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12 Giugno, 2021

TOSCANA WINE ARCHITECTURE

IN PRINCIPIO FU ANTINORI Correva l’anno 2000 quando, colta al volo una ghiotta occasione, come giovane architetto mi hanno offerto di lavorare per le riviste Area e Materia, all’epoca realizzate presso lo studio Archea a Firenze.
Ricordo che ho avuto solo 4 giorni per decidere se trasferirmi e cambiare vita, e, accettato sull’onda dell’entusiasmo per un sogno che stava per realizzarsi, ricordo che il primo giorno di lavoro fu il 1 di novembre. Già allora, se la mente non mi tradisce, nello studio Archea si sentiva parlare del progetto per la cantina Antinori. L’opera fu realizzata, dopo diversi anni di studi, nel 2012 e fece ovviamente scalpore. In Italia all’epoca le cantine di design non erano molte: mi vengono alla mente la Cantina Mezzocorona dello Studio Cecchetto, del 1995; la cantina di vinificazione di Badia a Coltibuono, nel Chianti, firmata dallo studio Sartogo, realizzata tra il 1995 e il 1999; la cantina Petra a Suvereto di Mario Botta, progettata dal 1999 e realizzata tra il 2001 e il 2003… Il fenomeno della cantina firmata e caratterizzata da forme moderne si stava comunque affermando a gran voce, e negli anni seguenti se ne sono realizzate molte in tutta Italia. Realizzare una nuova cantina facendone un manifesto architettonico è una scelta che ha diverse finalità: attrattive ovviamente, perché la scelta colpisce e invita alla visita anche chi non è particolarmente vicino al mondo del vino; di prestigio per la committente che vuole così affermarsi come illuminata da spirito mecenatismo; funzionale spesso, perché realizzando da zero un complesso produttivo se ne possono programmare e progettare le varie fasi operative. Le cantine Antinori, legate ad una famiglia potente e dalla storia infinita nel mondo della produzione vitivinicola, con radici profonde e profondamente storiche nel territorio toscano, fece scuola anche e sopratutto per la sua capacità di inserirsi in un contesto paesaggistico di alto pregio con delicatezza e rispetto, senza rinunciare alle forme più moderne. Oggi questa cantina fa parte di un circuito di realtà chiamato Toscana Wine Architecture: nato grazie a Regione Toscana, è una rete d’imprese costituita nel 2017 che riunisce 14 cantine di design. Nel link di seguito le trovate tutte: https://www.winearchitecture.it/it/page/cantine. Nella rubrica WineKult avremo modo di parlare di queste e altre realtà, italiane e non, ma quello che mi preme sottolineare in questo primo articolo è  il valore della scelta di unirsi con l’intento di creare un “gruppo di grandi imprese che si unisce perché crede in un’impresa ancora più grande: promuovere una visione della Toscana contemporanea che sia all’altezza di quanto gli antenati hanno saputo lasciarci in dono”. Ogni cantina ha grande forza e personalità, sia dei vini che produce che dei principi costruttivi scelti per realizzare le nuove cantine. Non era necessario fare rete, fare gruppo. Ma questa scelta di unirsi sotto un unico lei motivo dell’architettura e ha consentito di portare avanti progetti che, facendo eco da una cantina all’altra, hanno assunto più forza comunicativa e di immagine. Una cantina tira l’altra, potremmo dire, e chi ne scopre una scopre un tesoro ricco di esperienze, filosofie progettuali, vini preziosi.
“Alcune Cantine sono firmate da grandi maestri dell’architettura del XX secolo (tra cui Mario Botta e Renzo Piano), altri sono espressione di scelte progettuali che favoriscono la bioarchitettura, sperimentano modalità di integrazione innovative tra le nuove tecnologie nel campo dell’energia, riducendo l’impatto ambientale”. Insieme si realizzano progetti spesso più ambiziosi e di ampio respiro. Alcuni esempi.“Architetto in cantina” è stata una giornata realizzata nel novembre 2018, dove a condurre le visite guidate delle cantine vi erano proprio gli architetti progettisti ( e se pensate che alcune firme sono importanti come Renzo Piano, Tobia Scarpa e Mario Botta…che per ogni giovane o attempato architetto l’attrazione per un evento di questo tipo non può che essere fatale). Altra iniziativa meravigliosa del 2019 è stata “IN WINE THE TRUTH”: CINEMA D’AUTORE, RACCONTI DI ARCHITETTURA E VINO, una rassegna di pellicole dedicate all’architettura proiettati nelle varie cantine del gruppo, durata da luglio a ottobre.
A dimostrazione dell’importanza culturale di questa rete e della sua attrattivi per il mondo dell’enoturismo, a febbraio 2020, quindi in tempi davvero recenti, si è tenuto a Firenze il convegno “L’architettura del vino nell’era dell’enoturismo”, sotto l’importante regia della storica rivista di architettura Casabella.
Tutti attenti quindi a cogliere al volo le opportunità che il futuro offrirà a noi architetti amanti del buon vino per unire utile e dilettevole. Francesca 
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12 Giugno, 2021

