The Voice of Blogger

The Voice of Blogger a cura di  Claudia Riva di Sanseverino ci porterà nel mondo dei blogger del Vino coinvolgendoli in avvincenti storie da raccontare.

Un viaggio tra i personaggi del web che Claudia e Stefano selezioneranno di volta in volta e che quotidianamente con immagini, stories e reel raccontano con passione e competenza il vino e le sue meravigliose storie.

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13 Ottobre, 2022

OLTREPO’ PAVESE, DIMENSIONE PARALLELA

L’Oltrepò Pavese, dimensione parallela, un mondo a sé stante, per certi versi quasi fatato. Qui sembra che i ritmi, così come le persone, appartengano ad altri tempi, il che non deve essere visto come difetto: tutt’altro, si tratta di una realtà che va osservata, letta e capita con attenzione e dedizione. Il carattere di questa terra di Lombardia, inserita fra Piemonte ed Emilia Romagna, in provincia di Pavia, a cavallo fra il 45° parallelo, ha ammaliato negli anni tanti turisti. Persone che arrivavano da fuori trovavano qui facilmente una seconda casa, innescando, cosi, un mix di abitudini e culture differenti.  E, forse, è proprio perché il territorio ha queste svariate sfaccettature che, ancora oggi, non gli si riconosce una sua specifica identità. Certo è che il rapporto tra la gente dell’Oltrepò e il vino è qualcosa di magnificamente ancestrale, che solo visitando e vivendo la zona, si può comprendere. L’Oltrepò Pavese fino a ora è rimasto timido e chiuso in sé stesso, non riuscendo ad autopromuoversi come, invece, hanno fatto, già tempo addietro, molte altre zone di Italia. Infatti, questa terra solo ora sta facendo conoscere le proprie capacità e potenzialità nel mondo della spumantizzazione, quando invece ne vanta una lunga tradizione. Inoltre non ha mai fatto breccia con l’adeguata autostima, vitalità e prepotenza nell’universo del vino rosso, che annovera su tutti questo vitigno straordinario: il pinot nero.   Vinificato in rosso, principalmente nei terreni calcareo argillosi, qui in Oltrepò si presenta di color rubino cristallino, con unghia che vira al granato nelle versioni riserva o con qualche anno di invecchiamento. I profumi intensi conducono verso note di frutta macerata in alcol, confettura di ciliegia, spezie e sentori di sottobosco, a volte con una tendenza amarognola che definirei ammandorlata, finale. Questa tipologia si abbina ad arrosti e brasati di carne di manzo e selvaggina, piatti tradizionali del luogo. Vinificato in metodo classico, soprattutto nelle zone a carattere gessoso e nelle colline più elevate, il pinot nero acquista un colore giallo paglierino dorato, profumo intenso e persistente, con note di lieviti e crosta di pane e frutta esotica matura. Questi metodo classico di grande personalità e struttura, ben si adattano ai salumi e ai primi piatti della cucina locale.   L’Oltrepò Pavese, ora, si sta muovendo verso una nuova dimensione e lo dimostra l’evento “Terra di Pinot Nero”, giunto alla sua seconda edizione, voluto dai produttori della zona e sostenuto dal Consorzio di Tutela Vini Oltrepò Pavese, che si è svolto il giorno 26 Settembre, presso la splendida e antica Tenuta Pegazzera sita in Casteggio, rivolto esclusivamente a stampa e wineblogger di settore.   Iniziata con la conferenza stampa condotta dal direttore del suddetto Consorzio, Carlo Veronese, che ha evidenziato lo stato di crescita di questo lembo di terra a forma di grappolo, primo per estensione in Italia nella produzione di Pinot Nero e terzo nel mondo, la giornata si è svolta con la “walking around tasting” (ossia il “classico” assaggio al banco), con oltre 30 cantine presenti, contro le 20 dell’edizione precedente. Due le Masterclass tenutesi durante la giornata: “Il Pinot Nero vinificato in rosso” e “Pinot Nero Metodo Classico”, condotte rispettivamente da Filippo Bartolotta e Chiara Govoni, entrambi comunicatori del vino, sommelier ed esperti del vitigno in questione.   La scelta dei vini è stata mirata a mostrare, soprattutto, l’eclettismo del territorio. Svariati i terroir, differenti le vinificazioni o tempi di rifermentazione, diversa la scelta dell’invecchiamento o, riguardo al metodo classico, del residuo zuccherino. Insomma, una bella scelta, mirata, intrigante ed estremamente efficace, che ha mostrato le grandi potenzialità e sfaccettature di questo territorio. Stupefacente, la degustazione dell’annata “1988” dell’ azienda “Montelio” di Codevilla: colore vivo, profumi in evoluzione nel calice e gusto imponente. E unica nel suo genere la bolla “Farfalla Cave Privée”, millesimo “2013” dell’azienda “Ballabio” di Casteggio.   Ai banchi di degustazione molti i vini con note eccellenti ma ne ho individuati alcuni dalle caratteristiche peculiari: “Ca del Gè” Metodo Classico DOCG Brut millesimato 2016. 36 mesi sui lieviti. Prodotto a Montalto Pavese. Marcate le note di crosta di pane e di lievitazione. Spuma morbida al palato e finale elegante. Adatto ad aperitivi.     “Manuelina” Metodo Classico VSQ Dosaggio zero. Prodotto in una delle zone sicuramente più vocate alla spumantizzazione di Pinot Nero, Santa Maria della Versa. Al naso ha intense note fruttate e di crosta di pane e mi ha colpito per la pulizia, la sapidità e la finezza al palato. Adatto a primi piatti delicati o a carni bianche.   “Cantina Scuropasso” “Roccapietra Cruasé”. Cruasé, marchio che definisce lo spumante Metodo Classico rosé ottenuto dalle sole uve a bacca rossa Pinot Nero e racchiude in sé il significato di Cru: Cru-asé.   La cantina si trova a Pietra de Giorgi. Altra zona vocata per gli spumanti. Questo rosé si presenta brillante, il perlage è fine e persistente. Al naso note di frutti rossi, come la fragolina di bosco. Il palato è abbastanza caldo e avvolgente con note che ricordano i frutti rossi, la crosta di pane e note vegetali. Chiude con freschezza in note mentolate. Adatto a crostacei e salumi. Molti i prodotti, ampia la scelta e di gran qualità! Dunque, cosa manca a questo territorio per prendere il volo? Probabilmente la comunicazione e la spinta a uscire dai propri “confini”. Quindi, benissimo affidare a esperti la conduzione delle masterclass, ma perché non sceglierli fra persone che vivono la realtà oltrepadana quotidianamente o formarli sul campo per creare ambassador consapevoli e inseriti in questo contesto, in grado forse di trasmettere in maniera più viscerale la passione per questo vino? Una cosa è certa! Con questo evento si è dato il via ad un lungo viaggio che farà sognare chi avrà il piacere di bere Pinot Nero Oltrepò Pavese!   Valeria Valdata
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22 Settembre, 2022

