19 Apr 2024
Suggestioni di Vino

Andrea e Nicolò. Due amici

Due ragazzi del borgo cresciuti troppo in fretta
Un’unica passione per la bicicletta
Un incrocio di destini in una strana storia
Di cui nei giorni nostri si è persa la memoria
Una storia d’altri tempi, di prima del motore
Quando si correva per rabbia o per amore
Ma fra rabbia ed amore il distacco già cresce
E chi sarà il campione già si capisce.

Francesco De Gregori cantava così la storia dell’amicizia tra il bandito Sante Pollastri e il campione di ciclismo Costante Girardengo. Cresciuti insieme fino a quando le loro scelte, ma anche la vita, li divise. Fino al punto di incontrarsi di nuovo in un’aula di tribunale quando Costante dovette testimoniare contro l’amico Sante. 

Due amici cresciuti insieme anche se non proprio da piccoli. Due amici che si incontrano per caso studiando enologia ad Ancona. Due amici che si trovano senza poi lasciarsi più andare. Nel bene e nel male. Nel lavoro e nel gioco. Nella passione e nella vita. 

Andrea Giorgetti e Nicolò Marchetti. Nicolò ed Andrea. Invertendo l’ordine degli addendi, il risultato non cambia. Anche se l’azienda, che insieme hanno voluto, prende il nome da Andrea, poco importa. Il loro patto segreto e silente vale più di mille atti notarili. Andrea Giorgetti è l’azienda. Andrea e Nicolò ne sono l’anima (ma guai a dimenticarsi di Giulia, la sorella di Andrea, senza la quale la accoglienza e la vendita in azienda non ci sarebbe proprio!).

Io ho studiato Viticoltura ed Enologia all’università di Ancona e mentre studiavo ho conosciuto Nicolò. Lui è più piccolo di un paio di anni. Ci siamo conosciuti a qualche corso che ho lasciato un pò indietro. 

Il papà di Andrea, Sante, gestiva un distributore di carburanti in autostrada. I fine settimana Andrea lavorava li. Nicolò che aveva bisogno di un lavoro chiese all’amico appena conosciuto di poter lavorare anche lui al distributore. 

Papà ha assunto anche lui. Da li è iniziata la nostra amicizia. Lavoravamo e studiavamo insieme. Facevamo tutto insieme. Ci siamo conosciuti che avevo venti anni.

Le amicizie nascono per caso e continuano per volontà. Stare bene insieme. Supportarsi a vicenda. Esser pronti ad esserci quando serve. Una parola, uno sguardo, una risata, un abbraccio. Ogni gesto cementa sempre più il rapporto che resiste al tempo, agli amori, alla vita dei singoli. A volte può sembrare che uno dei due dia più dell’altro. Ma non è così. L’amicizia va oltre qualsiasi materialità. Va nel profondo del nostro animo. È come se fosse un amore che non può e non deve esternarsi in altro modo. Così Andrea e Nicolò. Sempre insieme.

Andrea ha tre figlie. Nicolò due. Ammettere quanto fossero matti a vent’anni non è possibile. Matti e caciaroni. Pur se con l’animo di chi ha i piedi ben piantati nella terra dove è nato. Nato cresciuto in campagna Andrea. Con i nonni (ah i nonni!) che badavano ad Andrea e Giulia sopperendo ai genitori che lavoravano al distributore. Una vera famiglia di un tempo quelle dei nonni. Si direbbe a “ciclo chiuso” quando si faceva tutto in casa. 

Era tutto magnifico. In campagna sapevo fare un pò tutto. Arrivato a venti anni, con la terra il grano non poteva andare. Qualcuno metteva erba medica o oliveto. La scelta era o olivi o vigna. Ho scelto la vigna e di studiare enologia anche se di vino non se ne era mai parlato a casa mia. 

Due amici. Due studenti di enologia. Un pezzo di terra. La voglia di divertirsi e sperimentare. Et voilà! Sembrano le condizioni ideali per la creazione di una vera associazione a delinquere. Nel senso buono ovviamente!

Le condizioni c’erano tutte e non si può non immaginare di non impiantare qualche filare!

Ci piaceva un vino della Cantina Le Terrazze che sta qui vicino. Chaos, a base di Montepulciano, Merlot e Syrah. Volevamo ricrearlo in questi quattro filari che avevamo messi. Siamo andati da Le terrazze a chiedere informazioni. 