7 punti di Perlage - IL DESIGN NEL BICCHIERE

Può un bicchiere cambiare il mondo? Può un oggetto di uso quotidiano modificare abitudini entrate a fare parte della routine di tutti i giorni?
Il design è questo, è dare nuova forma ad oggetti di uso comune, oggetti talmente presenti nelle nostre vite che ormai non li notiamo più, ci passiamo davanti e li usiamo dandoli per scontati.
E la vera magia è quando dalle nuove forme poi si insinuano dei cambiamenti anche nelle nostre abitudini. Non ci credete? Pensiamo al sofà d’altri tempi…e a come lentamente si sia trasformato in divano; da forma rigida, sontuosa, ricca, si sia passati a forme morbide, sinuose, colorate. Gli anni ’70 hanno fatto scuola, hanno sconvolto il mondo degli oggetti.
Ma a volte basta poco per ridare energia ad un oggetto tradizionale, per tornare a farlo interagire con noi, per ridargli dignità e magia. Perché gli oggetti devono essere anzitutto funzionali al loro scopo, ma se si guarda a loro con uno sguardo complice rendono i nostri spazi e le nostre azioni anche più piacevoli.
Tutto questa intro per raccontarvi di un BICCHIERE.
Un bicchiere che è davvero magico. E’ magico perché rende spettacolare il suo contenuto esaltandone le qualità.
Si tratta di Etoilé Sparkle, bicchiere disegnato da Luca Bini per Italesse qualche anno fa.
Lo avete mai visto? Lo avete preso in mano? Avete bevuto da questo calice qualche ottimo vino spumantizzato o spumante da metodo classico? Trento Doc, Franciacorta, Champagne…
Se non lo avete fatto, cercate di rimediare al più presto: vi fa tornare bambini. Con i suoi 7 punti di Perlage incisi a laser sul fondo completamente piatto, ruberà la vostra attenzione anche se sarete accomodati a tavola con la migliore compagnia.
Sette colonne sottili, eleganti, di bollicine che si muovono danzando nel bicchiere tutte nella stesa direzione, a conquistare le stelle, vi ipnotizzeranno, vi trasporteranno in un attimo in una dimensione tutta infantile, vi susciteranno una sorpresa primordiale, uno stupore fanciullesco.
Vorrete tuffarvi in quel bicchiere e farvi cullare, solleticare da tutte quelle bollicine ordinate. Osservate e bevete, e quasi non potete fare a meno di continuare a guardare quel bicchiere in cui ballano le bollicine.
E quando il bicchiere è vuoto…è quasi impossibile resistere: si vuole guardare dentro per capire come si genere tale magia, semplice ma magnetica.
Così appaiono sul fondo, mimetizzati, 7 punti di Perlage disposti in modo perfetto, un cerchio magico: un punto centrale e 6 punti disposti tutt’intorno… fossero di più penseremmo ai cavalieri della tavola rotonda, ma questa disposizione è anch’essa ancestrale, come le pietre disposte a cerchio in luoghi lontani e mitici, come stonehenge.
La mente creativa da cui Etoilé Sparkle è nato è quella di Luca Bini, ospitality ambassador alla Casa del Vino della Vallagarina. E anche qui la magia non manca. Non perdetevi una sosta in questo edificio storico dove è il cibo che accompagna il vino e non viceversa. ( vd articolo Cristina)
Luca ci ha lavorato per 3 anni insieme a designer, ingegneri e maestri vetrai. Ne sono stati fatti tantissimi prototipi al fine di riuscire a creare un bicchiere che riuscisse a esprime il perlage in modo perfetto e definito. La nuova versione della coppa da champagne…ci voleva…mancava!
Non voglio farne una descrizione tecnica, la trovate online.
Gli oggetti sono compagni di vita quotidiana, volevo raccontarvi la poesia che può scaturire da un semplice ma complesso bicchiere.
Reinventare ciò che è ovvio e dato per scontato è, forse la sfida più grande per la creatività umana. Il “ si è sempre fatto così”, a molti, non basta.
“Un calice per spumante dalle proporzioni perfettamente studiate e bilanciate, caratterizzato da una coppa che richiama quella da Champagne e da un’altezza del corpo del calice ispirata al flûte.
L’ampiezza della bocca e la linearità delle pareti del bicchiere per spumante Sparkle permettono agli aromi ed al perlage di essere convogliati verso l’alto e direttamente nella bocca, enfatizzando al massimo tutte le qualità del vino.
La presenza di 7 punti perlage incisi al laser (su una delle due versioni del calice), di cui uno posto centralmente e altri 6 posizionati su una corona circolare equidistante dal centro, consente a questo innovativo bicchiere per spumante di favorire eccezionalmente il perlage.
Calice ideato appositamente per esaltare le doti organolettiche ed olfattive degli spumanti ottenuti con metodo champenoise ed ideale per degustare il Trento Doc.”
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11 Giugno, 2021

