lucca a pochi chilometri. Poi succede che Wolfgang e Nina assaggiano il loro primo olio extravergine di oliva e il vino del loro piccolo vigneto e tutto cambia. Marito e moglie decidono di ricominciare da qui e dedicarsi con impegno all’attività vinicola e olearia. L’impronta nella gestione dell’azienda è un perfetto equilibrio tra la conduzione attenta e rigorosa di Reitzle e l’approccio appassionato della moglie, che nei nomi dei vini ha impresso le sue emozioni. Le scelte in azienda sono spinte dalla volontà imprescindibile della proprietà di perseguire e produrre sempre il meglio, alla ricerca della perfezione. Qui mi piace richiamare una citazione (vista la grande esperienza nel campo automobilistico di Wolfgang) di Henry Ford: “Il più grande nemico della qualità è l’urgenza.” Siamo a nord della Toscana, dove ai borghi immersi tra colline e vigneti si alternano ville nobiliari, giardini segreti con le camelie più rare d’Italia, terme per rilassarsi e un tratto della Via Francigena per un’esperienza di trekking o bici. Il clima è mite e ideale per la coltivazione di olivi e viti. Solo una ventina di chilometri separano la Lucchesia dal mare e dalle sue lunghe spiagge; a nord le Alpi Apuane e gli Appennini la proteggono dai venti freddi. Questo permette a Villa Santo Stefano e il terreno circostante di beneficiare di un clima temperato. La leggera rugiada della notte, il sole del giorno e la lieve altitudine (270 s.l.m.) sono le condizioni ideali per la maturazione di olive di primissima qualità. Tutto ciò ha reso questa porzione di Toscana il cuore della produzione di olio extravergine di oliva, già da diversi secoli. La Cantina di Villa Santo Stefano, costruita nel 2006 e ultimata nel 2014, è dotata di una strumentazione altamente tecnologica. Oltre alla splendida barricaia, composta da ben oltre 150 botti di legno francese, rinnovate annualmente per un terzo, la parte produttiva e di vinificazione si compone di attrezzature che vanno dalla selezione delle uve durante la pigiatura al controllo delle temperature dei tronco conici di acciaio, con utilizzo della macro/micro ossigenazione per favorire un regolare svolgimento della fermentazione, operazioni che possono essere gestite anche da remoto. Questo senza rinunciare alla filosofia dell’azienda, che risponde all’idea di profondo amore e rispetto per la natura e di salvaguardia della sua autenticità. Poche bottiglie, etichette selezionate, natura incontaminata: l’azienda si presenta come una boutique del vino. Nei nomi e nelle etichette dei vini si rivela l’amore per il territorio, che ha dato vita al progetto di Wolfgang Reitzle e Nina Ruge. I vini sono prodotti con uve provenienti da agricoltura biologica e a breve saranno certificati da ICEA. I vini prodotti sono: LOTO Vino Rosso Toscana IGT; GIOIA – Vino Bianco Toscana IGT; SERENO – Vino Rosso DOC Colline Lucchesi; LUNA – Vino rosato Toscana IGT; VOLO – Vino Rosso Toscana IGT. Gli uvaggi, frutto di selezione e accuratamente vinificati, vanno dagli internazionali Cabernet Sauvignon, Merlot, Cabernet Franc, Petit Verdot, Alicante, ai grandi classici toscani primo tra tutti il Sangiovese, insieme al Ciliegiolo, Colorino, Canaiolo e Vermentino. Notevole anche L’olio Extravergine di Oliva biologico DOP Lucca, produzione di un blend toscano (80% Frantoio, 15% Leccino e 5% Moraiolo e Maurino). Un vino in particolare mi ha colpito, si tratta di LOTO, il vino di punta dell’Azienda, composto seguendo la tradizione delle grandi cuvée francesi: 50% Cabernet Sauvignon, 30% Merlot, 10% Cabernet Franc, 10% Petit Verdot. LOTO è il primo vino prodotto dall’azienda, nel 2006. Per ogni vite non vengono selezionati più di quattro grappoli, a garantire il massimo della resa da ogni pianta. La vendemmia e la selezione delle uve sono eseguite a mano e il processo di fermentazione dura 12 giorni. A seconda della tipologia di uva e dell’annata, l’affinamento dura dai 12 ai 18 mesi ed avviene in barrique francesi, in una barriccaia a temperatura (15°C) e umidità controllate. Successivamente il vino viene affinato per sei mesi in grandi vasche di cemento. Al termine viene composta la cuvée e viene quindi imbottigliato il vino, che dovrà attendere almeno altri 6 mesi prima di essere distribuito. Un vino dal carattere internazionale, di grande intensità, che si denota sia dal colore intenso che dalle sensazioni gusto-olfattive che confermano un equilibrio tra sentori di frutta matura come lampone e mirtillo e sentori speziati e terziari di liquirizia e vaniglia, il tutto accompagna un sorso importante e piacevole, sapendo raccontare un territorio che grazie a Villa Santo Stefano sarà sempre più apprezzato da noi appassionati. Cantina da non perdere, una gran bella sorpresa! Villa Santo Stefano: la Toscana che non ti aspetti A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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23 Aprile, 2024

La cura giusta

Le immagini del mondo investono e attraversano il soggetto da parte a parte. Ne oltrepassano lo sguardo, lo trascinano emotivamente. Lo coinvolgono, virtualmente in modo sempre più realistico. Se è così, come è possibile allontanarsi dal mondo quando il mondo ci trafigge? Come è possibile criticarlo, esserne indifferente? Queste domande guidano un viaggio attraverso le pieghe alla ricerca di quell’altrove, di quella fortezza in cui si rifugia l’indifferenza che volge le spalle al mondo. Ma da quello stesso altrove, prodotto dell’arte della distanza, la critica può osservare il mondo degli uomini, per giudicarlo, conoscerlo, svelarne l’essenza. L’indifferenza è un male contro cui abbiamo lottato e che si ripresenta – nemico sottile e acuto – ogni giorno e ogni volta in cui ci giriamo dall’altra parte e chiudiamo occhi, orecchie e bocca per non vedere e non sentire. Un’indifferenza protettiva che, forse, non è nemmeno più indifferenza, in quanto lo porta comunque a fare una scelta: l’uomo sceglie sé stesso piuttosto che gli altri e l’indifferenza diventa la negazione di ogni empatia. Quasi fosse la Cura Giusta, a tutto. L’antitesi di questo è la felicità. È un abbraccio, è un sorriso, è mangiare insieme mentre facciamo gli stupidi, è tenersi la mano sotto il tavolo quando si è con altra gente. Felicità è attraversare quel confine immaginario che porta in Toscana, dove esperienze di viaggio e esperienze di vita di incrociano. L’idea che viaggiare non significhi solo andare da un posto all’altro, fuori e nel mondo, ma anche, e soprattutto, lasciare che l’andare ci cambi, dentro e nell’animo. Viaggiare è scoprire luoghi. È poter osservare una meravigliosa piazza di un piccolo borgo toscano, Cetona (SI), dove 2 persone anziane ballano a ritmo di musica jazz. Pensa come sarebbe stato. Alle volte che lo abbiamo raccontato. Vecchi a ballare in una festa di un piccolo paese, dove tutti ti avrebbero guardato. Questo, insieme ad altri sentimenti che solo chi scrive può riconoscere d’aver provato, hanno creato un magma sonoro e poetico di straordinaria intensità, dove la sperimentazione assume un significato coerente, come un infinito andirivieni ciclico di creazione, plasmazione e distruzione di pathos pulsante ed elettrico. Su questa piazza si affaccia l’Enoteca del Merlo. Qui l’eco si fonda con il pulsare della vita moderna, ogni parola diventa una porta verso l’infinito, un abbraccio che unisce passato e presente in un’estasi di sapori. Daniele, è il filosofo che si introduce nella caverna per spezzare le catene, è oste e cantastorie dell’enoteca, luogo visceralmente legato all’omonima Osteria www.osteriadelmerlo.it. Poter scegliere all’interno della loro selezione di vini, equivale a compiere un viaggio sublime che parte tra i filari folti dei vigneti toscani, percorre una lunga strada direzione nord, salta verso sud per andare a cogliere il gusto forte delle uve isolane e dei vini mediterranei, per volare infine in Francia e, più in là, in California. Il Cecco  ci propone Giacomo Baraldo Il Pozzone 2019 (Uve 100% Sangiovese). Un Sangiovese con corpo e carattere, dal sapore avvolgente, con tannini eleganti dalla spiccata sapidità che ne fanno un vino complesso e strutturato. Giacomo Baraldo www.giacomobaraldo.it è un viticoltore di San Casciano dei Bagno (SI) che fa della Tradizione, Innovazione ed Esclusività il suo decalogo produttivo. Un’idea e un vino che sono la Cura Giusta, a tutto. Dal rumore del silenzio assordante non si può sfuggire. Già, perché il silenzio fa rumore e anche quando siamo completamente da soli e contempliamo l’assenza di suoni abbiamo la sensazione di sentire qualcosa: il rumore del silenzio. LA PROPOSTA DELL’ENOTECA: Rotazione settimanale di circa 15 Vini in mescita: 5 Bollicine (italiane e Francesi), 5 Vini Bianchi, 5 Vini Rossi. Menù di 5 portate, freddi e caldi, con rotazione ogni 3 settimane.       Marco Sargentini Mi trovi su Instagram e Facebook Riflessioni Enologiche di un viaggiatore diVino    
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21 Aprile, 2024