Italia vs Francia finisce uno a zero

Non sono impazzita ora ve ne spiego il motivo. Ci troviamo nel comune di Sommacampagna vicino al paese di Custoza. Una zona ricca di testimonianze della coltura della vite che si deve probabilmente agli Etruschi e portata avanti poi da Veneti e Celti. Quando i Romani arrivarono in questo territorio trovarono coltivazioni ben avviate e non fecero altro che portare avanti e incrementarne la produzione. Si resero conto che era una zona particolarmente vocata grazie a un clima mite dovuto alla posizione tra il Lago di Garda e le colline moreniche dai terreni argillosi e calcarei, alcuni sabbiosi. Questo microclima favorevole, oggi lo sappiamo bene, regala ai vini prodotti, caratteristiche molto ricercate quali freschezza, leggera aromaticità, bevibilità e abbinabilità. San Michelin Torniamo al titolo: l’Azienda Gorgo, mette in produzione un vino Custoza che viene chiamato “Bianco di Custoza del Podere di San Michelin” anche come atto di devozione a San Michele la cui immagine è conservata appunto in una piccola Cappelletta vicino a un antico vigneto. Una precisazione: in dialetto veneto San Michele viene chiamato confidenzialmente Michelin. Azienda Gorgo 1- Michelin 0 Scoppia una bomba a colpi di carte bollate, cause e ricorsi durati anni, perché il famoso omonimo colosso Francese rivendica l’assoluto diritto di utilizzo di questo nome, senza considerare che non ci sono minimamente problemi di concorrenza e di eventuale confusione di marchio. Così Roberto Bricolo, titolare dell’azienda Gorgo, dopo ben 10 anni di battaglie legali, vince la causa e il Custoza può mantenere questo nome che ha conservato ancora oggi. Ammiro quest’uomo per aver “tenuto duro” e per aver combattuto per una causa in cui credeva. Mi auguro che stia ancora festeggiando di gusto per come si è conclusa la faccenda, ovviamente non a champagne! La visita La visita all’azienda se siete in zona è doverosa. Gli ambienti sono accoglienti e caldi e sembra di stare in un salotto di casa, merito anche di un recente intervento architettonico di ampliamento e ristrutturazione, dedicato sia alla cantina di vinificazione sia agli edifici riservati all’accoglienza degli ospiti. La degustazione è stata condotta con simpatia e competenza da Susy che ci ha spiegato che l’Azienda è nata nel 1975 per volontà di Roberto e di sua moglie Alberta, che hanno deciso di rinunciare completamente alle attività delle rispettive famiglie per inseguire insieme il sogno di far nascere un’azienda vinicola, investendo così anima e corpo in questa avventura. Sono infatti loro tra i primi che negli anni ’80, precorrendo i tempi, parallelamente alla vigna curano anche l’aspetto di quello che oggi chiamiamo enoturismo: accolgono in cantina ospiti, dando loro modo di incontrare personalmente chi lavora attivamente in azienda e attraverso la visita e la degustazione, fanno conoscere la loro visione di viticoltori. Ora Gorgo è guidata con determinazione e passione dalla figlia Roberta che, dopo aver completato gli studi classici a Verona e aver intrapreso una carriera da avvocato, decide che la cantina è il suo mondo. Sostenibilità Roberta non si è limitata solo a prendere in mano le redini dell’Azienda e a proseguire quanto creato dai suoi genitori, ma ha fatto un ulteriore passo avanti, convinta che il vigneto debba essere in equilibrio con l’ambiente che lo circonda. Ha infatti investito in nuove tecnologie convertendo a bio a partire dal 2014, tutti i vigneti dell’Azienda (53 ettari certificati) la cui prima annata risale al 2018. 17 le etichette prodotte e 3 le linee tutte biologiche (Classica – con cui si vuol mettere in risalto i vitigni autoctoni –  Superiore e Spumanti). Ho particolarmente apprezzato l’attenzione alla sostenibilità (anche attraverso l’utilizzo di bottiglie leggere) e il fatto che il “core” sia tutto al femminile.   La degustazione Con Susy abbiamo assaggiato le bottiglie che vedete nella foto e cioè: CUSTOZA D.O.C. Perlato – Spumante Brut Garganega (Cortese, Trebbiano Toscano, Durello) linea classica CUSTOZA D.O.C. Garganega (Bianca Ferranda, Trebbiano Toscano) linea classica CUSTOZA SUPERIORE D.O.C Summa (Garganega, Bianca Ferranda, altri) un Custoza ottenuto con uve raccolte in surmaturazione linea Superiore e non poteva ovviamente mancare il famoso: CUSTOZA D.O.C. San Michelin (Garganega, Cortese, Trebbiano) linea Superiore CHIARETTO DI BARDOLINO D.O.C. (Corvina, Rondinella, Molinara) linea classica BARDOLINO D.O.C. (Corvina, Rondinella, Molinara) linea classica Questa bella storia, era stata argomento di un mio post su Instagram con tanto di video della visita, mi sono accorta però che dal mio feed è misteriosamente scomparso, cancellato. Vediamo se questa volta qualcuno oscura l’articolo. Claudia Riva di Sanseverino @crivads   https://youtu.be/RakajXgmc-E
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14 Settembre, 2022