Conti Tasca d’Almerita: la Sicilia da ogni prospettiva

Avere la fortuna di vivere un’esperienza condita di ospitalità e degustazioni nelle tenute Tasca d’Almerita è una vera e propria immersione in ciò che di più bello ed autentico la Sicilia possa offrire. Le 5 tenute, che permettono di visitare la Sicilia in ognuno dei suoi angoli più caratteristici, sono l’evoluzione di una storia che risale al 1830, quando i fratelli Lucio e Carmelo Mastrogiovanni Tasca, introducendo le più moderne tecnologie agricole nell’entroterra siciliano, acquistarono la tenuta Regaleali, a cui negli anni si sono aggiunte Capofaro a Salina, nell’arcipelago delle Eolie; Tascante sull’Etna; la tenuta Whitaker nell’antica isola di Mozia; e Sallier de La Tour nella Doc Monreale. Tutto questo, in un preciso progetto di valorizzazione delle varietà autoctone e dei territori a più alta vocazione vitivinicola. La proposta di ospitalità differisce quindi in ogni realtà, pur restando accomunata da un fil rouge di qualità ed esclusività, oltre che della tipica accoglienza della nobiltà siciliana: Regaleali è una realtà incomparabile, da vivere, quasi da consumare, per trarne, come il vino dall’uva, quel qualcosa in più. Regaleali prim’ancora che produrre vino, è custode di un equilibrio delicato e irriproducibile tra uomo e ambiente: una responsabilità cruciale verso la società e le generazioni future. Offre al cliente la possibilità di assaporare la cucina siciliana attraverso le ricette antiche: dai sapori dell’orto offerti a Case Grandi, alla ben nota scuola di cucina Anna Tasca Lanza, proposta a Case Vecchie dalla figlia Fabrizia. In ultimo, per il riposo può ospitare i viandanti presso la corte centrale di Case Grandi, nelle stanze intorno alla magnolia, che da generazioni dà il primo benvenuto agli ospiti. Nella tenuta è anche possibile fare trekking tra le vigne e passeggiate in bici o a cavallo per l’immersione più totale nel mondo agricolo siciliano e di Tasca d’Almerita.  Le parole “Vigne custodite dalla famiglia Tasca d’Almerita” che firmano le etichette sottolineano la storicità del saper fare agricolo della famiglia Tasca e il senso di responsabilità verso l’ambiente e le generazioni future. Tascante. Un territorio unico al mondo quello del vulcano Etna, fatto di terrazzamenti, muretti a secco e filari di vite, contornati da boschi cresciuti tra terra e lava e che abbracciano le contrade della tenuta Tascante. Questa è una esperienza per pochi, rigorosamente da prenotare, da vivere per degustare in contrada Rampante e Piano Dario a Passopisciaro, i vini della Muntagna: Nerello Mascalese espressione delle diverse Contrade e Carricante, accompagnati dai sapori di castagne e pane cotto a legna di un tempo che fu. Capofaro è un luogo unico nel mediterraneo da tutti i punti di vista, nella più verde ed agricola delle Isole Eolie, Salina. Potendo attingere ad un rigoglioso orto proprio e ad un ampio novero di produttori locali, regala una grande varietà di piatti semplici, stagionali e a filiera cortissima. Una sostenibilità in tavola, sincera.  Nel wine resort aderente al circuito Relais Chateaux, si assapora davvero l’eleganza e l’ospitalità di charme, senza però perdere la mediterraneità, complice il sapore inconfondibile della Malvasia, che accompagna da sempre la storia di queste terre della bellezza. Sallier de la Tour. Ad attendere il visitatore in aperta campagna nella valle dello Jato, troviamo la cantina di storia centenaria dove poter degustare le espressioni monovarietali territoriali di Nero d’Avola, Grillo, Inzolia e la Syrah, principe di queste dolci colline, con le caratteristiche di freschezza ed eleganza di latitudini diverse e le note opulente dei vini del Mediterraneo. Fondazione Withaker. Reperti archeologici e vigne convivono in modo irripetibile sulla piccola isola di San Pantaleo, tra la terraferma e l’isola Longa, un viaggio nella storia attraverso una delle più floride colonie fenicie del Mediterraneo. Su prenotazione è possibile visitare e degustare un fantastico Grillo. Tasca d’Almerita, conferendo una grande personalità alla sua proposta ricca e variegata, riassume la varietà e il modo di essere per chi ama le atmosfere mediterranee. Cristina
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11 Giugno, 2021