OperaWine 2024: l’affascinante première di Vinitaly

Il 13 aprile 2024 si è svolto alle Gallerie Mercatali di Verona, OperaWine, Finest Italian Wines, l’unico appuntamento organizzato all’estero da Wine Spectator. E’ uno degli eventi più affascinanti e più attesi di tutto il calendario enologico Italiano e internazionale.
Manifestazione esclusiva per gli amanti del vino di tutto il mondo, anche quest’anno ha fatto da overture all’inaugurazione della 56esima edizione di Vinitaly 2024.
Questo prestigioso evento giunto ormai alla 13esima edizione (prima edizione nel 2012),  ha visto la presenza di ben 131 produttori italiani di vini di alta qualità, delle quali  25 cantine sono state sempre presenti (Allegrini, Antinori, Bruno Giacosa, Ca’ del Bosco, Castello di Ama, Castello di Volpaia, Famiglia Cotarella, Ferrari, Feudi di San Gregorio, Fontodi, Livio Felluga, Lungarotti, Masi, Masciarelli, Nino Negri, Ornellaia, Paolo Scavino, Pieropan, Planeta, San Felice, Tasca d’Almerita, Tenuta San Guido, Tormaresca, Umani Ronchi e Zenato). 131 vini italiani selezionati da Wine Spectator Organizzato da Veronafiere e Vinitaly in collaborazione con Wine Spectator, il più autorevole magazine di settore statunitense, l’accesso a OperaWine è riservato, esclusivamente su invito, a una selezione di giornalisti e operatori specializzati, confermando il suo status di evento elitario nel mondo del vino.
Ecco la lista dei produttori OperaWine 2024, annunciati da Bruce Sanderson e Alison Napjus in occasione di wine2wine Business Forum 2023.
Questa straordinaria selezione di cantine rappresenta il meglio della produzione vinicola italiana, offrendo agli ospiti un’esperienza unica e indimenticabile per i sensi. Dai vini rossi intensi e corposi alle sfumature delicate dei bianchi, OperaWine 2024 ha deliziato il palato degli intenditori più esigenti. Il programma ufficiale alle Gallerie Mercatali di Verona Alle 12.30 si è svolta la Conferenza stampa di Wine Spectator che ha visto gli interventi di Maurizio Danese, amministratore delegato di Veronafiere, Matteo Zoppas, presidente di Ice-Agenzia, Jeffery Lindenmuth, executive editor di Wine Spectator, Alison Napjus, senior editor & tasting director di Wine Spectator, Bruce Sanderson, senior editor di Wine Spectator.
Successivamente, l’arrivo della delegazione della Conferenza Internazionale sul Vino di OIV, con ministri, viceministri e ambasciatori di 30 nazioni produttrici di vino.
Alle ore 13, foto di gruppo con i produttori di OperaWine e a seguire inaugurazione e aperture del Grand Tasting alle ore 14.30. La chiusura era prevista per le ore 17.30 ma di fatto si è un po’ prolungata. Connubio perfetto tra arte dell’Opera e cultura del vino Dopo aver fatto i salti mortali e aver superato qualche piccolo imprevisto, eccomi pronta a tuffarmi in questa nuova avventura. Controlli serrati all’entrata, tantissime persone qualificate e poi la sfinge!
L’edizione 2024, OperaWine infatti, si ispira a un tema classico, legato all’arte e alla cultura italiana: l’opera lirica. Questo tema affonda le sue radici fin nel nome dell’evento stesso, testimoniando l’affinità intrinseca tra la manifestazione e il mondo dell’opera. In particolare, gli allestimenti di OperaWine 2024 richiamano la programmazione della prestigiosa stagione areniana 2024, che proporrà al pubblico opere di grande impatto emotivo e artistico, tra cui Turandot, Aida, Il Barbiere di Siviglia, Carmen, La Bohème e Tosca. La tredicesima edizione di OperaWine si propone quindi di celebrare l’eccellenza del vino italiano attraverso la magnificenza delle scenografie e delle emozioni suscitate da queste straordinarie opere liriche.   Alcuni dati su OperaWine Ancora una volta, i vini rossi saranno i protagonisti indiscussi di OperaWine 2024, rappresentando ben 99 delle 131 referenze in degustazione. Seguono con 22 etichette i vini bianchi, mentre gli sparkling e i vini dolci contano rispettivamente 8 e 2 presenze. Sul fronte dei brand, si registrano tre nuove aziende debuttanti rispetto al 2023, La Valentina – Abruzzo e le due Toscane, Argiano e  Isole e Olena. Sono 6 i produttori che fanno ritorno in lista dopo l’assenza dello scorso anno e precisamente Vincenzo Ippolito (Calabria), Terenzuola (Liguria), Villa Sandi (Veneto), Prunotto (Piemonte), Pietradolce (Sicilia), Gerardo Cesari (Veneto).
Le aziende non selezionate per l’edizione 2024 presenti l’anno scorso, sono 8: Librandi (Calabria), Montevetrano (Campania), Gravner (Friuli Venezia Giulia), Cantine Lunae Bosoni (Liguria), Rainoldi (Lombardia), Leone de Castris (Puglia), Siro Pacenti (Toscana), Zymè (Veneto).
La classifica per regioni conferma la supremazia della Toscana in testa con 34 aziende selezionate, seguita da Piemonte (19 aziende) e Veneto (18). Complessivamente, il Nord d’Italia esprime il 43% dei produttori “bandiera” del made in Italy, mentre il Centro contribuisce con il 33% e il Sud e le Isole con il 24%. Celebrazione dell’eccellenza enologica italiana nel cuore di Verona Varcando le soglie di questa affascinante location con un abbigliamento elegante e curato, requisito imprescindibile per immergersi nell’atmosfera esclusiva di OperaWine, mi sono trovata catapultata in un mondo stimolante e affascinante. È stata un’esperienza straordinaria poter entrare nell’olimpo dei vini italiani, anticipando l’inizio ufficiale di Vinitaly 2024. La possibilità di degustare in anteprima le eccellenze presenti, tra cui annate pregiatissime come il leggendario Sassicaia 1997, è stata un privilegio unico. Avevo già avuto l’opportunità di assaggiare l’annata 2017 durante  Matter of Taste, ma devo ammettere che l’aggiunta di 20 anni di invecchiamento ha trasformato radicalmente il vino, rendendolo a mio avviso ancora più straordinario! Le mie impressioni personali su OperaWine 2024 Il Gran Tasting mi ha offerto l’opportunità di esplorare e apprezzare in modo più approfondito la vasta gamma di vini disponibili, una sola etichetta per azienda, preparandomi in modo ottimale per affrontare le degustazioni durante Vinitaly.
Inoltre, l’occasione di stabilire contatti e connessioni importanti già prima dell’inizio ufficiale della fiera è stata estremamente preziosa. Grazie alle interazioni e agli assaggi presso gli stand di OperaWine, ho avuto la fortuna di entrare in contatto con produttori ed esperti del settore, rendendo nei giorni successivi il mio percorso attraverso Vinitaly ancora più gratificante e significativo.   Ecco gli assaggi che vi racconto
Tanta gente, moltissimi assaggi e meno di tre ore per affrontare il tutto. Di fronte a questa sfida,  mi sono affidata alla mia esperienza e ho optato per un mix di degustazioni, selezionando con cura i vini che meglio rappresentassero la diversità e l’eccellenza delle produzioni italiane. Le considerazioni di Alison Napjus, Senior Editor di Wine Spectator, hanno guidato le mie scelte: il vino italiano, secondo Napjus, esprime il suo massimo potenziale quando è abbinato al piatto giusto, un aspetto che riveste un’importanza cruciale soprattutto negli Stati Uniti, dove l’abbinamento cibo-vino non è ancora così diffuso come in Italia. Ho così cercato di capire se lo stile dei produttori stia andando verso la facilità di beva, incarnando un stile più attuale  e richiesto dai consumatori che anche quando scelgono una bevuta più impegnativa cercano sempre una piacevolezza scorrevole. Ippolito 1845 – Calabria con l’etichetta 160 Anni del 2015 Il mio primo assaggio è stato dedicato a un’azienda che ho avuto il piacere di visitare quest’estate: Ippolito 1845 con il suo straordinario vino “160 Anni” – annata 2015. Questa etichetta è stata creata per celebrare la storia dell’azienda, il suo impegno e la sua passione nel mondo vinicolo. Le tecniche innovative utilizzate per l’appassimento delle uve Gaglioppo su graticci e la lunga macerazione sulle bucce hanno conferito a questo vino profumi di frutti di bosco, viola, uvetta e spezie dolci. Il risultato è un vino complesso, dalla struttura imponente e dall’intrigante rotondità. Ho apprezzato particolarmente l’equilibrio perfetto di questo vino, con tannini ben integrati e una persistenza che si prolunga piacevolmente nel tempo.     Tasca d’Almerita |- Sicilia Contea di Sclafani Tenuta Regaleali Rosso del Conte 2017 Impossibile scegliere tra gli assaggi siciliani che mi hanno colpito di più durante OperaWine 2024: il Pietradolce (Etna) Barbagalli 2018, il Passopisciaro Terre Siciliane Contrada G 2016, il Benanti (Etna) Serra della Contessa Riserva 2016 e il Feudo Maccari Sicilia Vigna Guarnaschelli 2021 sono solo alcuni dei vini che hanno lasciato un’impronta indelebile nella mia memoria sensoriale.
Tuttavia, desidero dedicare un momento speciale per raccontarvi il mio assaggio del Rosso del Conte 2017 di Tasca d’Almerita. In cantina possiedo la 2014 e credo che presto la aprirò per confrontare le sensazioni che possono derivare da annate diverse. La degustazione di questo vino è stata un’esperienza unica, capace di trasmettere l’autenticità e l’eleganza tipiche dei grandi vini siciliani.   Elena Fucci – Aglianico del Vulture Titolo 2020 e Grifalco – Aglianico del Vulture Superiore Daginestra 2019 Un’altra piacevole sorpresa è stata la degustazione dei vini del Vulture: il Grifalco Aglianico del Vulture Superiore Daginestra 2019 ed il famoso Elena Fucci Aglianico del Vulture Titolo 2020 si sono distinti come i migliori assaggi della regione. Quando si parla del Vulture, queste due aziende si possono considerare punti di riferimento assoluti sia in Italia che nel resto del mondo. Pur essendo figli di annate diverse, entrambi i vini presentano caratteristiche simili e promettenti, ma richiedono ancora del tempo per esprimere appieno il loro potenziale.   Marchesi di Barolo | Barolo Sarmassa 2004 Passando a una serie di assaggi in Piemonte, desidero condividere con voi l’esperienza del Barolo Sarmassa 2004. Questo vino, proviene da un terroir che geologicamente appartiene all’epoca tortoniana ma presenta caratteristiche del suolo serravalliane e pertanto regala sensazioni veramente speciali. Tra i migliori cru dei Marchesi di Barolo, il Sarmassa vanta pendii esposti a sud e terreni bianchi relativamente poco fertili, che contribuiscono a limitare le rese e a concentrare la qualità. Dopo un affinamento di 10 anni in botte di piccole dimensioni seguito da ulteriori anni in botti grandi e alcuni mesi in bottiglia, il Barolo Sarmassa si presenta con un colore granato evoluto. Al naso, gli aromi spaziano dalla resina di pino al tabacco, dalla cannella al cuoio, mentre in bocca il vino si rivela un autentico velluto, con tannini ancora presenti ma di una rara setosità. Un vino da grandi occasioni e dalle notevoli capacità di invecchiamento. Per me, il momento culminante è stato poter salutare personalmente Valentina Abbona e sua madre, due donne del vino veramente straordinarie, che hanno reso ancora più speciale questa esperienza. Gerardo Cesari | Amarone della Valpolicella Classico Bosan Riserva 2013 l Veneto e i suoi straordinari vini, tra cui spicca indubbiamente l’Amarone, che regna sovrano tra le eccellenze della regione. Scelgo di condividere con voi la mia esperienza con Gerardo Cesari. Ho avuto il privilegio di scambiare qualche parola con l’enologo e ricevere un invito speciale nella loro cantina. Il Bosan Riserva 2013 di Gerardo Cesari presenta eleganza e complessità tipiche dell’Amarone. Le tonalità scure delle note balsamiche e terrose si fondono armoniosamente con i profumi avvolgenti di ciliegia in confettura, pepe e vaniglia. In bocca si apre con una dolcezza avvolgente, per poi rivelarsi sapido e caldo, avvolgente ad ogni sorso. I tannini decisi, ma perfettamente integrati, donano al vino una straordinaria struttura, mentre i sapori di ciliegia e cioccolato fondente persistono a lungo nel palato. Frutto di un invecchiamento di 3 anni in barrique francesi e 15 mesi di affinamento in bottiglia, questo Amarone ha origine dal vigneto terrazzato omonimo situato a Marano della Valpolicella, a 500 metri di altezza, caratterizzato da suolo calcareo e in parte vulcanico. Un’esperienza autentica nel cuore del Veneto enologico. Tabarrini | Montefalco Sagrantino Il Bisbetico Domato 2020 quando arrivo nella zona dei vini Umbri, mi sembra di respirare un’aria familiare, avendo più volte approfondito il territorio dal punto di vista vinicolo. ritrovo i vini emblematici che raccontano la storia e la tradizione di questa parte dell’Umbria: Lungarotti col Torgiano Rubesco Vigna Monticchio Riserva 2016, Scacciadiavoli – Montefalco Sagrantino 2010, e Giampaolo Tabarrini che mi ha fatto degustare Montefalco Sagrantino Il Bisbetico Domato 2020.
un assaggio che merita di essere riaffrontato fra qualche tempo, anche se lo stile si sta affinando ha bisogno comunque di più tempo per smussarsi un po’.   Arnaldo Caprai | Montefalco Sagrantino 25 Anni 2013 Un incontro importante è stato quello con Marco Caprai e il suo straordinario Sagrantino. Marco è considerato il padre del Sagrantino moderno, quel vitigno che oggi è conosciuto e ammirato in tutto il mondo. È stato lui il promotore e il regista dell’affermazione di questa varietà e del vino nella versione secca, cambiando radicalmente le sorti non solo del territorio, ma anche dell’intero settore vitivinicolo umbro. Ciò che rende ancora più significativo il lavoro di Marco è la sua attenzione per l’ambiente e la sostenibilità. Il Sagrantino 25 Anni, creato per celebrare le nozze d’argento dell’azienda, ha conquistato i Tre Bicchieri del Gambero Rosso nel 1997 e ancora oggi regala esperienze sensoriali straordinarie. Al naso, emergono note di tostature e cioccolato che incorniciano susine e ciliegie sotto spirito, lavanda e liquirizia e note balsamiche avvolgenti. Il sorso è sontuoso e caldo, con un peso specifico notevole, ma moderno e equilibrato. Dopo undici anni di invecchiamento, il vino comincia a trovare un buon equilibrio grazie ai tannini ben integrati, con un finale leggermente astringente che invita a un altro sorso.   Riflessione finale su Operawine 2024
Potrei continuare con altri assaggi ma preferisco fermarmi qui e lasciarvi con le me ultime considerazioni. Secondo me è essenziale porre l’attenzione su due fronti fondamentali che emergono dall’esperienza di OperaWine 2024: l’adeguamento dei vini e la sostenibilità. Vini più versatili per il futuro del vino
In primo luogo, l’aggiornamento dei vini rappresenta una sfida cruciale per l’industria vinicola italiana. È fondamentale che i vini siano più accessibili e facili da bere, al fine di scongiurare il calo del consumo. Questo non significa compromettere la qualità o l’autenticità dei vini italiani, ma piuttosto adattarli alle esigenze e alle preferenze dei consumatori moderni, offrendo una gamma diversificata di opzioni che possano soddisfare una vasta gamma di palati. Vini più versatili e meno da meditazione. Sostenibilità e meno burocrazia
In secondo luogo, la sostenibilità è un imperativo categorico per il futuro vinicolo italiano. È necessario rendere la sostenibilità una realtà tangibile, non solo un concetto astratto. Ciò richiede un impegno concreto non solo da parte dei singoli produttori, ma anche l’adozione di politiche e leggi che favoriscano e promuovano la sostenibilità ambientale in tutto il settore. È fondamentale semplificare le leggi e rendere le normative più accessibili, in modo che anche i piccoli produttori possano adottare pratiche sostenibili senza eccessiva burocrazia. Solo attraverso un impegno collettivo e una visione condivisa per l’innovazione e la sostenibilità, l’industria vinicola italiana potrà continuare a prosperare e a mantenere la propria posizione di leadership nel panorama vinicolo mondiale. OperaWine 2024 ha rappresentato un’importante pietra miliare in questo percorso, evidenziando le sfide e le opportunità che attendono il settore nel futuro. Benedetta Costanzo
benedetta.costanzo@winetalesmagazine.com
Mi trovi su Instagram come @benedetta.costanzo
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19 Aprile, 2024

