21 Giu 2024
Suggestioni di Vino

Ca’ Moranda. Serena, la forza di un sorriso

E niente, c’è poco da fare. Quando mi trovo ad incontrare donne che lavorano in questo settore non posso che constatare la marcia in più che hanno. Sarà che nel mondo contadino le donne hanno sempre avuto un ruolo marginale, di secondo piano rispetto all’uomo anche se comunque sempre attive in azienda. Non è un senso di riscatto quello che vedo. Non c’è voglia di rivalsa, di prendersi una rivincita, di far veder che si è in grado. Nulla di tutto questo. C’è solo la possibilità di guidare l’azienda che fu del nonno prima, e del padre poi. Nella serenità più totale. Con il papà super contento nel vedere la figlia competente e felice.

Serena Montalto felice lo è anche lei tanto che dialogare è piacevolissimo per via di quel sorriso, vero e caldo, sempre presente. È felice. È felice così. Per la scelta di aver preso le redini dell’azienda. Prese senza lottare ma con quella decisione e fermezza che, agli occhi di un genitore, non può che voler dire: è pronta!

I miei nonni E i miei bisnonni lavoravano nelle vigne. Come tutti nelle Langhe. L’azienda è sempre esistita. Vendevano l’uva e il vino sfuso. Da quando sono entrata io nel 2018 abbiamo iniziato ad imbottigliare.

Siamo a Neviglie. Un paesino ad un quarto d’ora da Alba, un pò a margine delle Langhe, quelle dei grandi Barolo, delle vigne costosissime. Il vero Piemonte è questo però. Quello delle cascine dove ogni famiglia contadina vive e lavora la terra. Il Piemonte delle tradizioni che predilige cibo buono e vino schietto, genuino. Si comprava sfuso con le damigiane d riempiere dai carretti in piazza Savona ad Alba o direttamente in cantina. L’uva un tempo la si coltivava non per produrre le bottiglie che tanto non comprava nessuno perché i soldi erano pochi. La si coltivava per venderla al pari delle altre colture. Al massimo la si conferiva alla Cantina Sociale e quel che rimaneva, visto che ne rimaneva tanta visto l’abbondanza produzione, via nei fiaschi!

Le vigne sono un pò a Neviglie e un po’ a Neive. Per un totale di 10 ettari. Sono le due cascine di mia mamma e di mio padre messe assieme.

Non che fosse stato un matrimonio combinato quello di papà Dino e mamma Anna. Però capitava che ci si conosceva tra contadini. In fondo, i due paesi, dunque le due cascine erano distanti poco meno di sei km.
Anna e Dino. Sono loro che si occupano della cascina di Dino a Neviglie, unico dei sette fratelli a voler rimanere a lavorare la terra. Si occupano anche della cascina di Anna a Neive quando il papà non ce la fa più a portare avanti il lavoro. È proprio quando viene a mancare che occorre decidere cosa fare della cascina e delle terre.

Mio nonno di Neive è mancato e si dovette decidere cosa fare della cascina. Prenderla noi, dividerla a metà con la sorella di mia madre. Venderla. Abbiamo preso tutto noi e visto che a Neive si può fare il Barbaresco mentre a Neviglie no, abbiamo fatto il barbaresco. Con la regione Piemonte abbiamo avuto degli incentivi per i giovani in azienda.

Serena ha 32 anni. Quando ne ha 26 e una laurea in Economia e Commercio, magari qualche sogno nel cassetto, decide di prendere lei in mano l’azienda.
Le donne sono meravigliosamente così. Sanno di essere pronte o forse sono nate pronte. Magari se ne stanno in disparte per cultura o per rispetto. Quando però c’è da farsi avanti, sono dei treni che iniziano la corsa. Non si fermano, non hanno paura, non tentennano. Serena è così. A 26 anni non vuole perdere l’occasione di gestire lei l’azienda di famiglia. Giù senza paura.