Monte Zovo: dal lago ai monti, una degustazione immersiva

Proprietà della famiglia Cottini dal 1925 ed oggi alla quarta generazione, Monte Zovo è una realtà storica veronese capace di offrire una elevata varietà di prodotti di altissima qualità grazie alle 3 Tenute di cui dispone: Le Civaie: Situato nella zona del basso Garda produce il vino bianco iconico della zona il Lugana Tregnago: Situato nella zona collinare ad est nel Cru della Valpolicella è la sede storica dove avviene anche l’appassimento delle uve e si produce il Valpolicella, il Ripasso, l’Amarone e la sua Riserva, oltre al Recioto Caprino: Acquistata nel 1965 e sede della Cantina dal 1995, realizza prodotti unici (2 bianchi, 2 rossi ed un rosè) da degustare in tutta la loro innovazione. La sostenibilità è da sempre un aspetto chiave del modo di vinificare di Monte Zovo; così come la varietà, l’innovazione ed il voler regalare un’esperienza sono gli asset su cui la Cantina propone il proprio concetto di Ospitalità, andando al di là della degustazione. Proprio per seguire questa varietà si propongono ben 5 percorsi di degustazione differenti: Il Vigneto. Lo consiglio a coloro che amano la multi sensorialità perché si svolge direttamente nelle vigne con un format picnic di merenda contadina cui si abbinano 3 vini BIO che proprio per questo possono splendidamente accompagnare il percorso. La Terra. Esperienza più variegata che permette di assaporare 4 tipologie di vino (dal Sauvignon all’Amarone) laddove vengono prodotte, permettendo al visitatore di comprendere le differenze dei territori e delle tecniche per realizzare i migliori vini La Terrazza. Consigliata a coloro che desiderano il piacere della magia del territorio del Garda, è una esperienza che coniuga il prodotto alla visione del produttore e del suo territorio, ammirato appunto dalla Terrazza sul Garda. La Cantina. Esperienza simile a “La Terra”, ma più ricca di prodotti e gustata laddove l’uva diventa qualcosa di più: Il Vino. Amarone. La consiglio a coloro che amano il prodotto. Un percorso effettuato laddove avviene l’affinamento che tra 4 tipologie di Amarone consente di assaporare varietà e complessità. Monte Zovo rappresenta a mio parere una realtà ricca di varietà ed in forte crescita sull’approccio all’hospitality stante che prossimamente aprirà anche una residenza per coloro che volessero godere dell’esperienza soggiornandoci. Questo esempio di ospitalità è davvero interessante e può assurgere ad esempio virtuoso di come in questo momento PostCovid il turismo sarà sempre più esperienza, realizzato per target definiti e piccoli numericamente, ma ricchi di contenuto. Cristina
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11 Giugno, 2021