ROSSO MANDURIA

Rosso Manduria, ovvero pantone rosso rubino scuro, dalle mille sfumature brillanti, di ossidi di ferro, di sabbia, di calcare, di origine alluvionale  e argille. Tante sono le componenti del terreno della Doc Manduria, Doc storica e ben radicata, divisa in alcune zone che si potrebbero quasi delimitare come cru, proprio a dar vita al tradizionale concetto di terroir di questa denominazione. Un triangolo di Puglia Ed è da questo triangolo di Puglia fra le province di Taranto e Brindisi (e fino ai comuni di Avetrana e Maruggio), compreso fra lo Ionio e l’Adriatico, che ha luogo di vocazione il Primitivo di Manduria. Uva già esistente all’epoca greca e forse ancor prima portata dai Fenici. Dall’uva un vino antico che i pugliesi ancora oggi chiamano”Mjier o Mieru ” da Merum (vino schietto, di buona qualità e puro), in contrapposizione al “Vinum” composto da acqua, miele e resina.  Un vino che ha viaggiato fino a trovare una terra lontana dove mettere nuove radici. Questa terra è la California che chiama il Primitivo, col nome Zinfandel! La vera origine dello Zinfandel è stata smascherata da uno studio di ricerca voluto dall’ “Accademia dei Racemi”, associazione nata a fine anni ’90, con lo scopo di valorizzare e rivalutare il patrimonio enologico pugliese, soprattutto studiando le varietà autoctone Primitivo, Negroamaro e Malvasia Nera. Un Primitivo tutto da scoprire Perché il Primitivo trova la sua massima espressione in questo spazio di Puglia? E’ un vitigno che ama il mare, l’impianto di allevamento ad “alberello pugliese” basso, e ben si adatta al clima marino. In questo fazzoletto di terreno a circa 100mt sul livello del mare, il clima è caldo e con un’ escursione termica più elevata rispetto ad altre zone, che contribuisce ad una surmaturazione naturale delle uve. I terreni, prevalentemente argillosi e ricchi di ossidi di ferro, che si stendono su banchi di calcare di questa zona, donano le caratteristiche note di frutta rossa matura, note speziate e di erbe mediterranee, con un palato sontuoso ed alcolico ed un tannino morbido, di media acidità e con buona salinità, per un finale profondo ed elegante. Rosso Manduria, appunto. La vendemmia si svolge in un periodo variabile, a cominciare dalla prima settimana di settembre, sui terreni argillosi e con suolo calcareo con poca idratazione, fino ad arrivare all’ ultima di settimana di settembre , come nel caso dello Zinfandel dell’ azienda Vinicola “Le Felline”, immerso in un terreno molto fertile e paludoso. Ovviamente nella scelta del periodo di vendemmia non gioca ruolo solo il tipo di terroir e la vicinanza più o meno al mare ma, come per tutti, l’andamento climatico! La Cooperativa dei Produttori di Manduria La realtà di cui vi parlo, di un vino con precise caratteristiche di qualità, espressivo del territorio e con una sua dignità, è il risultato ottenuto grazie all’impegno della Cooperativa dei Produttori di Manduria: accortasi del grande potenziale del Primitivo ne ha ribaltato le sorti, affrancandola dall’uso come semplice uva da taglio per note cantine francesi e del nord Italia. Nasce quindi la doc Primitivo di Manduria nel 1974, che da disciplinare prevede la commercializzazione dopo il 31 marzo successivo alla vendemmia. Per la versione “Riserva”, sono 24 i mesi di invecchiamento ( di cui almeno 9 mesi di legno), entrambe composte al minimo 85% da uve Primitivo e il restante da uve a bacca nera non aromatiche. Successivamente nasce la DOCG Primitivo di Manduria Dolce Naturale, da 100% Primitivo ed estratto secco minimo 24g/l. Non solo Rosso Manduria Non solo Rosso Manduria: nello stesso territorio, troviamo anche ottimi vini bianchi da vitigni autoctoni. Il Bianco d’Alessano, con una buona struttura, fine e delicato, elegante con note floreali e di frutta bianca. La Verdeca, il mio bianco del cuore, prodotto anche inversione spumantizzata: è strutturata, intensa con note erbacee e dal sapore asciutto e fresco. Il Fiano dal color giallo paglierino, con frutti gialli e canditi e dalla spiccata acidità. Le realtà presenti hanno ognuna una propria storia, legata alla famiglia, al contesto e al territorio. I Produttori di Manduria sono la più antica azienda esistente dagli inizi del 900 che oggi conta 400 soci conferitori. Qualche indirizzo non guasta Luca Attanasio in Sava, a conduzione familiare, propone Primitivo in 4 versioni: Rosato fermo. Rosso giovane e rosso affinato in barrique ed un rosato con vinificazione in rifermentazione in bottiglia dalla particolare nota la di anguria che non ti aspetteresti in quest’uva, ma che è stata volutamente ricercata anche con la vendemmia precoce. Paolo Leo a San Donaci, da azienda conferitrice di uve e vino sfuso, oggi produce diverse linee di prodotti rivolte a differenti mercati. Della linea ho apprezzato molto il Bianco d’Alessano e il Primitivo “Passo del Cardinale”con le sue note di frutti neri, fresco, strutturato e persistente. Le Felline in Manduria, si presenta con il  grande Palmento (antica vasca larga e profonda, con pareti in mattone, adibita un tempo, alla fermentazione e maturazione dei mosti) utilizzato oggi per lo stoccaggio dello spumante di Vermentino e delle barrique per l’invecchiamento del Primitivo. Qui la diversificazione del territorio è precisa e per ogni appezzamento si può degustare il frutto della selezione del cru. Molto deciso e caratteristico il Primitivo Giravolta da terreni calcarei. Questa azienda è stata la prima a recuperare l’ antichissimo vitigno a bacca rossa Susumaniello.   E Gianfranco Fino. Fortunato ad aver conosciuto il nostro amato Luigi Veronelli, da agronomo diventa viticoltore e oggi produce uno dei Primitivo più conosciuti e piu’ premiati di Puglia: “Es”, il rubino nero dell’ azienda, frutto di passione, sole, studio, dedizione e terroir! In questo paradiso del palato e della vista, tutto il succo della tradizione si trasforma in nettare del futuro.  Nettare Rosso Manduria. Di Valeria Valdata @valery_and_the_wine
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25 Agosto, 2022