Quando uno nasce in questo mondo non è che torna. C’è sempre dentro. è stata solo una cosa di fermarmi a casa e dire che dovevo stare qui. Ho deciso io perché a me piace questo mondo. Ho detto io che volevo gestire. L’ho detto alla mamma perché figlia unica e le terre erano sue o potevano diventare sue.

Serena è una di quelle persone, di quelle donne che ti fregano sorridendo. In senso buono eh!
Quello che voglio dire è che Serena sa il fatto suo. È tosta, sa prendere le decisioni, è determinata, precisa, puntigliosa. Ma ti dice le cose con il sorriso. Ecco perché ti frega. Ovvero ci sa fare e ci sa fare bene.
Il suo ingresso in azienda vuol dire mettere in piedi tante cose. Una dietro l’altra con una determinazione e una programmazione da far invidia ad una grande azienda.
Anzitutto la sovvenzione da parte della Regione. Serena si studia tutto e oltre a prendere i finanziamenti che usa per creare la sala degustazioni, si mette in graduatoria per trasformare la vigna di Chardonnay in Alta Langa. Con il Nebbiolo di Neive, inizia a realizzare il Barbaresco comprando botti, pigiatrice. Coibenta la cantina. Crea le etichette per i vini. Rimette a posto tutte le vigne convertendo le in biologico. Mica poco!

In cantina ancora non siamo biologici perché dobbiamo fare tante scartoffie e sono sola. Con mio padre qualcosa è cambiato ma con me è cambiato proprio tutto. Lo sfuso ok ma con le bottiglie è diverso. Già devi studiare le etichette in un mondo dove ce ne sono migliaia. Ovviamente tiri fuori la tua storia con l’apostrofo, la foto di famiglia con mio nonno e mio zio che con il carretto attraversano le vigne negli anni 50. Tutte le bottiglie hanno un nome o di fantasia o della nostra storia. Il dolcetto Ottavio è dedicato a mio nonno che piantò le vigne. Sono nata nei filari, mi piace il vino. Sono contenta

Le etichette sono davvero belle con l’accento sulla a di “Ca Moranda” si prende la scena contenendo comunque al suo interno la storia. Un accento che magari sta a porre l’attenzione su di lei. Un rafforzamento della propria presenza comunque legata ad una identità, una storia.
Quando le chiedo come mai non abbia studiato agraria o enologia la sua è una risposta che sembra scontata ma non l’ho è affatto. È però lo specchio dei tempi. Di una generazione che forse rifiutava il lavoro dei genitori, la terra, la fatica, le delusioni. Che mirava a qualcos’altro non sapendo che ciò che ti lega alla terra è un cordone ombelicale impossibile da recidere. Poi è anche vero che il movimento del vino oggi attrae molto. Ritornare può essere più semplice. O sembrare tale.

Quando sei piccolino, quando scegli la scuola, non sai bene cosa vuoi dalla vita. Mi vedevo prima come veterinario, poi come notaio. Poi siamo passati a fare l’imprenditrice. L’amore per le vigne e il tuo lavoro te lo porta il fatto di esserci nato. In una azienda famigliare, qualunque azienda, l’amore ti viene. Quando ho visto uscire la mia prima bottiglia con il vino che a me piace, con l’etichetta che avevo creato, è stata una grande soddisfazione. È come un bimbo che nasce. Così quando ti chiedono quale è quello che ti piace di più, è difficile. Perché sono tutti bimbi tuoi.

La delicatezza di Serena prende il sopravvento mantenendo comunque il suo sorriso. Quasi a rendere più leggero il discorso. L’atmosfera. In un contesto che comunque è difficile. Perché affermarsi è difficile in questo mondo.
Dieci ettari e poco più di ventimila bottiglie (continuando a fare lo sfuso) per una azienda dove lavorano comunque mamma Anna e papà Dino, sono comunque impegnativi.
A proposito. Quando scrivo questo articolo Serena si è appena sposata con il fidanzato storico, Claudio. Anche lui produttore di uva nell’azienda della famiglia e che ogni tanto da una mano a Serena.