Vallagarina: La casa dell’Ospitalità

Ad Isera, in quel tratto della Val d’Adige che si trova di fronte a Rovereto, si trova la Casa del Vino della Vallagarina. Un posto unico, un ristorante che propone il meglio della tradizione trentina con iniziative culinarie sempre nuove, un boutique hotel ricavato nello storico Palazzo de Probizer le cui camere di prestigio riprendono i nomi dei vigneti circostanti e chiaramente l’enoteca, il centro dove poter assaporare i prodotti migliori che Vallagarina possa offrire. Fondata nel 1996 da 30 produttori, la Casa del Vino rappresenta un esempio concreto ed unico di promozione territoriale dei vini e dei distillati, unita da un obiettivo di creazione di ospitalità per far gustare il territorio ed il prodotto. Con un approccio di territorio che ricorda i consorzi transalpini per approccio ed offerta, vede ogni realtà produttiva, ogni socio, mobilitato in prima persona, artefice e interprete singolare di una realtà vitivinicola, espressione di una ruralità che diventa di gruppo, un blend unico da assaporare. La degustazione alla Casa del Vino diventa quindi la “scusa” di scegliere una location unica dove gustare un territorio, fatto di bollicine (Trento DOC), bianchi e rossi unici: Chardonnay, Lagrein, Marzemino, Merlot, Moscato giallo, Müller Thurgau, Pinot Grigio, Schiava gentile e grossa, Sauvignon bianco, Cabernet, Traminer e Teroldego sono i vitigni che danno vita ai migliori vini trentini prodotti e proposti alla Casa del Vino, dai produttori che sono anche soci della realtà Vallagarina. Chiaramente al buon vino si abbinano i prodotti tipici di queste valli: il sapore intenso dei formaggi del Monte Baldo e del Vezzena, la sapidità degli insaccati e della tipica carne salada e il profumo dell’olio extravergine d’oliva del lago di Garda; il tutto per realizzare dinamici convivi, confronti, degustazioni e sfide sempre nuove tutte da gustare. Oggi questa è ancora per molti versi una terra di passaggio, dove da chi percorreva il valico del Brennero nel Gran Tour ad oggi, la val d’Adige è sempre stata terra di passaggio, ebbene forse grazie alla Casa del Vino potremmo riscoprirla come punto di arrivo, come destinazione di ospitalità raffinata seppur concreta e autentica nei prodotti e nei sapori che propone.
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11 Giugno, 2021

