22 Giu 2022
Diario di un sommelier

L’Etna e i suoi vini vulcanici

L’Etna e i suoi vini vulcanici

Parlando di vini vulcanici il pensiero vola subito ai i vini prodotti sulle pendici dell’Etna.

Prima di tutto è necessario contestualizzare il territorio: patrimonio mondiale dell’UNESCO, il Monte Etna si trova sulla costa orientale della Sicilia ed è il vulcano attivo più alto d’Europa, uno tra i più attivi del globo. Grazie a millenni di attività eruttiva, l’altezza massima del cono vulcanico oggi supera i 3300 metri di altitudine su circa 45 km di diametro di base. Tali dimensioni lo rendono il vulcano terrestre più imponente d’Europa e dell’intera area mediterranea.

L’attività di ceneri ed eruzioni laviche del vulcano si sono succedute nel tempo e l’azione dell’uomo ha tenacemente sovrapposto al paesaggio lavico un paesaggio agricolo tra i più ricchi dell’isola.

Qui si producono grandi vini grazie ai terreni di origine vulcanica, a volte ciottolosi e ghiaiosi, a volte sabbiosi o meglio cinerei, grazie alle grandi escursioni termiche, che arrivano anche a 25/30 gradi tra il giorno e la notte, e grazie all’altissima fertilità. Sono presenti alcuni dei vigneti più vecchi coltivati in Italia, addirittura più che centenari e ancora a piede franco, con la forma di allevamento più usata, che è anche quella più tradizionale, rappresentata dall’alberello etneo arrampicato su tutto il monte con l’aiuto delle nere terrazze di pietra lavica.

È in questo territorio che vengono coltivate le uve autoctone dell’Etna: Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio per rossi, rosati e spumanti, Carricante e, in minor misura, Catarratto per i bianchi.

Il Nerello Mascalese è però il principe dei vitigni a bacca rossa di questa zona, il più diffuso, ed è simbolo della viticoltura eroica del luogo e delle condizioni estreme: la pendenza dei terreni obbliga a fare tutte le operazioni in vigna manualmente.

Impossibile non paragonare i risultati dei vini etnei nel calice al Barolo e il Barbaresco, entrambi derivati dal mio amato Nebbiolo, oppure al Pinot Noir di Borgogna, seppur ovviamente vi siano molte differenze per quanto riguarda i diversi terroir, hanno tratti in comune quali eleganza, limpidezza e trasparenza al calice, seguite da sapidità, calore e carattere al palato. Nerello, Nebbiolo e Pinot Noir sono vitigni che raccontano al meglio le condizioni tipiche della composizione del suolo, le escursioni termiche, le altitudini e l’esposizione, riflettono il luogo d’origine come pochi altri sanno fare.

Oggi sono 133 le Contrade dell’Etna che compongono lo sfaccettato mosaico del terroir del vulcano. La stratificazione delle colate laviche, l’importante escursione termica, lo scheletro dei suoli, l’esposizione e tanti altri fattori pedoclimatici significativi imprimono sulla Contrada quei tratti di unicità e riconoscibilità tanto apprezzati dagli amanti del vino di tutto il mondo.

Si potrebbero fare molti esempi di vini eccellenti provenienti da questi luoghi, ma prima di tutto occorre citare uno degli uomini che più ha contribuito alla crescita di questa zona, ovvero Andrea Franchetti.

Venuto a mancare alla fine del 2021, Andrea visita la Sicilia circa 20 anni fa innamorandosi dell’Etna. Ed è proprio In questo luogo che matura la decisione di restaurare un antico baglio con cantina sulle pendici del vulcano a circa 1000 metri di altezza sopra alla piccola frazione di Passopisciaro nel comune di Castiglione di Sicilia. Il suo primo impegno è stato quello di recuperare i vigneti terrazzati abbandonati da tempo con viti vecchie di 80-100 anni, incredibile memoria del luogo, per piantarne di nuovi, mantenendo un’altissima densità di impianto di 12.000 piante per ettaro. Visionario e coraggioso, Andrea Franchetti ha contribuito alla rinascita della viticoltura sul vulcano e alla scoperta dei vini etnei da parte del mercato internazionale.

