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19 Maggio, 2024

Tedeschi: aromi di Valpolicella

Ci sono realtà che non possono mancare nel nostro bagaglio di conoscenze del mondo del vino e, per chi come me ama i grandi rossi della tradizione, qui siamo difronte ad una vera eccellenza da non perdere. Quattro secoli di storia e di tradizione vitivinicola, pionieri dei vini cru della Valpolicella, la famiglia Tedeschi dal 1630 interpreta con passione il territorio della Valpolicella. Vini, eleganti e dotati di spiccata personalità, svelano i sapori e gli aromi tipici della terra che caratterizza da sempre la loro produzione e identità. La grande sfida intrapresa dall’azienda consiste nel coniugare lunga tradizione e metodo di ricerca e produzione innovativa all’interno di vini capaci di raccontare la ricchezza del territorio della Valpolicella. I vini Tedeschi sono diventati sinonimo di terroir e di Valpolicella in tutto il mondo, grazie ad un lavoro costante e meticoloso in vigna negli anni. Tedeschi sostiene la ricerca e la sperimentazione, quali strumenti fondamentali per garantire una produzione di qualità. L’azienda, da sempre rispettosa del territorio, è oggi sostenibile, certificata secondo gli standard Biodiversity Friend ed Equalitas. Nulla può essere lasciato al caso: la profonda attenzione alla vigna implica anche la ricerca di ottenere una perfetta interazione tra caratteristiche del terreno, il microclima, l’esposizione, la scelta delle giuste varietà e il sistema colturale, con il fine di ottenere uve perfette. In quanto produttori di Valpolicella, di Amarone e di Recioto in Valpolicella da secoli, accanto alle uve autoctone obbligatorie nei vigneti di proprietà vengono coltivate anche piccole percentuali di cultivar meno note ma altrettanto tradizionali in Valpolicella come l’Oseleta, la Dindarella, la Negrara, la Rossignola e la Forselina. Nel 2010 è iniziato un lavoro di zonazione e di caratterizzazione dei vigneti della tenuta di Maternigo e della zona Classica. La zonazione, ovvero lo studio pedologico dei vigneti, è da anni vista come il punto di partenza necessario per una viticoltura di qualità, una strada impegnativa e onerosa, ma capace di offrire risultati importanti e permanenti. Oltre alla zonazione è stata affiancato il lavoro di caratterizzazione che analizza il terreno e misura il modo in cui la pianta si esprime da un punto di vista vegetativo. Una volta misurate le differenze, è stato dunque possibile intervenire in maniera mirata e capillare al fine di ottenere uno sviluppo vegetativo e produttivo uniforme della vite nell’intero parco vigneti, con evidenti conseguenze positive sulla qualità dei vini. Il lavoro di zonazione e di caratterizzazione ha permesso di preparare una carta dei suoli: Maternigo ha evidenziato l’esistenza di 7 diverse aree con caratteristiche pedologiche proprie per giacitura, terreno, sostanza organica e capacità di drenaggio; nella Valpolicella Classica, sia nel vigneto Monte Olmi sia nel vigneto La Fabriseria sono state invece evidenziate due diverse aree. Per ogni area a vigneto sono state delineate le diverse tipologie di suolo rinvenute. Le analisi mostrano un terroir ad alta vocazione e di grande qualità. Sono le differenze in microelementi, a tratti apparentemente poco significative dal punto di vista quantitativo, a determinare e a definire le peculiarità delle singole parcelle e quindi dei vini prodotti nei diversi vigneti. I risultati ottenuti dalla zonazione e dalla caratterizzazione dei suoli hanno avviato una serie di interventi in vigna. Nel tempo è stato portato avanti un processo di inerbimento per rafforzare le difese naturali del vigneto, un piano di controllo dello stress idrico, un innalzamento del contenuto di carbonio organico, un arricchimento del terreno mediante semina di particolari essenze, con lo scopo anche per rafforzare le difese naturali del vigneto, e l’apporto di concimi organici. Viene inoltre adottata una lotta integrata tramite l’utilizzo di batteri contro malattie come la tignola e la botrite e di estratti naturali per combattere la peronospora e l’oidio. Consapevoli di come la composizione del terreno possa influenzare l’aroma di un vino, in modo pionieristico nel territorio della Valpolicella, Tedeschi ha intrapreso uno studio di caratterizzazione aromatica dei vigneti. Le prove scientifiche dell’esistenza di un codice chimico trasmesso da uno specifico terroir ai vini arrivano grazie ai nuovi strumenti a disposizione dei ricercatori, spinti nei loro studi anche dalla curiosità dei produttori, sempre più interessati a comprendere i meccanismi che generano differenze aromatiche e di longevità nei vini ottenuti da vigneti situati in zone diverse dello stesso areale di produzione. Dopo la presentazione dei primi risultati, nel 2021, di uno studio iniziato nel 2017 svolto dalla famiglia Tedeschi con il Prof. Maurizio Ugliano e in collaborazione con il Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona sui caratteri aromatici delle uve e dei vini da singoli vigneti e sui principali fattori coinvolti nella loro espressione, arriva oggi un ulteriore aggiornamento, che entra ancora più nel dettaglio di quella che viene definita firma aromatica di un vino. L’identificazione delle impronte aromatiche di ciascun terroir ha comportato l’impiego di una strategia di analisi piuttosto complessa, che si è avvalsa dell’impiego di 4-5 differenti metodi di analisi della frazione aromatica. Questo perché l’aroma di un vino è, da un punto di vista analitico, un mix estremamente complesso, costituito da diverse centinaia di sostanze di cui però solo un numero più contenuto contribuisce all’aroma percepito. Infatti, alcuni dei composti che contribuiscono alle firme aromatiche non sono presenti nelle uve o nei vini giovani, ma si formano con l’invecchiamento. “In particolare, gli studi hanno mostrato che alcuni Amarone, tra cui quelli dell’azienda Tedeschi, si distinguono per la presenza di alcune sostanze odorose dalle caratteristiche olfattive complesse. Tra queste, i cineoli sono di particolare interesse in quanto supportano l’espressione di note aromatiche balsamiche che ricordano a tratti l’odore delle foglie di eucalipto”, sottolinea Ugliano. Affinché i vini possano sviluppare nel tempo questi caratteri, è importante che nelle uve siano presenti alcuni composti, aromaticamente poco odorosi e quindi spesso trascurati dai ricercatori, che poi nell’ambiente debolmente acido del vino formano lentamente i cineoli stessi. Si tratta quindi a tutti gli effetti di una riserva di precursori d’aroma che nel tempo contribuisce ad arricchire il profilo aromatico del vino con nuovi caratteri. “L’aspetto interessante è che l’appassimento, in particolare nel caso della varietà Corvina, aiuta la formazione di precursori d’aroma specifici a supportare poi lo sviluppo di questi sentori balsamici, attraverso meccanismi che ancora non comprendiamo del tutto”, aggiunge Ugliano. Grazie all’impiego di un nuovo metodo di analisi messo a punto dal Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona, inoltre, è stato evidenziato il contributo, alle firme aromatiche dei vini, di un altro composto finora poco studiato nei vini rossi italiani, ossia il dimetil solfuro. Si tratta di un composto aromatico che a concentrazioni elevate impartisce al vino odori che ricordano il tartufo e il sottobosco, mentre se presente a livelli più bassi supporta l’espressione di note odorose di frutti neri e cassis. Nei vini giovani esso è pressoché assente, mentre con l’invecchiamento aumenta in maniera significativa ed è considerato un aroma chiave nel bouquet di invecchiamento dei rossi di Bordeaux e di quelli della valle del Rodano a base Syrah.  “Nel corso del nostro studio abbiamo riscontrato livelli elevati di dimetil solfuro in vini ottenuti da uve con un particolare profilo di sostanza azotata, a sua volta riflesso delle interazioni suolo-pianta. Appare legittimo quindi considerare questo composto come uno dei fattori chiave nell’espressione aromatica del terroir di un vino. Nel caso dei terroir studiati, il vigneto Fabriseria e una specifica parcella all’interno della tenuta di Maternigo sono risultati maggiormente associati allo sviluppo di dimetil solfuro nel corso dell’invecchiamento del vino”, conclude Ugliano. Per Riccardo Tedeschi, “lo studio conferma, una volta di più, che l’Amarone è un vino di terroir, dal quale dipende la produzione di vini con caratteristiche di complessità, corpo ed eleganza diverse da qualsiasi altro. A noi il compito di scegliere i vigneti più idonei e di lavorare le uve in modo da farne sprigionare il massimo potenziale”. Tedeschi: aromi di Valpolicella A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio A 1299 A 1468 A 1476
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18 Maggio, 2024

Un secolo di Gallo Nero: io c'ero!