Carlo Alberto Pierato, F&B Manager presso Grand Hotel Villa Serbelloni

Io e Carlo ci conosciamo da tanto tempo. Era la nostra vita precedente a questa. Io ero legata al mondo delle riviste: dopo aver scritto a lungo di architettura e design ero quasi per caso entrata nel settore del vino e del cibo. Carlo era maitre in un bellissimo ristorante bergamasco, L’Anteprima, famosa per la sua proposta molecolare… Le mie visite nei ristoranti per la Guida per cui scrivevo all’epoca erano in forma anonima, e il mio fidato compagno di tavola era già allora mio marito Massimo. Il nostro tavolo era il migliore: direttamente in cucina, week to week con lo chef che preparava i piatti davanti a noi e in costante contatto con Carlo che passava dal nostro tavolo alla sala con disinvoltura e sempre con un morbido sorriso. Morbido, naturale, non affettato. La cena è stata mitica, mi ricordo ancora le sorprese per gli occhi e le esplosioni di gusto in bocca, i profumi intensi e le consistenze stupefacenti…mi ricordo tutti i piatti che ho degustato. Mi ricordo lo chef, poco espansivo ma pronto a soddisfare ogni nostra curiosità, mi ricordo Carlo che ci ha accompagnato amorevolmente in questo percorso di gusto con un’eleganza e una semplicità che posso dire di non aver mai più scovato in nessun altro luogo. Carlo è IL maitre. La sua carriera parla da sola, ma l’eccezionalità è lui, la sua personalità, la sua persona, il SUO modo di interpretare il suo ruolo. Abbiamo avuto poi modo di frequentarci e di conoscerci bene in questi anni, vedendoci poco ma con incontri sempre molto intensi, sia umanamente che professionalmente. Ci siamo confrontati a fondo sul significato e il senso vero di accoglienza, in un ristorante come in un Hotel, tanto che abbiamo abbozzato ad un progetto insieme che è poi rimasto in sospeso, come nel Limbo, in attesa che maturino i tempi per poterlo realizzare, speriamo insieme. Nel frattempo la carriera di Carlo è proseguita ed è culminati diversi anni fa con il suo arrivo al Villa Serbelloni Hotel, uno storico gioiello sul Lago di Como. Anche lì sono andata a trovarlo, e ricordo benissimo, dopo due giorni ospita in hotel, di aver chiacchierato con lui di ciò che proprio non andava (punto più critico era la colazione). Ho visto crescere ancora di più, se possibile, la sua professionalità, ho scoperto alcuni dei suoi metodi di lavoro, e ciò che più mi stupisce di Carlo è la sua incredibile dedizione alla sua professione che interpreta mettendosi sempre in gioco, in dubbio, e con una tendenza al personale miglioramento. Se dovessi trovare un termine solo per descrivere quest’uomo incredibile ed eccezionale professionista è COERENZA tra quello che è e quello che fa, un termine che da forza ad ogni azione e pensiero di chi ne fa il proprio credo. Il tempo passa e si cresce e si cambia, se se ne ha la forza e il coraggio. A Carlo Pierato non manca né la forza né il coraggio. E così ha interpretato il suo ruolo di matite prima e di Food & Bevarage manager dopo mettendosi in gioco in prima persona, cercando una crescita personale e trasformandosi in un secondo momento in trascinatore del suo staff. Da anni Carlo Pierato si interessa e si occupa di formazione, per diverse realtà, consapevole che il mondo della ristorazione e dell’ospitalità ha nel personale il primo ed essenziale punto di forza o di debolezza. “Il mio lavoro è fatto più di persone che di materia, quindi vanno analizzate le persone e i loro comportamenti per migliorare il servizio. Siamo sicuri che basti che ci sia un sommelier per proporre e valorizzare al meglio un vino? Noi siamo l’anello di congiunzione tra prodotto-produttore-ospite. Siamo i facilitatori dell’esperienza del cliente. Il servizio deve recuperare più personalità che tecnica, il personale di sala deve essere preparato, versatile, deve sapersi adeguare alle diverse situazioni che si affrontano durante il servizio. I clienti seduti a tavola ogni sera in contemporanea sono tanti e sono tutti diversi, quindi noi dobbiamo modulare la nostra presenza al loro fianco e la nostra personalità. Questo senza snaturarci, ma facendo in modo che, con l’esercizio, ci si abitui a dare il massimo”. Dare il massimo, vivere al massimo, lavorare al massimo, non della velocità, non della competitività, ma delle proprie capacità. E farlo così bene e con tale signorilità da diventare esempio per tutti quelli che si muovono attorno. Questo è Carlo Alberto Pierato.
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11 Giugno, 2021

Vieni via con me

🎧 Creep #radiohead
🍷Vieni via con me #vinotoscani
🍇 Cabernet Franc “What the hell am I doin’ here?
I don’t belong here
I don’t care if it hurts
I wanna have control
I want a perfect body
I want a perfect soul
I want you to notice
When I’m not around
So fuckin’ special
I wish I was special”
.
Vieni via con me dovrebbe essere un Manifesto all’amore e al vino che definisce gli obiettivi di un movimento e di coloro che decidono di farne parte.
Cabernet Franc in purezza, ipnotico, elegante, sensuale come pochi che ho incontrato nella mia strada sensoriale, un colore che vibra, ti stordisce prima ancora di riuscire a portarlo al naso, lo vorresti toccare con mano per capire davvero il suo colore e la sua densità.
All’esperienza sensoriale del vino manca il tatto, allora mi piace immaginarlo, come qualcosa che prende forma, come se dovessi toccare con mano qualcosa di sensuale e il mio cassetto dei ricordi mi porta immediatamente a Bernini, al Ratto di Proserpina (Galleria Borghese, Roma), alla bellezza del marmo che sembra burro nell’irruenza di un violento “abbraccio” quando la carne si fonde con carne, mi piace immaginare il tatto con questo vino così: irruento e sensuale. Gli antichi narrano che Proserpina, figlia della Dea Cecere era intenta nei prati in fiore a giocare con altre ninfee, quando Plutone, Dio degli inferi e dei morti, che regnava sotto terra al freddo e al buio, senza nessuna donna che volesse diventare sua moglie, squarcia la terra e con un carro d’oro trainato da quattro cavalli neri sale sulla terra e s’innamora perdutamente di lei. Con violenza ed irruenza la afferra tra le sue urla strazianti e la porta via con se. La Dea Cecere non riuscendo in tempo a salvare la figlia e negato l’aiuto di Giove scaglia una fortissima siccità sulla terra, mettendo in ginocchio e portando alla fame tutti gli umani. Giove decide dunque di intercedere e riportare Proserpina sulla terra e restituirla alla madre, Plutone prima di lasciarla andare le offre dei chicchi di melograno, Proserpina non sa che mangiandoli si legherà per sempre a lui e agli inferi.
Il mito di Proserpina vuole quindi che l’arrivo della primavera sia sancito dall’arrivo di Proserpina sulla Terra, a cui è concesso di restare solo alcuni mesi, e che il suo ritorno nell’Ade, otto mesi dopo, coincida con l’arrivo dell’autunno le mie stagioni preferite in vigna, dove tutto ha inizio e poi fine.
Alla fine Plutone voleva davvero che Proserpina venisse via con lei. Vieni via con me al naso è inconfondibile, allevato in una delle zone più vocate per questo vitigno che è la più antica tra le varietà bordolesi, mix perfetto tra i profumi mediterranei e le nobili tradizioni di Bordeaux, elegante ma dispettoso, nonostante in bocca abbia un equilibrio perfetto dal sorso strutturato e avvolgente, lascia una carezza delicata come la seta, eterea come un dipinto di Chagall.
Mi piace pensare che questo vino mi porti via in posti lontani, sconosciuti ed insicuri, questo è un vino che ti rapisce, ti afferra con violenza, ti fa sentire viva e scossa, ti ammalia e ti stordisce con piacevolezza, l’importante poi è ritrovare la strada di casa, sempre. Clara.
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11 Giugno, 2021

