The Voice of Blogger

The Voice of Blogger a cura di  Claudia Riva di Sanseverino ci porterà nel mondo dei blogger del Vino coinvolgendoli in avvincenti storie da raccontare.

Un viaggio tra i personaggi del web che Claudia e Stefano selezioneranno di volta in volta e che quotidianamente con immagini, stories e reel raccontano con passione e competenza il vino e le sue meravigliose storie.

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25 Agosto, 2022

Medici Ermete e l'ambizioso progetto GENERAZIONE 2031

Il vino è cultura e su questo siamo ampiamente d’accordo, c’è però chi va oltre. E’ il caso di Medici Ermete e dell’ambizioso progetto GENERAZIONE 2031. C’e’ infatti anche chi, attraverso il vino genera valori e coltiva cultura sperando in un futuro migliore. Ne abbiamo parlato in altri articoli di questa stessa rubrica.
Un gradito invito quello dell’Azienda Medici Ermete, che in un assolato pomeriggio di giugno ha organizzato un evento presso la Tenuta La Rampata, luogo adattissimo per atmosfera e spazi. Condizione giovanile nell’età del nichilismo L’occasione è stata un incontro con il Professor Umberto Galimberti che ci ha intrattenuto sul tema della “Condizione giovanile nell’età del nichilismo”.
Il filosofo ha trattato un tema molto caldo, ovvero quello della condizione dei giovani in generale e in particolare dopo la pandemia. Uno sguardo assai preoccupato il suo, sulla loro situazione attuale e su come si potrebbe migliorare realisticamente la loro esistenza. Sentendo le parole del Professor Galimberti credo che ognuno dei presenti abbia sentito risuonare un campanello d’allarme dentro di sé.
I riflettori si sono accesi sulle difficoltà vissute dalle nuove generazioni e sul loro senso di inadeguatezza rispetto alla società moderna.
Siamo stati messi in guardia dal fatto che i nostri tempi hanno modificato profondamente le dinamiche di crescita dei nostri figli e il discorso si è sviluppato in questi punti:
– manca lo scopo
– il futuro non è più una promessa
– manca la risposta al perché
– la meritocrazia non esiste
– i giovani anestetizzano i loro sentimenti Inutile nascondersi dietro l’ormai abusata frase del “ai miei tempi”  perché quei tempi sono radicalmente diversi da quelli odierni. “Non possiamo riproporre il nostro vissuto ai nostri ragazzi ” prosegue il Professor Galimberti ” perché questa è la prima generazione che non può contare sull’esperienza dei genitori. Se vogliamo aiutare i nostri ragazzi dobbiamo porci in loro ascolto cercando di capire di più del loro mondo”. La bella notizia è che tutto è migliorabile purché se ne prenda coscienza. GENERAZIONE 2031 di Medici Ermete In questa ottica si fonde perfettamente il progetto GENERAZIONE 2031 di Medici Ermete. L’Azienda, presente da 5 generazioni sul territorio reggiano, ha voluto dare vita a questa ambiziosa rivoluzione, che si traduce in obiettivi precisi e concreti da portare a termine entro, appunto, il 2031.   L’albero simbolo di Generazione 2031 L’albero è il simbolo di Generazione 2031. È la metafora per trasmettere l’essenza della sostenibilità Medici Ermete: nelle radici della Medici Ermete si trovano i valori e la storia mentre salendo verso l’alto troviamo gli obiettivi che attraverso azioni virtuose, faranno crescere una chioma rigogliosa con tante foglie, proprio a rappresentare l’azienda che si sviluppa, migliora e investe in un futuro sempre più verde. Del resto questa è la filosofia lasciata in eredità dal fondatore della Medici Ermete, secondo il quale era indispensabile che “ogni generazione lasciasse a quelle successive i vigneti e l’azienda nello stesso stato di conservazione in cui li aveva trovati o addirittura in condizioni ambientali migliori”. Medici Ermete con la prima annata di Concerto (Lambrusco Salamino) certificato biologico 2020 dopo tre anni di conversione per tutte le cinque tenute, ha voluto scrivere un nuovo capitolo della sua storia, e se volete saperne di più vi invito a leggere questo link https://www.medici.it/2021/03/28/da-lotta-integrata-a-viticoltura-biologica/. Durante la serata abbiamo avuto inoltre il piacere di ammirare un’opera “prestata” dalla Fondazione Magnani Rocca del pittore Pompilio Mandelli. Un Omaggio a Duchamp del pittore reggiano, protagonista della pittura italiana ed europea del ‘900 (tra i suoi maestri Morandi e Guidi tanto per citarne alcuni) e naturalmente abbiamo assaggiato e brindato con i prodotti di punta. Insomma la cultura ci salverà, insieme alle persone che attivamente decidono di dedicarsi al miglioramento globale per la parte che gli compete. Non vedo l’ora di scoprire e rendervi partecipi delle nuove iniziative che verranno organizzate. Abbiamo quasi 10 anni per verificare la realizzabilità di Medici Ermete e dell’ambizioso progetto Generazione 2031. Claudia Riva di Sanseverino @crivads
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Fabio e Anisa Enotria Tellus Arrow Right Top Bg