Medici Ermete e l'ambizioso progetto GENERAZIONE 2031

Il vino è cultura e su questo siamo ampiamente d’accordo, c’è però chi va oltre. E’ il caso di Medici Ermete e dell’ambizioso progetto GENERAZIONE 2031. C’e’ infatti anche chi, attraverso il vino genera valori e coltiva cultura sperando in un futuro migliore. Ne abbiamo parlato in altri articoli di questa stessa rubrica.
Un gradito invito quello dell’Azienda Medici Ermete, che in un assolato pomeriggio di giugno ha organizzato un evento presso la Tenuta La Rampata, luogo adattissimo per atmosfera e spazi. Condizione giovanile nell’età del nichilismo L’occasione è stata un incontro con il Professor Umberto Galimberti che ci ha intrattenuto sul tema della “Condizione giovanile nell’età del nichilismo”.
Il filosofo ha trattato un tema molto caldo, ovvero quello della condizione dei giovani in generale e in particolare dopo la pandemia. Uno sguardo assai preoccupato il suo, sulla loro situazione attuale e su come si potrebbe migliorare realisticamente la loro esistenza. Sentendo le parole del Professor Galimberti credo che ognuno dei presenti abbia sentito risuonare un campanello d’allarme dentro di sé.
I riflettori si sono accesi sulle difficoltà vissute dalle nuove generazioni e sul loro senso di inadeguatezza rispetto alla società moderna.
Siamo stati messi in guardia dal fatto che i nostri tempi hanno modificato profondamente le dinamiche di crescita dei nostri figli e il discorso si è sviluppato in questi punti:
– manca lo scopo
– il futuro non è più una promessa
– manca la risposta al perché
– la meritocrazia non esiste
– i giovani anestetizzano i loro sentimenti Inutile nascondersi dietro l’ormai abusata frase del “ai miei tempi”  perché quei tempi sono radicalmente diversi da quelli odierni. “Non possiamo riproporre il nostro vissuto ai nostri ragazzi ” prosegue il Professor Galimberti ” perché questa è la prima generazione che non può contare sull’esperienza dei genitori. Se vogliamo aiutare i nostri ragazzi dobbiamo porci in loro ascolto cercando di capire di più del loro mondo”. La bella notizia è che tutto è migliorabile purché se ne prenda coscienza. GENERAZIONE 2031 di Medici Ermete In questa ottica si fonde perfettamente il progetto GENERAZIONE 2031 di Medici Ermete. L’Azienda, presente da 5 generazioni sul territorio reggiano, ha voluto dare vita a questa ambiziosa rivoluzione, che si traduce in obiettivi precisi e concreti da portare a termine entro, appunto, il 2031.   L’albero simbolo di Generazione 2031 L’albero è il simbolo di Generazione 2031. È la metafora per trasmettere l’essenza della sostenibilità Medici Ermete: nelle radici della Medici Ermete si trovano i valori e la storia mentre salendo verso l’alto troviamo gli obiettivi che attraverso azioni virtuose, faranno crescere una chioma rigogliosa con tante foglie, proprio a rappresentare l’azienda che si sviluppa, migliora e investe in un futuro sempre più verde. Del resto questa è la filosofia lasciata in eredità dal fondatore della Medici Ermete, secondo il quale era indispensabile che “ogni generazione lasciasse a quelle successive i vigneti e l’azienda nello stesso stato di conservazione in cui li aveva trovati o addirittura in condizioni ambientali migliori”. Medici Ermete con la prima annata di Concerto (Lambrusco Salamino) certificato biologico 2020 dopo tre anni di conversione per tutte le cinque tenute, ha voluto scrivere un nuovo capitolo della sua storia, e se volete saperne di più vi invito a leggere questo link https://www.medici.it/2021/03/28/da-lotta-integrata-a-viticoltura-biologica/. Durante la serata abbiamo avuto inoltre il piacere di ammirare un’opera “prestata” dalla Fondazione Magnani Rocca del pittore Pompilio Mandelli. Un Omaggio a Duchamp del pittore reggiano, protagonista della pittura italiana ed europea del ‘900 (tra i suoi maestri Morandi e Guidi tanto per citarne alcuni) e naturalmente abbiamo assaggiato e brindato con i prodotti di punta. Insomma la cultura ci salverà, insieme alle persone che attivamente decidono di dedicarsi al miglioramento globale per la parte che gli compete. Non vedo l’ora di scoprire e rendervi partecipi delle nuove iniziative che verranno organizzate. Abbiamo quasi 10 anni per verificare la realizzabilità di Medici Ermete e dell’ambizioso progetto Generazione 2031. Claudia Riva di Sanseverino @crivads
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Fabio e Anisa Enotria Tellus Arrow Right Top Bg