Barolo Prunotto

🎧 Sea of Teeth #sparklehorse
🍷Barolo #prunotto 1967
🍇 Barolo Il vento porta, il vento porta via, una costante nella mia vita, accade sempre qualcosa di bello o di brutto, non importa, fondamentale non farsi trovare impreparati. Una fievole luce di una candela, Sparklehorse in sottofondo, chiudo il libro che sto leggendo e inizio a pensare. C’era una volta e forse c’è ancora un grande gigante che si apprestava in una ventosa serata a farmi compagnia.
Il vento sbatte forte alle finestre come se volesse entrare, il gigante a difendermi, cerco di essere il più razionale possibile ma davanti a lui, crollo in lacrime.
Lui le raccoglie, le asciuga e mi culla in un dolce e profumatissimo abbraccio. Tanto più grande di me, non ero ancora nata, titubante nell’aprirla o meno, tremo, alla fine presa da coraggio stappo e il gigante che riposava da tempo viene fuori, neanche fossimo Aladino, la sua lampada magica e il genio (ma questa è un’altra storia).
Con estrema delicatezza lo accompagno fuori, lo aspetto, lo scruto, guardo il suo colore rubino tendente al ramato, però è più rubino eh, lo accarezzo nel bicchiere, cerco di cullarlo dolcemente nel calice, con oscillazioni morbide e delicate, lo annuso ed è subito emozione, un mondo di spezie, sottobosco e tostature che mi ricordano la vecchia barricaia polverosa di mio nonno in montagna, lo assaggio e resto di pietra, nessuna imperfezione, la struttura ha retto e i suoi 54 anni non si sentono affatto, anzi, mi avvolge il palato in una lunga prolungata perfetta carezza, come se fosse velluto, di una freschezza inaspettata, una vera e propria magia.
Il vento continua a bussare alla finestra, il gigante mi avvolge e mi difende, niente stasera può scalfire questa sintonia.
All’improvviso le lacrime, ho pianto solo per tre vini in vita mia, e questo è uno dei tre. Descrivere un’emozione così rara ed unica non è facile, sapere che non sarà ripetibile, come quelle situazioni in cui ti lasci travolgere e sai che non torneranno più, ma con incoscienza ti lasci trasportare dagli eventi correndo il rischio di farti male, ma non importa sai che il gigante è lì con te, o forse lo speri. Emozioni che ti lacerano il cuore e sai già che quelle ferite non guariranno presto, forse mai, ma sono talmente forti e belle quando le vivi che ne accetti tutto il rischio.
Continuo a sognare con il mio gigante e lo porto con me nei miei sogni, consapevole che questa storia non si potrà mai più narrare insieme, o forse sì. Chiudo gli occhi, ancora caldi delle lacrime e cerco di mettere nel cassetto dei miei ricordi questa serata, sarò pronta a riaprirlo ogni volta che vorrò di nuovo sognare.
Oggi per me è un grande e nuovo giorno, il gigante mi porterà sicuramente fortuna.
.
“Can you feel the wind of Venus on your skin?
Can you taste the crush of a sunset’s dying blush?
Stars will always hand in summer’s bleeding veils”
Sparklehorse.   Clara.
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11 Giugno, 2021