Andrea e Nicolò. Due amici

Due ragazzi del borgo cresciuti troppo in fretta
Un’unica passione per la bicicletta
Un incrocio di destini in una strana storia
Di cui nei giorni nostri si è persa la memoria
Una storia d’altri tempi, di prima del motore
Quando si correva per rabbia o per amore
Ma fra rabbia ed amore il distacco già cresce
E chi sarà il campione già si capisce. Francesco De Gregori cantava così la storia dell’amicizia tra il bandito Sante Pollastri e il campione di ciclismo Costante Girardengo. Cresciuti insieme fino a quando le loro scelte, ma anche la vita, li divise. Fino al punto di incontrarsi di nuovo in un’aula di tribunale quando Costante dovette testimoniare contro l’amico Sante.  Due amici cresciuti insieme anche se non proprio da piccoli. Due amici che si incontrano per caso studiando enologia ad Ancona. Due amici che si trovano senza poi lasciarsi più andare. Nel bene e nel male. Nel lavoro e nel gioco. Nella passione e nella vita.  Andrea Giorgetti e Nicolò Marchetti. Nicolò ed Andrea. Invertendo l’ordine degli addendi, il risultato non cambia. Anche se l’azienda, che insieme hanno voluto, prende il nome da Andrea, poco importa. Il loro patto segreto e silente vale più di mille atti notarili. Andrea Giorgetti è l’azienda. Andrea e Nicolò ne sono l’anima (ma guai a dimenticarsi di Giulia, la sorella di Andrea, senza la quale la accoglienza e la vendita in azienda non ci sarebbe proprio!). Io ho studiato Viticoltura ed Enologia all’università di Ancona e mentre studiavo ho conosciuto Nicolò. Lui è più piccolo di un paio di anni. Ci siamo conosciuti a qualche corso che ho lasciato un pò indietro.  Il papà di Andrea, Sante, gestiva un distributore di carburanti in autostrada. I fine settimana Andrea lavorava li. Nicolò che aveva bisogno di un lavoro chiese all’amico appena conosciuto di poter lavorare anche lui al distributore.  Papà ha assunto anche lui. Da li è iniziata la nostra amicizia. Lavoravamo e studiavamo insieme. Facevamo tutto insieme. Ci siamo conosciuti che avevo venti anni. Le amicizie nascono per caso e continuano per volontà. Stare bene insieme. Supportarsi a vicenda. Esser pronti ad esserci quando serve. Una parola, uno sguardo, una risata, un abbraccio. Ogni gesto cementa sempre più il rapporto che resiste al tempo, agli amori, alla vita dei singoli. A volte può sembrare che uno dei due dia più dell’altro. Ma non è così. L’amicizia va oltre qualsiasi materialità. Va nel profondo del nostro animo. È come se fosse un amore che non può e non deve esternarsi in altro modo. Così Andrea e Nicolò. Sempre insieme. Andrea ha tre figlie. Nicolò due. Ammettere quanto fossero matti a vent’anni non è possibile. Matti e caciaroni. Pur se con l’animo di chi ha i piedi ben piantati nella terra dove è nato. Nato cresciuto in campagna Andrea. Con i nonni (ah i nonni!) che badavano ad Andrea e Giulia sopperendo ai genitori che lavoravano al distributore. Una vera famiglia di un tempo quelle dei nonni. Si direbbe a “ciclo chiuso” quando si faceva tutto in casa.  Era tutto magnifico. In campagna sapevo fare un pò tutto. Arrivato a venti anni, con la terra il grano non poteva andare. Qualcuno metteva erba medica o oliveto. La scelta era o olivi o vigna. Ho scelto la vigna e di studiare enologia anche se di vino non se ne era mai parlato a casa mia.  Due amici. Due studenti di enologia. Un pezzo di terra. La voglia di divertirsi e sperimentare. Et voilà! Sembrano le condizioni ideali per la creazione di una vera associazione a delinquere. Nel senso buono ovviamente! Le condizioni c’erano tutte e non si può non immaginare di non impiantare qualche filare! Ci piaceva un vino della Cantina Le Terrazze che sta qui vicino. Chaos, a base di Montepulciano, Merlot e Syrah. Volevamo ricrearlo in questi quattro filari che avevamo messi. Siamo andati da Le terrazze a chiedere informazioni.  Quando Andrea, sorridendo, mi racconta di questa cosa, nella mia mente, non chiedetemi per quale motivo, la scena che visualizzo è quella di Totò e Peppino che chiedono al vigile in Piazza del Duomo a Milano, informazioni su la Scala. Due studenti di enologia che vanno presso una delle cantine più blasonate della zona e chiedono come si fa un vino. Meraviglia da lacrime agli occhi. Abbiamo messo dunque gli stessi uvaggi nelle stesse percentuali nei quattro filari. Così da fare le prime prove. Non avevamo la cantina ma una stalla. Raccoglievamo sei o sette quintali di uva. Era bello perché venivano gli amici ad aiutarci. Le barbatelle, i pali di cemento..tutto a mano avevamo messo. Un lavoro enorme. Ma venivano gli amici e facevamo festa. Ridendo e scherzando il vino gli veniva bene. Magari un pò di fortuna o gli studi applicati bene. Di certo la vicinanza al mare con i venti, sempre presenti a mantenere l’uva perfettamente in salute, li ha aiutati un bel pò.  Siamo in Contrada Monte Priori a Potenza Picena (MC), proprio sulle colline che si affacciano sul mare Adriatico (in cinque minuti da qui si è in spiaggia!). Vigne esposte a nord il che vuol dire prenderseli tutti i venti del mare. L’uva non poteva (e può) che essere di grande qualità.  I vini venivano bene. Abbiamo detto: andiamo avanti. Avevo quattro ettari ma su uno ci sono olivi secolari. Essendoci i PSR, i fondi europei, abbiamo detto: facciamo la domanda, se ce la accettano andiamo avanti altrimenti lasciamo perdere tutto e continuiamo a fare i quattro filari. L’hanno accettata e siamo partiti con questa avventura.  I segni del destino sono spesso inequivocabili. Da quando fai una cosa per scherzo a quando ti tocca farla sul serio, il passo può essere lunghissimo o brevissimo. L’accettazione della domanda PSR può sembrare una svolta o rivelarsi una condanna. Una volta vinto il bando infatti occorre preoccuparsi della restante parte dei soldi necessari per iniziare l’avventura. Il 60% della cifra, qualunque essa sia, per due studenti, è sempre troppo Mio papà che non c’è più era quello che credeva in questa avventura. Il 40% l’ha messo la Regione e il 60% papà. Siamo andati avanti grazie a lui. Abbiamo poi fatto l’investimento della cantina. La casa dove vivo adesso aveva una taverna nata per fare le cene con gli amici che si è trasformata in cantina. Mantenendo una parte per le cene con gli amici! Andrea ha questa meravigliosa parlata marchigiana che lo rende schietto e vero. Pronto alla risposta ma pronto anche a vergognarsi quando vorrebbe mordermi la lingua per quello che ha detto. Anche se non dice mai nulla di fuori posto. Il sorriso sornione e spontaneo. Il cuore che gli si apre quando parla di Nicolò e della sua famiglia. Anche le difficoltà sono motivo di allegria.  La passione che condivide con Nicolò, riempiva i momenti di allegria con gli amici. Però poi, quando la famiglia cresce, di tempo ce ne è sempre meno. Tre figlie, un lavoro che deve comunque esserci perché la vigna non basta (Andrea insieme alla sorella Giulia hanno continuato l’attività del padre alla stazione di servizio), lasciano poco, davvero poco spazio al vino. Eppure continua. Anzi, continuano. Perché non si fa un rimontaggio se non lo si fa insieme.  All’inizio abbiamo messo la Ribona. Un vitigno dannato. Tutti ci scoraggiavano perché considerato un vino di serie B. Nessuno riusciva a fare un vino buono. Io ho la testa dura ma l’ho voluta mettere per una questione di principio. I primi anni ci ha scoraggiato. Ci mettevamo tutto il nostro impegno ma il vino non veniva bene. Lo sconforto era arrivato. Nel frattempo ci siamo laureati e abbiamo fatto esperienze all’estero e nelle cantine della zona. Da li la qualità è aumentato. La Ribona dal quarto quinto anno in poi ha fatto anche un cambiamento pazzesco. Sangiovese e Montepulciano già dal terzo anno sono andate bene.  Dimenticavo la testa dura di Andrea. Tipico anche questa dei marchigiani. Ricordo una mia amica, di Macerata, che diceva sempre “dalle e dalle, se piega pure le metalle”. Ecco, Andrea non è da meno. Si erano innamorati di un blend e scelgono di partire con la Ribona. Sapete perché? Perché è complicata e non ci riusciva nessuno. Volevano essere i primi. Ci siamo attrezzati con una cella frigorifera perché abbiamo capito che la Ribona ha necessità di essere conservata. C’è poco da fa. L’abbiamo adattata perché era il tunnel di ingresso alla cantina e due settimane all’anno diventa cella frigorifera. Non c’abbiamo più una lira dunque adattiamo. Con il freddo e un pò di studio in più i due buontemponi iniziano a fare la Ribona con criterio arrivando a prendere nel 2020 un premio con Berebene Gambero Rosso. Poi anche con il Rosato Aganita.  Da li abbiamo iniziato a vedere qualche soldino. Importante per pagare i mutui. Fino li avevamo solo messo soldi.  Insomma, nel 2005 impiantati i primi quattro filari. Dieci anni dopo nel 2015 le prime vendemmie serie. Nel 2020 finalmente qualcosa di buono.  Nelle zone nostre sono tutti vecchio stile. Conti qualcosa se vinci qualche premio. I rossi già dal 2018 li facevamo interessanti. La Ribona si è fatta attendere al 2020. Il rosato lo abbiamo fatto per scherzo.  Quando il cuore di un papà è grande e soprattutto tenero, lo si vede da tante piccole cose.  Il primo rosso si chiama Adele come la mia bimba. Nascevano insieme nel 2017. Il mosto era quasi vino, gli ultimi travasi. Stava per nascere mia figlia e ho dovuto per forza chiamare il vino come lei. Poi sono arrivate altre due bimbe, gemelle, e dovevo per forza dedicare qualcosa anche a loro. Abbiamo pensato a questo rosato e non pensavamo che il rosato venisse bene in queste zone. Qui non c’è la cultura del rosato. Non se ne parlava. Lo abbiamo fatto con criterio in blend tra Montepulciano e Sangiovese. Lavorazione a freddo, riduzione estrema. Facilità di beva, freschezza. Il Gambero Rosso ce lo ha premiato subito. Inaspettato. Ci ha fatto pensare che stavamo andando nella direzione giusta. Adesso sono conosciuto in questa zona soprattutto per il rosato. Si chiama Aganita come le mie bimbe Agata e Anita. Il panorama che si gode da qui è bellissimo. C’è una atmosfera magica e nell’aria quella spensieratezza di due ragazzi che hanno messo in un progetto i loro anni più belli. Una quercia grandissima domina i vigneti e non può che essere questo il luogo ideale per le degustazioni guidate da Giulia.  Il Rosato lo vendiamo tutte qui. Delle 7000 bottiglie prodotte, 4000 ne vendiamo qui. Una manna dal cielo che non pensavo mai. Siamo poveracci ma ci si diverte.  Andrea ha investito tutto in questa avventura. In questo suo sfogo naturale. L’area di servizio, presa in gestione nel 2015 quando il papà è venuto a mancare, è un grande impegno. Anche per la responsabilità dei 12 dipendenti e delle rispettive famiglie. È un lavoro grosso. Non centra nulla con questo. Magari destinato a morire perché la figura del gestore è destinata a morire. Questo che è il piano B diventerà magari il piano A. Nicolò sembra defilato in questa storia. Lui che dopo gli studi inizia a fare consulenze in zona come enologo per poi approdare ad una azienda che produce prodotti enologici. Lui che lavora in cantina e non ha grande voglia di emergere. Non gli interessa se l’azienda porta il nome dell’amico. È un amico. È suo il papà grazie al quale ha guadagnato qualcosa durante gli studi. Colui che ha creduto in questa avventura mettendo anche gran parte dei soldi. C’è tanta riconoscenza che però da sola non può minimamente spiegare la profonda amicizia che lega Nicolò ad Andrea ed Andrea a Nicolò.  Nicolò mi ha sempre dato una grossissima mano. In etichetta gli ho dato la nomina di enologo. Il patto è che si fa tutto a metà. Una regola non scritta ma che vale più di mille notai. Se devo fare un travaso aspetto Nicolò. È nata cosi e sarà cosi. Anche le lavorazioni in vigna. È un legame forte che non finisce. Le cose si fanno insieme e se può solo uno non si fa. È un modo per stare insieme. All’università eravamo festaioli. Eravamo un pò cosi. Siamo completamente cambiati perché quando si tratta di vendemmiare siamo seri estremi. Pignoli. Chi vendemmia con noi ci dice “siete sempre voi”?. Ci teniamo. Non dobbiamo sbagliare nulla. Eravamo conosciuti per quelli “tanto è uguale” mentre siamo diventati due estremi.  Dai 3.5 ettari vitati i due ragazzacci producono quattro vini. Tre di questi portano il nome di qualcuno della famiglia Giorgetti. Adele è il blend di Montepulciano e Sangiovese al 50%. Solo acciaio per un vino da tutto pasto. Fresco e generoso. Per nulla impegnativo e adatto ad essere bevuto sotto la quercia nelle serate di primavera. Quando ancora non fa troppo caldo. Aganita è il rosato da Sangiovese (90%) e Montepulciano. Un rosato che non ti aspetti perché dotato di una vena balsamica forse fornita dal tanto iodio che arriva dal mare. Ma è fresco di frutta fresca, delicato ed elegante. Poi c’è Sante. Papà Sante.  Per ringraziare il mio papà. Il rosso di maggior pregio che fa un passaggio in legno di rovere.  Tonneau e barrique di due tostature diverse. Ci siamo concentrati parecchio: selezioniamo le uve, lo facciamo solo in annate particolari e non ci deve essere un solo chicco rovinato. È un rosso che come dico a tutti lo facciamo perché ha una storia e un valore affettivo. È un rosso che però in queste zone si beve poco. Siamo conosciuti per la freschezza e la bevibilità mentre Sante è da meditazione. Anche io bevo raramente. È interessante assaggiarlo durante il percorso che fa in bottiglia.  Infine il Ribona Flosis che prende il nome dal fiume che scorre qui vicino e che in epoca romana si chiamava cosi. Da qualche carta geografica trovata in comune, il fiume scorreva quasi qui sotto la cantina nostra. Con i millenni magari ha contributo a creare i terreni. Facciamo le fermentazioni lunghissime. Le temperature controllate allo spasimo. Il grosso lo facciamo in campo e in fermentazione. Poi non facciamo più niente. Abbiamo capito che in bottiglie evolve tantissimo. Pensiamo di darlo alle guide l’anno successivo.  Un vino il Ribona, recensito sul mio blog Instagram, che stupisce davvero. I sentori sono di frutta fresca a pasta bianca accompagnato da note erbacee. Ananas, acacia e un leggero iodio. Fieno tagliato e frutti tropicali si rincorrono. Quando pensi di averlo capito ti stupisce con le note sgrumate e una nota idrocarburo. Sorso secco e con una bella avvolgenza che non stucca ma arricchisce il sorso. Sembra che sia morbido ma poi scende giù con una verticalità meravigliosa!Un bel retrogusto di limone delicato che pulisce in maniera egregia la bocca.Persistenza non lunga e bellissimo bilanciamento che invita a berlo e berlo. Semplice e genuino. Schietto e vivo. Convincente ma tanto. Un bellissimo lavoro dei due ragazzacci! Due amici che fanno vivere la loro amicizia nel modo più alto e puro. Non serve neanche parlarsi alle volte. Non serve una società con quote e notai. Forse il vino buono viene anche da questo.  Io copro gli errori suoi e lui fa cosi con me. Magari litighiamo ma in maniera dolce. Alla fine ammettiamo chi ha ragione. È bellissimo e importantissimo. Tutto davvero molto bello. Pensare al futuro sembra un obbligo ma nemmeno ci pensano. Forse per non rovinare tutto. Guardare al presente con la speranza di arrivare a guadagnare di più. Monetizzare diventa importante anche se non prioritario. Espandersi diventa complicato. L’essere vicini al mare è un vantaggio certo ma anche un problema. Chi ha terra non la venderà mai.Il vino ce lo finiamo subito. A natale l’ho finito. Non vogliamo acquistare l’uva. Il futuro, a meno che non cambia qualcosa che ci piacerebbe continuare così magari guadagnando qualcosa in più. Non ci possiamo allargare. Ci piace il discorso che ognuno ha lavoro suo e questo lo facciamo insieme.  I due ragazzi del borgo, cresciuti troppo in fretta come dice De Gregori non hanno bisogno di altro se non continuare la loro amicizia. E la loro avventura.  In mente la voglia di guadagnarsi un riconoscimento come i Tre bicchieri del Gambero Rosso. Un pò perché, come dice Andrea, in queste zone se non hai un premio non ti si fila nessuno; un pò perché, secondo il mio parere, avrebbero bisogno di sentirsi dire che sono bravi. Che ce l’hanno fatta. Una pacca sulla spalla. Mi viene in mente papà Sante che ha tanto creduto in loro e nel loro progetto. Magari sarebbe bastata la sua approvazione. Il migliore dei premi possibili.    Ivan Vellucci ivan.vellucci@winetalesmagazine.com Mi trovi su Instagram come @ivan_1969
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18 Aprile, 2024