Tra i risultati conseguiti sull’Etna da Franchetti anche la creazione dei vini di Contrada, sul modello dei cru di Borgogna, e l’ideazione del festival internazionale del vino ‘Le Contrade dell’Etna’.

Passopisciaro pratica oggi una viticoltura “di precisione”, totalmente rispettosa della natura, contando oggi su 26 ettari di vigna piantati a Nerello Mascalese, al quale si aggiungono anche altre tipologie di uve non autoctone, come il Cesanese di Affile originario della zona intorno Roma e i francesi Petit Verdot e Chardonnay. Si producono qui nove vini differenti, di cui sei con le uve di Nerello Mascalese.

Il Passorosso è un vino luminoso, prodotto da un assemblaggio di uve provenienti da vigneti situati ad altezze diverse ciascuno con un tipo diverso suolo. Dopo alcuni anni di produzione, Franchetti si è accorto che dalle uve dei diversi vigneti si ricavavano vini assai differenti l’uno dall’altro, così a partire dal 2008, ha iniziato ad imbottigliarli separatamente. Nasce così la lettura in chiave enologica del concetto di Contrada come vero e proprio cru, concetto di cui Passopisciaro ha rivendicato la primogenitura con ben cinque declinazioni conosciute come “vini delle Contrade”: Contrada CContrada PContrada GContrada S e Contrada R, ognuno proveniente da un vigneto posto nell’omonima Contrada, su colate laviche differenti, con diversa composizione minerale e ad altezze diverse, vere e proprie letture temporali delle eruzioni. I vini che ne derivano sono unici e di grande personalità.

Nel 2007 nasce il primo vino bianco di Passopisciaro, il Guardiola, oggi Passobianco, uno Chardonnay in purezza ottenuto da viti piantate a 850-1000m s.l.m., con un profilo minerale fresco ed aromatico che ricorda i grandi bianchi della Borgogna.

Completano la gamma due vini di grande prestigio: il rosso Franchetti, il vero signore dell’Etna cuvée ideata nel 2005 da Andrea Franchetti come assemblaggio di Petit Verdot e Cesanese d’Affile, un vino dal fascino magnetico che racchiude tutta la magia del vulcano e custodisce per sempre la visione del fondatore, a cui si aggiunge, a partire dal 2018, anche un vino a base di Chardonnay, Contrada PC, prodotto in edizione limitata in un piccolo appezzamento di terreno tra gli 870 e i 950 m s.l.m..

Altro grande esempio di amore per l’Etna partito dalla Toscana è rappresentato da Carlo Ferrini che, all’inizio degli anni 2000, inizia a Montalcino la storia di Giodo, nel nome un omaggio ai genitori Giovanna e Donatello, un piccolo podere che, oltre alla nuova cantina “invisibile”, perfettamente integrata nel paesaggio circostante e a una casa colonica oggi finemente ristrutturata, conta sei ettari di vigna. Una superficie non irrisoria nel prezioso mondo del Brunello, individuata dopo anni di ricerca. La prima annata è stata la 2009 e con la 2017 Giodo è arrivato alla sua nona edizione, che ha già raccolto punteggi importanti e grandi soddisfazioni.

Anche Ferrini, che frequenta la Sicilia da enologo consulente da oltre venti anni, cede al fascino irresistibile dell’Etna, che lo fa innamorare. Inizia così la storia di Alberelli di Giodo, con un Nerello Mascalese in purezza, prima annata la 2016, al quale si affianca dall’annata 2020 anche un Carricante, anch’esso in purezza. Le due espressioni di Alberelli di Giodo nascono in otto piccoli appezzamenti nelle Contrade Rampante e Pietrarizzo, che, sommati, arrivano a poco più di due ettari e mezzo a quasi 1000 metri di altitudine e pochi filari di vecchie viti a piede franco.

Ferrini e Franchetti sono testimoni dell’amore per i vini dell’Etna e delle eccellenze che questo luogo genera.

A cura di Giuseppe Petronio