Come in una favola C’era una volta una giovane giornalista del vino, sempre in viaggio e pronta a vivere avventure emozionanti. Grazie al lavoro che faceva si sentiva come Cappuccetto Rosso in una favola moderna. Ma invece di recarsi dalla nonna malata, aveva la fortuna di incontrare belle persone e vivere esperienze uniche in luoghi incantevoli. Domenica scorsa, la nostra eroina si trovava a Firenze, pronta a immergersi in un’altra di queste avventure. Ma non c’era alcun lupo cattivo ad attenderla. Ecco che lì, per festeggiare il suo 100esimo compleanno, c’era un magnifico Gallo Nero, simbolo del prestigioso Consorzio del Chianti Classico. Questa non è la solita fiaba dei fratelli Grimm. Questa è la storia vera e tangibile del Consorzio del Chianti Classico e del suo nobile Gallo Nero. E la nostra giornalista aveva la fortuna di incontrare anche i Galli Neri – i giovani produttori che portano avanti la tradizione e l’innovazione di questa prestigiosa denominazione – e Leonardo Romanelli, una figura iconica nel mondo del vino.
Un cast di personaggi affascinanti e un mondo di avventure da esplorare. E sa già che questa sarà una delle sue avventure più indimenticabili. Intanto un po’ di storia Nel cuore della Toscana, tra le dolci colline che si stagliano contro un cielo azzurro senza fine, si erge una delle regioni vinicole più celebrate al mondo: il Chianti Classico. Questa storia affonda le sue radici nei secoli. Il legame profondo con il simbolo del Gallo Nero risale addirittura al XIV secolo, quando il Gallo Nero era l’emblema della Lega del Chianti, un’organizzazione politico-militare per il controllo del territorio della Repubblica di Firenze. Ma è nel lontano 1716 che la storia del Chianti Classico assume una svolta decisiva, quando il Granduca di Toscana Cosimo III dei Medici emana un bando per stabilire i confini della zona di produzione del Chianti Classico. In quello stesso anno, istituì anche una congregazione di vigilanza per contrastare la diffusa contraffazione di questo vino pregiato, anticipando di fatto l’idea di un Consorzio di tutela.
Ecco perché la data del 1716 è così significativa da essere riportata all’interno del marchio del Gallo Nero che contraddistingue tutti i vini della denominazione.   Una storia continua nel corso dei secoli Nel 1872, il Barone di Ferro Bettino Ricasoli crea la ricetta del Chianti, mettendo in evidenza la centralità del Sangiovese, il vitigno principe della zona, in una “mescolanza di varietà di uve per produrre quel vino di alta qualità”.
Nel 1924, nasce il Consorzio a Radda, con l’obiettivo di promuovere e proteggere il Chianti Classico, distinguendolo dagli altri vini prodotti fuori del territorio di origine. Ma è solo l’inizio di una lunga serie di battaglie che porteranno alla conquista della propria DOCG nel 1996, separandosi definitivamente dalla denominazione del Chianti.
Un’altra tappa fondamentale è il 2005, quando il Gallo Nero diventa il simbolo univoco di tutti i vini Chianti Classico e viene inserito nel contrassegno di Stato applicato su tutte le bottiglie della denominazione: se non c’è il Gallo, non è Chianti Classico.
Nel 2014, l’istituzione della piramide di qualità segna un’altra pietra miliare, con tre livelli distinti: annata, riserva e Gran Selezione, che riflettono la diversità e l’eccellenza dei vini del Chianti Classico. Territorio Il territorio del Chianti Classico ha mantenuto sostanzialmente i confini stabiliti dal bando granducale, con le “capitali” rappresentate dalle città di Firenze e Siena, le quali abbracciano un’area di circa 70.000 ettari che si estende tra le due province.
Per rafforzare ulteriormente il legame tra il vino e il territorio e per aumentare l’identità territoriale e la riconoscibilità di questa eccellenza enologica, nel 2021 è stata approvata un’importante iniziativa: le Unità Geografiche Aggiuntive (UGA). Questo progetto, approvato dall’Assemblea dei Soci del Consorzio del Chianti Classico, prevede l’individuazione di 11 aree distintive all’interno del territorio del Chianti Classico.
Le UGA sono delineate sulla base di criteri specifici, che includono la riconoscibilità enologica, la storicità, la notorietà e i volumi prodotti. Sono sotto-zone caratterizzate anche da peculiarità uniche legate al terroir, al microclima e alle tradizioni vitivinicole locali.
È importante sottolineare che, in questa fase iniziale, le UGA sono applicabili esclusivamente alla tipologia di vino Gran Selezione, la massima espressione di qualità del Chianti Classico. Celebrando il Centenario del Consorzio del Chianti Classico 2024 – il Consorzio del Chianti Classico solleva il calice per celebrare un traguardo storico: cento anni di impegno, passione e dedizione alla valorizzazione di uno dei vini più rinomati al mondo. Il tocco di classe in più: per tutto il fine settimana, è stato possibile brindare ai primi 100 anni del Consorzio nell’elegante calice del Centenario, un simbolo tangibile di un secolo di impegno e successi nel mondo del vino.
Il ruolo del Consorzio va ben oltre la mera tutela del vino. Nel corso degli anni, ha svolto un ruolo fondamentale nel plasmare l’identità del Chianti Classico e nel promuoverlo sul mercato globale. Attraverso campagne di marketing innovative, eventi enogastronomici di prestigio e una costante ricerca dell’eccellenza, il Consorzio ha contribuito a far conoscere e apprezzare il Chianti Classico in ogni angolo del pianeta. Uno sguardo al futuro e all’innovazione Ma guardare al futuro richiede lo stesso spirito di innovazione e impegno che ha caratterizzato il passato del Consorzio. Oggi, più che mai, il Chianti Classico si trova di fronte a sfide impegnative per rimanere attuale e competitivo non solo nel mercato interno, ma anche nei 130 paesi in cui viene esportato. È essenziale tenere conto delle nuove tendenze dei consumatori e della crescente consapevolezza ambientale e della sostenibilità.
Il settore del vino sta attraversando una fase di trasformazione e adattamento, e il Chianti Classico non è immune da questo cambiamento. Tuttavia, con la sua storia millenaria, la sua cultura vinicola radicata nel territorio e il suo impegno per la qualità, è ben posizionato per affrontare queste sfide in modo efficace. La Tre Giorni di Degustazioni ed Eventi a Palazzo Uguccioni Il programma per festeggiare il centenario del Consorzio del Vino Chianti Classico è stato un vero e proprio viaggio sensoriale. Dal 10 al 12 maggio, nel cuore di Firenze, tra le stradine acciottolate del centro storico, Palazzo Uguccioni si è trasformato in un palcoscenico per celebrare un secolo di eccellenza.
Questo gioiello architettonico è stata la prima sede del Consorzio in cui i 33 padri fondatori hanno iniziato la loro attività nel 1924. L’atmosfera all’interno del Palazzo era carica di storia e fascino, con le sue eleganti sale affrescate e i sontuosi saloni che trasudavano l’aura dei secoli passati. Grazie alla generosa concessione della proprietà, i partecipanti l’evento hanno avuto l’onore di accedere a un luogo che altrimenti sarebbe stato chiuso al pubblico. Questo ha reso l’evento ancora più esclusivo e memorabile, regalando a tutti i presenti un’esperienza autentica e indimenticabile. Il programma Sono stati 9 appuntamenti che hanno animato il fine settimana, ognuno offrendo un’esperienza diversa per gli amanti del Chianti Classico. Tra i momenti salienti del programma ci sono stati 5 incontri con altrettanti chef stellati di Firenze e Prato, i quali hanno presentato alcune delle loro creazioni culinarie in perfetto abbinamento con i vini del Gallo Nero. Accanto a loro, il rinomato esperto di vino Leonardo Romanelli ha guidato gli ospiti in un viaggio gustativo straordinario, esplorando le sfumature e le armonie tra cibo e vino. E poi assaggi al banco con varie annate ed etichette.
Importante lo spazio dedicato ai giovani talenti del settore, con 2 momenti riservati ai Giovani Galli Neri, i produttori under 40 che rappresentano il futuro della denominazione. Con la moderazione di Simon Staffler, essi hanno condiviso le loro visioni e le loro aspirazioni, mostrando come stiano portando avanti l’eredità dei loro predecessori con passione e creatività. La mia esperienza Nell’ultima giornata del weekend celebrativo, ho avuto il piacere di partecipare ai due emozionanti eventi conclusivi.
Il primo, dalle 17:00 alle 18:00, è stato il “Chianti Classico Century” guidato da Leonardo Romanelli. Durante questo incontro, abbiamo avuto l’opportunità di assaggiare sei vini mentre ci immergevamo in un racconto che mescolava teatro e musica, ripercorrendo gli ultimi 100 anni di storia del Consorzio e del mondo del vino. È stato magico partecipare a un abbinamento musicale unico nel suo genere grazie alla conduzione di Filippo Bartolotta, che ha fuso grandi pezzi del panorama musicale italiano con annate pregiate di Chianti Classico. Assaggi, musica, recitazione e tanti brividi, ma soprattutto, tanta gioia nel cuore per la consapevolezza di aver vissuto qualcosa di unico e irripetibile. Per questo ho scelto di condividerlo con voi! Vallepicciola – Chianti Classico Riserva 2019 La prima tappa di questo viaggio è stata segnata dal Chianti Classico Riserva 2019 di Vallepicciola, un’espressione autentica del Sangiovese che ha incantato con il suo colore scarico e luminoso. Al naso, le note minerali evocavano l’odore delle pietre bagnate, mentre in bocca la struttura e i tannini ben bilanciati regalavano una piacevole masticabilità. Mentre gli ospiti assaporavano questo vino, la melodia dolce e avvolgente di “Il Cielo in una Stanza” di Gino Paoli riempiva l’aria, creando un’atmosfera di intimità e nostalgia. Questa musica ha reso ancora più dolce l’assaggio e il sapore in bocca, come se aggiungesse un gusto in più, quello dell’emozione di vivere qualcosa di speciale. È stata un’esperienza coinvolgente per i sensi, un incontro tra note musicali e sfumature aromatiche che ha sorpreso e incantato gli ospiti. Le citazioni di Luigi e Bettino Ricasoli Siridolfi, pronunciate da Bartolotta, aggiungevano un ulteriore strato di significato, collegando il presente alla ricca storia del Chianti Classico. La Sala del Torriano – Chianti Classico Riserva 2019 Questo vino, composto per il 90% da Sangiovese e per il restante 10% da Cabernet Sauvignon, prevede una lavorazione rispettosa con delestage e delicate follature. Al primo sorso, emerge una forza delicata, accompagnata da un tannino che richiede tempo per distendersi completamente. Tuttavia, è al naso che rivela tutta la sua complessità: note di viola mammola si intrecciano con un frutto ancora croccante e sfumature di erbe aromatiche, creando un bouquet fragrante e invitante. Si ripete la magia, quando la dolce melodia di “Che male c’è” di Pino Daniele riempie la stanza, trasportando tutti in un’atmosfera di calore e nostalgia.  Fèlsina – Chianti Classico Riserva Rancia 2019 Il viaggio nel mondo del Chianti Classico ci porta ora a Castelnuovo Berardenga, a sud della zona del Chianti Classico, con la riserva storica di Fèlsina, frutto di un singolo vigneto, Rancia, che dona al vino una personalità unica e distintiva. La degustazione è accompagnata dalla musica di Lucio Dalla, con la sua iconica canzone “Attenti al Lupo”. La voce profonda e decisa di Filippo Bartolotta si fonde con il sottofondo musicale, condividendo delle riflessioni sul cambiamento dei consumi, offrendo il punto di vista di Gherardo Ungarelli. È un momento che ci invita a rallentare, ad apprezzare e ad immergerci completamente nell’essenza del vino e nella ricchezza della vita. Rocca delle Macìe – Chianti Classico Gran Selezione Sergio Zingarelli 2015 È un vino che porta con sé il prestigioso nome del suo creatore, Sergio Zingarelli. Composto al 100% da Sangiovese e proveniente dall’UGA di Castellina, è il risultato di un lungo affinamento, ben 18 mesi di invecchiamento in botti da 25 hl seguiti da ulteriori 2 anni di bottiglia. Questa Gran Selezione ha avuto il tempo di sviluppare complessità e profondità, esprimendosi con note terziarie raffinate che virano su un balsamico di eucalipto che invita alla contemplazione. Dopo nove anni dalla vendemmia, il vino si presenta in bocca rilassato e avvolgente, con una densità tannica che solletica gentilmente il palato, con un ritorno balsamico persistente e piacevole che invita a un altro sorso. L’abbinamento musicale con “Gocce di Memoria”, interpretata dalla voce vellutata di Giorgia, con la sua melodia struggente ha permeava l’aria, creando un’atmosfera di intimità e nostalgia che si è fusa perfettamente con il vino, elevando l’esperienza a un piano superiore. San Felice Wine Estates – Chianti Classico Gran Selezione Il Grigio 2015 La degustazione ci porta adesso alla rinomata San Felice Wine Estates (UGA di Castelnuovo Berardenga) che ci regala un assaggio significativo con la sua Gran Selezione Il Grigio 2015 – 90% Sangiovese e 10% vitigni autoctoni – un’altra Gran Selezione che porta con sé le caratteristiche distintive del suo territorio, con note fruttate e speziate che riflettono il microclima e il suolo unici di questa regione. Al naso parte in sordina ma poi in bocca si svela. Ricorda un calciatore che gioca coperto e poi sul finale fa Goal! L’assaggio è accompagnato da due citazioni degli ultimi presidenti del Consorzio, Sergio Zingarelli e Giovanni Manetti: Alla bellezza del Chianti non bisogna mai abituarsi, occorre invece trovare sempre nuovi modi per goderselo.  Altra riflessione sulla coesione tra gli attori di questa comunità chiantigiana che ha reso forte un territorio e una denominazione. Castellinuzza – Chianti Classico Gran Selezione Castellinuzza 2015 (UGA Lamole) La degustazione si conclude con questa Gran Selezione che nasce da un 95% Sangiovese e 5% Malvasia Nera e Canaiolo, due complementari classici che adoro. E anche Lamole perché è un territorio speciale, che a livello pedoclimatico sembra di montagna, caratterizzato dai suoi muretti a secco e le viti ad alberello. L’azienda Castelinuzza di proprietà della famiglia Cinuzzi dal 1400, ha sempre lavorato in modo genuino e con passione fin dal primo vino prodotto nel 1570. Colore trasparente, sentori floreali e note di elicriso e ciliegia. La gustativa è semplice e diretta, scorrevole e sapida. Proprio un gran finale!   Evento conclusivo della due giorni Successivamente, ho partecipato all’evento “Niccolò Palumbo per i 100 del Gallo Nero”, ancora una volta condotto da Leonardo Romanelli. Durante questo momento indimenticabile, abbiamo avuto l’opportunità di degustare dei Chianti Classico in abbinamento ai piatti preparati dallo chef stellato Niccolò Palumbo, del rinomato Ristorante Paca di Prato.
Ascoltare il racconto del vino e la spiegazione da parte dello chef del suo piatto e successivamente verificarne l’armonia sensoriale, è stato un gioco divertente e appagante. Il culmine si è raggiunto con il biscottino artigianale cacao e farina di mandorle con fegatini in abbinamento ad un vino emblema del Chianti Classico: la Gran selezione Il Poggio di Castello di Monsanto 2015.
È stata un’esperienza straordinaria per i sensi, che ha mostrato perfettamente come il Chianti Classico possa sposarsi in modo armonioso con la cucina di alta qualità. Conclusioni e un nuovo obiettivo In definitiva, il centenario del Consorzio del Chianti Classico è stato un evento straordinario, un’occasione unica per celebrare l’unione di intenti e la collaborazione fra le diverse aziende, che hanno caratterizzato l’attività del Consorzio fin dalla sua nascita, trasformando questa realtà in una delle più grandi bandiere del made in Italy nel mondo.
L’evento si è concluso con il discorso di Carlotta Gori, direttrice del Consorzio adottata da ben 28 anni dal Chianti Classico. Con passione ha ribadito l’impegno di voler ripartire simbolicamente proprio dal luogo dove tutto è iniziato, promuovendo la candidatura dell’area del Chianti Classico a Patrimonio dell’UNESCU. Questo perché è uno dei territori più belli al mondo, ricchissimo di cultura, che ha prodotto ricchezza preservando tuttavia l’ambiente.
In Chianti classico ci sono 341 siti storici protetti e grazie a studi impegnativi si sta portando avanti la proposta e speriamo di celebrare presto anche questa corona che senz’altro merita.   Da Firenze è tutto.
Un ultimo brindisi ovviamente con il Gallo Nero.
Cin!!! Benedetta Costanzo
benedetta.costanzo@winetalesmagazine.com
Mi trovi su Instagram come @benedetta.costanzo
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17 Maggio, 2024