Viticoltori Montespertoli, una rigenerazione toscana

IL COSA E IL DOVE Lo scorso 6 Aprile, i “ragazzacci” di VINARIO4 hanno colpito ancora! Stavolta sono riusciti a portare a Roma un pezzo di quell’altra Toscana di cui troppo spesso ci dimentichiamo. Sto parlando di quell’Associazione VITICOLTORI MONTESPERTOLI che hanno ospitato nello SPAZIO FAREdel MERCATO CENTRALE. Se la provocazione serve ad accendere i riflettori su Territori che ancora non si “vogliono” conoscere allora: “VIVA LA REVOLUCIÓN”! Quella di Montespertoli e dei suoi Viticoltori è una lotta senza quartiere. Atleti in una competizione che si chiama “VINO”, si battono per dare dignità a un Territorio che ancora non ne ha avuta abbastanza. Quel Montespertoli che era per me come uno scioglilingua mentre mandavo a memoria le 7 sottozone della DOCG Chianti, è non solo la prima ad essere stata istituita ma anche il fazzoletto di Toscana più vitato (insieme a Montalcino) dell’intera Regione. Un Territorio di colline più dolci rispetto a quelle del Chianti Classico, estremamente variegato in termini pedologici (dalle sabbie del Sud ai conglomerati del Nord passando per le argille della zona centrale), che racconta nel bicchiere un mare antico come farebbero le conchiglie di cui è ricco il sottosuolo se le avvicinaste alle orecchie. 17 i moschettieri dell’Associazione (oggi ce n’erano 10 e io, colpevolmente, non sono riuscito neppure a conoscerli tutti) e Sangiovese il principe cui hanno giurato fedeltà (ma non mancano autoctoni come Pugnitello, Foglia Tonda, Ciliegiolo e gli internazionali), 450ha vitati, 14 Aziende in regime BIO, Territorio vocato ai Rossi ma non dimentico dei Bianchi. 2 anni il prossimo 28 Maggio, l’Associazione si è data una serie di regole che, partendo dalla coltivazione diretta delle uve e dal rispetto della materia prima, passano per pratiche agronomiche sostenibili da attuare con l’intera comunità agricola. Ultima regola? Non sottrarsi mai al confronto e portare il messaggio fuori dai propri confini. GLI ASSAGGI I banchi d’assaggio (presidiati mai come in questa occasione) dai Produttori in prima persona, sono stati preceduti da una masterclass fuori dagli schemi precostituiti. 4 vini presentati alla cieca da Giulio Tinacci (alias MONTALBINO, presidente dell’Associazione) e sottoposti al giudizio dei presenti per cercare corrispondenze tra caratteristiche organolettiche Territori. Cosa ne è venuto fuori? Fatte salve le didattiche evidenze di quanto sabbie e/o argille influiscano sul risultato finale quello che è saltato agli occhi è una sorta di trait d’union tra tutti i prodotti, quasi che la firma del vignaiolo passi in subordine rispetto all’avallo del Territorio. Una comunione d’intenti dalla vigna al bicchiere assolutamente priva di omologazioni a dimostrare quando sia importante lavorare insieme per il raggiungimento di un risultato comune di alto livello. I vini? Di seguito troverete la mia consueta e personalissima classifica (oltre alla descrizione di tutti gli altri vini) ma, al di là di tutto colpisce la freschezza di tutte le produzioni. Bevibilità ai massimi livelli, vini immediati, dinamici, pronti sin da subito (tanto da sembrare in alcuni casi già evoluti) ma senza tema di affrontare almeno qualche anno di vetro per dare il massimo. LA MASTERCLASS 1. LE FONTI A SAN GIORGIO Azienda a trazione femminile, quella di Piera Giovannelli. 13ha certificati BIO dal 2020 dedicati essenzialmente ai vitigni della tradizione per produzioni attente alla Tradizione ma che strizzano l’occhio al gusto contemporaneo. CHIANTI MONTESPERTOLI DOCG 2022: Sangiovese, Colorino, Pugnitello, cemento e acciaio sono gli ingredienti per questo Chianti di GGiovane, vibrante intensità. Forse troppo timido nel presentare uno spettro olfattivo in realtà di inattesa complessità fatto di ciliegie nere, liquirizia, tabacco, un ché di pellame sapientemente mixati alla sostanziosa presenza agrumata, scala velocemente la classifica della piacevolezza una volta che lo si assaggia. Eccolo dunque riproporre in bocca la sostanza del frutto con ragazzina vivacità, facendo leva su freschezza e sapidità quasi marine e un tannino quasi “dolce” a fare il controcanto. Si becca il mio premio “LEVATEMELO” 2. PODERE GHISONE 60ha di cui 15 vitati quelli di questa Azienda familiare. Vitigni del Territorio con una iniezione di internazionali, rossi in particolare ma senza dimenticare bianchi storici come Trebbiano e Malvasia. CHIANTI MONTESPERTOLI DOCG “BORRO DEGLI OLMI” 2022: al naso si percepisce una certa assonanza con il vino precedente, quella sorta di timidezza iniziale e poi la pienezza del frutto rosso dà la mano alla freschezza floreale, l’asprezza della marasca viene mitigata da un grasso cioccolato mentre un tocco di pepe verde e una nota ematica si occupano della chiusura. Il sorso accompagna l’olfatto sbrogliando un sostanzioso estratto e tannini ancora non ben pettinati tra spezie e mirtilli fino al finale di minerale piccantezza. 2. CASTELLO SONNINO Quasi duecento gli anni di storia (del vino e non solo) che l’Azienda custodisce. Una produzione Territoriale (non dimentica dei vitigni internazionali) che mixa tradizione e innovazione con risultati di grande personalità. CHIANTI MONTESPERTOLI DOCG “SONNINO” 2022: forse il più complesso della batteria. Un olfatto che dei rovi lascia percepire, oltre ai frutti, anche le spine prima di far spazio all’aspra amarena e sorprenderci con un ché di anguria. La gentile delicatezza della viola e la più maschia liquirizia ci traghettano poi verso un finale che propone un intero corredo di erbe aromatiche. In bocca dimostra calore ma non riesce a contenere l’irruenza monella di una vena fresco-sapida che fa leva anche sull’iniezione di Trebbiano per solleticarci le gengive con le sottili piccantezze tannico/pepate. Chiude lungo quanto deve lasciandoci in fondo al calice un ricordo di contadina rusticità. Bellobello. 4. FATTORIA LA LECCIA 20ha trazione femminile con un oggi targato 2013. Biologica dal 2019, basa la propria produzione su vitigni del Territorio ma non dimentica internazionali come Merlot e Syrah. CHIANTI MONTESPERTOLI DOCG SUPERIORE 2022: praticamente tutto Sangiovese con un quid di Trebbiano ad instillare ulteriore freschezza in un vino pronto ed equilibrato come il Territorio di Montespertoli vuole. Prugna, marasca, lamponi, sottigliezze speziate di chiodi di garofano e ben più dell’atteso in termini di mazzo di rose. Sorso molto coerente, frescofresco e ben sapido che cela nel fondo del bicchiere un ricordo contadino che lo accomuna per un attimo al vino precedente. LA TOP FIVE TENUTA COELI AULA Dalla metà del Secolo scorso sono quattro le generazioni della Famiglia Barni che si sono succedute alla guida dell’Azienda. Certificata BIO pone grande attenzione alla cura dei vigneti e alla salvaguardia del Territorio producendo vini che mixano con sapienza Tradizione ed evoluzione. TOSCANA IGT CILIEGIOLO “CERASUS” 2022: nato con idee di legno e sostanza trova in questa “quasi” nuova release la sua più didattica espressione. Già al naso dimostra il suo essere legato a filo doppio con il Sangiovese proponendosi con quel frutto pieno (qui, guardacaso, ciliegia in testa) senza dimenticarsi delle note vegetali che qui ricordano boschi e foglie di pomodoro. Seguono i toni floreali della viola e quelli balsamici della liquirizia e del rabarbaro ed un ché di ematico. Ottimo l’equilibrio in bocca per un sorso ricco e gustoso supportato da tannini presenti ma educati e da una progressione sapida che culmina in un finale decisamente saporito. Una bevuta a 360° da provare ascoltando “SEXY BOY” degli AIR. TENUTA BARBADORO 36 gli ettari coltivati a vigneto da questa Azienda. Questione di famiglia sin dal 1860 e certificata BIO dal 2007, parte da minime pratiche agronomiche e di cantina per produrre vini di eccellenza spostando costantemente più in alto l’asticella della Qualità. TOSCANA IGT ROSSO BIOLOGICO “IO TESTONE” 2022: mentre si becca subito il mio premio “PADRETERNO” per l’irriverenza tutta toscana del proprio nome di fantasia mi cedono le gambe e mi scappa un italianissimo “UAUUU”. Niente solfiti e una dimostrazione di pulizia da indicare ad esempio per molti di quei produttori che si avventurano sull’insidiosa ed affilata cresta che separa il versante dell’eccellenza dal baratro del difetto. Cresta che ‘sto rosso toscanaccio percorre con la sicurezza dell’alpinista esperto e l’eleganza di un Philippe Petit a spasso tra le Torri Gemelle. Attento, educato, mai un’esitazione nella sua prepotenza fruttata e nessuna vergogna nel proporsi con rustica, contadina eleganza. Sorso che dimostra alcuna esitazione, succoso, trascinante, financo traditore (occhio a quei 14° alcolici che possono giocare brutti scherzi alle gambe), coerente in corpo e spirito con l’olfatto e che sottolinea una macchia mediterranea neppure immaginata in precedenza. SORPRENDENTISSIMO! Da bere ascoltando “B-SIDE” dei KHRUANGBIN & LEON BRIDGES. PODERE DELL’ANSELMO Una storia lunga quasi due secoli con un oggi trentennale. Grande attenzione ai vitigni del Territorio (anche quelli meno noti) con una piccola digressione internazionale. Una produzione attenta all’ambiente e alla Tradizione senza dimenticarsi mai di guardare avanti. CHIANTI MONTESPERTOLI DOCG “INGANNAMATTI” RISERVA 2018: se il piccolo frutto rosso/nero vuole distrarVi siate forti! Andate oltre. Troverete un Mediterraneo di bacche di macchia, di pietre arroventate dal sole, di tabacco rollato