10 Agosto, 2022

Enotria Tellus: cuore, amore e fantasia

Cuore, amore e fantasia  Quando dai vita ad un progetto che già nel nome, Enotria Tellus, presenta originalità e legame con il passato, significa che lavori di cuore, amore e fantasia. Il significato è presto detto: così nell’antichità ci si riferiva all’Italia per denotare la grande vocazione vitivinicola del nostro territorio. Quando spendi gli anni della formazione tra California, Toscana e Valdobbiadene l’inizio non può che essere in discesa. Questo ha fatto Fabio, che ha fatto tesoro di queste esperienze vitivinicole e oggi produce i suoi innovativi vini Igt Marca Trevigiana nella sua azienda Enotria Tellus a San Polo di Piave. La partenza con 10 ha di proprietà, accresciuti di anno in anno fino ad arrivare a gestirne altri 20 ha. La zona di produzione si trova nella campagna veneta vicino al fiume Piave, nella provincia di Treviso dove è consentita la vinificazione di diversi vitigni fra cui Pinot Grigio, Pinot Bianco, Glera, Merlot e Raboso, quest’ultimo, autoctono della zona. Lo stile Enotria Tellus Lo stile dell’ azienda è unico e inconfondibile, frutto della commistione di intuizioni, sogni, fantasia, e lavoro fisico tanto di Fabio quanto della vulcanica Anisa. E’ Anisa che rende l’azienda un mondo pieno di colori. Con le sue creazioni racconta emozioni. Sceglie i nomi dei vini e ricerca un’estetica non convenzionale per le etichette. E’ di Anisa la voglia di raccontare quest’avventura sui social. E’ una wine front woman d’eccellenza.   Una grande idea è stata la voglia di creare un evento social che oggi è alla sua seconda edizione: “Beux, Bellussera User Experience”, incontro di wineblogger (con cui Wine Tales Magazine collabora felicemente), provenienti da tutta Italia, ospitati nella cornice di Cà di Rajo, cantina limitrofa ad Enotria Tellus, dove, le persone coinvolte hanno vissuto l’esperienza della “Belussera”, antico impianto di allevamento della vite, oggi in disuso, che proprio queste due cantine stanno cercando di riutilizzare e valorizzare, al fine di mantenere la tradizione con un occhio verso il moderno. Fabio e Anisa sono molto legati al loro territorio ed è per questo che cercano di promuoverlo e di esaltarne le caratteristiche salienti.   Vini unici, che parlano Da questo fantastico contesto nascono vini dall’ impronta decisa: freschi, precisi, con una forte identità territoriale. Identità forte impressa dai terreni principalmente sassosi e di medio impasto della zona. Il carattere unico e originale deriva ovviamente anche dalle tecniche di vinificazione scelte, come la vinificazione di Merlot e Raboso in orci di terracotta. Pionieri del Pinot Grigio spumantizzato, intraprendono questo lungo Viajo a dosaggio zero. Semplice e diretto è il Merlot Ombretta vinificato in acciaio. Al naso e al palato troviamo piccoli frutti rossi, pepe bianco. Un vino immediato, acidulo e sapido. Ha l’etichetta che preferisco, sia perché rappresenta uno dei piccoli cane Bassotto che “abitano” in azienda, sia per il significato. Bere un ombra de vin è un detto molto tipico in Veneto e la scelta di questo nome afferma decisamente le radici di Enotria Tellus. Si apre un mondo quando parliamo di Piradobis., il cui nome è un omaggio all’origine Georgiana dell’uso delle anfore per la vinificazione. Alla raccolta a mano e successiva surmaturazione di uve Merlot e Raboso segue la fermentazione di 30 giorni sulle bucce e l’affinamento nelle anfore. Ed infine l’ esplosione di profumi e sapori che rendono questo vino  fortemente rappresentativo di questo territorio. Il vino che mi ha colpito di più? Renovatio, Pinot Bianco in purezza. E’ un vino indomabile perché nato durante la pandemia,  e dal nome augurale: Renovatio infatti significa rinascita. L’ augurio che Fabio e Anisa hanno voluto esprimere con questa etichetta è di poter intraprendere un cammino verso la serenità. Il nostro invito è a recarvi a San Polo di Piave a conoscere Fabio e Anisa e ad assaggiare tutti i loro vini fatti di cuore, amore e fantasia! di Valeria Valdata @valery_and_the_wine https://youtu.be/NGRZPkni6f0
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28 Luglio, 2022