Terre Antiche. Il Cesanese si distingue

Eravamo quattro amici al bar
Che volevano cambiare il mondo
Destinati a qualche cosa in più
Che a una donna ed un impiego in banca
Si parlava con profondità 
Di anarchia e di libertà
Tra un bicchier di coca ed un caffè
Tiravi fuori i tuoi perché e proponevi i tuoi farò Nella canzone di Gino Paoli, gli amici erano quattro e bevevano coca e caffè. Qui di amici ne abbiamo tre. Non so se sono al bar ma di certo non bevono coca e caffè, ma vino. Un vino che ha radici nel passato, probabilmente nell’antica Roma: il Cesanese.  Poco lontano da Roma, il comune di Affile, divenne colonia romana già del 133 a. C. Qui c’erano e ci sono ancora dei boschi che vennero tagliati proprio per far posto alla colonia. Cesanese infatti deriva da Caesae, il luogo dagli alberi tagliati.  Il Cesanese nacque qui e qui, nell’areale che comprende i comuni di Piglio, Acuto, Anagni, Paliano e Serrone si produce il Cesanese del Piglio DOCG. Affile invece è a capo del Cesanese di Affile DOC. Due denominazioni per due biotipo di uve.  In ogni caso il Cesanese è vitigno difficile. Pieno, ruvido e poco domabile ha avuto vicende alterne per poi diventare finalmente protagonista nel Lazio e non solo.  Anche il Marchese Onofrio del Grillo, o meglio Gasperino il carbonaro ne facevano grande uso. Gasperino: “….aspetta ‘n pò prima de fa fagotto dimme ‘na cosa, ma quel vinello che se semo bevuti oggi a tavola, ma che o famo noi?”
Amministratore: “Si Signore, viene dalla vigna del mascherone!”
Gasperino: “Si, e quanto ce ne avemo?”
Amministratore: “Parecchie botti….di quello nuovo, più quello vecchio imbottigliato!”
Gasperino: “ Si indove statto tutte ‘ste botti e ‘ste bottije, oltre a casa tua?
Amministratore: “Giù in cantina!”
Gasperino: “E allora io vado in cantina e tu te ne vai affanculo. Brutto ladro.” Torniamo a noi altrimenti mi perdo. Tonino, Michele, Ambrogio. Il vino lo bevono. Come tutti in queste zone e ci mancherebbe altro. Mica solo il Cesanese. Anche la Passerina che è tipica del frusinate. Lo bevono certo ma non lo producono. Anche perché fanno altro. Tonino ha una azienda che si occupa di materie plastiche; Ambrogio, una azienda di movimento terra; Michele fa il commercialista (anche per le aziende degli amici). La passione per il vino li accomuna e tra un bicchiere e l’altro è Tonino a proporre di costituire una azienda. Ambrogio e Michele si accodano. Pazzi? Visionari? Incoscienti? Romantici? Ah beh questo non lo sapremo mai. È il 2017 quando decidono di acquistare quattro ettari. Non quattro qualsiasi ma quattro ettari con piante di Cesanese vecchie di sessanta anni nella DOCG. L’anzianità delle vigne ma anche la storia di questi territori conduce immediatamente al nome dell’azienda: Terre Antiche. Le vigne sono proprio sulla Strada del Cesanese, a Colle di Grano e Gricciano. La cantina ad Acuto. Tonino è quello dinamico. Una mina vagante. Proviamo. Facciamo. Se propone qualcosa io mi ci accodo. Michele è il preciso dell’azienda. Ambrogio è tutto fare. Se serve qualcosa lui la trova. La follia si sa è una cosa meravigliosa. Specialmente se sana. La sana follia è quella che ti fa fare cose apparentemente insensate ma con un contenuto estremamente intelligente.  Il terzetto sa bene che produrre Cesanese DOCG come tutti gli altri produttori non avrebbe senso. Occorre essere diversi e proporre un prodotto diverso. Anzitutto sano. Non fosse altro perché i primi clienti sono proprio loro. Ecco allora che scelgono di partire in regime biodinamico. Non sapendone molto, si affidano ad una persona che è quasi un guru per il biodinamico nel Lazio (e non solo): Michele Lorenzetti.  La gestione agronomica ed enologica è affidata a lui mentre i lavori in vigna a Gianni. Tuttofare dell’azienda.  La filosofia era un vino naturale. Michele Lorenzetti è l’enologo e agronomo. Ci siamo indirizzati bene. C’è dall’inizio. Dalla prima potatura. Una scelta intelligente. In vigna abbiamo una persona fissa tutto l’anno. La scelta della biodinamica si unisce a quella della vinificazione in anfora. Insolita per Cesanese e Passerina (i due vitigni tipici di queste zone). La necessità comunque di un passaggio in botte per domare il Cesanese comporta una ulteriore scelta di distinzione. Non botti piccole, non rovere. Botti da mille litri in legno di castagno così da non avere grande invasione del legno e quand’anche ci fosse, limitata, che sia di legno locale. La prima vendemmia nel 2019, quattro ettari diventano cinque e Giorgio (con il quale parlo) viene cooptato in azienda per occuparsi della parte marketing e commerciale.  Proprio la prima vendemmia fornisce segnali incoraggianti. Eufonia, uno dei vini rappresentativo dell’azienda conquista alla prima uscita i cinque grappoli Bibenda (2019). Come a dire che se il buongiorno si vede dal mattino, i tre hanno fatto un buon lavoro! L’idea alla base era il Cesanese DOCG. Volevamo fare un cesanese diverso. Siamo in regime biodinamico. Ad impatto zero. Abbiamo anche i pannelli solari sulla cantina. È nata proprio cosi per fare un Cesanese diverso. Un Cesanese classico sarebbe stato un Cesanese tra i tanti. Anche l’affinamento in elementi naturali era per fare un prodotto diverso. Cinque le etichette proposte. La Forma, dal nome della zona ove sono i vigneti, è il bianco da Passerina. Un bianco che grazie alla fermentazione  ’affinamento in anfore di terracotta si configura come una Passerina decisamente unica. Rimane semplice e deciso ma con una persistenza che si allunga decisamente. Insolito.
Insolito anche per un colore al limite del dorato e una limpidezza che va apprezzata cosi come è vista la mancata filtrazione. Sentori vinosi di frutta tropicale, di mandarancio e banana, di pesca bianca e di tanti fiori gialli, di melissa e camomilla. Insolito per quella vena di balsamico che fa capolino. Un insolito che riempie pastosamente il naso. Non so se si può dire pastosità olfattiva, ma è ciò che definisce meglio questo vino.
In bocca mi sa di un vino vero, di quelli di una volta che non avevano artefazioni. Niente lieviti inoculati, niente uso di diserbanti, solo anfora. Insomma ci vuole arte. Qui c’è tutta e la bocca restituisce il singolo chicco di uva. La sensazione è proprio quella di avere in bocca gli acini. Se ne estrae il succo. Se ne sente la compattezza. Se ne inala il retrogusto. Una bella freschezza, secco, non particolarmente caldo, splendidamente sapido. La bocca chiude in maniera eccellente e la voglia è di berlo ancora anche per via di una persistenza non elevata e un bilanciamento perfetto. Facile beva, piacevolmente insolita. Finirei la bottiglia. Rubino, Cesanese del Piglio DOCG. Prende il nome dal colore della prima svinatura. Fermentazione in anfora con un 20% di grappoli interi e affinamento in botte, anfora e acciaio. Ne deriva un interessante Cesanese di medio corpo. Elegante direi grazie a note essenziali di frutta e fiori. Si beve bene ma sempre accompagnato come vuole il Cesanese. Poderoso Eufonia, Cesanese del Piglio DOCG. Fermentazione in anfora con le bucce e affinamento sempre in anfora. Nessuna chiarifica senza che il colore ne risenta. Il nome pare derivi dalla esclamazione di una persona che durante la prima degustazione disse che il gusto ricordava il rumore della vigna. In effetti mi da questa sensazione. Sentori non particolarmente complessi ma decisi e precisi: frutta ancora non matura (arancia sanguinella, melograno, fragoline di bosco); erbacei, fiori rossi non sbocciati. Il sorso poderoso ed equilibrato. Bello fresco, non particolarmente caldo e una sapidità che piano piano arriva. Tannino deciso e importante. Come un Cesanese vuole. Bellissimo e riuscitissimo bilanciamento. Persistenza non particolarmente lunga con finale che si arricchisce con un tocco di vegetale tale da renderlo particolarissimo. Insomma un vino che si ricorda e che merita un giusto accompagnamento con una pasta al ragù o una bistecca alla brace. Un vino vero, bello, non artefatto. Monumento, Cesanese del Piglio DOCG, a voler essere l’opera monumentale dell’azienda. È il cru che deriva dalla vigna Colle di Grano. Fermentazione in acciaio e affinamento in botte di castagno per 10 mesi ai quali fanno seguito 12 in bottiglia. Un vino elegante che aumenta complessità rispetto ai precedenti. Tannino bello deciso. Un vino che può continuare ad affinare in bottiglia per donare sensazioni anche nel futuro. Di prospettiva. Mi è piaciuto per le note che sanno di profondità. C’è alloro e balsamico. C’è foglia di pomodoro e cioccolato. C’è tabacco Kentucky e castagno (quasi marron glacé). Mi è piaciuto per la ricca trama tannica presente e rilevante con la persistenza quasi lunga. La sua sapidità, il buon bilanciamento e il corpo, non opulento, non stressante. Il finale con la assoluta non banalità che ricorda le ciliegie sotto spirito di nonna con quel lievissimo, impercettibile ma preziosissimo amarognolo. Anche questo, un vino che si ricorda! Infine, l’ultimo arrivato, il rosato da Cesanese R(osè). Vendemmi tardiva e vinificato in anfore di terracotta. Decisamente insolito e unico nel suo genere. Uno di quei vini che accompagnano le estati esaltandole per la sua freschezza e semplicità ma anche per la capacità di accompagnare tanti piatti. Convincente.  Io mi occupo della parte commerciale e marketing. Lavoro nell’altra azienda di Tonino. A me piace questo mondo. Le vinificazioni sono fatte tutte con contenitori del territorio. Anfore di terracotta non smaltate, botti non in rovere perché non ci appartiene. Castagno da 1000 litri perché del territorio. Vino avvicinato al territorio. Ambrogio si occupa della parte agricola. Con l’azienda di movimento terra ha i trattori dunque per la manutenzione della vigna se ne occupa lui. Michele della parte amministrativa e commerciale. Tonino commerciale. Eventi, agenti, distributori. Quasi tutti i giorni sono presenti. 15 mila le bottiglie prodotte con un obiettivo di massimo 20 mila. Il distretto è piccolo e non si può ne si deve crescere troppo. Oltretutto la scelta di fare un vino il più naturale possibile fa si che ci voglia tempo e dedizione. L’aumento dei numeri vorrebbe dire dover rinunciare al loro primo lavoro cosa questa al momento, impossibile. Bello che rimanga una passione e un business che deve crescere.  È una passione. Un business fino ad una certa perché se lo dovessimo fare per le entrate no. Io essendo poco che sono qui, da luglio, sono il jolly. Mi sento parte del progetto. Mi coinvolgono in tutto e mi fanno divertire. Quello che c’è ed ho visto, funziona tutto. Il vino piace e i feedback sono positivi. In cantina tutto funziona. C’è Gianni che fa tutto. Sulla parte commerciale stiamo crescendo. Non vogliamo crescere troppo. Facciamo un vino che beviamo tutti i giorni. Visto che nella canzone di Gino Paoli, ne rimane solo uno, l’augurio che mi faccio e che faccio a tutta la banda di Terre Antiche, è di continuare a stare insieme. Per business e per diletto ma, sopratutto, per non privarci dei loro vini poiché danno del Cesanese una interpretazione che sarebbe certamente piaciuta a Gasperino il carbonaro. Oltre che a me. Ricciotto: “ Namo!”
Gasperino: “ Ma che fai Aho!? e lassame perde, porca mignotta, devo finì er Genzanese del ’91…”
Ricciotto: “ Namo!”
Gasperino: “ Ma chi sei Aho! Io so’ il Marchese, il padrone de tutte e botti! me le scolo! Ivan Vellucci ivan.vellucci@winetalesmagazine.com Mi trovi su Instagram come @ivan_1969  
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16 Maggio, 2024