Eraldo Dentici

Eraldo Dentici è per me il mio fil rouge, tanto per scomodare Goethe, con il mondo del vino, una mia affinità elettiva. Eraldo è eclettico e un po’ matto, come me del resto, mi dà carta bianca per raccontarlo e si fida di me, insieme abbiamo tanti progetti che piano piano stanno prendendo forma, ed è pazzo proprio perché mi asseconda. Se io nella vita lancio i coriandoli, Eraldo spaccia pozioni magiche.
Insieme potremmo essere definiti la coppia di amici più pazza del mondo.
La sua cantina è un luogo anacronistico, tutto fuori posto, ma esattamente in ordine per la sua mente, lui fa tutto a mano, dall’imbottigliamento, all’etichettatura, persino la capsula, che viene inserita in una serpentina bollente e ti chiedi come sia possibile che produca tutte quelle bottiglie, così, da solo, con l’aiuto del padre.
Eraldo da geometra a vignaiolo, che inizia veramente per scherzo, per “sfuggire” alla leva militare obbligatoria, si butta in vigna.
Lui è molto attento alla natura, sceglie persino dei vetri per le bottiglie che abbiano poco impatto sull’ambiente, i vini sono vegani, non utilizza chimica in vinificazione, non controlla la temperatura, lascia il decorso della natura. I suoi vini non sono filtrati e vi assicuro che sono di una limpidezza sconvolgente con dei colori super ammalianti, al naso sprigionano freschezza la stessa che poi ritrovi al palato, fatta eccezione per Esimio che è un mondo a parte, di cui vi parlerò qualche riga più sotto.
I suoi sono “vini naturali” anche se dal punto di vista giuridico non è possibile così definirli, sono l’esempio di capolavoro della vinificazione, sfido chiunque a dire il contrario. Il suo cavallo di battaglia è Esimio, etichetta opera d’arte di Cosimo Brunetti, pittore e videomaker di Spoleto, che rappresenta proprio un cavallo blu.
“Esimio: di rare qualità, straordinario, singolare, esemplare” è il significato etimologico della parola.
Ormai ho perso il conto di quante volte ho scritto di questo vino.
Credo di aver finito ormai le parole, un vino eclettico, come il vignaiolo che lo produce, un vino che quando lo assaggi non puoi non innamorarti.
Il colore di Esimio mi ricorda un po’ la barba di Garibaldi, personaggio epico che adoro, come narra l’illustrissimo Prof. Barbero un vero amante della Malvasia, che adoro ascoltare nei suoi infiniti e interessantissimi podcast. Il colore ancora prima del profumo ti riempie gli occhi e la mente, Esimio è un implosione di profumi e un’emozione in bocca è il vino del cuore, quello che riesce in ogni momento a riportarti l’allegria e la serenità, un vino ormai di casa per me, so di essere maledettamente imparziale sul mio giudizio del cuore, ma voi al mio posto cosa fareste con il vostro vino del cuore? Blend 85% grechetto 10% trebbiano toscano 5% chardonnay.
Esimio ha la dolcezza di una zucca, il graffio di un’acacia, l’insolenza di una pesca matura pungente ed ha una particolarità che ogni bottiglia potrebbe esprimere cose diverse, ha una lunga e super tecnica di macerazione per 3 mesi sulle bucce di grechetto, in acciaio, poi a primavera viene custodito in barrique per poi affinare in bottiglia: un vero e proprio capolavoro da 15,5% e un tannino degno di un rosso, praticamente inaspettato. Ovviamente tutto avviene in modo naturale senza controllo della temperatura e fermentazione su lieviti indigeni in tini aperti tanto che come motto Eraldo ha: “Il vino si fa con l’uva”. Sicuramente tornerò a parlarvi di altre meraviglie di questa cantina, restate sintonizzati! Clara.
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