La Valcalepio è il giardino di Bergamo

La Valcalepio è il giardino di Bergamo e deve questo nome ad un origine greca da Kalos-Epias ovvero Terra Buona. Ci troviamo in provincia di Bergamo in una zona collinare che si trova tra il lago di Como e quello di Iseo, compresa fra i fiumi Cherio e Oglio. Un territorio ricco e generoso che merita di essere scoperto. Io ho avuto questa fortuna e vi posso assicurare che la meraviglia è stata tanta. Durante la mia visita ho avuto una guida di eccezione ovvero Sergio Cantoni Direttore della Cantina Sociale Bergamasca. Insieme a lui e alla figlia Sara ho avuto la possibilità di visitare realtà con caratteristiche diverse ma ognuna con una forte identità pur essendo in linea d’aria molto vicine. Sono stata sorpresa dalla varietà di declinazioni, sfumature, intensità e colori che questi prodotti possono regalare. Protagoniste indiscusse le bollicine ma anche vini rossi e bianchi da invecchiamento. Le aziende visitate sono state ovviamente la Cantina Sociale Bergamasca, dove i miei pregiudizi  si sono disintegrati, la Tenuta Celinate, Il Cipresso, Il Calepino e il Podere del Merlo. Quest’ultimo oltre alla cantina dispone di una struttura ricettiva a dir poco elegante e di un ristorante capitanato dallo Chef Riccardo Crepaldi che mi ha entusiasmato per l’eleganza e la raffinatezza dei piatti. Un territorio questo, che ha visto proliferare un’intensa industrializzazione ma dove allo stesso tempo i bergamaschi hanno saputo preservare e assecondare orgogliosamente la vocazione della loro terra. Molti infatti gli industriali che hanno investito nell’attività enoica recuperando poderi abbandonati e riportandoli allo splendore iniziale. Alcune proprietà sono in attesa di restauro bloccato dalle lungaggini delle Soprintendenze come Villa Celinate, che risale addirittura al ‘400. Appartenuta ai Masciadri Orsini parenti dei Visconti di Milano, è una delle più grandi ville di Scanzorosciate, ma anche una delle meglio conservate sia dal punto di vista architettonico che pittorico. La Villa si trova in un anfiteatro naturale circondata da 50 ettari di terreno collinare a corpo unico di cui 23 coltivati a vigneto e 3 a uliveto. Una curiosità: Luigi Veronelli nel ’78 raccontava di aver “guadagnato” nel trasferimento da Milano a Bergamo “oltre che per bellezza e quiete e cibi” anche per le bottiglie di Valcalepio che riteneva “degne del massimo rispetto”. Se lo diceva lui vi potete fidare … Facendo una carrellata di quanto prodotto in zona parto sicuramente dal Valcalepio Rosso, Doc riconosciuta nel 1976. E’ un blend di uve Merlot e Cabernet Sauvignon vinificate separatamente. Il disciplinare prevede l’assemblaggio in proporzioni Merlot 40-75% e Cabernet 60/25%. Si passa all’affinamento in botte e alla vendita a partire dal 1 novembre dell’anno successivo alla vendemmia. Abbiamo poi la Valcalepio Rosso Riserva che prevede un affinamento di 3 anni per passare al Valcalepio Bianco (Chardonnay e/o Pinot bianco 55/80%, Pinot Grigio 20/45% ). Inoltre troviamo la Bergamasca IGT dove vengono impiegati vitigni tradizionali. La vera sorpresa per me è stato il Colleoni DOC. Una DOC neonata (riconosciuta nel maggio 2011) che decreta la riscoperta e la rinascita di alcuni vitigni autoctoni per anni dimenticati ma coltivati storicamente nel territorio bergamasco. Sono ben 14 le tipologie che non vi elenco per non annoiarvi. Io ho sono stata conquistata da COLLEONI della cantina Sociale Bergamasca, Spumante Brut Millesimato, un metodo classico da uve Chardonnay, Pinot Grigio e Incrocio Manzoni 6013, affinato per almeno 24 mesi sui lieviti. Le vere star indiscusse sono state però il Valcalepio Moscato Passito e il Moscato di Scanzo. L’uva da cui si ottengono queste due denominazioni è la stessa ovvero il Moscato di Scanzo, addirittura pare introdotta sulle colline bergamasche dai Romani, in due territori limitrofi eppure diversi (il comune di Scanzorosciate per la DOCG, i comuni della zona vitivinicola Valcalepio per il Valcalepio Moscato Passito DOC). Il Comune di Scanzorosciate  è un piccolo comune della bergamasca che si è fatto conoscere negli ultimi 15 anni per la produzione enologica, è la patria di una delle più piccole DOCG d’Italia e rappresenta un unicum: il nome della sua DOCG è anche il nome dell’uva richiesta per produrla. Il disciplinare prevede la raccolta dell’uva a ottobre, successivamente i grappoli vengono posti in appassimento per almeno 21 giorni. Solo a questo punto si procede con la vinificazione durante la quale la fase fermentativa avviene prima sulle bucce e poi con il solo mosto. Dopo un lungo processo fermentativo e di affinamento il vino può essere messo in commercio a partire dalla primavera del secondo anno successivo alla vendemmia. Pare che fondamentale per la produzione sia questa particolare pietra biancastra calcarea chiamata sasso de luna, una roccia molto dura che sfida le viti ad affondare faticosamente le radici. Una volta che le viti riescono a penetrare tra queste particolari rocce, estraggono il massimo in termini di sali e di aromi dando origini a uve estremamente profumate. Da questa esperienza mi porto a casa la rinnovata certezza che in qualsiasi angolo d’Italia esiste una particolarità, una ricchezza e un tesoro da scoprire e divulgare. A cura di Claudia Riva di Sanseverino  https://youtu.be/RakajXgmc-E
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10 Luglio, 2022