contemplando l’orizzonte e un contorno gentile di viole e spezie. Sorso di traviante, carezzevole, malia, che esalta il cioccolato puntando su una sapidità quasi marina. Di questo ne leggerete ancora, perché si e perché bisognerebbe essere matti per non cadere nel suo tranello. Da bere ascoltando “MAD MAN MOON” dei GENESIS. TOSCANA IGT ROSSO “ERA ORA” 2018: legno di tutte le dimensioni per questo Sangiovese che propone confettura di more ma sorprende per quell’atmosfera da sagrestia tutta incenso e canfora per i paramenti prima di lasciarsi andare alla gentilezza delle viole e a una presa di tabacco dalla sacca di cuoio. In bocca accarezza e riempie con una sostanza materica di cui anche i tannini vogliono far parte. Sostanzialmente equilibrato, spinge sulle dolcezze speziate facendo leva sulla balsamicità e su una atmosfera ferrosa che sa cielo da temporale per rimettere le cose in paro. Da bere ascoltando “GOD’S AWAY ON BUSINESS” di TOM WAITS. FATTORIA LA GIGLIOLA 60 gli ettari vitati e il Sangiovese sul gradino più alto del podio senza dimenticarsi dei vitigni internazionali e di quelli a bacca bianca. VINSANTO “LO STOIATO” 2007: un “occhio di pernice” messo lì, a farmi l’agguato giusto prima che corressi via in tempo perché la carrozza (vabbè, la metropolitana) non si trasformasse nuovamente in zucca. Ed eccomi dunque cadere sotto i colpi di un olfatto carico di affascinanti contrasti. La noce e il miele, il fico secco e la nocciola ancora non matura, gli agrumi della pasticceria delle feste, la noce moscata, l’anice e una potente nota di camino spento. Il sorso è di masticabile sostanza, fresco ma soprattutto salato di profondità da natural burella e con un allungo cui si fatica a star dietro. Disarmante. Da bere ascoltando “THE END” dei DOORS. I QUASIQUASI TOSCANA IGT BIANCO “I’VE” 2022 (TENUTA COELI AULA): insolito accostamento di Chardonnay, Sauvignon e Pinot Bianco con il secondo a comandare con delicatezza un procedere olfattivo di sottili freschezze di sambuco e soffi di salvia cui si accostano nespole e florealità di campo. In bocca comanda, manco a dirlo, lo Chardonnay, con quelle sue grassezze che la carezza del legno amplifica vieppiù. Bel connubio di freschezza e sostanza che il Pinot Bianco incravatta di eleganza rendendo quasi naturale il paragone con un Collio distante fisicamente ma non in spirito. Davvero una bella sorpresa. CHIANTI MONTESPERTOLI DOCG 2022 (LE FONTI A SAN GIORGIO): VV. masterclass TOSCANA IGT ROSSO “PAX” 2018 (PODERE DELL’ANSELMO): un pamphlet di dolcezze boschive che rimanda a fragoline e more mature, dolci le spezie, dolce la cioccolatosa atmosfera e poi freschezze amaricanti! Ecco dunque la liquirizia, la china, le erbe aromatiche ed un tocco di tabacco mentolato. Sorso concertato con l’olfatto, ampio e sostanzioso, di grande morbidezza ma vivissimo, mai seduto e di lunghezza… “PAX”: definitivo! CHIANTI MONTESPERTOLI DOCG “SONNINO” 2022 (CASTELLO SONNINO): VV. masterclass TOSCANA IGT CANAIOLO 2021 (FATTORIA LA GIGLIOLA): al naso evidenzia, con selvatica rusticità, sfumature vinose, frutti di rovo e fiori di campo, sottobosco, ferrosa mineralità e un quid di chiodi di garofano. Sorso più strutturato di quanto credessi pur nella sua primaverile freschezza, che evidenzia dolcezze semplici di schiaccia proponendole con i modi eleganti di un Pinot Nero. Canaiolo, canaglia! ED ORA Beh, intanto è ora di ringraziare i Tre Moschettieri di VINARIO4 per l’invito e per lo spot che hanno saputo accendere su un Territorio troppo spesso (e colpevolmente) dimenticato anche da quelli che vanno in giro a curiosare ma che in regioni blasonate come la Toscana si fermano sulla superficie delle etichette più gettonate senza grattarne via la polvere per scoprire i tesori che cela. E poi è ora di ringraziare i Produttori che m’hanno sopportato e scusarmi con quanti non sono riuscito a conoscere (ma ci saranno altre occasioni). Bella esperienza davvero, spero la ripetano presto (qualche nano-denominazione cui rivolgere sguardi più attenti ce l’avrei già in mente). Roberto Alloi VINODENTRO
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17 Aprile, 2024

Taverna, un sogno che si realizza

Partecipare ad alcuni eventi e degustazioni di settore permette sempre di fare delle bellissime scoperte, così è stato per me nel partecipare alla scorsa edizione di Nebbiolo nel Cuore e conoscere, con gran positiva sorpresa, Roberto Taverna e i suoi vini prodotti a Neive, uno dei 4 comuni della zona del Barbaresco DOCG. L’azienda di famiglia è stata fondata negli anni ’30. In quegli anni fu Ludovina Versio ad avviare l’attività nel mondo del vino, inizialmente aiutando il marito nella conduzione dei vigneti, ma negli anni ’50 lui la lasciò inaspettatamente vedova all’età di 30 anni, con la figlia Luciana. Non si risposò mai e con grande dedizione continuò a gestire i vigneti e a produrre vini per 30 anni fino a quando il marito di Luciana, Piero Taverna, ne prese le redini e gestì la tenuta per altri 30 anni. L’azienda è stata tra le prime a imbottigliare vini cru di Barbaresco, come quello “Cascina Slizza”, oggi parte di Gaia-Principe MGA, da un singolo vigneto ancora di proprietà della famiglia, nel 1974 sotto il nome appunto di Vina Versio, vedova del fondatore. Sono ancora presenti alcune bottiglie di quella gloriosa annata. Allora la maggior parte dei viticoltori vendeva l’uva o il vino sfuso, ma Vina riuscì a creare e gestire anche bacino di clienti privati, risultando tra le prime a iniziare a imbottigliare il proprio vino in bottiglie da 0,75 l e a produrre anche vini cru. Per la famiglia la coltivazione dell’uva, la produzione e la vendita del vino sono sempre state un’attività secondaria. Luciana era maestra, Piero lavorava per la Regione. Il loro figlio Roberto, diventato ufficialmente proprietario dell’azienda nel 1998 (menzionato nel logo di Taverna), è un elettricista. Ma questo non ha impedito la realizzazione del grande sogno di produrre vini di altissima qualità. Quando è arrivato il turno di Roberto di gestire la vinificazione, ha deciso di portare l’azienda ad un nuovo livello. Nel 2016 infatti richiede la licenza ufficiale di imbottigliatore e produce il suo primo Barbaresco. Nel 2019, diventata evidente la necessità di ampliare la produzione, si concretizza la partnership con Bisso, critico enologico ed enologo “locale” di fama internazionale. Piero aiuta ancora nei vigneti (quasi a tempo pieno) e si prende cura dei clienti privati. Nonna Vina è stata testimone delle prime 5 vendemmie della nuova era prima che arrivasse il suo momento, nell’agosto 2021, a quasi 98 anni. Diceva:  “A volte preferirei vedere o capire meno, ci sono molte cose che mi rendono nervosa nel mondo moderno”, ma ogni tanto chiedeva campioni di vasca e dava consigli. A pranzo o a cena Nonna Vina beveva solo Nebbiolo invecchiato, che lei o Piero avevano prodotto: “A questa età non voglio bere un vino meno importante, me lo sono meritato”. Diverse sono le referenze ma vorrei soffermarmi su due vini che mi hanno colpito particolarmente: Langhe DOC Chardonnay Vigna Gaia-Principe: Gaia-Principe è un cru importante del comune di Neive. La vigna, situata nella sottozona Slizza è una proprietà storica della famiglia Versio / Taverna, estesa per 0,2 ettari, una piccola parte accanto alla più vecchia vigna di Nebbiolo. Il sesto d’impianto non è della tradizione locale: due viti sono piantate accanto una all’altra e potate a Guyot lungo. La distanza fra le “copie” è di 2 metri. Un vino davvero importante, con la combinazione di metodi di produzione francesi e californiani, moltiplicata per la qualità dell’uva di questo cru, pensata per dare un vino di una grande profondità con potenziale d’invecchiamento. Dopo la raccolta l’uva viene pigiata, diraspata e poi pressata. Per pulire il mosto dai residui e particelle varie viene usato un flottatore, un metodo veloce e green. La fermentazione si svolge in tonneau usato di rovere francese senza controllo della temperatura mentre l’affinamento avviene per 14 mesi in tonneau nuovi da 5 hl di rovere francese, su feccia fine. Vino di grandissima eleganza, struttura ma anche piacevolezza. Barbaresco DOC Cottà Senteùndes: Cottà è un cru del comune di Neive. La vigna di dove proviene questo vino è la più piccola e la più giovane fra tutti i nostri Nebbioli. La sua peculiarità è che è piantata esclusivamente con Nebbiolo Rosé, che prima era considerato un clone del Nebbiolo (CN111) ma poi le analisi genetiche recenti hanno rivelato che si tratta di un “figlio” del Nebbiolo e quindi di una varietà diversa la cui origine genetica è sconosciuta. I vini che produce hanno caratteristiche molto simili al classico Nebbiolo, tuttavia ha anche le sue particolarità come il colore meno carico, come di fatti suggerisce il suo nome, assieme alle intense note floreali al naso. Sent-e-ùndes in piemontese vuol dire «centoundici» ovvero il numero del clone del Nebbiolo da catalogo. Un vino dal corpo leggiadro ma che sa esprimersi con grande carattere ed eleganza. Una grandissima e interessante scoperta i vini di Taverna, capaci di competere con i blasonati della zona, vini che rappresentano una storia di famiglia e un sogno realizzativo che si concretizza nel modo migliore, con qualità e carattere, da non perdere assolutamente!! Taverna, storia di una vita e di un sogno che si realizza A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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15 Aprile, 2024