10 Agosto, 2022

Enotria Tellus: cuore, amore e fantasia

Cuore, amore e fantasia  Quando dai vita ad un progetto che già nel nome, Enotria Tellus, presenta originalità e legame con il passato, significa che lavori di cuore, amore e fantasia. Il significato è presto detto: così nell’antichità ci si riferiva all’Italia per denotare la grande vocazione vitivinicola del nostro territorio. Quando spendi gli anni della formazione tra California, Toscana e Valdobbiadene l’inizio non può che essere in discesa. Questo ha fatto Fabio, che ha fatto tesoro di queste esperienze vitivinicole e oggi produce i suoi innovativi vini Igt Marca Trevigiana nella sua azienda Enotria Tellus a San Polo di Piave. La partenza con 10 ha di proprietà, accresciuti di anno in anno fino ad arrivare a gestirne altri 20 ha. La zona di produzione si trova nella campagna veneta vicino al fiume Piave, nella provincia di Treviso dove è consentita la vinificazione di diversi vitigni fra cui Pinot Grigio, Pinot Bianco, Glera, Merlot e Raboso, quest’ultimo, autoctono della zona. Lo stile Enotria Tellus Lo stile dell’ azienda è unico e inconfondibile, frutto della commistione di intuizioni, sogni, fantasia, e lavoro fisico tanto di Fabio quanto della vulcanica Anisa. E’ Anisa che rende l’azienda un mondo pieno di colori. Con le sue creazioni racconta emozioni. Sceglie i nomi dei vini e ricerca un’estetica non convenzionale per le etichette. E’ di Anisa la voglia di raccontare quest’avventura sui social. E’ una wine front woman d’eccellenza.   Una grande idea è stata la voglia di creare un evento social che oggi è alla sua seconda edizione: “Beux, Bellussera User Experience”, incontro di wineblogger (con cui Wine Tales Magazine collabora felicemente), provenienti da tutta Italia, ospitati nella cornice di Cà di Rajo, cantina limitrofa ad Enotria Tellus, dove, le persone coinvolte hanno vissuto l’esperienza della “Belussera”, antico impianto di allevamento della vite, oggi in disuso, che proprio queste due cantine stanno cercando di riutilizzare e valorizzare, al fine di mantenere la tradizione con un occhio verso il moderno. Fabio e Anisa sono molto legati al loro territorio ed è per questo che cercano di promuoverlo e di esaltarne le caratteristiche salienti.   Vini unici, che parlano Da questo fantastico contesto nascono vini dall’ impronta decisa: freschi, precisi, con una forte identità territoriale. Identità forte impressa dai terreni principalmente sassosi e di medio impasto della zona. Il carattere unico e originale deriva ovviamente anche dalle tecniche di vinificazione scelte, come la vinificazione di Merlot e Raboso in orci di terracotta. Pionieri del Pinot Grigio spumantizzato, intraprendono questo lungo Viajo a dosaggio zero. Semplice e diretto è il Merlot Ombretta vinificato in acciaio. Al naso e al palato troviamo piccoli frutti rossi, pepe bianco. Un vino immediato, acidulo e sapido. Ha l’etichetta che preferisco, sia perché rappresenta uno dei piccoli cane Bassotto che “abitano” in azienda, sia per il significato. Bere un ombra de vin è un detto molto tipico in Veneto e la scelta di questo nome afferma decisamente le radici di Enotria Tellus. Si apre un mondo quando parliamo di Piradobis., il cui nome è un omaggio all’origine Georgiana dell’uso delle anfore per la vinificazione. Alla raccolta a mano e successiva surmaturazione di uve Merlot e Raboso segue la fermentazione di 30 giorni sulle bucce e l’affinamento nelle anfore. Ed infine l’ esplosione di profumi e sapori che rendono questo vino  fortemente rappresentativo di questo territorio. Il vino che mi ha colpito di più? Renovatio, Pinot Bianco in purezza. E’ un vino indomabile perché nato durante la pandemia,  e dal nome augurale: Renovatio infatti significa rinascita. L’ augurio che Fabio e Anisa hanno voluto esprimere con questa etichetta è di poter intraprendere un cammino verso la serenità. Il nostro invito è a recarvi a San Polo di Piave a conoscere Fabio e Anisa e ad assaggiare tutti i loro vini fatti di cuore, amore e fantasia! di Valeria Valdata @valery_and_the_wine https://youtu.be/NGRZPkni6f0
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28 Luglio, 2022