ALTO PIEMONTE GRAN MONFERRATO, Città Europea del Vino 2024

Il COSA E IL DOVE Quella dell’Alto Piemonte e di un Monferrato che non ha paura di definirsi “Grande” è la storia di denominazioni e territori molto piccoli che raccolgono una sfida e decidono di trovare il modo per mettere insieme turismo ed enogastronomia. Una sfida che, facendo leva sulle eccellenze della buona tavola mira a destagionalizzare i flussi turistici e valorizzare i borghi in una Regione in cui oltre l’80% dei Comuni non supera i 5000 abitanti. Un Territorio in cui vedono la luce le produzioni molto limitate di ben 23 DOC (sulle 41 piemontesi e le 332 nazionali) e 14 DOCG (sulle 19 piemontesi e le 73 nazionali). E siccome dalle piccole cose nascono grandi capolavori, Alto Piemonte Gran Monferrato diventa Città d’Europa del Vino 2024. Venti Comuni, venti identità differenti in rappresentanza, ciascuno per il suo, di un unicum territoriale piemontesemente identitario. È toccato al Gambero Rosso ospitare la presentazione romana di questo progetto nel quale, il Piemonte al centro, si respirano brezze provenienti dalla vicina Liguria, dall’Emilia, dalla Lombardia. Il vino è il totem attorno al quale danzano capolavori: grandi formaggi, grandi salumi, il riso, presidi slow food… Una serata preceduta da una accorata conferenza stampa vissuta sull’entusiasmo delle amministrazioni comunali, dei consorzi e degli Enti di promozione del turismo. Ora, mentre Vi invito ad approfittare di questa occasione per aprire questo scrigno prezioso nel quale sono racchiuse gemme di Storia, Cultura, Accoglienza e Turismo lento, Vi lascio a qualcuna delle mie solite descrizioni relative ad alcuni dei vini proposti in degustazione al fianco della cena curata dallo chef Marco Brioschi. LA MIA “TOP SIX” Molte le etichette in assaggio e tutte di livello molto alto, a dimostrazione che il Piemonte nel bicchiere è una garanzia. Tra le tante ne ho scelte sei (senza badare a nomi e prezzi) da proporVi per un assaggio non scontato e in alcuni casi “WOW”. Non Vi dirò delle Aziende perché voglio lasciare qualcosa da fare anche a Voi. Buona degustazione! 1- OVADA DOCG “FILARE”, ENOTECA REGIONALE DI OVADA E DEL MONFERRATO: “FILARE”, rettilineo di viti o spostamento d’aria quando il “gruppone” sfreccia veloce e s’accavalla nella preparazione della volata. Ma questo Dolcetto, più che in volata, stacca di ruota gli avversari sui saliscendi da cui prende nome. Un “mangia e bevi” continuo di frutti corsari, spezie saladine e sapidità sabbiose portate dal vento. Un incedere affatto semplice, mai scontato, tra scatti e controscatti di ciliegie, more, mandorle e quella vinosità mai dimentica che segue il trenino del vegetale. Sorso birbante privo di ogni soggezione nei confronti dei vitigni dal “gran nome”, sfrontatamente coerente e godurioso. Bicchiere sfaccettato, grissini, salame, amici e chiacchiere. Vince il mio premio “LEVATEMELO”. Da bere ascoltando “PEDALA” di FRANKIE HI-NRG MC. 2- COLLINE NOVARESI DOC VESPOLINA “AUDACE”, FILADORA: un olfatto che getta un ponte immaginario tra Piemonte e Friuli sorretto sui piloni del Rotundone. Ed è dunque la freschezza oscura del pepe quella che fa dire “UAU” e distoglie l’attenzione da lamponi e ciliegie. Ma non fateVi distrarre, rimanete concentrati! Ecco allora che s’avanzano scarpe inzaccherate di terra umida e lavagne di grafite bagnata. Il pot pourri di fiori secchi è lì, sulla tavola e confonde il suo profumo con pensieri di tabacco. Il sorso è snello, preciso come un fioretto, succoso e traditore, di complessa semplicità, dinamico, avvolgente, autorevolmente sapido e di materica tannicità. Arditamente vino. Da bere ascoltando “THE WASP (TEXAS RADIO AND THE BIG BEAT) dei DOORS. 3- SIZZANO DOC ROSSO “ROANO” RISERVA 2015, VIGNETI VALLE RONCATI: austero con brio, vorrebbe darsi un tono, stare sulle sue ma…non ce la fa e rivela tutta la sua energia compressa. Ecco allora una ridda di spezie accavallarsi a boschiva sostanza, corteccia, muschio, financo qualche troco spaccato dal fulmine e ancora fumante. La sorpresa è nelle olive in salamoia, quelle che con gli amici si fa a gara a chi sputa il nocciolo più lontano, quelle che non bastano mai e che qui scazzottano con una scia di miele e quell’agrume che rinfresca anche più dell’eucalipto. Il sorso e una scarica di salinità marina (altro che mineralità da super vulcano!) e i tannini sono ragazzacci discoli ancora poco inclini allo star calmi nonostante gli otto anni di braccia conserte (o forse proprio per questo, perché bisognosi di sgranchirsi le gambe). Alcol e freschezza viaggiano in prima classe e la chiusura è un compendio delle freschezze olfattive che sottolinea la sapidità a suon di piccantezze. 4- FARA DOC 2017, IL CHIOSSO: s’approccia silenzioso con l’incensiere e lascia intravedere una sagrestia di legni sacri prima di ringalluzzirsi. Fuori, sul sagrato piove e la terra bagnata si mescola all’aria che sa del ferro delle saette. M’avanzano sensazioni ortolane, di tabacco da borsa e forse castagna (ma questa potrebbe essermi rimasta in memoria dalla settimana scorsa)…mettetele Voi dove preferite. Più pacato il sorso, fresco e sapido quanto deve, ordinato nello sciorinare spezie anche dolci, diretto, firmato dall’iniezione di Vespolina a suon di sottili peposità. Forse un pochino brusco nel chiudere l’assaggio ma comunque molto interessante. 5- GATTINARA DOCG 2020, MAURO FRANCHINO: l’ingresso al naso è complesso e devastante! Frutti di bosco, visciole (in confettura), rose (spine comprese), dolcezze di spezie e tabacco che fanno a spallate con china e rugginosa ferrosità ma… Nessuna boria, nessuna ostentazione. Tutto è gestito con rustica, contadina eleganza, non per vergogna ma come se il calice volesse comunicarVi emozioni seguendo la tradizione orale. Ed allora il camino non può mancare e quella brace che prima era fiamma spande nell’aria la comunanza del fumo appena acre. Sorso caldo e alcol estremamente corretto nel gestire la volata finale tra freschezza e sapidità, vinta da quest’ultima nonostante lo sgambetto dei tannini integrati ma ancora molto sportivi. Emozionante! Da bere ascoltando “TOWER SONG” di LEONARD COHEN. 6- BRAMATERRA DOC 2016, CERUTI: olfatto di eloquente freschezza, giocato su frutti neri ancora ben al di qua della maturazione e sulla freschezza dissetosa e amaricante di un “chinottissimo” Neri. Scugnizza, la componente vegetale racconta ombre boschive, prati falciati di fresco e cespugli di timo serpillo. Appena una gentilezza di viole non poteva mancare, ma forse l’ho voluta cercare per forza. Sorso che dà l’impressione di aver appena trovato la propria dimensione. Un fiume che immagino essere stato rapida impetuosa due o tre anni fa e che oggi è compita scorrevolezza nonostante qualche masso sporga ancora lungo il corso dei tannini. Considerando l’olfatto m’aspettavo qualcosa di più ma magari devo solo riassaggiarlo con più calma (o magari avevo solo bisogno di un volume maggiore nel calice). Si becca il mio premio “PECCATO” ma l’ho già messo nella corposa lista dei vini da riassaggiare con calma. E ORA? Ora è il momento dei ringraziamenti, a Gambero Rosso per avermi ospitato, ai venti comuni che hanno avuto il coraggio di intraprendere insieme questo viaggio e a Voi che avete avuto la pazienza di leggere queste mie poche righe Roberto Alloi VINODENTRO  
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15 Maggio, 2024

Not Only Wine

UN RICORDO CHE RIAFFIORA Avete presente quelle statuine che da piccoli (per i più agé) cambiavano colore a seconda del tempo da azzurro a rosa? In occasione di Only Wine 2024 è stato bello vedere per la prima volta lo stesso principio applicato a un’etichetta di vino. L’etichetta in questione è quella del nuovo prodotto della Casa Vinicola La Fornace e si tratta di un Rosé rifermentato. Il concetto è incisivo e immediato: se la bottiglia è fredda l’etichetta è di un color blu intenso, mentre se la si tocca, le parti “riscaldate” dalla nostra mano la colorano di rosa-arancio, lasciando magicamente per un po’ il segno dell’impronta delle dita. Il merito della mia “scoperta” lo devo al giovane Giovanni Colaiacovo, Presidente del neonato Consorzio L’Alta Umbria che racchiude i produttori della zona a nord di Perugia. Vignaioli esuberanti, che si sono costituiti in associazione per far conoscere il loro territorio, stanchi di sentire nominare la loro regione solo per uno o al massimo due vini (tanto per fare i nomi, Sagrantino e Trebbiano Spoletino). A quanto pare si sono anche inventati nuovi metodi di comunicazione e un esempio di questo l’ho avuto tra le mani. UNA GRAFICA GIOVANE CHE ‘PESCA’ NEL PASSATO Tornata a casa, incuriosita, ho raggiunto al telefono gli ideatori, Matteo Mariangioli e Aurora Pelaggi, entrambi grafici under 30, per sapere come nasce un’idea simile. Loro mi raccontano che la proprietà della cantina per cui l’etichetta è stata realizzata è giovane, anche se la realtà è nata nel 1969. Il progetto nasce quando il produttore decide di utilizzare le uve di una vigna vecchia situata in prossimità della cantina fino a quel momento non lavorata. Non si poteva prevedere quale potesse essere il risultato finale e l’evoluzione del prodotto è andato di pari passo con lo studio dell’etichetta e la necessità di metterla in commercio a prodotto finito. Contrariamente a quello che mi ero immaginata, il motivo della variazione termica non era quello di dare un’indicazione sulla temperatura di servizio del vino, ma di sviluppare qualcosa che ricordasse la sorpresa, il colore, la scoperta, la freschezza e il divertimento ancor prima dell’assaggio. Per realizzare questa etichetta è stata utilizzata una vernice termocromica, solitamente utilizzata per i prodotti medicinali allo scopo di controllare la correttezza della conservazione.  UN RICORDO…AFFUMICATO? Avete mai sentito parlare del Vin Santo Affumicato? Una chicca Presidio Slow Food presente in degustazione. Al naso i sentori di fumo ti pervadono e avvolgono, dal fumo del camino della cucina di una volta al tabacco di sigaro e miele di castagno, in bocca quasi sembra di percepire la cenere. Come non volerne sapere di più? Giochiamo in casa come zona di produzione, ovvero nell’Alta Valtiberina, proprio intorno a Città di Castello. La particolare affumicatura deriva dal fatto che in questa zona anni or sono l’attività della coltivazione del tabacco era in ascesa. Nelle stesse stanze dove si stendevano ad asciugare le foglie di tabacco, i produttori di vino sistemavano quindi anche i grappoli, appesi uniti a due a due sulle travi. L’esposizione al fuoco e al fumo delle grandi stufe a legna faceva penetrare negli acini questa particolare nota di affumicato, rendendo quel Vin Santo unico.  Le uve impiegate sono Trebbiano, Malvasia, Canaiolo, Vernaccia e San Colombano, ma anche Grechetto e Malfiore, tutte raccolte a maturazione ancora non eccessiva, affinché le bucce degli acini siano spesse e resistano all’appassimento che dura almeno tre-quattro mesi, fino a dicembre o gennaio. I grappoli sono quindi diraspati, pigiati e lasciati a fermentare in botti di legno con il lievito madre che ogni famiglia custodisce. Rimangono poi in locali ben areati e soggetti agli sbalzi di temperatura stagionali per almeno tre anni. Solo pochi, al momento, i piccoli e piccolissimi produttori che portano avanti questa antica tradizione e che stanno cercando di introdurre una modifica del disciplinare della DOC dei Colli Altotiberini, al fine di creare una sottozona e di inserire il vino santo. Al momento il prodotto è riconosciuto come Bianco Passito IGT Umbria. Da assaggiare. NOT ONLY WINE MA ANCHE START UP Lo stand di Matteo all’entrata di Only Wine è colorato e allegro con magliette, cappellini, e gadget a tema vinicolo, ma a ben vedere non sono i soliti accessori. Incuriosita mi faccio raccontare da Matteo che questa startup fiorentina – Wine Pills – è nata durante il covid circa tre anni fa unendo le passioni di due amici, quella per i libri e quella per il vino. Lui e il socio Edoardo si sono prefissati di rivoluzionare il mondo della comunicazione nel mondo enoico applicando con creatività l’arte e il disegno, nello specifico il fumetto, per raccontare la storia del vignaiolo. Così si vogliono avvicinare le nuove generazioni, senza perdere di vista la tradizione, ed è così che da una classica brochure di 20 pagine sono arrivati a 4 utilizzando il fumetto per Tenuta La Novella. Nello specifico, offrono molti servizi come lo storytelling, la creazione contenuti, l’ideazione di etichette, la brochure aziendale o il menu della carta dei vini. Un fermento di idee questo Only Wine, dove sicuramente giocano un ruolo importante i criteri di ammissione: il produttore deve avere meno di 40 anni, meno di 15 anni di storia oppure la cantina può avere fino a 10 ettari. Ci vediamo alla prossima edizione! Sono Claudia Riva di Sanseverino. Assaggio, degusto, scopro, curioso, provo e condivido. Seguimi su Instagram @crivads
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14 Maggio, 2024

Fotografia non convenzionale e Franciacorta. Freccianera Fratelli Berlucchi

Ci sono Aziende che fin dalla loro fondazione mostrano una spontanea predilezione per la cultura e l’arte. Una di queste è Fratelli Berlucchi, che con la “Collezione Freccianera” di Millesimati Brut, Nature, Satèn e Rosé ha creato una linea dall’impatto – anche visivo – molto forte. Così la descrive la presidente Pia Donata Berlucchi L’etichetta nera ed oro la dobbiamo al grande Maestro grafico (e molto di più) Franco Maria Ricci, che sconvolse il marketing alimentare degli anni ‘70, quando il colore nero era bandito dalle etichette di cibi e bevande. A noi fratelli piacque molto, e rischiammo! In breve tempo, il nostro Franciacorta arrivò ad essere chiamato “l’etichetta nera”, senza nemmeno specificare di cosa si trattasse. Avvolgevamo personalmente ogni bottiglia in velina nera con stemma in oro, scatole nere ed oro… e il binomio nero-oro diventò il nostro segno distintivo.” Innovazione e indipendenza espressiva caratterizzano quindi da sempre Fratelli Berlucchi, che questo mese ha affiancato un programma artistico di Brescia Musei non solo con un sostegno finanziario, ma anche con l’organizzazione di un progetto artistico inedito, una side exhibition, nella sede di Corte Franca. Il 4 maggio gli ospiti di Fratelli Berlucchi hanno potuto ammirare tra gli affreschi storici della Cantina (i più antichi risalenti addirittura al ‘300) gli scatti di Gabriele Micalizzi, un fotografo che ha coniugato il reportage di guerra con progetti fotografici di natura umanitaria, sociale e artistica. Le opere rimarranno esposte nelle sale della Cantina fino al 9 agosto, in una esposizione collaterale a quella che proseguirà fino al 1° settembre nel Museo di Santa Giulia a Brescia, dal titolo “Legacy”: ritratti di uomini, donne e bambini immortalati in contesti che testimoniano la complessità dell’esperienza umana durante alcuni dei conflitti degli ultimi 15 anni, dalle proteste delle Camicie Rosse in Thailandia allo scoppio della guerra civile in Ucraina, fino ai combattimenti per la liberazione del territorio libico e del Nord Africa dalle forze dello Stato Islamico. Con questa rassegna, Gabriele Micalizzi si propone di esplorare questioni essenziali legate al lavoro del fotogiornalista: che cosa lo rende degno di essere ricordato e quale valore riesce a conferire a una fotografia lo status di testimonianza storica. Esamina sia il significato del mezzo fotografico, attraverso un excursus sulla propria esperienza, il proprio lavoro e le proprie immagini, sia il mezzo stesso, cercando di evidenziare la dicotomia tra fotografia digitale e analogica. Nicola Berlucchi, consigliere delegato di Freccianera Fratelli Berlucchi, Siamo particolarmente felici di essere Main Partner della Mostra Gabriele Micalizzi. Legacy. Arte, tradizioni e cultura sono care alla nostra famiglia, e per questo da adesso fino al 2027, anno del nostro centenario, si moltiplicheranno le occasioni e gli appuntamenti perché Freccianera diventi per tanti una destinazione che regala esperienze belle e intense, della stessa qualità dei suoi superiori Franciacorta.”     Adele Gorni Silvestrini Mi trovi su Instagram @adelegornisilvestrini Passi in Cantina
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12 Maggio, 2024