Un viaggio in Grecia a Zante con la sua Verdea

Zante con la sua Verdea è proprio qui che vi porto! Dico spesso che la Grecia è uno dei paesi enoici più affascinanti al mondo, non tanto per perorare la mia personale predilezione per questo popolo ma perché effettivamente è così. Non sto dicendo che la Grecia sia uno dei paesi in cui si producono tra i migliori vini al mondo ma se ci informassimo scopriremmo che furono proprio gli antichi Greci tra i popoli che più contribuirono alla diffusione della vitivinicoltura in tutto il bacino del Mediterraneo. Furono i Greci ad introdurre sistemi di coltivazione quali l’alberello, ancora oggi in uso in molte zone costiere dei vari paesi europei e furono sempre i Greci ad introdurre in Italia, Francia, Spagna moltissimi dei vitigni che ad oggi siamo abituati a nominare, basti pensare solo ad aglianico, fiano, greco, falanghina. I Greci amavano il vino a tal punto che i richiami letterari sono infinitamente floridi e tra le divinità del loro pantheon veneravano anche Dioniso, Dio del vino. Non fosse sufficiente aggiungiamo che la Grecia è anche uno di quei paesi che ancora oggi può vantare un patrimonio ampelografico originale e variegato. Dalla Macedonia al PeIoponneso, le isole Cicladi e il Dodecaneso fino ad arrivare a Creta, ogni regione conserva ancora i suoi vitigni autoctoni, antichi ed affascinanti. I Greci sono riusciti, nel corso della storia e delle varie dominazioni turche, a preservare questo preziosissimo patrimonio ampelografico per cui non hanno mai ceduto neppure all’internazionalizzazione di fine secolo e ad oggi troviamo qui una vastità di vitigni da scoprire quali assyrtiko, agiorghitiko, savatiano, roditis, xinomavro, moschofilero, malagousia, mandelari, kotsifali e tantissimi altri. Da ultimo come non sottolineare anche le caratteristiche fisiche del tutto peculiari del paese con i confini più a sud di tutta Europa, un paese dai forti contrasti in cui per quanto la maggior parte del territorio sia montuosa annoveriamo quasi 14.000 km di costa e le isole rappresentano quasi un quinto della superficie nazionale. E proprio sulle isole andiamo oggi ma non in quelle del Mare Egeo, no, non nelle celebri Santorini o Samos. Oggi parliamo delle Isole Ionie, che si trovano a poco più di 100 km a sud-est della Puglia, tra le coste dell’Albania ed il Peloponneso.  Qui a Zante, o Zacinto, dove a differenza della vicina Cefalonia non troviamo alcuna PDO bensì un’unica PGI che copre l’intero perimetro dell’isola ma soprattutto la famosa Verdea di Zante, una denominazione tradizionale o ex OKP (Oenoi Onomasias Kata Paradosi) ovvero vini prodotti con metodologie del tutto singolari (si pensi alla Retsina che viene aromatizzata con resina di pino d’Aleppo) in cui si tollerano diversità rispetto alle comuni regole europee per salvaguardare tradizioni millenarie. A livello legislativo le OKP sono state incorporate nel sistema delle PGI dunque ad oggi la Verde di Zante è tutelata all’interno della PGI Zakhyntos. Si tratta di un vino prodotto da blend di quattro vitigni autoctoni: skiadoupulos, goustolidi, robola, pavlos. Non c’è un vitigno chiamato verdea (non in Grecia, ne esiste uno con questo nome in Lombardia ma non c’è alcun collegamento tra i due), il nome “verdea” deriva dall’italiano e dal lungo periodo di dominazione veneziana in molte zone della attuale Grecia. “Verdea” per sottolineare il colore “verde” in quanto si effettua una vendemmia anticipata soprattutto sullo Skiadopoulos che raggiunge un importante grado di concentrazione zuccherina e per questo viene raccolto quando i grappoli sono ancora verdi e ricchi di acidità. Dicevamo che non esiste a Zante un vitigno autoctono chiamato “verdea”, ma ne esistono molti altri che in parte ho già nominato. Un documento risalente al 1601 ci testimonia come più di 400 anni fa a Zante fossero presenti  addirittura 34 vitigni autoctoni nella sola isola e la cosa più straordinaria è che confrontando questa lista con quelli attualmente presenti ci renderemmo conto come la maggior parte sono sopravvissuti! Io ho assaggiato la Verdea di Zante della cantina Grampsas https://ktimagrampsa.gr/ distribuita in Italia da Vinum_vini  se vi interessasse la potete trovare qui. La cantina Grampsas si trova a Lagopodi, nell’interno a sud dell’isola, dove in una campagna ricca di ulivi troviamo i vigneti coltivati ad alberello e coltivati con vitigni autoctoni locali sia a bacca bianca come goustolidi, skiadopoulos, moschatela, pavlos che a bacca nera come l’avgoustiatis. Il blend di skiadoupulos, goustolidi, robola, pavlos di Grampsas viene prodotto con un’estrazione prefermentativa in ambiente controllato e per quanto riguarda l’affinamento occorre dire che matura almeno 4 mesi in botti di rovere francese. Si caratterizza per un buon equilibrio che dona bevibilità, ottenuto con questa sapiente contrapposizione tra il naturale carattere alcolico e rotondo dello skiadopulos e la vendemmia anticipata che conferisce questa acidità a garanzia del bilanciamento. Il passaggio in legno non snatura il frutto e le caratteristiche primarie di vitigno e lavorazione ma inspessisce il corpo pur non rendendolo pesante ed ovviamente amplia il bouquet di sensazioni odorose ed aromatiche conferendo note vanigliate, spezie dolci e cenni di tostature. Si tratta di un vino che definirei un jolly in cucina. L’acidità non gli toglie la possibilità di essere abbinato con preparazioni caratterizzate da forte tendenza dolce o grassezza ma la sua rotondità e grado alcolico consentono anche che questa Verdea possa risultare efficace nello stemperare durezze nel piatto. La vedrei bene con un vasto range di preparazioni da cucina di mare a carni bianche anche se se proprio mi dovessi sbilanciare la proverei con un pasticcio o una pasta al forno, in Grecia ne fanno delle magnifiche, come il Pastitsio, che avrebbe anche il richiamo alla cannella. Certo, il massimo sarebbe poterlo degustare in loco, magari gustandosi un bel tramonto sul mare con la giusta compagnia, ma dal momento che Zante e la Grecia non sono a due passi, se non altro grazie alla giusta bottiglia di vino e ad un po’ di fantasia, possiamo goderci da casa una bella serata immaginando di essere ancora là. A cura di Stefano Franzoni “The Voice of Blogger” è una rubrica di Winetales Magazine coordinata da Stefano Franzoni    
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26 Giugno, 2022