Ramas, sorseggiare quiete e lusso sul Lago di Garda

Un paradiso dentro al paradiso. Così può essere definito il resort dove sto per portarvi. È l’hotel 5 stelle luxury  sulla sponda bresciana del Lago di Garda, il Grand Hotel Fasano & Villa Principe di Gardone Riviera, che sta ampliando la propria stagionalità per diventare destinazione da scegliere tutto l’anno. Vanno in questa direzione gli investimenti fatti nell’ultimo biennio, come il restyling della Spa e l’ampliamento delle camere, a cui si aggiunge un’offerta gastronomica sorprendente, testimoniata dalla recente Stella Michelin di Maurizio Bufi, Chef del Ristorante Il Fagiano. Le meraviglie del Grand Hotel Fasano non possono finire qui. Il bar manager Rama Redzepi, in occasione dei 10 anni di collaborazione con la struttura, mette il proprio sigillo su un nuovo progetto, dando il nome a quella che era la Gin Lounge. Nasce così Ramas, uno speciale cocktail bar che inizia l’attività con una speciale selezione chiamata The Way of Dragon, dedicata all’Anno del Drago del Capodanno Cinese. Il richiamo, in continuità con The Way of Tea del 2023, è sempre quello orientale, oggi declinato in sette cocktail ispirati ad altrettanti draghi della mitologia cinese come, Hēilóng 黑龙, drago nero d’indole feroce, viene rappresentato con una grappa EVO infusa con “Happy Chai”, dry orange curaçao, succo di limone, sciroppo di cookie, ginger beer, un infuso speziato con curcuma, zenzero, cardamomo, grué di cacao e honey bush, un tè rosso molto simile al rooibos. Altra novità della carta è la sezione Sensations, composta da cinque nuovi cocktail capaci di suscitare un turbine di emozioni in chi li assaggia. Ricordi nel tempo, ad esempio, è un tributo al clima mediterraneo del Lago di Garda, dove nascono e vegetano gli ulivi. Nel bicchiere, l’O de V Gin white, un gin a base vino con sentori di vaniglia e mango, viene accostato ai sapori del latte di mandorla infuso con un tè nero ai frutti rossi e completato con un oleosaccharum di bergamotto, olio di oliva e succo di limone. Pronti a lasciarvi trasportare in questo ed altri viaggi? Rama Redzepi vi aspetta al Grand Hotel Fasano per stupirvi con la sua creatività, riconosciuta a livello internazionale anche da celebri marchi del mondo spirits. Rama si è infatti aggiudicato a marzo al Next Door Guné di Firenze la prima edizione della Graham’s Port Blend Series Cocktail Competition. Tra i 55 partecipanti provenienti da tutta Italia, a conquistare il primo premio è stata la sua ricetta Total Branco, con protagonista il Porto Graham Blend Series N.5. unito ad un amalgama fresco e fruttato di note agrumate. Adele Gorni Silvestrini Mi trovi su Instagram @adelegornisilvestrini Passi in Cantina  
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13 Aprile, 2024

Vino e Donne: Avventure Alsaziane!

Alla conquista dell’Alsazia con le donne del vino. L’Alsazia, terra di vini rinomati e paesaggi mozzafiato, è stata la cornice del mio primo viaggio con l’Associazione Nazionale Donne del Vino. Quest’esperienza ha unito passione, conoscenza e quella sensibilità distintiva che spesso caratterizza le donne nel mondo del vino.
L’anno scorso sono entrata a far parte di questa associazione in cui credo molto. Le Donne del Vino Italiane sono un gruppo dinamico e influente che riunisce le menti più brillanti e talentuose del settore enologico, dalla produzione alla vendita, alla comunicazione del vino. Questa associazione gode di un’ottima reputazione sia in Italia che all’estero e non solo celebra il vino, ma anche il ruolo fondamentale che le donne possono esprimere in questo settore. Le Donne del Vino: Passione e Condivisione È molto più di un’associazione: è un movimento che mira a diffondere la cultura e la conoscenza del vino attraverso la formazione e la valorizzazione del ruolo della donna imprenditrice nel settore vitivinicolo ed enoturistico. Gli obiettivi sono ambiziosi e strettamente legati all’aspetto professionale, in particolare mirano alla promozione di un consumo responsabile, alla crescita della cultura del vino e la valorizzazione del ruolo delle donne nella società e nel lavoro. Inoltre collegare le Donne del Vino tra loro favorendo iniziative condivise, la formazione e i viaggi di istruzione, portare la voce delle Donne del Vino alle istituzioni e alle organizzazioni del vino italiane ed estere.   Un’avventura con le protagoniste del vino Questa associazione, la più grande e attiva nel settore enologico femminile a livello mondiale, ha gettato le basi per molte altre organizzazioni di donne impegnate in diversi ambiti economici, dimostrando che l’inclusione di tutta la filiera, dalla produzione alla vendita, è la chiave per il successo e l’innovazione.
E così quando si è presentata l’opportunità di visitare, non solo da un punto di vista enologico, un paese come l’Alsazia mi sono lanciata. La Strada dei Vini Ho così scoperto La Strada dei Vini, un percorso incantevole che si snoda attraverso panorami mozzafiato, caratterizzati da vigneti a perdita d’occhio e punteggiati da castelli maestosi e pittoreschi villaggi dalle case a graticcio. Conosciuta un tempo come “Strada del vino”, con i suoi 170 km che si snodano da nord a sud, ci regala paesaggi che sembrano usciti da una fiaba. Inaugurata il 30 maggio 1953, La Strada del Vino dell’Alsazia è la più antica in Francia e si snoda ai piedi del massiccio dei Vosgi. Lungo tutto il tragitto, seguendo i sentieri viticoli segnalati, i viaggiatori possono esplorare numerose cantine e realtà vinicole, che rappresentano indubbiamente una delle principali ricchezze della regione. Esperienze straordinarie tra i vigneti dell’Alsazia Il viaggio tra i vigneti dell’Alsazia è stata un’esperienza indimenticabile, che mi ha permesso di comprendere territorio, stile e Anima di questi vini molto diversi dai nostri che possono essere considerati la vera essenza di questa terra straordinaria. Con piacere vi invito a seguirmi in un viaggio attraverso l’Alsazia, mentre condivido con voi le ragioni che rendono questo territorio così affascinante e degno di essere scoperto e apprezzato in tutte le sue sfaccettature.
Oltre alle meraviglie enogastronomiche legate al mondo del vino, ci sono alcuni elementi che hanno toccato profondamente la mia sensibilità e che voglio condividere con voi: le affascinanti case dai tetti spioventi, le eleganti cicogne e la suggestiva replica della Statua della Libertà. Questi sono solo alcuni degli elementi che rendono questo territorio così unico! Affascinanti case dai tetti spioventi Le pittoresche case a graticcio che punteggiano i villaggi dell’Alsazia sono tesori architettonici che raccontano storie antiche e incantano con la loro bellezza rustica. Sebbene siano un elemento comune in buona parte dell’Europa centrale, la loro presenza qui aggiunge un tocco di antica bellezza e romanticismo ai borghi e alle città alsaziani. La ragione della loro diffusione è in parte da attribuire alla semplicità dei materiali utilizzati nella loro costruzione: legno, paglia, gesso e malta, tutti facilmente reperibili e poco costosi. Inoltre, la costruzione di queste case richiedeva tempi relativamente brevi, grazie alla disponibilità dei materiali e alla semplicità della tecnica di montaggio. Tuttavia i ricchi preferivano altre tecniche e materiali più prestigiosi, come la pietra, che era un vero status-symbol dell’epoca. Infatti le dimore patrizie spesso erano caratterizzate da torri e altri elementi distintivi che esprimevano ricchezza e prestigio.
Le cicogne, simbolo dell’Alsazia Con i loro modi eleganti e la presenza dei nidi sui campanili delle chiese, sulle case e sulle torri dei villaggi e delle città, aggiungono un tocco di magia e mistero al paesaggio alsaziano.
Ho ammirato con meraviglia gli eleganti voli delle cicogne che solcavano i cieli d’Alsazia, creando una scena incantevole mentre si libravano sopra i prati e tra le vigne. conferendo un fascino unico al paesaggio. È stato un privilegio poter osservare da vicino un animale così raro nel nostro paese, ma così comune e simbolico in questa regione. La cicogna diventava così non solo un elemento caratteristico dell’Alsazia, ma anche un emblema della sua bellezza e della sua ricca biodiversità.   Statua della Libertà: connessione fra due mondi Infine, voglio raccontarvi dell’emozione crescente che provavo quando per raggiungere vigneti e cantine giungevamo all’ingresso settentrionale della città di Colmar e ci si trovava di fronte a una replica imponente della Statua della Libertà. Alta dodici metri e realizzata in resina, questa fedele riproduzione dell’iconica statua di New York è stata eretta nel 2004 per commemorare il centenario della morte di Auguste Bartholdi, l’artista che l’ha creata. Ho interpretato questa presenza come un legame tangibile tra Colmar e New York, due città distanti ma unite da un filo ideale. La statua mi appariva non solo come un simbolo della libertà e dell’illuminazione, ma anche di una connessione speciale tra due luoghi diversi del mondo. Ammirarla era un’esperienza che rapiva l’animo, aggiungendo un tocco di magia alla visita dei vigneti e delle cantine, mentre mi perdevo nei significati profondi che evocava. Ma torniamo al vino! Per comprendere appieno l’importanza dell’enologia in Alsazia è fondamentale esaminare alcuni aspetti chiave della regione, tra cui il suo terroir, la sua storia e le sue denominazioni vinicole. Quindi in questo primo articolo vi spiegherò territorio, clima, vitigni, denominazioni e stili per poi proseguire nei prossimi articoli con il racconto delle aziende visitate e degli assaggi che mi hanno colpito di più. Alsazia e Terroir Dal punto di vista pedologico, l’Alsazia è uno dei territori che vengono considerati di montagna per la produzione di alcuni grandissimi vini. È vero che siamo a una latitudine che non permette un facile allevamento della vite.  Ma è anche vero che le altitudini dei Vigneti vanno dai circa 200 metri di altitudine fino a un massimo di 400 m slm. Quindi non possiamo parlare fino in fondo di viticultura di montagna. Anche perché le caratteristiche climatiche sono molto particolari: inverni estremamente rigidi e freddi; però l’estate e la fine della Primavera tendono ad essere molto calde, a volte addirittura torride.  Quindi abbiamo un clima che per alcuni versi potrebbe anche ricordare il nostro Alto Adige e quindi con dei vini di luce, dei vini generosi, che in alcuni casi maturano una componente alcolica anche abbastanza elevata. Più di 10 varietà di suoli differenti È un territorio ricco e diversificato, caratterizzato da molti suoli differenti e tanti microclimi. lo scostamento delle faglie geologiche ha fatto emergere suoli di tipologia molto differente (sabbiosa, ghiaiosa, marnosa, calcarea, argillosa, granitica o vulcanica, di ardesia e di loess), tanto da essere definita la sorella maggiore della Borgogna. Andiamo dal suolo leggermente più sabbioso,  proprio a ridosso del fiume Reno,  a quelli più calcarei e argillosi nelle aree collinari, fino a una  componente addirittura vulcanica data dai Monti Vosgi, importantissimi perché proteggono dai venti freddi da ovest e da nord, creando un microclima ideale per la coltivazione delle uve. II fiume Reno, invece, fornisce un prezioso apporto di umidità che favorisce lo sviluppo della botrytis cinerea, elemento chiave per la produzione di vini dolci di alta qualità.   Un po’ di storia… Storicamente, l’Alsazia è stata al centro di molte vicende politiche e culturali, passando spesso tra le mani di Francia e Germania nel corso dei secoli. Questo ha influenzato non solo la cultura e le tradizioni della regione, ma anche la produzione vinicola, che riflette una fusione unica di influenze francesi e tedesche. Il territorio dell’Alsazia, con la sua doppia anima francese e tedesca, rappresenta un crocevia di culture e tradizioni che si riflettono anche nella produzione vinicola.
Divisa in due parti, Haut-Rhin e Bas-Rhin, il paese vanta un totale di 15,2 mila ettari dedicati principalmente alla coltivazione delle uve a bacca bianca, con solo l’8% della produzione destinata ai vini rossi, percentuale tuttavia in crescita. Vitigni e denominazioni L’Alsazia è conosciuta per la sua produzione di vini monovarietali, fatti da una singola varietà d’uva, come Riesling, Gewürztraminer, Pinot Gris e Muscat. Questi vini riflettono le caratteristiche distintive del terroir alsaziano e rappresentano alcune delle espressioni più pure e autentiche del territorio. Le tre appellazioni di origine controllata (AOC) dell’Alsazia che rappresentano l’apice della qualità e dell’espressione del terroir alsaziano sono: – Alsace, denominazione riservata ai vini di regola da monovitigno; – Alsace Grand Cru, che portano il nome del vitigno in etichetta; – Crémant d’Alsace, spumante elaborato con il metodo della rifermentazione in bottiglia, prevalentemente da uve Pinot blanc. I Grands Crus alsaziani sono stati definiti negli anni ‘70, a seguito di lunghissime trattative. Oggi sono 51, rappresentano l’espressione dei vari profili di suolo e possono essere elaborati solo da quelli che in Alsazia sono definiti vitigni nobili: Gewürztraminer, Riesling Renano, Muscat d’Alsace e Pinot Gris. La resa dei vini alsaziani grand cru è inoltre inferiore a quello degli altri: 55 ettolitri contro gli 80 dell’appellazione base. Vini dell’Alsazia: una gioia per il palato e il cuore Imbottigliati nella  conosciutissima bottiglia alsaziana con etichette spesso gialle, è impossibile non riconoscere questi vini!
La regione è molto conosciuta per i vini meno secchi. Non di rado, infatti, i produttori vinificano le proprie uve lasciando in bottiglia dei residui di zucchero piuttosto percettibili, rendendo così il vino più morbido e alcolico: sono i cosiddetti vini “moelleux”.
Sul fronte dei vini dolci, invece, l’AOC Alsace e l’AOC Alsace Grand Cru possono includere le tipologie Vendage Tardive, elaborati da uve nobili in sovramaturazione o colpite dalla muffa nobile, e Sélection de Grains Nobles, ottenuti mediante selezione di acini colpiti da botrytis cinerea: sono tipologie dotate di grande complessità e persistenza dovute alla maggiore concentrazione delle sostanze o alla presenza della muffa nobile.
Le Vendange Tardive e le Sélection de Grains Nobles sono gioielli enologici, e rappresentano la quintessenza della dolcezza e della complessità, testimoniando l’eccezionale maestria dei vignaioli alsaziani. Alsazia in tavola Oltre ai vini straordinari, l’Alsazia delizia anche il palato con la sua ricca tradizione gastronomica, influenzata dalla vicina Foresta Nera in Germania.
Ci sono infatti molti piatti e specialità in comune ai due paesi, soprattutto per quanto riguarda le pietanze a base di carne o le famose bretzel, i pani salati a forma di cuore intrecciato.  Piatti come la Choucroute (crauti aromatizzati alle bacche di ginepro che fanno da contorno a salsiccia, pancetta, stinco di maiale o prosciutto), il Bäckeoffe (stufato di carne e verdure)  e il Coq au Riesling (gallo cotto nel vino bianco alsaziano) si sposano armoniosamente con i vini locali, creando esperienze culinarie indimenticabili.     Per oggi mi fermo qui e mi riservo di continuare il mio viaggio con le Donne del Vino la prox settimana raccontandovi delle persone appassionate che ho incontrato e con le quali ho condiviso quest’esperienza di crescita personale, delle aziende e degli assaggi più emozionanti.
Sempre sulla mia rubrica “Le scoperte enoiche di Benny”, sempre su Winetales Magazine. Cin! Benedetta Costanzo
benedetta.costanzo@winetalesmagazine.com
Mi trovi su Instagram come @benedetta.costanzo
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12 Aprile, 2024