Sono dieci anni che ci conosciamo. Sin da piccola avevo deciso di sposarmi dunque mi sposo.
Vorrei andare in giro per il mondo a vendere il vino. Mi vedo come una famiglia normale, con i figli. Mamma e suocera per forza di cose mi daranno una mano.

Una vita alla quale Serena non rinuncerebbe per nulla al mondo. Oggi, è palese la sua soddisfazione. Come si può toccare con mano la sua felicità che è anche quella dei genitori che vedono l’azienda andare avanti. In buone mani.

Nelle Langhe vedere una donna al comando è sempre stato difficile. Le femmine dovevano stare dietro. Mio nonno Pietro diceva di una donna “È solo una femmina”. Oggi sarebbe molto contento. Gli ho dedicato il Nebbiolo.

Serena è divertente e dolce. Sorride. Anzi ride. Di gusto. Leggiadra. Felice. Consapevole di aver fatto la scelta giusta. Consapevole della sua vita e del suo futuro.
Oggi in gamma sette etichette. Tutte identitarie del territorio. Un Dolcetto, una Barbera, un Nebbiolo, un Barbaresco. Poi due bianchi e un moscato.

La Barbera mi rappresenta di più. Perché la Barbera per me è femmina. È stata dedicata alla mia bisnonna Catlinin, Caterina. Era una vera donna di una volta, quelle con il pelo sullo stomaco. Il moscato è invece è dedicato a me. perché dolce.

Il Barbaresco è Ancermò che nella lingua piemontese vuol dire forza, la potenza. Quando l’ho bevuto mi è venuta in mente la figura di un ballerino che danza sulle punte con la capacità di muoversi toccando terra solo per il tempo necessario a spiccare il volo. Un vino elegantissimo al naso per le sue note che sanno di frutta ancora acerba e polposa. Prugna, ribes, arancia. Soprattutto fini note vegetali che lo collegano alla erra: fiori rossi di campo e castagno. La preziosità è quella del tabacco e del cioccolato amaro che scrocchia sotto i denti.
In bocca la danza si fa passionale ed intensa. Arriva subito la freschezza e sapidità che si uniscono ai tannini, forti e caparbi ma poi morbidi e sensuali. Segue la sensazione di arancia che arriva a danzare in bocca, non a riempirla, non a renderla pastosa, ma a bilanciare le sensazioni creando armonia. La parte inferiore della bocca è pervasa dagli agrumi mentre il palato continua a sentire i tannini aspettando cosi un nuovo sorso. Persistenza buona e chiusura di bocca al limite dell’eleganza. Un vino che ricorda il vero Piemonte per forza e freschezza e che abbinerei tranquillamente ad un formaggio. Una ottima interpretazione di Nebbiolo.

Il prossimo anno uscirà un altro Barbaresco visto che abbiamo due menzioni geografiche. Ancermò è un blend tra le due menzioni. Dal prossimo anno uscirà il Bricco di Neive. La differenza sarà dal tempo di permanenza in legno e dalla grandezza di questo. La vigna di Neive è più alta e cambia anche l’esposizione. Sarà un vino diverso.

Catlinin è la femmina, la Barbera d’Alba.

La Barbera ha più struttura e grado alcolico di un tempo perché diradiamo e la raccogliamo più avanti. Non facciamo il legno perché la terra di Neive rilascia la morbidezza senza legno dunque senza essere Superiore. Fa un anno di bottiglia.

Anche se non me lo avesse detto Serena, questa Barbera sarebbe stata femmina. La doppia anima di eleganze e sinuosità che si unisce a semplicità e leggerezza.
Quando lo verso nel calice è così limpido e trasparente che vedo distintamente le mie dita. I sentori sono immediatamente vinosi come si compete ad una Barbera. Sentori che sanno di freschezza con fiori rossi e sottobosco ancora verde. Si la frutta non particolarmente matura, certo, ma questa vivacità lo rende brioso.
Il sorso, in perfetta continuità con il naso è fresco, caldo, secco. Soprattutto avvolgente con una setosa sensazione di frutta grazie a tannini delicati e maturi senza per questo essere banale e scontata. Persistenza decisamente buona ma non lunga così che per una merenda o un pranzo domenicale ci sta alla grande. Lo berrei anche senza alcun accompagnamento.
Una Barbera che sa di Barbera e della quale nonna Catlinin ne sarebbe fiera.