Selvanova i custodi del bosco

La solidarietà che riappacifica, Selvanova i custodi del bosco. Percorrendo il fil rouge della solidarietà avviato con Velenosi Vini in centro Italia e proseguito con Terrevive Bergianti nel nord, ci rechiamo oggi virtualmente in Campania, regione che ho raccontato su social per un anno intero e che mi ha ospitato a più riprese nel corso della calda e strana estate 2021. Quasi a chiudere un cerchio vi parlo non a caso della primissima azienda che visitai quando, dopo mesi di lockdown, zone rosse e gialle, a fine Maggio 2021, finalmente riaprirono i confini regionali ed io presi la mia macchinina (che neanche ricordavo più come si guidava) per scendere diretto fino a Caserta. Meta l’azienda Fattoria Selvanova, oasi di pace situata a Castel Campagnano, tra il Matese ad Est e il Taburno ad Ovest, su dolci colli che diradano fino al fiume Volturno, dove vengono coltivati dieci ettari di vigneto vitati con gli autoctoni pallagrello bianco, fiano, pallagrello nero e aglianico. Da queste uve nascono quattro vini, tutti certificati biologico:  i due rifermentati in bottiglia “Londro” frizzante e “Londro” rosato frizzante (che mi diverto sempre ad infilare ‘alla cieca’ ad una qualche degustazione) ed i due fermi  “La Corda di Luino” bianco e “La Corda di Luino” rosso. Una delle prime domande che porgo ad Antonio Di Cresce, enologo dell’azienda, è rivolta proprio alla genesi di queste etichette rappresentanti  insediamenti urbani postmoderni e coloratissimi sulle sponde del fiume Vulturno. La storia che ne segue mi colpisce molto. Scopro che a disegnarle è stata Alessandra Iliano, giovane pittrice formatasi nel laboratorio artistico del Centro Diurno Dipartimentale di Riabilitazione Aquilone (del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asl Napoli 1 Centro, gestito dal gruppo Gesco attraverso la cooperativa Era). E’ lì che apprendo dell’impegno nel sociale di Fattoria Selvanova e della collaborazione con Gesco, il più grande gruppo di imprese sociali della Campania, nato a Napoli nel 1991, che si occupa di numerosissimi settori, dalla formazione all’editoria ma è conosciuto soprattutto per il suo impegno nella gestione di servizi socio-assistenziali e socio-sanitari rivolti ai più svantaggiati. Gesco intende operare seguendo i principi dell’agricoltura sociale attraverso l’uso terapeutico delle attività presenti in azienda, dal lavoro della terra alla cura degli animali e degli spazi della fattoria a favore di persone che vivono in condizioni di svantaggio e difficoltà. Fattoria Selvanova, che annovera anche alcune stanze per il pernotto e sale da grandi eventi, è una specie di santuario in mezzo al verde, tra le foglie delle viti che si inerpicano sui pendii e gli alberi che circondano numerosi il corpo centrale dell’agriturismo. Non è difficile immaginare l’effetto benefico per l’animo umano del contatto con una natura così solitaria e al contempo dolce. Il rilassante verde dell’erba e delle foglie fa da padrone, il silenzio è il vero maestro d’orchestra, rotto solo dal cinguettio degli uccellini e dai rumori di un qualche trattore distante. Ho personalmente trascorso a Fattoria Selvanova molte giornate serene. Dopo il primo incontro sono tornato qui una prima volta portando i due colleghi in foto ed una seconda con una quindicina di winelovers per una bellissima cena ad inizio autunno ed ho avuto occasione di vivere e respirare questo ambiente per giorni interi e lunghe e placide nottate ed ammetto che l’effetto rilassante di questa località è innegabile ed anzi efficacemente medicamentoso per i turbamenti dell’anima. Nell’ottica dell’evidenziare realtà etiche e meritevoli ho sentito l’esigenza di scrivere riguardo a questa azienda dove il connubio tra persone, lavoro, prodotti, ambiente ed iniziative solidali riescono a ricreare una specie di ecosistema virtuoso. Con la collaborazione di Gesco, Fattoria Selvanova si contraddistingue come un ambiente salubre dove persone svantaggiate o in difficoltà possono trovare più di un’occasione di confronto con se stessi, con la natura e con il dedicarsi ad occupazioni sane e terapeutiche. Vi consiglio di scoprire questa realtà a partire dai loro vini ed in caso aveste voglia di rilassarvi qualche giorno ospiti della natura più incontaminata del selvaggio nordest casertano…qui troverete una certa pace. A cura di Stefano Franzoni “The Voice of Blogger” è una rubrica di Winetales Magazine coordinata da Stefano Franzoni  
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6 Giugno, 2022

GRIGNOLINO che non ti aspetti...

IL GRIGNOLINO CHE NON TI ASPETTI O CHE NON CONOSCI? Sono sempre interessanti le storie di recupero di vitigni autoctoni. Il Grignolino è stato considerato per molti anni un vitigno piemontese “secondario” rispetto ai suoi cugini più conosciuti. Grazie però a un gruppo di vignaioli coraggiosi e passatemi il termine cocciuti ora lo scenario è cambiato. La visita alla Tenuta Santa Caterina  è stata illuminante sotto questo punto di vista. Un gruppo di produttori incaricano nel 2014 un docente della Facoltà di Agraria di fare ricerche su questo vitigno. Si è scoperto che già nei trattati di enologia dell’800 il Grignolino era utilizzato per produrre vini da lungo invecchiamento in botte e in bottiglia ed è stato considerato per oltre 1000 anni tra i vitigni nobili e fini. A quel punto si è iniziato un paziente a attento recupero dei cloni, è stata fatta una selezione massale e creata un’associazione chiamata Monferace (da Mons ferax ovvero colline fertili) che ora conta ad oggi 13 Aziende . Monferace è il nome che è stato recuperato da un trattato del ‘500. Probabilmente si tratta del modo in cui veniva chiamato il Monferrato all’epoca, ma indica nello stesso tempo la generosità del territorio. I produttori hanno stilato un rigido disciplinare che prevede che il vino sia prodotto in purezza da uve raccolte nei soli vigneti iscritti a uno specifico albo, e solo nelle annate migliori. E’ d’obbligo un affinamento di almeno 40 mesi di cui minimo 24 in legno. Ogni anno una commissione di tecnici insieme ai produttori, degusta i vini alla cieca per valutarne caratteristiche e idoneità.     Se un’annata non è considerata all’altezza del nome Monferace, i produttori possono decidere di non produrla. Nel corso della Visita all’Azienda insieme al proprietario Avv. Guido Carlo Alleva, abbiamo avuto la fortuna e l’onore di fare una bella verticale  (2012, 2013, 2015, 2016, 2017)  guidati da Gianni Fabrizio – curatore della guida Vini d’Italia del Gambero Rosso. Un’esperienza che consiglio e che vi stupirà. Articolo a cura di Claudia Riva The voice of blogger è una rubrica a cura di Stefano Franzoni
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28 Maggio, 2022