La Valcalepio è il giardino di Bergamo

La Valcalepio è il giardino di Bergamo e deve questo nome ad un origine greca da Kalos-Epias ovvero Terra Buona. Ci troviamo in provincia di Bergamo in una zona collinare che si trova tra il lago di Como e quello di Iseo, compresa fra i fiumi Cherio e Oglio. Un territorio ricco e generoso che merita di essere scoperto. Io ho avuto questa fortuna e vi posso assicurare che la meraviglia è stata tanta. Durante la mia visita ho avuto una guida di eccezione ovvero Sergio Cantoni Direttore della Cantina Sociale Bergamasca. Insieme a lui e alla figlia Sara ho avuto la possibilità di visitare realtà con caratteristiche diverse ma ognuna con una forte identità pur essendo in linea d’aria molto vicine. Sono stata sorpresa dalla varietà di declinazioni, sfumature, intensità e colori che questi prodotti possono regalare. Protagoniste indiscusse le bollicine ma anche vini rossi e bianchi da invecchiamento. Le aziende visitate sono state ovviamente la Cantina Sociale Bergamasca, dove i miei pregiudizi  si sono disintegrati, la Tenuta Celinate, Il Cipresso, Il Calepino e il Podere del Merlo. Quest’ultimo oltre alla cantina dispone di una struttura ricettiva a dir poco elegante e di un ristorante capitanato dallo Chef Riccardo Crepaldi che mi ha entusiasmato per l’eleganza e la raffinatezza dei piatti. Un territorio questo, che ha visto proliferare un’intensa industrializzazione ma dove allo stesso tempo i bergamaschi hanno saputo preservare e assecondare orgogliosamente la vocazione della loro terra. Molti infatti gli industriali che hanno investito nell’attività enoica recuperando poderi abbandonati e riportandoli allo splendore iniziale. Alcune proprietà sono in attesa di restauro bloccato dalle lungaggini delle Soprintendenze come Villa Celinate, che risale addirittura al ‘400. Appartenuta ai Masciadri Orsini parenti dei Visconti di Milano, è una delle più grandi ville di Scanzorosciate, ma anche una delle meglio conservate sia dal punto di vista architettonico che pittorico. La Villa si trova in un anfiteatro naturale circondata da 50 ettari di terreno collinare a corpo unico di cui 23 coltivati a vigneto e 3 a uliveto. Una curiosità: Luigi Veronelli nel ’78 raccontava di aver “guadagnato” nel trasferimento da Milano a Bergamo “oltre che per bellezza e quiete e cibi” anche per le bottiglie di Valcalepio che riteneva “degne del massimo rispetto”. Se lo diceva lui vi potete fidare … Facendo una carrellata di quanto prodotto in zona parto sicuramente dal Valcalepio Rosso, Doc riconosciuta nel 1976. E’ un blend di uve Merlot e Cabernet Sauvignon vinificate separatamente. Il disciplinare prevede l’assemblaggio in proporzioni Merlot 40-75% e Cabernet 60/25%. Si passa all’affinamento in botte e alla vendita a partire dal 1 novembre dell’anno successivo alla vendemmia. Abbiamo poi la Valcalepio Rosso Riserva che prevede un affinamento di 3 anni per passare al Valcalepio Bianco (Chardonnay e/o Pinot bianco 55/80%, Pinot Grigio 20/45% ). Inoltre troviamo la Bergamasca IGT dove vengono impiegati vitigni tradizionali. La vera sorpresa per me è stato il Colleoni DOC. Una DOC neonata (riconosciuta nel maggio 2011) che decreta la riscoperta e la rinascita di alcuni vitigni autoctoni per anni dimenticati ma coltivati storicamente nel territorio bergamasco. Sono ben 14 le tipologie che non vi elenco per non annoiarvi. Io ho sono stata conquistata da COLLEONI della cantina Sociale Bergamasca, Spumante Brut Millesimato, un metodo classico da uve Chardonnay, Pinot Grigio e Incrocio Manzoni 6013, affinato per almeno 24 mesi sui lieviti. Le vere star indiscusse sono state però il Valcalepio Moscato Passito e il Moscato di Scanzo. L’uva da cui si ottengono queste due denominazioni è la stessa ovvero il Moscato di Scanzo, addirittura pare introdotta sulle colline bergamasche dai Romani, in due territori limitrofi eppure diversi (il comune di Scanzorosciate per la DOCG, i comuni della zona vitivinicola Valcalepio per il Valcalepio Moscato Passito DOC). Il Comune di Scanzorosciate  è un piccolo comune della bergamasca che si è fatto conoscere negli ultimi 15 anni per la produzione enologica, è la patria di una delle più piccole DOCG d’Italia e rappresenta un unicum: il nome della sua DOCG è anche il nome dell’uva richiesta per produrla. Il disciplinare prevede la raccolta dell’uva a ottobre, successivamente i grappoli vengono posti in appassimento per almeno 21 giorni. Solo a questo punto si procede con la vinificazione durante la quale la fase fermentativa avviene prima sulle bucce e poi con il solo mosto. Dopo un lungo processo fermentativo e di affinamento il vino può essere messo in commercio a partire dalla primavera del secondo anno successivo alla vendemmia. Pare che fondamentale per la produzione sia questa particolare pietra biancastra calcarea chiamata sasso de luna, una roccia molto dura che sfida le viti ad affondare faticosamente le radici. Una volta che le viti riescono a penetrare tra queste particolari rocce, estraggono il massimo in termini di sali e di aromi dando origini a uve estremamente profumate. Da questa esperienza mi porto a casa la rinnovata certezza che in qualsiasi angolo d’Italia esiste una particolarità, una ricchezza e un tesoro da scoprire e divulgare. A cura di Claudia Riva di Sanseverino  https://youtu.be/RakajXgmc-E
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10 Luglio, 2022