I segreti dello Champagne con il miglior sommelier d’Italia Ivano Antonini

Questa settimana vi porterò in un viaggio straordinario attraverso il mondo affascinante dello Champagne, vissuto personalmente durante una degustazione indimenticabile a Villa Severi, sede della delegazione AIS di Arezzo. Ad accompagnarci in questo viaggio enologico è stato Ivano Antonini, Miglior Sommelier d’Italia nel 2008 ed ex-patron del rinomato Blend4 di Azzate (VA), un ristorante presente sulla prestigiosa guida Michelin. Ma il vero protagonista della serata è stato lo Champagne, non quello delle grandi Maison conosciute da tutti, ma quello che amo definire la “Piccola Champagne” artigianale. Parliamo dei vini dei RM (Recoltant Manipulant), quei produttori che creano Champagne utilizzando esclusivamente le proprie uve. Non si tratta di produzioni su larga scala, né di vini con uno stile uniforme anno dopo anno. Questi sono Champagne che raccontano storie uniche, che fanno vibrare il cuore e le papille gustative. Potrebbero tranquillamente essere considerati vini fermi, poiché le bollicine sono solo un dettaglio di un quadro molto più ampio. Questi vini hanno tanto da raccontare: il territorio, lo stile, l’eleganza e, soprattutto, la qualità. In molti casi, ricordano addirittura i vini della Borgogna per la loro complessità e raffinatezza. Tutti gli elementi per vivere un’esperienza indimenticabile L’inizio di una degustazione è un momento cruciale in cui il relatore può dimostrare non solo la propria competenza, ma anche la sua capacità di coinvolgere e ispirare il pubblico. Ivano Antonini è maestro in questo, studiando attentamente la platea e avvicinandosi al pubblico con empatia e autenticità. La sua passione per il vino traspare in ogni parola e gesto, trasmettendo un senso di entusiasmo contagioso a tutti i presenti. La sua scioltezza e sicurezza nell’esposizione dei concetti evidenziano la sua vasta esperienza e il suo bagaglio di conoscenze. Ivano è veramente “Enocentrico”!
È evidente fin da subito che il vino è la sua vera passione e che è desideroso di condividerla con gli altri.
Inoltre, ci svela i suoi due grandi amori enologici: lo Champagne e il nebbiolo. Questo aggiunge un ulteriore livello di autenticità alla sua presentazione, mostrando che non è solo un esperto, ma anche un appassionato dei vini che sta per degustare con noi. Presenza carismatica, profonda conoscenza del tema della serata e capacità innata di coinvolgere il pubblico: abbiamo tutti gli ingredienti per vivere una grande serata! Let’s go!!! Niente lezioni: solo alcune nozioni generali A questo punto, potrei parlarvi dello Champagne, del territorio e della sua storia, della denominazione. Tuttavia, mi rendo conto che sono stati scritti numerosi libri su questo argomento e che solo accennare al metodo di produzione o descrivere il territorio potrebbe diluire troppo la lettura e distogliere il focus dalla degustazione che stiamo per affrontare.
Pertanto, chiedo un po’ di pazienza ai meno esperti, perché prossimamente dedicherò un articolo completo allo Champagne, che potrà essere una preziosa fonte di informazioni per i neofiti e un utile ripasso o approfondimento per gli esperti. Per ora, vi fornirò solo alcune nozioni generali per affrontare questa splendida degustazione e goderne appieno. Territorio, zone e vitigni La prima regola scritta è che non è Champagne se non viene dalla Champagne. Per cui dobbiamo innanzitutto immergerci non solo nella sua affascinante storia, ma soprattutto nel territorio che lo ha reso unico al mondo. Situata nel nord-est della Francia, questa regione è caratterizzata da un clima oceanico e in parte continentale. Si trova quasi al limite della zona in cui è possibile coltivare la vite: a Epernay ci troviamo al 49° parallelo.
Si contano 34.200 ettari coltivati in quattro regioni, ognuna con caratteristiche specifiche che influenzano il carattere e lo stile dei vini prodotti. Nella Montagne de Reims, le colline gessose con esposizione predominante a sud favoriscono la coltivazione del Pinot Noir, conferendo agli Champagne di questa zona una nota di potenza e struttura. Nella Vallée de la Marne, i terreni argillosi e calcarei agevolano la coltivazione del Meunier, donando agli Champagne una spiccata morbidezza e un bouquet fruttato. Nella Côte des Blancs, i terreni gessosi favoriscono la coltivazione dello Chardonnay, regalando agli Champagne aromi delicati e una straordinaria finezza. Infine, nella Côte de Bar, nell’Aube, i terreni gessosi con tendenza marnosa promuovono la coltivazione del Pinot Noir, offrendo agli Champagne un carattere rotondo e complesso. Ecco alcuni dati che mettono in evidenza la potenza economica dello Champagne 16.200 viticoltori conferiscono spesso le uve alle grandi Maison, che invece sono soltanto 370, oltre a circa 130 cooperative. Le bottiglie prodotte ammontano a 309 milioni, generando un fatturato di 6.3 miliardi di euro, di cui il 66% è destinato all’esportazione. Il principale paese destinatario delle esportazioni è gli Stati Uniti, che importano circa 34 milioni di bottiglie di Champagne. Anche l’Italia non è da meno, con 9.2 milioni di bottiglie importate,  cifra che è in costante crescita. È evidente il debole che gli italiani hanno per queste bollicine francesi, come dimostra anche la partecipazione a questa degustazione. Nel 2015, la regione dello Champagne è stata riconosciuta come Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, in virtù della sua importanza storica, culturale ed enologica. Tornando alla nostra degustazione, serve precisare che Ivano ha selezionato delle etichette da intenditore, ognuna con peculiarità svelate durante l’assaggio. La sua scelta di servire i vini in un ordine “geografico”” anziché seguire la tipica logica di struttura o grado zuccherino, è stata sorprendente e intrigante. Ci ha condotto in un viaggio sensoriale attraverso le diverse regioni della Champagne, permettendoci di esplorare la diversità delle proposte. Iniziando da 3 vini del nord della Montagne de Reims, di tre villaggi in posizioni differenti,  e procedendo verso sud con un Rosè dell’Aube, abbiamo attraversato la Vallée de la Marne e la Côte des Blancs. Questo approccio ci ha offerto una panoramica completa della regione, consentendoci di apprezzare le caratteristiche uniche di ciascuna zona. Il primo vino scelto è stato particolarmente interessante in quanto prodotto con il Petit Meslier, uno dei vitigni rari ammessi dal disciplinare, oltre ai tre classici più famosi (Pinot Noir, Meunier e Chardonnay). 1. Brut Nature Petit Meslier 2019 Ecco la storia di un vino raro e prezioso: il Petit Meslier, proveniente dalla tenuta Elemart Robion situata nel comune di Lhéry, nella Montagne de Reims. Questa piccola azienda vitivinicola possiede 4.3 ettari di vigneti coltivati in modo biologico dal 2010e produce circa 12.000 bottiglie all’anno. Lhéry è una zona meno strutturata della Champagne, caratterizzata da suoli ricchi del calcare più antico della regione. La famiglia Robion, presente in questa terra da generazioni, coltiva varietà come Meunier, Pinot Noir, Chardonnay e il raro Petit Meslier, tutti in modo parcellare. Le fermentazioni avvengono con lieviti indigeni, permettendo al vino di esprimere appieno il terroir da cui proviene. Il nome dell’azienda, Elemart Robion, è un omaggio ai figli Catherine e Thierry: Eloi, Leopold e Martin, che rappresentano il futuro della cantina. Note di degustazione Il vino che abbiamo avuto il privilegio di degustare è il Brut Nature Petit Meslier 2019, millesimato prodotto con questo vitigno raro proveniente da una singola parcella. Dopo 36 mesi di affinamento sui lieviti, è stato sboccato nel maggio del 2023 con un dosaggio pari a 0 g/l, mantenendo la sua purezza e autenticità. Bellissimo il colore, luminoso, profondo e con tonalità dorate. Essendo una sboccatura di un anno, non è da ossidazione ma da maturità delle uve. Infatti al naso sentiamo note di frutta piene, non vegetali, impreziosite da tocchi di erbe aromatiche come timo e rosmarino. Esprime delicati profumi di lievitati anche se è il frutto a rimanere in evidenza. Una complessità ricca e matura che con qualche grado in più nel calice si apre ulteriormente. In bocca le bollicine sono il dettaglio meno interessante. e’ talmente pieno e strutturato che si può considerare un vino con le bollicine, meno aggressivo dei classici Champagne, anche se minerale e notevolmente sapido. Gran bella persistenza che ci lascia una bocca ben equilibrata grazie alla nota pseudocalorica che bilancia le durezze.     2. Brut Réserve Premier Cru BdB Marion Perseval – 100% Chardonnay Nel cuore della Montagne de Reims, nel villaggio Premier cru di Chamery, la famiglia Perseval custodisce da diverse generazioni le proprie vigne, estendendosi su circa 20 ettari di terreno. Gérard e sua moglie Marie-Thérèse sono ancora dediti alla produzione dello Champagne, anche se potrebbero tranquillamente godersi una vita da pensionati. Hanno passato gran parte delle loro terre ai figli, mantenendone solo una piccola porzione, sufficiente a garantire loro un’occupazione e a produrre poco meno di 12.000 bottiglie.
La produzione di Gérard Perseval si distingue per l’uso della pressa classica champenoise, la fermentazione delle uve in parte in acciaio e in parte in botte, e gli assemblaggi che riflettono l’anima dell’azienda. Lunghe maturazioni in bottiglia sono la chiave per ottenere vini di alta qualità. La loro preferenza è per gli assemblaggi classici, che combinano tutti e tre i vitigni principali con l’uso sapiente dei vini di riserva. Note di degustazione Tuttavia, il nostro assaggio è qualcosa di speciale: un Blanc de Blancs (BdB) a base di Chardonnay, ottenuto dall’assemblaggio di due annate diverse (2018 e 2020). In contrasto con i classici BdB della Côte des Blancs, questo vino presenta una struttura e una masticabilità sorprendenti. È considerato la punta di diamante della loro produzione, in grado di stupire in ogni annata. Il colore è più delicato, così come il primo naso che rivela le note più sottili tipiche dello Chardonnay. Tuttavia, è un vino profondo e complesso, in cui la struttura e la cremosità si fondono con una mineralità verticale e una freschezza agrumata che richiama il cedro. Qui, non sono le classiche note di pasticceria a dominare, bensì il terroir gessoso che parla della terra di Reims. Un bouquet di incredibile ampiezza eleva ulteriormente l’esperienza gustativa. La sensazione pseudocalorica è meno accentuata, ma c’è una grande concordanza con quanto percepito al naso, dai fiori di acacia agli agrumi, rendendo l’esperienza davvero appagante. 3. Millésime 2015 Pascal Mazet l terzo assaggio ci porta nel comune di Chigny-les-Roses, nella Montagne de Reims, presso Pascal Mazet. Fondata nel 1981 con il matrimonio di Catherine, figlia di viticoltori, e Pascal, figlio di contadini, l’azienda ha una superficie vitata di circa 2.5 ettari, gestiti in regime biologico. Dal 2018, sono affiancati dai figli Olivier e Baptiste. L’approccio di Pascal Mazet alla produzione di Champagne riflette un profondo rispetto per la terra e una passione per l’artigianato enologico. Il risultato sono dei vini di straordinaria complessità e carattere, che incarnano il meglio della Montagne de Reims.
Il millesimato in degustazione, rappresenta l’unico vino aziendale derivante da una singola vendemmia, completamente vinificato e fatto maturare in legno. Viene prodotto solo nelle migliori annate e proviene esclusivamente dalle parcelle meglio esposte. È un autentico specchio del millesimo d’appartenenza, a volte più elegante, a volte più giocato su corpo e struttura, ma sempre profondo e complesso. È un instancabile promotore di terreni sani e profondamente vocati, portando in ogni sorso la storia e il carattere del territorio in cui è nato. Note di degustazione l Millésime 2015 che stiamo degustando è una composizione di 46% Meunier, 30% Pinot Noir, 12% Chardonnay e 12% Pinot Bianco. Dopo la fermentazione malolattica, il vino affina per 12 mesi in legno e poi rimane ben 5 anni sui lieviti. Si tratta di un Dosage zero, e ne sono state prodotte solo 2944 bottiglie.
Il colore colpisce per quella nuance tipica dei Blanc de Noirs che aggiunge calore alla luce che emana. È un colore che esprime anche la lunga sosta sui lieviti e la sboccatura di oltre 2 anni. Al naso, arrivano note molto pulite che combinano eleganza e complessità, con una piacevole freschezza di ribes. In bocca, emerge ancora mineralità, ma anche una “morbidezza” accentuata dall’affinamento in legno. Sono assenti le note vanigliate o tostate, rendendo l’esperienza di degustazione estremamente piacevole. 4. Extra brut Terre de Meunier S.A. Con il quarto assaggio ci spostiamo nella Vallée della Marne, nel comune di Mareuil Le Port, presso Dehours & Fils. L’azienda possiede 14,50 ettari vitati e produce circa 80.000 bottiglie all’anno, seguendo i principi della viticoltura biologica HVE. Negli anni ’70, il padre Robert fu un precursore relativamente ai vini di riserva, accantonando il vino nelle annate buone per utilizzarlo in quelle meno favorevoli. Nel 1996 entra in gioco il figlio Jerome, che riorganizza il domaine con l’obiettivo di valorizzare i diversi terroirs, coltivandoli in modo naturale. La sua filosofia è quella di raccogliere le uve a maturità completa sulle 42 parcelle di proprietà, situate sulla riva sinistra della Marna, coltivate al 65% da Meunier. Ogni anno, una singola parcella viene prodotta solo in magnum. Il progetto delle riserve perpetue è iniziato nel 1998 e dal 2021 tutti i parcellari non sono più millesimati ma perpetui. Note di degustazione Abbiamo degustato l’Extra Brut Terre de Meunier S.A., un vino composto al 100% da Meunier, con uve provenienti da due lieux-dits: Le Patis de Cerseuil (a sud) e Les Vignes Dans le bois (a nord). La base è del 2020, con il 16% di vins de réserve (la più vecchia del 2013). La vinificazione avviene in acciaio, con malolattica svolta, e il vino riposa sui lieviti per 24 mesi. Il dosaggio è di 4 g/l, con sboccatura nell’aprile 2023. Sono state prodotte 12.524 bottiglie di questo straordinario vino. Il colore presenta tonalità con riflessi da Vin Gris. La carbonica è più pronunciata, portando profumi un po’ diversi dagli altri. Emergono note di maggiorana e frutta, mentre in bocca si percepisce una mineralità gessosa, struttura e potenza. Grazie al dosaggio zuccherino, si ottiene un equilibrio avvolgente che non dà percezione dello zucchero: è un vino molto completo. È un peccato che da disciplinare non sia possibile produrre Grand Cru con il Meunier in purezza. Si apprezzano le belle potenzialità di questo vitigno, considerato un tempo di serie B ma che sta dimostrando negli ultimi anni un grande valore. Se penso che è il loro vino di apertura, è proprio il caso di esclamare Chapeau! È il mio preferito in assoluto. 5. Extra Brut Blanc de Blancs Grand Cru Ambitieuse S.A. Con il quinto assaggio ci trasferiamo nella mitica Côte des Blancs, nel comune di Cramant, presso Pertois-Lebrun. L’azienda possiede 9,69 ettari vitati e produce circa 35.000 bottiglie l’anno, seguendo i principi della viticoltura biologica HVE. Fondata nel 1955, l’azienda è gestita dagli ultimi eredi della famiglia Perois-Lebrun, i fratelli Antoine e Clément Bouret, che coltivano i vigneti esclusivamente a Chardonnay in 5 villaggi Grand Cru e 2 villaggi Premier Cru.
Dal 2011, Clément si occupa delle vigne della cantina, mentre Antoine gestisce la parte commerciale. Le vinificazioni vengono divise tra legno, acciaio e cemento, ma negli ultimi anni hanno introdotto delle anfore per le vinificazioni separate delle parcelle Grand Cru. Note di degustazione Abbiamo degustato l’Extra Brut Blanc de Blancs Grand Cru Ambitieuse S.A., un vino composto al 100% da Chardonnay proveniente dai villaggi di Chouilly, Le Mesnil-sur-Oger, Oiry e Cramant. È composto per il 50% dalla base dell’annata 2017 e per il restante 50% da vini di riserva perpetua. Dopo la pressatura viene svolta la fermentazione malolattica e il vino riposa sui lieviti per 4 anni. Il dosaggio è di 1.5 g/l e la sboccatura più vecchia della serata risale a giugno 2022. È evidente dalle prime olfazioni che si tratta di un Grand Cru e della Côte des Blancs. Emergono eleganza e tipicità, accompagnate per la prima volta da note spiccate di pasticceria e crema pasticcera. La complessità è amplificata dalla percentuale dei vini di riserva perpetua. Si percepiscono anche note agrumate e una dolcezza legata al frutto evoluto, il tutto sottolineato da un sottofondo gessoso che persiste in bocca, conferendo mineralità e sapidità. 6. Brut Rosé de Brut Rosé de Saignée Saignée 2018 Con l’ultimo assaggio, ci spostiamo nella regione più a sud dello Champagne da Gilbert Leseurre, nel comune di Arrentières (Aube). L’azienda vanta 7 ettari vitati e produce circa 30.000 bottiglie all’anno, seguendo pratiche di viticoltura biologica. Fondata nel lontano 1961, Arrentières è un villaggio piccolissimo, con circa 160 abitanti. I vigneti sono suddivisi principalmente tra Pinot Noir (80%), Meunier (10%) e Chardonnay (10%), distribuiti su 17 parcelle. Nonostante la qualità dei loro vini, sono poco conosciuti in patria poiché la quasi totalità della produzione è destinata all’esportazione. Gilbert rappresenta la quarta generazione di viticoltori, ma nel 1979 ha deciso di cominciare a produrre vino a proprio nome. È sposato con Nathalie Falmet, anch’essa produttrice nell’Aube. Note di degustazione Abbiamo concluso la degustazione con un rosato davvero particolare, il Brut Rosé de Saignée 2018 a base di 100% Pinot Noir. La vinificazione avviene in acciaio e botte nella cantina della moglie Nathalie Falmet, dove il vino riposa sui lieviti per ben 5 anni. Il dosaggio è di 5,5 g/l, e la sboccatura è avvenuta nell’ottobre del 2023. L’assaggio di questo vino è una vera e propria sorpresa. Il rosé può essere prodotto tramite assemblaggio o tramite saignée (macerazione). La Champagne è l’unica regione al mondo che prevede la possibilità di creare un rosé miscelando vino bianco e vino rosso. Nel calice, notiamo subito qualcosa di molto particolare, a cominciare dal colore. Non è il solito rosato con riflessi di buccia di cipolla o color fior di ciliegio; è un rosa peonia pieno, ipnotico e che senz’altro non lascia indifferenti. Anche il bouquet è unico. Come per tutti gli altri assaggi, troviamo come filo conduttore l’equilibrio e la lettura del territorio. Emerge la mineralità del gesso, mentre sono assenti le solite note di pasticceria e pan brioche che spesso identificano questa tipologia di vino. Questa peculiarità rende l’assaggio meno scontato, arricchendo ulteriormente l’esperienza sensoriale. Appuntamento in autunno con un’altra eccellenza In conclusione, l’esperienza di degustare Champagne con Ivano Antonini è stata veramente straordinaria. L’approccio al mondo dei piccoli produttori RM ha aggiunto un tocco speciale alla nostra scoperta delle bollicine, regalandoci emozioni uniche ad ogni sorso. La serata è stata un autentico viaggio sensoriale, arricchito dalla passione e dalla conoscenza di un grande maestro come Ivano Antonini. E non possiamo fare a meno di anticipare un appuntamento imperdibile: siamo riusciti a strappargli la promessa di un’altra serata, questa volta con protagonista un’altra sua grande passione, il Barolo. Quindi, non vediamo l’ora di ritrovarci in autunno per un nuovo viaggio nel mondo del vino, guidati dalla maestria e dalla passione di Ivano Antonini. Benedetta Costanzo
benedetta.costanzo@winetalesmagazine.com
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10 Maggio, 2024