CAMPANIA WINE sempre più moderna e di tendenza

La Campania più moderna e di tendenza che dal 21 al 23 Maggio ha messo in scena nel centro di Napoli  la manifestazione “Campania Wine” che ha visto la straordinaria compartecipazione di tutti i consorzi di tutela dei vini regionali uniti in un mirabile esempio di compattezza e sinergia al fine della valorizzazione del vino regionale. L’evento, realizzato anche grazie al cofinanziamento dell’Unione Europea, Campagna Medways EU: from Mediterranean to the East, new WAYS to advance Sustainability in Europe, ha avuto come tema dell’edizione quello della sostenibilità. Dunque coinvolti tutti e 5 i Consorzi di tutela del vino campano con la partecipazione aggiuntiva del Consorzio del Pomodorino del Piennolo. L’elenco: CASERTA : “Vitica” Consorzio Tutela Vini Caserta  (Presidente Cesare Avenia)  tutela le denominazioni: Falerno del Massico DOC, Aversa DOC, Galluccio DOC, Roccamonfina IGT, Terre del Volturno IGT AVELLINO: Consorzio Tutela Vini Irpinia (Presidentessa Teresa Bruno) tutela le denominazioni: Taurasi DOCG, Fiano di Avellino DOCG, Greco di Tufo DOCG, Irpinia DOC, Irpinia Campi Taurasini DOC BENEVENTO: Consorzio Tutela Vini Sannio  (Presidente Libero Rillo) tutela le denominazioni: Aglianico del Taburno DOCG, Falanghina del Sannio DOC, Sannio DOC, Beneventano IGT SALERNO: Vita Salernum Vites Consorzio Tutela Vini Salerno – (Presidente Andrea Ferraioli) tutela le denominazioni: Costa d’Amalfi DOC, Cilento DOC, Castel San Lorenzo DOC, Colli di Salerno IGT, Paestum IGT NAPOLI: Consorzio Tutela Vini Vesuvio – (Presidente Ciro Giordano) tutela le denominazioni: Vesuvio DOC, Pompeiano IGT Consorzio di Tutela del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio – Cristina Leardi L’evento è stato anticipato Sabato 21 da un tour via mare attorno al Golfo di Napoli riservato ad una cinquantina di ospiti accreditati tra giornalisti, bloggers ed esperti del settore. Meta l’isola di Procida, Capitale della Cultura Italiana 2022, che con i suoi colori pastello ha fatto da sfondo ad un aperitivo in spiaggia bagnato dalle fresche sfumature di vini bianchi e rosati da tutte e 5 le province. L’evento si è poi svolto tra Domenica 22 e Lunedi 23 nella centralissima cornice di Palazzo Reale, di fronte a Piazza del Plebiscito, dove nell’ampio e massiccio porticato sono stati allestiti 150 banchetti da degustazione che hanno ospitato altrettanti produttori. Il pubblico ha dato buona risposta poiché  più di tremila nella sola prima giornata sono stati gli ospiti paganti che hanno  partecipato, dalle 10:00 alle 19:00, al “walk around wine tasting” con la possibilità di scoprire più di 600 etichette in assaggio. La posizione centralissima ha certamente giovato in quanto a visibilità se immaginate tutti i turisti e passanti che nel weekend hanno anche solo attraversato Piazza del Plebiscito. Molto afflusso dunque e tantissima curiosità, ma i produttori ai banchetti sono riusciti ad espletare il loro servizio fino a sera senza troppi momenti di eccessivo affollamento.  Più rilassatra la giornata di Lunedì, prevalentemente indirizzata agli operatori di settore, dove la minor ressa e qualche grado in meno di temperatura hanno conferito un’atmosfera più distesa al porticato e gli operatori sono riusciti ad assaggiare i vini con molta calma. Ad impreziosire il programma sono state organizzate anche una serie di Masterclass tenute da Luciano Pignataro e Chiara Giorleo. Queste si sono svolte tra le sale inferiori di Palazzo Reale e la Sala delle Armi del Maschio Angioino ed hanno avuto come argomento un’introduzione globale sull’universo vini della Campania: denominazioni, territorio, vitigni e stili, dalle bollicine ai rossi più importanti passando per le declinazioni dei rosati oggi sempre più alla moda  ai bianchi che sono spesso sinonimo di Campania nell’immaginario comune. Durante la giornata di Lunedì si è tenuto il forum intitolato “Le indicazioni geografiche come patrimonio sostenibile della Campania e il ruolo dei consorzi di tutela”, in cui si è discusso del ruolo strategico dei consorzi nelle politiche di sviluppo territoriali e riguardo al tema della sostenibilità in relazione al territorio campano. Nel pomeriggio si è poi concluso, sempre nel Teatro di Corte di Palazzo Reale, con “La Campania che ama la Campania 2022” condotto da Veronica Maya e Luciano Pignataro, nel corso del quale sono stati assegnati sessanta riconoscimenti voluti dai consorzi di tutela vini della Campania per le migliori carte dei vini con referenze regionali, allo scopo di far conoscere e sostenere coloro che promuovono la cultura e il patrimonio della vitivinicoltura campana  in tutte le possibili forme connesse al mondo del vino. Un evento che lascia ben sperare con riguardo al futuro, che ha mostrato una regione compatta e 5 consorzi affiatati. Sta a loro proseguire questo percorso di sponsorizzazione di un territorio che vanta un patrimonio ampelografico invidiato in tutto il mondo. Quando si parla di vitigni autoctoni la Campania ha pochi rivali, così come quando si parla di bellezza paesaggistica. Ma si può fare ancora molto di più. La Campania del vino è ancora conosciuta piuttosto superficialmente nel mercato interno e non ha l’appeal che potrebbe guadagnare sui mercati internazionali. Sull’onda del successo della falanghina e della famosa triade che compone assieme a  fiano e greco, la Campania viene percepita come regione bianchista anche se in realtà solo un 46% di vino prodotto è bianco ed il vitigno più coltivato è a bacca nera, l’aglianico. Come spiega Luciano Pignataro inoltre non è neppure corretto considerarla una regione “calda” in quanto i territori più vocati e storici si trovano tutti e quanti in altura e qui la vendemmia avviene a fine ottobre in contemporanea con quella di zone situate molto più a nord, come la Valtellina. Un territorio di contrasti e contraddizioni, d’altronde parliamo di quella regione che in Italia vien spesso bistrattata mentre all’estero, Napoli e la Campania intera sono forte sinonimo di italianità, come la pizza e il mandolino. In questo senso si sta anche discutendo riguardo una nuova denominazione regionale. Agli australiani piace il fiano tanto che ne coltivano sempre più e così come gli americani condividono anche la passione per prove di vinificazione di aglianico. E in Italia? Come dicevamo prima il mercato interno è molto legato ad un ristretto numero di produttori commercializzati in maniera molto capillare da Vipiteno a Lampedusa ma al di fuori di queste poche aziende di riferimento le etichette campane faticano ancora a trovare un certo posizionamento su scaffali e carte. Dunque tantissimi produttori che andrebbero conosciuti mentre tutti bevono sempre quei quattro o cinque, e lo stesso discorso può applicarsi anche se ci domandiamo: come mai nominiamo sempre questi oltre cento vitigni autoctoni ma poi ne conosciamo si e no cinque? Perché ne beviamo (più o meno abitualmente) solo quei si e no cinque. Bacca nera: bene l’aglianico, un po’ di piedirosso e poco altro. Lo sapevate che uno dei vitigni più coltivati della Campania è la barbera ma non quella barbera che pensate voi? Se si guarda invece alla bacca bianca si scopre che anche agli italiani piace il fiano, così come il greco, ma la falanghina ancor di più. E se vi dico: asprinio, casavecchia , coda di volpem,  pallagrello bianco, pallagrello nero, catalanesca, caprettone, ginestra, fenile, ripoli, tintore, coda di pecora… li avete mai sentiti nominare? Facciamo così: in uno dei prossimi articoli vi parlerò un po’ io di alcuni altri vitigni meno conosciuti della Campania. D’altronde mi è sempre piaciuto parlare dell’autoctono campano. The voice of blogger è una rubrica a cura di Stefano Franzoni
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28 Aprile, 2022