Un viaggio in Grecia a Zante con la sua Verdea

Zante con la sua Verdea è proprio qui che vi porto! Dico spesso che la Grecia è uno dei paesi enoici più affascinanti al mondo, non tanto per perorare la mia personale predilezione per questo popolo ma perché effettivamente è così. Non sto dicendo che la Grecia sia uno dei paesi in cui si producono tra i migliori vini al mondo ma se ci informassimo scopriremmo che furono proprio gli antichi Greci tra i popoli che più contribuirono alla diffusione della vitivinicoltura in tutto il bacino del Mediterraneo. Furono i Greci ad introdurre sistemi di coltivazione quali l’alberello, ancora oggi in uso in molte zone costiere dei vari paesi europei e furono sempre i Greci ad introdurre in Italia, Francia, Spagna moltissimi dei vitigni che ad oggi siamo abituati a nominare, basti pensare solo ad aglianico, fiano, greco, falanghina. I Greci amavano il vino a tal punto che i richiami letterari sono infinitamente floridi e tra le divinità del loro pantheon veneravano anche Dioniso, Dio del vino. Non fosse sufficiente aggiungiamo che la Grecia è anche uno di quei paesi che ancora oggi può vantare un patrimonio ampelografico originale e variegato. Dalla Macedonia al PeIoponneso, le isole Cicladi e il Dodecaneso fino ad arrivare a Creta, ogni regione conserva ancora i suoi vitigni autoctoni, antichi ed affascinanti. I Greci sono riusciti, nel corso della storia e delle varie dominazioni turche, a preservare questo preziosissimo patrimonio ampelografico per cui non hanno mai ceduto neppure all’internazionalizzazione di fine secolo e ad oggi troviamo qui una vastità di vitigni da scoprire quali assyrtiko, agiorghitiko, savatiano, roditis, xinomavro, moschofilero, malagousia, mandelari, kotsifali e tantissimi altri. Da ultimo come non sottolineare anche le caratteristiche fisiche del tutto peculiari del paese con i confini più a sud di tutta Europa, un paese dai forti contrasti in cui per quanto la maggior parte del territorio sia montuosa annoveriamo quasi 14.000 km di costa e le isole rappresentano quasi un quinto della superficie nazionale. E proprio sulle isole andiamo oggi ma non in quelle del Mare Egeo, no, non nelle celebri Santorini o Samos. Oggi parliamo delle Isole Ionie, che si trovano a poco più di 100 km a sud-est della Puglia, tra le coste dell’Albania ed il Peloponneso.  Qui a Zante, o Zacinto, dove a differenza della vicina Cefalonia non troviamo alcuna PDO bensì un’unica PGI che copre l’intero perimetro dell’isola ma soprattutto la famosa Verdea di Zante, una denominazione tradizionale o ex OKP (Oenoi Onomasias Kata Paradosi) ovvero vini prodotti con metodologie del tutto singolari (si pensi alla Retsina che viene aromatizzata con resina di pino d’Aleppo) in cui si tollerano diversità rispetto alle comuni regole europee per salvaguardare tradizioni millenarie. A livello legislativo le OKP sono state incorporate nel sistema delle PGI dunque ad oggi la Verde di Zante è tutelata all’interno della PGI Zakhyntos. Si tratta di un vino prodotto da blend di quattro vitigni autoctoni: skiadoupulos, goustolidi, robola, pavlos. Non c’è un vitigno chiamato verdea (non in Grecia, ne esiste uno con questo nome in Lombardia ma non c’è alcun collegamento tra i due), il nome “verdea” deriva dall’italiano e dal lungo periodo di dominazione veneziana in molte zone della attuale Grecia. “Verdea” per sottolineare il colore “verde” in quanto si effettua una vendemmia anticipata soprattutto sullo Skiadopoulos che raggiunge un importante grado di concentrazione zuccherina e per questo viene raccolto quando i grappoli sono ancora verdi e ricchi di acidità. Dicevamo che non esiste a Zante un vitigno autoctono chiamato “verdea”, ma ne esistono molti altri che in parte ho già nominato. Un documento risalente al 1601 ci testimonia come più di 400 anni fa a Zante fossero presenti  addirittura 34 vitigni autoctoni nella sola isola e la cosa più straordinaria è che confrontando questa lista con quelli attualmente presenti ci renderemmo conto come la maggior parte sono sopravvissuti! Io ho assaggiato la Verdea di Zante della cantina Grampsas https://ktimagrampsa.gr/ distribuita in Italia da Vinum_vini  se vi interessasse la potete trovare qui. La cantina Grampsas si trova a Lagopodi, nell’interno a sud dell’isola, dove in una campagna ricca di ulivi troviamo i vigneti coltivati ad alberello e coltivati con vitigni autoctoni locali sia a bacca bianca come goustolidi, skiadopoulos, moschatela, pavlos che a bacca nera come l’avgoustiatis. Il blend di skiadoupulos, goustolidi, robola, pavlos di Grampsas viene prodotto con un’estrazione prefermentativa in ambiente controllato e per quanto riguarda l’affinamento occorre dire che matura almeno 4 mesi in botti di rovere francese. Si caratterizza per un buon equilibrio che dona bevibilità, ottenuto con questa sapiente contrapposizione tra il naturale carattere alcolico e rotondo dello skiadopulos e la vendemmia anticipata che conferisce questa acidità a garanzia del bilanciamento. Il passaggio in legno non snatura il frutto e le caratteristiche primarie di vitigno e lavorazione ma inspessisce il corpo pur non rendendolo pesante ed ovviamente amplia il bouquet di sensazioni odorose ed aromatiche conferendo note vanigliate, spezie dolci e cenni di tostature. Si tratta di un vino che definirei un jolly in cucina. L’acidità non gli toglie la possibilità di essere abbinato con preparazioni caratterizzate da forte tendenza dolce o grassezza ma la sua rotondità e grado alcolico consentono anche che questa Verdea possa risultare efficace nello stemperare durezze nel piatto. La vedrei bene con un vasto range di preparazioni da cucina di mare a carni bianche anche se se proprio mi dovessi sbilanciare la proverei con un pasticcio o una pasta al forno, in Grecia ne fanno delle magnifiche, come il Pastitsio, che avrebbe anche il richiamo alla cannella. Certo, il massimo sarebbe poterlo degustare in loco, magari gustandosi un bel tramonto sul mare con la giusta compagnia, ma dal momento che Zante e la Grecia non sono a due passi, se non altro grazie alla giusta bottiglia di vino e ad un po’ di fantasia, possiamo goderci da casa una bella serata immaginando di essere ancora là. A cura di Stefano Franzoni “The Voice of Blogger” è una rubrica di Winetales Magazine coordinata da Stefano Franzoni    
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26 Giugno, 2022