Tenuta Cavalier Pepe. Milena, la grazia, la forza

Conoscete la differenza tra slavina e valanga?
In realtà non c’è perché, tecnicamente parlando, sono la stessa cosa. Si tratta sempre di una massa di neve o ghiaccio che si distacca e precipita fino a valle. Aldilà infatti se la massa sia grande o piccola, se si ingrossa o meno durante la caduta, il risultato è sempre abbastanza disastroso a causa della velocità con la quale si muove la massa e il dislivello che affronta.
Quando incontro Milena Pepe dell’azienda Tenuta Cavalier Pepe, ho l’impressione, già dopo poche parole, di essere dinanzi ad una valanga che ancora non ha terminato la sua corsa. Milena può sembrare, all’apparenza, una donna fragile. La pelle bianca, i capelli biondi, il viso sorridente, la sua parlata con tipico accento francese mista al dialetto irpino. Una fisionomia che oltre a farla sembrare fragile non la connotano propriamente come una donna irpina. Però da quasi venti anni lei vive qui, a Luogosano, un piccolo paesino con poco più di 1100 anime in quel meraviglioso angolo di Irpinia patria di grandi vitigni e grandi vini (Greco, Fiano, Aglianico). Raccontare la vita di Milena sarebbe forse banale. Lei è donna di marketing del vino formata in Belgio, Olanda e Francia. Sa come si produce il vino e soprattutto sa come si vende. Sa coccolare i clienti e farsi amare da loro. Sa l’importanza del consociativismo e di quanto sia importante valorizzare un territorio. Sa come muoversi sui mercati internazionali. Sa quanto sia importante far conoscere il proprio brand. Lei sa e soprattutto fa. Fa tanto. La trovi ovunque ci sia una fiera nazionale o internazionale del vino. Tanti articoli parlano di lei e della sua storia. Tanti blogger parlano dei suoi vini.
Ecco, in questo articolo ho scelto di non parlare di questo ma di una donna che da sola sta affrontando qualcosa di grande. Forse di anche più grande di lei. Ma lo fa con una tale grazia e una sorprendente forza vitale, difficilmente trovabile in una persona, che tutto sembra facile. Apparentemente. Milena arriva in Irpina nel 2005. Come una valanga. Dopo aver finito i suoi studi. C’è bisogno di una di famiglia che si prenda cura dell’azienda. Lei è la maggiore e tocca a lei.
23 ettari di vigna acquistati dal papà, il Cavaliere del Lavoro Angelo Pepe, per investire nella sua terra di origine. Lui che dall’Irpinia se ne era andato trenta anni prima alla volta del Belgio dove aveva aperto ristoranti crescendo piano piano come imprenditore. Sembra una storia semplice. Cosa c’è di più bello che ricevere le “chiavi” di una impresa e poter mettere a frutto ciò per il quale si è studiato? Quando sono arrivata in Irpinia ho detto: e mò chi mi viene a trovare qui? Ho dovuto mentalmente capire come dovevamo fare. Ero associata a Slow Food in Francia e sono diventata socio fondatore dello Slow Food in Irpinia. Poi associata a Donne del vino. Quindi al locale Consorzio. Infine a FIVI. Molto associazionismo per farmi conoscere sul territorio. Essere presente. Il Movimento Turismo del Vino con Cantine aperte e con gli eventi successivi ha creato tanto. Io figlia di ristoratore so come si accoglie una persona ma il decalogo che mi hanno fornito ha aiutato. Tenuta Cavaliere Pepe da sola non ce la può fare. Serve questo. Tanta consapevolezza per una azienda che oggi è arrivata a produrre oltre 500.000 bottiglie in circa 70 ettari. Le esperienze in Francia, specialmente quella da Chapoutier, grande produttore ma anche grande marketer, sono state di grande insegnamento. Forma mentis e praticità. Studio e spirito di abnegazione. Tanta volontà. Tanta ce ne vuole davvero. Lei che non si spaventa di lavorare in un mondo di maschi così come arrivare in un paese così piccolo. Le ossa se l’è già fatte in Francia, al BTS in mezzo ai vigneti, in un paesino di 200 abitanti, nella profonda umidità della Borgogna, in un ambiente molto maschile. Non me ne sono accorta sul momento. Venivo dal Belgio, Bruxelles, un collegio cattolico, nobili. Mi chiamavano Barbie. Un ambiente maschile. Così mi sono concentrata sullo studio. Non avevo la tv. Ho studiato tanto tanto tanto. La forza delle idee di una donna che si scontra con l’isolamento e la difficoltà del luogo. Essere donna già non aiuta nel mondo del vino. Esserlo in Irpina, ancor meno. Un mondo maschilista da un lato, la difficoltà ambientale dall’altro. Con un padre che ha l’ambizione di crescere. Anno dopo anno quei 23 ettari crescono. Crescono. Crescono. Fino ad arrivare a 70. Crescono gli ettari. Crescono le bottiglie. Crescono gli investimenti. Cresce il lavoro. Per Milena. Che sola è e sola rimane a gestire l’azienda.
Papà Angelo non è presente. Ha i suoi ristoranti da mandare avanti. I fratelli e sorelle di Milena vivono in Belgio e di spostarsi in Italia non ne hanno possibilità. Milena è sola e si sente sola. Ma questo è il suo sogno. La voglia, la perseveranza, la determinazione che dimostra Milena è straordinaria. Dalla scelta dei vini a quella di valorizzazione del territorio e della sua azienda. Nel 2005 sono arrivata sotto vendemmia. Senza serbatoi, senza elettricità. Il primo anno è stata una battaglia. Quasi che nono ci volessero far vinificare. Papà aveva costruito i primi 500 metri quadrati di cantina. Opera mia si chiama cosi perché sono caduta in una delle vasca. Non dentro. Fuori alla fine delle vendemmia. Era una vasca di Aglianico che stava ancora fermentando. Non sapevo neanche cosa fossero le scarpe antinfortunistiche. Forse non ero nemmeno assunta. Il primo passo per poi lavorare su altro. Su ogni piccolo particolare di una azienda che produceva e conferiva ma al tempo stesso voleva diventare grande. Il papà più orientato alle dimensioni. Le vigne. La quantità. Voleva creare un ristorante nella tenuta. Voleva crescere. Milena, in un territorio così vocato per il vino, capiva che si poteva e si può fare altro. Valorizzarlo ad esempio. Valorizzare i vitigni nelle loro espressioni più alte. Contaminazioni. Tradizioni. Valorizzare i prodotti della terra oltre il vino. Per fare questo c’era tanto da fare. Dal creare la rete vendita alle etichette nelle varie lingue, a gestire la comunicazione, ecc ecc ecc ecc. Un progetto dove aveva tanto e tutto da fare. Era bello perché potevo fare tutto. Papà era presente. Solo al telefono purtroppo. Le discussioni tra Angelo e Milena non possono che iniziare come è normale e giusto che sia quando si hanno idee diverse con alla base tanta passione e ardore. Legato alle tradizioni il primo che sceglieva anche le barbatelle; innovativa, internazionale e con idee ben precise Milena. Attento alla quantità e alle dimensioni papà Angelo; focalizzata sulla qualità e sul territorio Milena.
Due filosofie diverse. Due modi diversi di intendere il vino e la gestione aziendale. Un papà istrionico e impulsivo che vorrebbe gestire a distanza con un progetto improntato sulle dimensioni. Milena che sa cosa vuole. Sa come fare bene le cose. Sa quanto e cosa ci vuole. Ha studiato per questo. Ha l’animo e la passione giusta. Due caratteri diversi
Prendon fuoco facilmente
Ma divisi siamo persi
Ci sentiamo quasi niente Così cantavano Mina e Celentano nella bellissima canzone “L’emozione non ha voce”. Quanta verità c’è in queste parole e quanta attinenza c’è nel porle in questa storia.
Nelle parole di Milena c’è tanta volontà e forza. Passione e fatica nel portare avanti l’azienda, la necessità di padre dal quale ricevere, anche una volta ogni tanto, una pacca sulla spalla. Un cenno di approvazione. Una carezza. Non solo più ettari da gestire. A pensarci bene però, per un uomo che si è fatto da solo, che è emigrato per andare in cerca di fortuna rimboccandosi le maniche e lavorando sodo, è proprio questo il modo per dirle quanto è brava e quanto i fidi di lei. Ho avuto la difficoltà di trovare le persone che mi capivano. La grossa parte dei collaboratori è nella vigna perché abbiamo sempre vigneti da piantare. Adesso ho una ottima squadra in cantina e un ottimo enologo, Gennaro Reale, con il quale ci rispettiamo reciprocamente. Con lui può solo migliorare. Ci confrontiamo sempre. Papà interveniva più nel passato, meno oggi. All’inizio c’era un enologo di Taurasi. Poi, per avere un respiro più ampio come il mio, c’era un ragazzo francese che poi non è più potuto venire. L’incremento della produzione necessitava scelte che non sempre papà voleva seguire. Nel tempo ci hanno ascoltato. Milena è sola. Sola nel gestire tutto. Una situazione familiare che la lascia purtroppo sola in Irpinia. A lavorare incessantemente. Con l’azienda cresce e lei sempre sola. Il senso di responsabilità le fa sentire l’azienda sulle spalle. La voglia di far sempre qualcosa di nuovo e per il bene dell’azienda e del territorio. Creare, inventare, sperimentare. Sempre con il suo sorriso. Sempre con la sua inesauribile energia. Ho creato i tour per la cantina e le vigne. I tour sul tartufo, la lavanda, i formaggi. Ho sviluppato tanto. Sono da sola però. I fornitori, i clienti, i giornalisti, i dipendenti vogliono me. Avrei bisogno di riposarmi ogni tanto. È davvero così: tutti vogliono lei. Lo vedi quando la incontri alle fiere come al Vinitaly dove sono riuscito a salutarla a malapena. Accerchiata dalle persone che la abbracciano e vogliono fare un foto con lei come se fosse una diva. Ma in fondo lo è. Lo è per la sua affabilità così come per i vini che produce. Vere creazioni. Veri punti di riferimento non solo per l’Irpinia. Ciò che si ritrova tra le mani è una azienda da 500.000 bottiglie annue che, per il meridione, sono sintomo di grande azienda. Una gamma molto ampia. 4 vitigni autoctoni bianchi, Falanghina, Greco, Fiano, Coda di Volpe. Sua Maestà l’Aglianico per i rossi. Vogliono tutti il vino fresco ma io sono di altra cultura. Con vini impegnati e arrotondati. Ci sono tante denominazione e abbiamo in vigna anche vitigni per blend. Si è deciso di avere vini più morbidi e vini più strutturati come il Taurasi. Per i bianchi volevo le riserve. Le modifiche ai disciplinari per Fiano e Greco riserva li ho voluti io più di sette anni fa quando ero Presidente del Consorzio. Ci è voluto tanto. Ci sono volute parecchie presidenze. Una cultura quella di Milena che miscela sapientemente tradizione e l’innovazione con un occhio attento al mercato. Internazionale. Perché Milena sa che non ci si può ne si deve fermarsi al mercato domestico se si vuole far funzionare una azienda così grande. Ecco che nascono vini variegati pur mantenendoli nello stupendo contesto irpino. I vitigni della storia, i metodi della contaminazione, lo sviluppo della novità. Cominciamo dal Bianco di Bellona da Coda di Volpe. Un vino che nella sua semplicità esprime al meglio le potenzialità del vitigno. Fresco, sapido, armonioso. Una scoperta.. Poi Lila, la Falanghina DOC. Anch’esso semplice, lineare, pulito. Dotato della freschezza tipica della Falanghina con quel retrogusto di frutta fresca che rimane a pulire la bocca. Nestor, il Greco di Tufo DOCG, corposo e ampio già dal bouquet di frutta matura e fiori per poi ritrovarlo ad avvolgere la bocca.