Uno straniero chiamato XINOMAVRO

Uno straniero chiamato XINOMAVRO, originario del nord della Grecia ed in particolar modo della regione della Macedonia, lo Xinomavro è spesso citato come uno dei più nobili vitigni a bacca nera del paese ellenico ed altrettanto spesso paragonato con il nebbiolo in quanto in grado di fornire serbevoli vini da invecchiamento con vesti poco pigmentate, simili corredi acido-tannici e sensazioni organolettiche paragonabili. Lo Xinomavro è un vitigno che dà infatti origine ad un vino duro sin dal nome. “Xino” significa acido, aspro mentre “Mavro” può essere tradotto in scuro, nero. Dunque “acido scuro”. Sull’acidità, dubbi non ne abbiamo: molto alta, da che ne deriva una versatilità in grado di tradursi in una vasta gamma di stili di lavorazione: con lo Xinomavro potremmo creare un percorso di abbinamento dallo spumante fino al dessert, ed è proprio quello che in Aprile abbiamo fatto a Firenze, grazie ad Haris Papandreou, segretario del Consolato Onorario di Grecia presso Firenze, appassionato e ed estremamente competente nel mondo del vino e soprattutto persona di spessore morale e buoni sentimenti come poche se ne trovano. Haris ha in mente molti e pregevoli iniziative per portare in Italia un po’ di cultura del vino greco ed in Grecia quella del vino italiano ed è quello che fa da alcuni anni. E’ solo grazie a lui se siamo riusciti a riunire alla stessa tavola ben 22 referenze di Xinomavro proveniente dalla zona tipica in cui viene coltivato: la Macedonia centro occidentale. Siamo nel nord della Grecia, dove le temperature si fanno più fresche e dove attorno a Naoussa, considerata la zona di provenienza, lo xinomavro si è diffuso verso est e sud ovest, fino alla Tessaglia e oltre. Abbiamo potuto apprezzare le diversità degli stili e della provenienza in quanto abbiamo raccolto campioni rappresentativi di tutti gli areali di produzione, incluse le 4 principali denominazioni: Naoussa, Amynteo, Goumenissa (Macedonia) e Rapsani (Tessaglia) ed una più piccola serie di PGI. Naoussa sta allo xinomavro così come Barolo sta al nebbiolo, è la denominazione più storica e celebre e si concentra sullo xinomavro in purezza, così come Anynteo, mentre Goumenissa prevede un taglio con negoska e Rapsani un blend da xinomavro, krassato e stavroto. Gli stili dei rossi, come potrete immaginare, variano dalle più serbevoli espressioni in purezza da invecchiamento fino a quelle ammorbidite  con i citati vini autoctoni (o merlot, cabernet sauvignon e syrah) e lavorate in modo da essere commercializzabili ed apprezzabili in tempi molto più ridotti. Effettivamente abbiamo potuto renderci conto della versatilità di questo istrionico vitigno partendo da uno spumante MC rosè, proseguendo con una Retsina (particolarissimo tradizionale stile di vino greco aromatizzato con resina di pino d’Aleppo) ed ancora un BdN fermo, prima di cominciare con i classici rossi e concludere con un dolcissimo bel passito da vendemmia tardiva. Istrionico ma non troppo perché alcuni tratti della sua forte personalità, comunque, lo xinomavro tende a mantenerli, a partire dall’acidità scontrosa e quel corredo tannico tanto difficile da domare, per non parlare di quelle tipiche note organolettiche che più rustiche, che spesso richiamano il pomodoro ed altri sentori vegetali molto identificativi e che nelle espressioni in purezza, sopravvivono anche dopo anni e anni di invecchiamento e raggiungono livelli espressivi davvero affascinanti. Insomma ha un bel caratterino questo Xinomavro; ma non mentite, spesso siamo attratti dall’indomabile, e sono convinto che un po’ di voglia di approfondirlo vi sia venuta… Allego per completezza l’elenco delle aziende di Grecia che hanno contribuito alla giornata e tutti i partecipanti ed approfitto per ringraziare per aver contribuito alla realizzazione di questo bellissimo evento Haris Papandreou, Chiara Dionisio e Olga Sofia Schiaffino   Domaine Karanika (Macedonia)
Kechris Winery (Macedonia)
Alpha Estate (Macedonia)
Patistis Wines (Tessaglia)
Oenops Wines (Macedonia)
Kotoulas Wines (Macedonia)
Mikro Ktima Titos (Macedonia)
Kourtis Estate (Macedonia) Tsantali (Tessaglia)
Dougos Winery (Tessaglia)
Kir-Yianni Winery (Macedonia)
Thymiopoulos Vineyards (Macedonia)
Diamantakos Winery (Macedonia)   E l’elenco dei partecipanti all’evento in ordine alfabetico:   Alessandra Pierotti Andrea Molinari Chiara Dionisio Clara Iachini Claudia Riva di San Severino Dalila Grossi Daniel Monticelli Davide Gilioli Denise Oriani Fabiana D’Aniello Fabio Gobbi Federico Barbieri Francesca Mafrici Francesco Bonomi Haris Papandreou Luca Grippo Marco Porini Mariella De Francesco Matilde Cappelli Nello Gatti Nicola Fadda Olga Sofia Schiaffino Peggy Petrakakos Principessa Coralia Pignatelli della Leonessa Stefano Franzoni A cura di Stefano Franzoni “The Voice of Blogger” è una rubrica di Winetales Magazine coordinata da Stefano Franzoni  
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11 Marzo, 2022