Daniele Rota: io sto bene al mondo

C’è chi l’amore lo fa per noia
Chi se lo sceglie per professione
Bocca di rosa né l’uno né l’altro
Lei lo faceva per passione Fabrizio De Andrè così cantava Bocca di Rosa. Non era una prostituta ma una donna alla quale piaceva far l’amore. Per passione. Perché era felice in questo modo. Perché quello era il suo equilibrio. Perché, semplicemente, stava bene al mondo.
La leggerezza nella vita. Il sorriso. Il sapere di essere su questa terra per poco tempo le dava la voglia e la gioia di vivere. Non ambiva a possedere un uomo ma solo a volerlo per il tempo necessario a provare gioia e piacere. Una visione di vita che ai più può sembrare scriteriata. Ai più come alle donne del paese di Sant’Ilario che alla fine E quelle andarono dal commissario
e dissero senza parafrasare
“
Quella schifosa ha già troppi clienti
Più di un consorzio alimentare” Cosa diavolo ora c’entra Bocca di Rosa con il vino?
Quando incontro Daniele Rota, incontro una persona che non solo sembra in pace con se stessa, ma che lo è realmente e riesce a divertirsi con ció che fa. Non che sia una persona poco competente. Al contrario è una delle persone con maggiore esperienza che io abbia mai incontrato nel mondo del vino. Solo che affronta le cose con leggerezza.
Finta leggerezza che cela grande rigorosità. Con se stesso prima, con gli altri poi.
Anche perché l’azienda che gestisce non è che sia propriamente piccolina.
Poco importa. Lui, nella sua casa immersa in undici ettari di vigneto, ci vive da scapolone. Entrando nel suo salone potrebbe risultare finanche un tipo eccentrico. Magari perché non si può fare a meno di notare le moto e il sidecar parcheggiate accanto ai divani. Si avete letto bene: parcheggiate li tra i divani. Vi assicuro che non è per nulla eccentrico. È solo fatto così e fa quello che gli passa per la testa. In questo caso, probabilmente, voleva solo circondarsi delle cose che ama e lo fanno stare bene.
Magnifica leggerezza di una persona che sta bene al mondo. Io ho sempre avuto la passione del vino e di far il vino. A 14 anni volevo fare l’enologo. Ho sempre avuto la possibilità di farlo mentre studiavo così come di scegliermi la strada senza che nessuno mi rompesse le scatole. Il che non ha funzionato benissimo. Perché è poi diventata anche la mia dannazione e malattia. Mio nonno aveva una cantina e si faceva lo sfuso.
Siamo grandi produttori ma mai stati grandi imbottigliatori. Da ragazzino mentre facevo l’università ci ho pure lavorato nella cantina di nonno. Sono stato un grandissimo paraculo. Facile fare l’università e lavorare per quello che studi. Era pesante certo però non studi. Impari. Daniele si esprime in un simpaticissimo e goliardico romagnolo. Non per altro, siamo a Reggio Emilia, più precisamente a Sabbione. Terra di Lambrusco. Terra anzi, terre di grandi produzioni. Perché qui se non hai almeno cento ettari non sei nessuno.
Il nonno di Daniele di ettari ne aveva comprati 300. Direttamente dal Commendator Davoli, un ricco commerciante di ferro degli anni 30. Sua la tenuta insieme alle stalle, alla cantina, al mulino, al caseificio, alle stalle per tori, i maiali si era fatto costruire anche la casa padronale dall’architetto Bottoni, uno dei maggiori interpreti del Razionalismo italiano. Villa Davoli. Che diventa poi il nome della azienda di Daniele. Questa era la sua tenuta. La casa di campagna. Un mezzo latifondo. C’erano 300 persone che lavoravano per lui che non c’era mai. Il nonno di Daniele prima compra 40 ettari della tenuta poi la rileva totalmente pur non essendo ricco di famiglia. Aveva però il fiuto per gli affari.
Siamo nella terra dei motori e lui acquistava in Italia le auto sportive che uscivano di produzione per rivenderle in Sud America con un sicuro guadagno. Ci sapeva fare il nonno! Nonno l’ha comprata tutta nel 74. Poi venne divisa tra i cinque fratelli. Si era sposato con mia nonna che era nobile. I genitori non volevano che si sposasse perché non aveva una lira. Erano dunque scappati…Mio papà era del 48, nonno del 17. Si sono sposati a 21/22 anni. Erano tempi diversi. Non so perché ma ho idea che in famiglia si ridesse un sacco. Gente determinata e ben decisa ma con il sorriso che non poteva mancare. Mai. In Emilia si può essere scanzonati e goliardici, con la voglia di divertirsi e far baldoria e ogni occasione è buona, ma certo mai poco attenti o senza capacità. Perché senza capacità non vai da nessuna parte. Qui maggiormente. Qui dove i volumi sono alti e con questi le responsabilità. Daniele è uno che si diverte e si sa divertire ma non è certo uno sprovveduto. Già da giovane si rende conto e sa che se vuole gestire l’azienda, di strada da fare e cose da imparare ne ha. È per questo, ma anche per divertirsi altrove secondo me, che se ne va in giro per il mondo. Nel 2002 sono andato a lavorare in una cantina in Sicilia che non esiste più. Calatrasi. Facevano prodottini bianchi e rossi molto interessanti. I Catarratti erano molto buoni. Erano venduti in Inghilterra dunque erano molto influenzati dal legno. La cantina aveva una filiale in Puglia dove sono finito due anni dopo. Manduria. Nel frattempo era cambiato proprietà. Poi in Cile dove sono stato sei mesi. Non mi lasciavano mai andare. Mi sono trovato bene io e si sono trovati bene loro. Mi avevano offerto di restare e mannaggia a me che non ci sono restato. Eccolo Daniele. Buontempone, guascone, spaccone. Ma c’è poco da fare. Mi sta simpatico a pelle. Ti guarda, ti sorride e ti dice le cose. Quando pensi che ti stia prendendo in giro, eccolo che ti frega perché ti sta dicendo proprio la verità. Dal Cile mi avevano offerto una cosa in Francia ma non ho avuto cuore di andare ad imparare il francese. Italiani e francesi più di tanto non possono lavorare insieme sullo stesso vino. Allora sono andato a lavorare in Toscana. Anche li non esiste più. Vicino Certaldo. Posto spettacolare.
Nel frattempo spippolavo nella azienda agricola ma non in cantina. L’azienda era gestita da mio papà perché nel frattempo nonno era venuto a mancare. La sua cantina è andata in mano a mio zio che sta trasformando buona parte della cantina in un agriturismo con successo. Vitivinicola Rota è di mio zio. Dalla Toscana Daniele ritorna in Puglia mettendo le mani in pasta nel Primitivo che cominciava a decollare proprio in quel periodo. Poi in Veneto dove lavora per Cielo e Terra. Un salto importante che da solo fa capire quanto Daniele avesse già acquisito, o implementato, il suo bagaglio culturale e di capacità nel mondo vitivinicolo. Cielo e Terra è una azienda grande e con Daniele cresce ancora di più. Quando sono arrivato io erano a 7/8 milioni di bottiglie. 5 erano di vino Freschello che è un prodotto da supermercato e poi 20 milioni di brick. Con questi era davvero dura. Mi sono rotto i coglioni li e sono andato a lavorare per la Contri Spumanti dove ho fatto un bel progetto. Mi hanno dato dieci milioni di euro e gli ho costruito la cantina a Campogalliano: dal pavimento alle prime dieci milioni di bottiglie. Ero il direttore di stabilimento. Per far funzionare un impianto da 18 mila bottiglie ora devi sapere anche dove passano i cavi. Dicevo alla gente cosa fare per farlo funzionare. Sono soddisfazioni. Non sono tante le aziende che fanno cantine ex novo. Loro avevano scelto le macchine per imbottigliare e le ho installate tutte. Sono portato a far funzionare le macchine. Rimpiango gli stipendi. Darsi le arie non è tra le caratteristiche di Daniele. Non è di quelli spacconi che dicono le cose tanto per vantarsi. Lui è uno di quelli che dice la metà di quello che è o ha fatto. Timidezza? Ma no. Ci mancherebbe altro. Riservatezza? Giammai. Parla anzitutto con i fatti e poi, cosa più importante, fa le cose perché gli piace farle. Certo, il tornaconto è importante, ma lui se non si diverte nemmeno si alza la mattina. Finisce le esperienze nell’Oltrepò Pavese prima di decidersi ad occuparsi della sua azienda che, a causa delle varie divisioni ereditarie, era arrivata a contare 36 ettari di terreno con 26 di vigneto. Le uve? Conferite ovviamente. Mica aveva il tempo di stare dietro a qualcosa di diverso lui.