Refiano è la Falanghina DOCG con la mineralità acquisita dai terreni vulcanici si sposa con la pastosità della frutta tropicale e di quella candita. Un vino che avvolge sinuoso la bocca donando frutti e spezie per arricchire il sorso e il naso.
I bianchi si arricchiscono delle due riserve, Brancato da Fiano e Grancare da Greco di Tufo. Entrambi DOCG ovviamente ed entrambi con un passaggio in barrique. Ne derivano due grandi vini che mantengono meravigliosamente inalterate le caratteristiche dei vitigni aumentando complessità, corpo e persistenza. Un bouquet che si scalda, si matura e diventa ricco di tostature e spezie. Due esperienze divine. Il Brancato meraviglia per la sua nota lievemente vanigliata che si unisce al balsamico e all’erba fresca per dare freschezza e complessità. La noce moscata e la cannella si fondono agli agrumi, ai fiori di camomilla e alla melissa. Il bouquet è complesso e ampio, intenso ed interessante. Un sorso fresco ma manco tanto; caldo ma manco tanto. Grazie alla sapidità raggiunge un perfetto equilibrio. Il retrogusto di nocciola che si unisce agli agrumi ed alla pesca, lo impreziosisce associandolo indelebilmente al territorio. Un vino che risulta versatile come abbinamento ma lo berrei tranquillamente anche senza cibo, in riva al mare o guardando una vigna al tramonto. Stupendo. Ho lasciato per ultimo tra i bianchi il Vigna Santa Vara il cui nome deriva dall’omonima vigna di Falanghina. Un vino che reca in se un metodo di produzione particolare quale la fermentazione in botte per poi affinare sulle fecce sempre in botte. Vi ricorda qualcosa? Ovviamente i sentori non possono che arricchirsi di tostature e spezie così come il sorso non può che ampliarsi allungando la persistenza. Divino. Sei poi i rossi. Tutti dedicati all’Aglianico.
Appio con il suo lungo processo che parte dalla macerazione in anfora per 20 giorni, affinandosi poi in anfora e barrique per 2 anni e ulteriori 2 in bottiglia. Un tempo nemmeno sufficiente per ammorbidire i tannini dell’Aglianico ma certamente utile per donare grande eleganza e forza. Ho avuto il piacere e l’onore di provare la bottiglia n. 1541 di 1910 dell’annata 2017. Appio è uno di quei vini, pochi davvero, che risultano immensi per la loro nobile schiettezza. La vinificazione in anfora e il successivo affinamento sempre in anfora non apporta particolari intensità olfattive ma, meno male, lascia inalterati i sentori naturali di questo meraviglioso vitigno. C’è frutta al naso: ribes e mirtilli, more e ciliegie. Frutta non particolarmente matura a riprova che per domare l’Aglianico ci vuole ancora tempo. Ci sono i fiori rossi insieme ad un non so che di pomodoro. Di quelli che si coltivano in Irpinia.  Appio appare dunque già intenso al naso. Non complesso, intenso, poderoso. Il sorso riempie la bocca e la porta ad un livello superiore. Ampio e avvolgente, fornisce una sensazione di spazialità. mai banale. Tannini presenti, precisi, puntuali quasi domati. Ma non è ancora il tempo. Secco e fresco. Anche sapido. Una bocca che chiude in maniera elegantissima, forse memorabile. La ricordi e la ricordi ancor di più durante una cena. Senti in bocca tutta l’Irpinia, il Taurasi, il sole, la montagna, le valli. Senti la genuinità di qualcosa che non ha subito evoluzioni modificanti mantenendo la sua vera essenza, quella di un vino poderoso ma che sa offrirsi con generosità. Un vino che non va compreso, va scoperto e rispettato. La Loggia del Cavaliere cambia completamente il processo di produzione e affinamento. Fermentazione e macerazione in acciaio poi 24 mesi in barrique e tonneau, 24 mesi in vasca di cemento, 18 mesi in bottiglia. Un vino complesso e ampio. Note di frutta secca come noci e datteri, poi marmellate di prugne e ciliegie. Tanti frutti rossi in potpourri, sottobosco, e ancora frutta, stranamente alpina.  Arriva la vaniglia e la noce moscata insieme al pepe e ad un tocco di ferroso. Infine cioccolato. Tutto mi ricorda la pizza dolce alle noci di mia nonna: una bomba fatta di pasta sfoglia con noci, miele e cioccolato. Un sorso fresco. Una bella struttura. Sinuoso per via dei tannini addomesticati e setosi. Un modo diverso e unico di interpretare l’Aglianico. Non banale e che non va banalizzato. Opera Mia è il Taurasi DOCG. 12 mesi di barrique, 24 mesi in cemento, 12 in bottiglia. Un vino intenso e voluminoso con i tannini presenti e vivi a reclamarne la presenza. Un colore impenetrabile, intenso come la profondità del mare. La voglia di perdersi dentro è totale in una sorta di attrazione fatale. Sentori immediati di frutta e balsamico. Cioccolato e caffè. Meravigliosa maturazione dei frutti che si fonde con il cioccolato. La roteazione del bicchiere offre sensazioni ancor più avvolgenti ancorché sempre scuri. Poi anice stellato, pepe, liquirizia, origano. Tutto trasporta verso l’ignoto. Anche il sorso, che con un avvolgente calore che si avverte solo dopo, prima ti ammalia poi ti trascina. Persistenza lunga per un vino che continua a coinvolgere anche grazie ad un retro olfatto fruttato. Opera Prima, seconda, terza. Da non fermarsi. Santo Stefano Irpinia Campi Taurasini è l’Aglianico con meno struttura. Fermentazione e macerazione in acciaio per poi affinare 12 mesi in barrique prima, 24 in acciaio e 6 in bottiglia poi. In bocca mantiene l’eleganza pur aumentando la forza. Sanserino infine è l’unico rosso che offre all’Aglianico la presenza del Sangiovese (30%) evitando il passaggio in botte. Un vino semplice e spontaneo. Di quelli che servono per accompagnare un piatto di salumi e formaggi in allegria. Non possono ovviamente mancare un rosato e le bollicine.
Il rosato è ovviamente da Aglianico. Vela Vento. Fresco, profumato, aromatico. Un vino che va bevuto a litri al tramonto.
Tre le bollicine.
Or’Osè (blanc de noir) e Oro Spumante (blanc de blancs) sono prodotti con metodo Charmat. Semplice e utili in molte occasioni potendo trovare le differenze tra i due in un interessante gioco di società.
Oro Classico, il blanc de blancs metodo Classico. Cresce la complessità per delle bollicine super interessanti. Tanti ettari, tante tipologie di vini, tanto lavoro. Sia in vigna, dove si fa tutto in biologico e a mano, sia in cantina dove le lavorazioni si moltiplicano sia fuori e dentro l’azienda per far conoscere i vini. Io non mi vedo concorrente di altre aziende qui. Magari le altre si. Mi vedo diversa, più piccola, una dimensione che consente prodotto di nicchia. Durante il covid ho creato il sito che non c’era. Le strategie di posizionamento e prezzo. Mi sono interfacciata con la grande distribuzione fino a quel tempo snobbata. Ho sempre ricevuto le persone. Abbiamo creato i gazebo su misura sotto i quali possiamo ospitare fino a 100 persone. Creato la passeggiata. Recuperato il ristorante per le degustazioni. Creato i percorsi riadattando tutto anche durante la vendemmia. Durante il covid ho dovuto creare tutto rispettando le regole. Un delirio. Ho partecipato e vinto dei bandi di gara in Svezia, Norvegia, Canada. Su Air Canada e su American Airlines. Adesso ho trovato una persona in gamba che capisce di enologia, sommelierie, che parla le lingue a vuole vivere in Irpinia. E che vuole lavorare di sabato e domenica. È un problema per molte persone trovare i collaboratori. Ritorna spesso il tema dei collaboratori. Milena la pone in una maniera molto diretta e precisa. Per una azienda con una simile produzione, l’ospitalità soprattutto di clienti stranieri e l’esportazione diventano requisiti fondamentali per sopravvivere. Conoscere le lingue, non è un plus ma una necessità. Essere disponibili a lavorare nel fine settimana, non è ogni tanto ma la regola. Ecco che trovare persone è già complicato di suo, portarle in Irpina è ancora più complesso. Un territorio tutto da valorizzare. Una donna grintosa, con tante idee. Tanta voglia di fare. Un papà poco o forse, al contrario, molto attento. Milena è ovunque. Parigi, Düsseldorf, Verona. Segue l’estero. Segue l’Italia. Segue l’azienda all’interno della quale c’è anche il ristorante che può ospitare fino 180 persone. Una sala grande. Quattro salette con camino. Una veranda con paesaggio a 360 gradi su tutta l’Irpinia. Una azienda vivibile tutto l’anno. Ha insomma certamente avuto carta bianca per creare ciò che ha voluto. È ovunque. Ogni settimana c’è qualcosa. In Irpinia abbiamo 5 tipologie di tartufo delle 7 presenti in Italia. La lavanda irpina. I formaggi irpini. Meravigliosi e poco noti. Ci vuole gente che lavora il sabato e la domenica. Una donna sorridente, piena di vita, di voglia di fare. Passione per il vino. Passione, e amore, per una terra che non è la sua ma che le ha comunque donato una famiglia. Una gran voglia di far bene, di portare le sue idee a vantaggio del territorio. Una donna amata dai clienti, dai fornitori, dalle persone delle quali si circonda. Una persona con un cuore grande. Competente e affabile. Quel suo sorriso che riesce a farti sciogliere. La sua parlata, quel meraviglioso accento francese misto ad una cadenza irpina come a dire che conosce più il dialetto che l’italiano.
Questa è Milena Pepe. Arrivata in Irpinia, a Luogosano come una valanga a curare le terre acquistate da papà Angelo perché la più grande dei cinque figli ma anche colei che, avendo fatto studi appropriati, si sarebbe potuta occupare della tenuta.
Capisco in fondo papà Angelo, Cavaliere del Lavoro, nella sua cultura di volersi espandere. Partito dall’Irpinia quando non c’era niente e arrivato in Belgio a costruire un piccolo regno nella ristorazione, la voglia di rivalsa, di emergere, di far vedere che ce l’aveva fatta, di dare qualcosa alla propria terra di origine. Crescere per investire. Crescere per dare lavoro. Crescere per dire al mondo chi era diventato. Il Cavaliere del Lavoro Angelo Pepe.
Giuste e sacrosante ambizioni certo. Ma c’è anche Milena.
Milena, Milena, Milena. Tutto ciò che la Tenuta Cavalier Pepe ha raggiunto dal 2005, anno nel quale ha messo piede in azienda, la si deve alla sua forza, alle sue idee, alla sua perseveranza. Ma anche al suo beatificante modo di fare, di porsi. Con grazia da un lato, forza dall’altro. La Tenuta è profondamente diversa così come era una volta. Oggi è qualcosa di grande, unico e importante. Anche grazie a Milena. Milena che ha dedicato all’azienda tempo e passione togliendolo alla sua famiglia, ai suoi figli. La sua vita. Papà ha messo i capitali, determinazione, lungimiranza. Ha anche scelto al persona giusta, Milena, per far crescere l’azienda di famiglia. Ha riposto in lei una fiducia grandissima. Perché solo se si ha fiducia in una persona le si può affidare una cosa così grande. Ogni tanto però, Milena avrebbe bisogno di una pacca sulla spalla, di una parola di conforto, di un abbraccio. Basterebbe poco. Basterebbe davvero molto poco. Con affetto. Ivan Vellucci ivan.vellucci@winetalesmagazine.com Mi trovi su Instagram come @ivan_1969
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9 Maggio, 2024