Impara l'arte e mettila da parte

Impara l’arte e mettila da parte, recita un vecchio proverbio e siamo d’accordo…”ma ci vuole anche chi te la insegna!” dico io! E dopo averla imparata qualcuno che ti aiuti a metterla in pratica. Questo è stato il primo pensiero che mi è venuto in mente quando ho visitato questa realtà. Faccio un piccolo passo indietro… La pandemia con le sue restrizioni mi ha “regalato” tempo e curiosità per esplorare il territorio della mia regione e cioè l’Emilia Romagna. Attratta, devo essere sincera, dalla bellezza delle etichette, un giorno ho prenotato una visita alla Cantina Bergianti che si trova a Carpi e che fa parte dell’Azienda Agricola Terrevive. Fin dal principio l’Azienda ha adottato il metodo Biodinamico convinta che il rispetto per l’ambiente, la biodiversità e il benessere dell’uomo siano alla base di un’agricoltura sostenibile. 2013 la prima annata di produzione. La cura del prodotto avviene già in vigna dove vengono utilizzate tecniche come il sovescio e l’utilizzo di preparati biodinamici. L’intento è portare in cantina uve sane affinché non si debba intervenire in nessun modo sui processi naturali di evoluzione. Non si usano lieviti selezionati o filtrazioni, e qui “l’enologo è visto un pò come un medico di base: siamo tutti contenti che ci sia, ma lo chiamiamo raramente”. Insomma si fa prevenzione! Vengono prodotti prevalentemente lambruschi metodo classico e rifermentati poiché la zona è fortemente vocata al Sorbara e Salamino, oltre a due bianchi fermi prodotti con Malvasia, Moscato, Trebbiano di Modena e Grechetto gentile. Incontro Gianluca che con entusiasmo e pazienza mi racconta anche di un sogno che va molto al di là della produzione enologica e di un bel prodotto. E’ lui infatti l’ideatore della cooperativa che si occupa di progetti di formazione (“insegna l’arte”) ed inserimento lavorativo (e mettila in pratica) per persone svantaggiate, con la finalità di promuovere e diffondere un’ agricoltura sociale. Oggi sono 6 le persone inviate dai servizi sociali del territorio in Azienda. “L’idea ci è venuta dopo 4 anni di attività con persone svantaggiate vedendo che con il tempo acquisivano una buona autonomia di campo nelle operazioni in vigna. La cosa bella e stimolante per loro è che hanno la possibilità di seguire per intero un processo produttivo, dalla potatura fino alla vendemmia” mi ha raccontato Gianluca. I ragazzi vendemmiano tutti insieme e rigorosamente a mano e sono fiera di avere in minima parte partecipato anche io alla raccolta. Ho potuto vedere da vicino l’impegno e la passione di questo gruppo diventato ormai una famiglia e di come ci si aiuti, e ci si sostenga reciprocamente in queste giornate di fatica e condivisione stretta del tempo. E siccome sono una romantica convinta e credo che il bene porti al bene, nel frattempo con il passa parola si è fatta avanti anche Ecor Natura che con la Fondazione Prosolidar di Modena sta finanziando tutti i loro progetti. Le etichette e le botti in cemento sono state realizzate da artisti locali a cui è stata data libertà assoluta di rappresentazione con la raccomandazione di farsi ispirare dalle sole emozioni che il vino assegnato avrebbero suscitato. Un’ultima curiosità: in azienda viene amorevolmente custodita una vigna di 60 anni circa, considerata un museo. Un tradizionale tendone chiamato Bellussi, ad oggi rimane l’unica forma di allevamento di pianura che rientra nella definizione di viticoltura eroica. Oggi sono una rarità nel nostro territorio, tanto da essere considerati dei vigneti museo. A cura di Claudia Riva    “The Voice of Blogger” è una rubrica di Winetales Magazine coordinata da Stefano Franzoni
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