Finire le esperienze e smettere di andare in giro non è propriamente uno smettere di bighellonare come lo è per molti. Per Daniele è quasi un segnale a se stesso per cercare di far qualcosa di diverso, di personale. Nessuna voglia di emergere. Nessuna voglia di fare qualcosa per qualche altro. Per se stesso. Per mettere a frutto ciò che ha imparato. Magari per smettere di conferire le sue uve e fare finalmente una sua bottiglia. La mia azienda intanto andava avanti. Il prodotto lo conferivo in cantina sociale. Era già un miracolo riuscire a fare questo. Bazzicando parecchio il veronese per lavoro, per amicizia e anche per donne, vedevo che c’era la necessità di alcuni prodotti che nessuno si prendeva mai la briga di fare. Non ho mai capito se non volevano farli perché c’era da sbattersi, perché non erano capaci o perché non valesse la pena farli. Il mondo del vino è davvero particolare e variopinto. Trasmissioni come Report hanno avuto il grande merito di portare alla luce dei riflettori (quella che si spegne appena qualcos’altro viene illuminato) ciò che qualcuno fa (o non fa). Il racconto di Daniele è sferzante, vero. Nessuno più di lui sa cosa accade. Lui che conferisce l’uva e non una uva qualsiasi ma l’Ancelotta, generalmente utilizzata come taglio. L’Ancellotta è come un diamante grezzo: è chi taglia il diamante che crea una opera d’arte. Quando tu la tagli con la forma giusta diventa un diamante o un brillante. Ma qui sono abituati a lavorare con il badile. Così ho cominciato a far appassire un pò l’uva. Esperimenti sulle mie spalle. Con il biologico è complicato. Daniele, grazie anche alla sua esperienza, capisce che l’uva che lui e il padre hanno sempre coltivato, potrebbe essere trasformata e gestita in maniera diversa. Vinificarla “normalmente” non avrebbe portato a nulla, ma messa, ad esempio, in appassimento, così come tradizione del veronese, forse forse qualcosa di speciale avrebbe potuto dare. Ho cominciato a far appassire le uve.. Il primo anno nel mio ufficio con il ventilatore. Il secondo anno ne ho fatto 40 quintali. L’anno dopo 100. Questa roba che sembrava una follia, follia non era. Mi ha creato delle uve di qualità. Allora mi sono detto: perché non provo a buttarci sopra un Lambrusco e vediamo cosa viene fuori? Al massimo se va male lo vendo come sfuso.
L’anno prima l’avevo fatto 100 litri con un rosato. Poi l’ho fatto con il Lambrusco. Dopo l’esperienza ho indiziato a venderli in giro. Una volta spiegato ai clienti, questi tornano. Ho fatto dei mercatini e la gente tornava a comprare. Tutti contenti. Un mito Daniele! Capisce cosa ha in mano e capisce che nessuno prima di lui ci aveva ne pensato ne tantomeno provato. La sua è zona di grandi vigneti i cui proprietari preferiscono conferire piuttosto che vinificare. Soldi facili e soprattutto sicuri. Che senso ha vinificare? Già. Ma se sei uno come Daniele, eclettico, dinamica, persino stravagante, di quelli che non se ne stanno stare ferme e che ambisce a far si che la sua azienda rappresenti pur qualcosa di diverso, ecco che la vinificazione assume significato profondamente diverso. Intuizione, conoscenza, spirito di iniziativa. Senza elementi come questo sarebbe stato solo una autocelebrazione. Invece Daniele fa le cose per bene. Con rigorosità. Anche se l’aver messo le uve ad appassire con un ventilatore nel suo ufficio fanno venir fuori il suo carattere. Ho piantato un pò di bianco. La Spergola con un pò di Malvasia. Tipicamente reggiano. Non sono amante del Lambrusco anche se mi piace il Sorbara. Vorrei farne una bollicina ma ci sto studiando. Con l’Ancellotta faccio anche l’aceto. Sia il balsamico sia l’aceto. Per il balsamico di Modena ci vogliono sessanta giorni. Il disciplinare è una fregatura. Perché basta miscelare i prodotto e metterli sessanta giorni in contenitori di legno. Non botti. Contenitori. Anche sui disciplinari Daniele non he ha per nessuno. Parlare con lui vuol dire scoperchiare di tutto e di più magari fornendo altro materiale per le chiacchiere. Forse è meglio tenermelo come bagaglio culturale senza essere troppo espliciti. Anche se sono sicuro che lui lo direbbe pure con il megafono. Travolgente! Tre le etichette che Daniele produce e i cui nomi sembrano usciti da un cartone animato. A pensarci bene, osservando Daniele, anche lui sembra uscito da un cartone animato: grande stazza, viso tondo e sorriso che coinvolge.  Me lo immagino con la sua moto disegnato!
Ti fa simpatia a pelle per poi continuare a volergli bene ogni volta che parla. I tre vini dicevamo: Indelebile, Impossibile, Infinito.
Indelebile (che ho recensito sul mio blog) è prodotto con appassimento dell’Ancellotta. Un vino che ti segna in tutti i sensi. Lo bevi e sai già che la lingua ti si sarà colorata. Sa di scuro. Di profondità, di potenza e vigore. Il passaggio in botte lo rende morbido ma è un inganno. Se non lo bevi non sai cosa ti perdi. Se lo bevi ti coinvolge e ti convince. Ma occhio alla gradazione (15°) perché traditore! Impossibile è il ripasso in salsa reggiana. Stesso procedimento del Ripasso veronese ma sulle vinacce esauste dell’Ancellotta. La follia della follia che però restituisce grande forza. Molto più forte del Ripasso originale e non poteva essere altrimenti. Il passaggio in botte tenta di domarlo e di ingentilirlo. Ma la sua anima resiste. Determinato, pieno, deciso. Folle. Infine Infinito, un vino ancora deciso, stavolta preciso e che si lascia bere come pochi. Sarà per quella sua sapidità in bocca o per il bouquet di frutta fresca a pasta gialla. Da bere e da bere all’infinito. Vini fatti per stare in compagnia. Per accompagnarli con i prodotti tipici del territorio. Quelli grassi e corposi. Quelli che servono per mangiare e mangiare bene. Senza fronzoli. Indelebile si chiama cosi perché il vino è fatto con Ancellotta che colora in maniera indelebile. Lo puoi usare per scrivere con la carta. Impossibile anche se il labirinto è possibile perché non si può fare un ripasso con il Lambrusco. Infinito perché mi piaceva. Piaceva a mia mamma che era malata e in ospedale. “Dammi un nome che suoni bene anche in inglese” le dissi.. Ne ho degli altri in mente. La bollicina si chiamerà Incredibile oppure Sciampo. Perché in gergo è lo Champagne. Non serve aggiungere altro alle parole di Daniele. La scelta dei nomi la dice lunga sul suo modo di pensare. Sul suo credo. Sulla sua vita.
L’allusione al labirinto però va spiegata però. Per comprenderla occorre vedere l’etichetta dell’Impossibile: c’è un labirinto che conduce ad una casa, quella progettata nel ’32 dal grande architetto Bottoni. La scelta voleva essere un simbolo senza essere un simbolo. La capacità di produrre un vino insolito, anomalo, folle. Impossibile uscirne a meno che non si osi, non si sperimenti. La casa, simbolo del Razionalismo con intorno 11 ettari di vigneto, non poteva che essere il giusto sigillo. Eppoi è anche la casa di Daniele. Insieme ad un pazzo grafico che si chiama Rinaldo Maria Chiesa e che abita in una chiesa in toscana (è più fuori di me) abbiamo preso i disegna della casa ed adattarli per le etichette. Da li i nomi dei vini sono venuti in mente a me. La mia azienda si chiama AgriRota però non volevo portare il mio cognome sulle bottiglie perché ci sono i miei parenti che fanno qualcosa ma anche perché doveva essere qualcosa di non personale. Nella mia testa devono rimanere di nicchia. In ogni parola di Daniele emerge sempre la nota goliardica mista a leggerezza tale da ingannare i più ingenui. Daniele ci gioca, si diverte. Lui che è competente e attento capisce chi può prendere in giro, chi no; con chi può confrontarsi, con chi no. La spensieratezza insieme alla goliardia è quella che vuole trasmettere tramite i suoi prodotti. Senza fronzoli, pienamente studiati. Frutto di sperimentazioni e capacità.
Uno dei casi nei quali i vini rappresentano a pieno il produttore.
Spensieratezza? Provate a chiedergli cosa vorrebbe fare tra vent’anni e vi sentirete rispondere Mi vedo in Thailandia a non fare un cazzo. Per poi aggiungere (qui il Daniele vero e concreto) Mi piacerebbe far funzionare la vendita delle bottiglie e non vendere più l’uva sfusa. Sempre che sia la bottiglia la confezione del futuro. Sto lavorando come consulente sul vino senza alcol. Mi piacerebbe trovare una alternativa più ecologica delle bottiglie. Ho fatto uno studio sulle lattine.
Iniziamo una discussione sui tappi e dimostra tutta la sua conoscenza. Daniele miscela le sue personalità con l’amore e la passione per questo mondo; la sua vita e il suo essere. Prendere o lasciare. Non ci sono mezze misure. Non si fanno prigionieri. La sua vita è fatta di concretezze e frivolezze. Devono convivere e se non convivessero ci penserebbe lui a far si che accada. Scegliere? Perché mai. Se voi voleste scegliere, diventerebbe solo affar vostro. Non suo. Sarà sempre e solo nelle vostre mani. Lui, Daniele è e rimane una di quelle, poche persone, che può permettersi di dire, senza fronzoli e senza tentennamenti: io sto bene al mondo!       Ivan Vellucci ivan.vellucci@winetalesmagazine.com Mi trovi su Instagram come @ivan_1969
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