I vini del Castagno

DEL CASTAGNO E DI ALTRE COSE Botte, bottega, bottaio… Parole che sanno di passati remoti e futuri incerti. Di un tempo in cui i “barbari” stavano più avanti dei Romani (almeno in fatto di contenitori vinari, stando a quei “contenitori in legno accerchiati” di cui narra Plinio il Vecchio) e di un domani che sembra sempre più “respingente” nei confronti di mestieri antichi e uomini come il protagonista della masterclass di cui Vi racconto. In realtà i protagonisti sono due: il Castagno e Alfredo Sannibale. La pianta e l’uomo che la trasforma. Sullo sfondo il vino in quanto cultura ma anche quotidianità. Il Castagno, Fagacea affine alla Quercia protagonista indiscusso del panorama di quei Castelli Romani cui ha cambiato volto seguendo le necessità dell’uomo e della sua “sete”. L’aumento di popolazione e la grande richiesta di vino del XVII Secolo spinse sull’acceleratore del cambiamento. Le “Costitutiones” emanate dallo Stato Pontificio che consentivano ai proprietari di terreni su cui crescessero piante da frutto di liberarsi dai pesanti usi civici del pascolo e del legnatico accesero i riflettori su quel Castagno che, non a caso, era conosciuto anche come “albero del pane” per le proprietà nutrizionali dei suoi frutti. Bando dunque al bosco misto e via libera ai reimpianti con una pianta dalla crescita estremamente rapida, il cui legno, data l’elevata plasticità, si prestava egregiamente agli usi più disparati, dall’edilizia (sviluppo demografico voleva dire necessità di nuove abitazioni e di travature di sostegno) a, appunto, la produzione di botti. E il Castagno, sotto forma della classica botte da 11hl, ha accompagnato per lunghissimo tempo il Frascati dalla fermentazione al viaggio verso la città sui “carretti a vino”. Questo almeno fino agli anni ’60, quelli dello spopolamento delle campagne a favore di una città che sembrava offrire lavoro sicuro e stabilità economica. La viticoltura subì allora un duro colpo e la cura della vigna divenne hobby e non più “mestiere”. Si persero professionalità e smarrirono conoscenze, le botti in legno cedettero il passo alla comodità del cemento prima e della vetroresina e dell’acciaio poi. E cambiò anche il volto dei paesi, Albano in testa, che passarono in breve tempo dall’essere custodi di segreti artigiani tramandati da generazioni alla desolazione delle botteghe chiuse. ALFREDO SANNIBALE, “IL” BOTTAIO E veniamo ad Alfredo l’ultimo templare, esemplare ormai unico di una specie che la cecità dell’uomo ha portato all’estinzione. Classe 1946, bottaio di quarta generazione, artista della scure e del pialletto, profondo conoscitore della materia che lavora. Il Castagno è nel suo DNA, sa dove andare a cercare i tronchi migliori (GGiovani e forti dall’alto dei loro max 16-18 anni), scarta nodi, segue vene, sceglie doghe (massimo 3 ad albero), stagiona, taglia, pialla, accerchia. Accende zolfanelli, lava, asciuga, indica, insegna. Monta e smonta, costruisce, accrocca, ripara… Lo sguardo e le mani, un unico strumento di precisione. Sorride Alfredo, anche amaramente, quando racconta dei suoi settant’anni a bottega, svela (in parte) segreti, dà voce a oggetti inanimati, sciorina spessori, racconta aneddoti, strizza l’occhio e dice trucchi. Le sue opere da tempo hanno varcato i confini dei Castelli Romani colonizzando altri vulcani (l’Etna) e financo la terra dei canguri. I VINI DEL CASTAGNO Sei assaggi da cinque Aziende (quattro laziali e una marchigiana). Sei vini che in comune hanno l’esilio dorato in quel Castagno che Alfredo modella perché sia soddisfatto il nostro alcolico edonismo. – LA TORRETTA: giovane Azienda di Grottaferrata condotta da Riccardo Magno (cugino e dirimpettaio del Gabriele di cui avrete letto anche la settimana scorsa) con entusiasmo e rigore biodinamico. Tre ettari di vecchi impianti e quattro etichette che conoscono terracotta georgiana e castagno locale. LAZIO BIANCO IGT “CASTAGNA” 2022: da un’Azienda che ho sempre visto solo dall’esterno e che mi ripropongo di visitare a strettissimo giro, un blend di Trebbiano e di un vecchio clone di Malvasia di Candia che non conosce altro che il legno della botte di Alfredo (a parte il vetro). Un ritorno alla Tradizione che ben si sposa con le uve prodotte dal vigneto più vecchio dell’Azienda, che da più di sessant’anni affonda le proprie radici nell’anima della terra. Al naso l’impronta del Castagno è netta e affatto sovversiva. Ne racconta il miele e in parte il frutto, sicuramente si colora del giallo della frutta matura e delle messi assolate ma una ventata di mediterranea balsamicità ravviva i cuori a suon di menta romana, timo e iodio di frangenti lontani. Il sorso è un incontro di boxe tra le languide carezze di un calore alcolico abbracciato alle dolcezze del frutto e l’animo ribelle di una Malvasia che fa leva sulle doghe cerchiate per alzare la voce. Di controllata freschezza usa il fendente della sapidità per ravvivare l’interesse e chiedere un rabbocco del calice. Da bere ascoltando “LA HOLA” dei MAU MAU. – CANTINA RIBELÀ: in quel di Monte Porzio Catone dai 2ha condotti con rigoroso stile biodinamico da Daniele e Chiara Presutti provengono vini che ben interpretano il variegato suolo nel quale affondano le radici le piante. LAZIO BIANCO IGP “PENTIMA” 2022: 50gg di macerazione sulle bucce, 9 mesi di legno e poi vetro. Questo il percorso di una Malvasia (vecchio clone) che già da quel nome “PENTIMA” sa di strapiombi e vulcani e che impegna l’occhio ben oltre le mie capacità di sorvolo. Giallo di buccia di mela matura, camomilla e cedro (maturo ma anche candito) vive della spinta amaricante del vitigno danzando su note vegetali e amaricanti di menta, basilico, alloro e tè. Il sorso, sicuramente dissetante, rivela la vigoria dei tannini affilati, compita freschezza e mineralità muscolare esaltando l’animo varietale del vitigno. Un vino non nelle mie corde, più uno “yellow” che un “orange” ma che dimostra l’impegno e la crescita di un’Azienda che deve fare ancora molta strada ma ha le idee ben chiare. – IL VINCO: siamo a Montefiascone (VT), altro vulcano, altri suoli per una piccola Azienda condotta in stile “nature” da tre amici. 10 anni di attività, cemento a profusione (ma ovviamente anche i legni di Alfredo), e solo vitigni “local”. VINO BIANCO “LE CAPANNACCE” 2022: Procanico e basta per un olfatto dedicato alla frutta secca. Ecco dunque le nocciole (non a caso siamo dove siamo) e le arachidi, con le loro tostature, ecco la composta di mele, la cera d’api, gli agrumi canditi e una chiara impronta tufacea. Sorso morbido e genuino, fresco e sapido quanto si conviene. Cortese nel suo abbraccio calorico, rivela un finale di agrumi anche canditi e minerale piccantezza. – TENUTA SAN MARCELLO: Da Milano a Senigallia per vivere, da Senigallia alla Georgia e ritorno per fare vino. Questo in breve il percorso di Massimo (Palmieri) che nella sua TENUTA SAN MARCELLO coccola 5ha campagna ad impatto praticamente zero vinificando Verdicchio e Lacrima in anfore interrate che sono gemellaggio tra la storia enologica della Georgia a quella delle Marche. Qui, oggi, presenta due vini in anteprima talmente assoluta che le etichette, dedicate “velatamente” ad Alfredo, sono state create solo per questa serata. VINO BIANCO “COLPA D’ALFREDO 1” + VINO BIANCO “COLPA D’ALFREDO 2” 2022: dopo la coppia “CIELO SOMMERSO” e “INDISCIPLINATO” (di cui potete leggere qui) ecco altri due vini che è difficile leggere singolarmente. Figli della terra i primi due, questi altri abitano le doghe ammaestrate da Alfredo. Uno ci nasce e poi sceglie la tempra dell’acciaio per farsi i muscoli. L’altro nasce dalla forgia di Vulcano e nel castagno ripone la propria saggezza. Due Verdicchi che sanno di anarchia, spazzano via preconcetti e cancellano stereotipi. Il primo è fumoso e imprime sulla pellicola dell’olfatto brume, campagna e racconti. Ma la camera oscura, anima delle stampe artistiche, rivela un sistema zonale profondamente mediterraneo. Balsamico nel suo sovraesporre intrichi di macchia e freschezze di rosmarino, salvia e menta. Il sorso è un bivio dal quale qualche buontempone ha tolto i cartelli di indicazione. Esalta le dolcezze e lascia di stucco con un profondo senso marino. Spiazzante, apre al Verdicchio sentieri impercorsi. Il secondo completa il primo (peccato per un soffio di volatile scappato via come un palloncino dalla mano di un bambino) riempiendo l’occhio con quel suo colore che sa del sole di Luglio a picco sulla sabbia e aprendo i polmoni di balsamicità mentolate e miele che calma gli eccessi e poi anice, timo, un ché di sulfureo e il giusto di salmastro. Sorso saggio, di garbata freschezza e compita sapidità che sottolinea piccantezze sottili e chiude ricordando la mandorla. L’un per l’altro da riassaggiare con calma per carpirne i segreti celati nell’animo. Da bere, con calma, ascoltando “TICK AS A BRICK part 1 &2” dei JETHRO TULL. – COLLEFORMICA: Azienda di Velletri, tre ettari di terra di cui la metà vitati e 100 anni di schiene curve per lavorarla. Biodinamica a 360°, vecchie vigne di Malvasia e Trebbiano ma anche reimpianti (2017) di un Primitivo che già abitava lì. VINO ROSSO “PRIMATIVO” 2022: certo ci sono ciliegie e prugne, l’arancia, le rose, le viole ma è quel profumo di ricordi, di soffitta che colpisce e poi quella nota ortolana di rapa rossa… Sorso beverino, di spiazzante corrispondenza, morbido ma assolutamente pimpante, con quei tannini ancora birichini che affiancano ricordi di liquirizia e di giostre, fave di cacao e agrume sanguigno. E ORA? Ora è il momento di ringraziare tutti, il Comune di Frascati per avermi ospitato e per aver saputo “aggiustare il tiro” organizzando un’Edizione di VINALIA PRIORA davvero all’altezza del lignaggio di un vino che è molto di più. È il momento di ringraziare le Aziende che hanno voluto condividere con noi il frutto del loro lavoro. È il momento di ringraziare Ilaria Giardini per aver condotto con professionalità e passione una masterclass unica. Ed è il momento di ringraziare Alfredo per il lavoro di una vita e per i vini che, per suo tramite, ci emozionano ogni giorno. Roberto Alloi VINODENTRO    
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