Selvanova i custodi del bosco

La solidarietà che riappacifica, Selvanova i custodi del bosco. Percorrendo il fil rouge della solidarietà avviato con Velenosi Vini in centro Italia e proseguito con Terrevive Bergianti nel nord, ci rechiamo oggi virtualmente in Campania, regione che ho raccontato su social per un anno intero e che mi ha ospitato a più riprese nel corso della calda e strana estate 2021. Quasi a chiudere un cerchio vi parlo non a caso della primissima azienda che visitai quando, dopo mesi di lockdown, zone rosse e gialle, a fine Maggio 2021, finalmente riaprirono i confini regionali ed io presi la mia macchinina (che neanche ricordavo più come si guidava) per scendere diretto fino a Caserta. Meta l’azienda Fattoria Selvanova, oasi di pace situata a Castel Campagnano, tra il Matese ad Est e il Taburno ad Ovest, su dolci colli che diradano fino al fiume Volturno, dove vengono coltivati dieci ettari di vigneto vitati con gli autoctoni pallagrello bianco, fiano, pallagrello nero e aglianico. Da queste uve nascono quattro vini, tutti certificati biologico:  i due rifermentati in bottiglia “Londro” frizzante e “Londro” rosato frizzante (che mi diverto sempre ad infilare ‘alla cieca’ ad una qualche degustazione) ed i due fermi  “La Corda di Luino” bianco e “La Corda di Luino” rosso. Una delle prime domande che porgo ad Antonio Di Cresce, enologo dell’azienda, è rivolta proprio alla genesi di queste etichette rappresentanti  insediamenti urbani postmoderni e coloratissimi sulle sponde del fiume Vulturno. La storia che ne segue mi colpisce molto. Scopro che a disegnarle è stata Alessandra Iliano, giovane pittrice formatasi nel laboratorio artistico del Centro Diurno Dipartimentale di Riabilitazione Aquilone (del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asl Napoli 1 Centro, gestito dal gruppo Gesco attraverso la cooperativa Era). E’ lì che apprendo dell’impegno nel sociale di Fattoria Selvanova e della collaborazione con Gesco, il più grande gruppo di imprese sociali della Campania, nato a Napoli nel 1991, che si occupa di numerosissimi settori, dalla formazione all’editoria ma è conosciuto soprattutto per il suo impegno nella gestione di servizi socio-assistenziali e socio-sanitari rivolti ai più svantaggiati. Gesco intende operare seguendo i principi dell’agricoltura sociale attraverso l’uso terapeutico delle attività presenti in azienda, dal lavoro della terra alla cura degli animali e degli spazi della fattoria a favore di persone che vivono in condizioni di svantaggio e difficoltà. Fattoria Selvanova, che annovera anche alcune stanze per il pernotto e sale da grandi eventi, è una specie di santuario in mezzo al verde, tra le foglie delle viti che si inerpicano sui pendii e gli alberi che circondano numerosi il corpo centrale dell’agriturismo. Non è difficile immaginare l’effetto benefico per l’animo umano del contatto con una natura così solitaria e al contempo dolce. Il rilassante verde dell’erba e delle foglie fa da padrone, il silenzio è il vero maestro d’orchestra, rotto solo dal cinguettio degli uccellini e dai rumori di un qualche trattore distante. Ho personalmente trascorso a Fattoria Selvanova molte giornate serene. Dopo il primo incontro sono tornato qui una prima volta portando i due colleghi in foto ed una seconda con una quindicina di winelovers per una bellissima cena ad inizio autunno ed ho avuto occasione di vivere e respirare questo ambiente per giorni interi e lunghe e placide nottate ed ammetto che l’effetto rilassante di questa località è innegabile ed anzi efficacemente medicamentoso per i turbamenti dell’anima. Nell’ottica dell’evidenziare realtà etiche e meritevoli ho sentito l’esigenza di scrivere riguardo a questa azienda dove il connubio tra persone, lavoro, prodotti, ambiente ed iniziative solidali riescono a ricreare una specie di ecosistema virtuoso. Con la collaborazione di Gesco, Fattoria Selvanova si contraddistingue come un ambiente salubre dove persone svantaggiate o in difficoltà possono trovare più di un’occasione di confronto con se stessi, con la natura e con il dedicarsi ad occupazioni sane e terapeutiche. Vi consiglio di scoprire questa realtà a partire dai loro vini ed in caso aveste voglia di rilassarvi qualche giorno ospiti della natura più incontaminata del selvaggio nordest casertano…qui troverete una certa pace. A cura di Stefano Franzoni “The Voice of Blogger” è una rubrica di Winetales Magazine coordinata da Stefano Franzoni  
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6 Giugno, 2022

GRIGNOLINO che non ti aspetti...

IL GRIGNOLINO CHE NON TI ASPETTI O CHE NON CONOSCI? Sono sempre interessanti le storie di recupero di vitigni autoctoni. Il Grignolino è stato considerato per molti anni un vitigno piemontese “secondario” rispetto ai suoi cugini più conosciuti. Grazie però a un gruppo di vignaioli coraggiosi e passatemi il termine cocciuti ora lo scenario è cambiato. La visita alla Tenuta Santa Caterina  è stata illuminante sotto questo punto di vista. Un gruppo di produttori incaricano nel 2014 un docente della Facoltà di Agraria di fare ricerche su questo vitigno. Si è scoperto che già nei trattati di enologia dell’800 il Grignolino era utilizzato per produrre vini da lungo invecchiamento in botte e in bottiglia ed è stato considerato per oltre 1000 anni tra i vitigni nobili e fini. A quel punto si è iniziato un paziente a attento recupero dei cloni, è stata fatta una selezione massale e creata un’associazione chiamata Monferace (da Mons ferax ovvero colline fertili) che ora conta ad oggi 13 Aziende . Monferace è il nome che è stato recuperato da un trattato del ‘500. Probabilmente si tratta del modo in cui veniva chiamato il Monferrato all’epoca, ma indica nello stesso tempo la generosità del territorio. I produttori hanno stilato un rigido disciplinare che prevede che il vino sia prodotto in purezza da uve raccolte nei soli vigneti iscritti a uno specifico albo, e solo nelle annate migliori. E’ d’obbligo un affinamento di almeno 40 mesi di cui minimo 24 in legno. Ogni anno una commissione di tecnici insieme ai produttori, degusta i vini alla cieca per valutarne caratteristiche e idoneità.     Se un’annata non è considerata all’altezza del nome Monferace, i produttori possono decidere di non produrla. Nel corso della Visita all’Azienda insieme al proprietario Avv. Guido Carlo Alleva, abbiamo avuto la fortuna e l’onore di fare una bella verticale  (2012, 2013, 2015, 2016, 2017)  guidati da Gianni Fabrizio – curatore della guida Vini d’Italia del Gambero Rosso. Un’esperienza che consiglio e che vi stupirà. Articolo a cura di Claudia Riva The voice of blogger è una rubrica a cura di Stefano Franzoni
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