Il Nebbiolo Pietro II dedicato al nonno. Il Nebbiolo che non diventa Barbaresco e che si differenzia da questo in maniera concreta e decisa. Un vino determinato che si contrappone all’Ancermò ma senza sfidarlo, senza essere contro. Anzi, a rafforzare il concetto di Nebbiolo. Non ha la finezza del Barbaresco ma di questo mantiene la vigoria.

Il Nebbiolo vien lavorato diversamente dal Barbaresco. In quest’ultimo facciamo una parte in acciaio poi botte grande e tonneau per 15 mesi circa poi bottiglia. Nell’imbottigliamento facciamo il taglio. Il Nebbiolo rimane circa un anno nel tonneau. Le vigne sono vicine al Bricco di Neive e al Bricco Micca. Sono vicini come vigne dunque ciò che cambia è la cantina. Raccogliamo tutto a mano dunque l’uva arriva sana in cantina.

Lo Chardonnay Bon’imor ovvero il buon umore. Un vino semplice ma efficace. Di quelli che si bevono senza pensieri e senza tante sovrastrutture come a dire che il vino è buono anche così. Semplice nel colore paglierino con riflessi verdognoli. Semplice nei sentori di mela verde, prugna gialla acerba e pera; fiori di biancospino ed erba appena tagliata. Semplice nel sorso fresco e moderatamente caldo con la sapidità che dona leggerezza e spensieratezza. Un finale amarognolo che ti proietta in un campo erboso di una giornata di primavera. Ecco, con un vino così ci si può immaginare su un plaid a quadrotti a fare un picnic in una assolata, ma non calda, domenica di aprile. Sorseggiare un fresco calice di Bon’imor, mangiando anche un panino o una insalata di riso, rende felici e spensierati. La pulizia di bocca sarà meravigliosa e la bottiglia, da sola, non basterà. Occorre una piccola scorta!

Il Dolcetto Ottavio. Il Dolcetto piemontese, quello semplice, schietto, vero. Il suo colore rubino, non intenso, non strutturato lascia intravedere l’immediatezza di questo vino. Il naso nel calice identifica facilmente la ciliegia e la rosa, la prugna e la peonia. Poco altro perché un Dolcetto deve essere semplice, non strutturato. Non certo “amabile” ma senza dubbio immediatamente fruibile. Pronto appena si stappa per versarlo nei calici senza perdere tempo.

L’Arneis Bon’ora (dal nome della vigna) è il classicissimo Arneis. Un olfatto semplice di pesca bianca e fiori bianchi di campo. Una freschezza che si ritrova anche al sorso. Conquista per la sua schiettezza e semplicità risultando un vino che si beve con piacere dall’aperitivo alla tavola senza soluzione di continuità. Una bottiglia si finisce e anche in fretta. Mai averne una sola disponibile!

Il Moscato d’Asti Duenovedue Serena se lo è dedicato. L’ha dedicato alla sua dolcezza. Impossibile darle torto. Duenovedue è la sua data di nascita dunque fatele gli auguri ogni quattro anni!

Presto arriverà l’Alta Langa che Serena aspetta tanto.

C’è un enologo. Alcune leggi le detta lui altre noi. Io una cosa che voglio sia cosi è che ci siano pochi solfiti perché anche io ne soffro la presenza. Il Barbaresco deve stare nove mesi ma noi lo facciamo stare di più. Poi acciaio.

Ferma, decisa, dolce. Idee chiare. Tanta voglia di vivere. Questo è Serena. Questa è Ca’ Moranda. Serena ha reso questa giovane azienda sostenibile e dinamica. L’ha portata ad una dimensione imprenditoriale con la voglia, non la semplice speranza, di farla crescere. Sono assolutamente certo che ci riuscirà perché è una ragazza, una donna forte ma che sa prendere la vita con il sorriso. Vai Serena vai!

 

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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