Quando Andrea, sorridendo, mi racconta di questa cosa, nella mia mente, non chiedetemi per quale motivo, la scena che visualizzo è quella di Totò e Peppino che chiedono al vigile in Piazza del Duomo a Milano, informazioni su la Scala. Due studenti di enologia che vanno presso una delle cantine più blasonate della zona e chiedono come si fa un vino. Meraviglia da lacrime agli occhi.

Abbiamo messo dunque gli stessi uvaggi nelle stesse percentuali nei quattro filari. Così da fare le prime prove. Non avevamo la cantina ma una stalla. Raccoglievamo sei o sette quintali di uva. Era bello perché venivano gli amici ad aiutarci. Le barbatelle, i pali di cemento..tutto a mano avevamo messo. Un lavoro enorme. Ma venivano gli amici e facevamo festa.

Ridendo e scherzando il vino gli veniva bene. Magari un pò di fortuna o gli studi applicati bene. Di certo la vicinanza al mare con i venti, sempre presenti a mantenere l’uva perfettamente in salute, li ha aiutati un bel pò. 

Siamo in Contrada Monte Priori a Potenza Picena (MC), proprio sulle colline che si affacciano sul mare Adriatico (in cinque minuti da qui si è in spiaggia!). Vigne esposte a nord il che vuol dire prenderseli tutti i venti del mare. L’uva non poteva (e può) che essere di grande qualità. 

I vini venivano bene. Abbiamo detto: andiamo avanti. Avevo quattro ettari ma su uno ci sono olivi secolari. Essendoci i PSR, i fondi europei, abbiamo detto: facciamo la domanda, se ce la accettano andiamo avanti altrimenti lasciamo perdere tutto e continuiamo a fare i quattro filari. L’hanno accettata e siamo partiti con questa avventura. 

I segni del destino sono spesso inequivocabili. Da quando fai una cosa per scherzo a quando ti tocca farla sul serio, il passo può essere lunghissimo o brevissimo. L’accettazione della domanda PSR può sembrare una svolta o rivelarsi una condanna. Una volta vinto il bando infatti occorre preoccuparsi della restante parte dei soldi necessari per iniziare l’avventura. Il 60% della cifra, qualunque essa sia, per due studenti, è sempre troppo

Mio papà che non c’è più era quello che credeva in questa avventura. Il 40% l’ha messo la Regione e il 60% papà. Siamo andati avanti grazie a lui. Abbiamo poi fatto l’investimento della cantina. La casa dove vivo adesso aveva una taverna nata per fare le cene con gli amici che si è trasformata in cantina. Mantenendo una parte per le cene con gli amici!

Andrea ha questa meravigliosa parlata marchigiana che lo rende schietto e vero. Pronto alla risposta ma pronto anche a vergognarsi quando vorrebbe mordermi la lingua per quello che ha detto. Anche se non dice mai nulla di fuori posto. Il sorriso sornione e spontaneo. Il cuore che gli si apre quando parla di Nicolò e della sua famiglia. Anche le difficoltà sono motivo di allegria. 

La passione che condivide con Nicolò, riempiva i momenti di allegria con gli amici. Però poi, quando la famiglia cresce, di tempo ce ne è sempre meno. Tre figlie, un lavoro che deve comunque esserci perché la vigna non basta (Andrea insieme alla sorella Giulia hanno continuato l’attività del padre alla stazione di servizio), lasciano poco, davvero poco spazio al vino. Eppure continua. Anzi, continuano. Perché non si fa un rimontaggio se non lo si fa insieme. 

All’inizio abbiamo messo la Ribona. Un vitigno dannato. Tutti ci scoraggiavano perché considerato un vino di serie B. Nessuno riusciva a fare un vino buono. Io ho la testa dura ma l’ho voluta mettere per una questione di principio. I primi anni ci ha scoraggiato. Ci mettevamo tutto il nostro impegno ma il vino non veniva bene. Lo sconforto era arrivato. Nel frattempo ci siamo laureati e abbiamo fatto esperienze all’estero e nelle cantine della zona. Da li la qualità è aumentato. La Ribona dal quarto quinto anno in poi ha fatto anche un cambiamento pazzesco. Sangiovese e Montepulciano già dal terzo anno sono andate bene. 

Dimenticavo la testa dura di Andrea. Tipico anche questa dei marchigiani. Ricordo una mia amica, di Macerata, che diceva sempre “dalle e dalle, se piega pure le metalle”. Ecco, Andrea non è da meno. Si erano innamorati di un blend e scelgono di partire con la Ribona. Sapete perché? Perché è complicata e non ci riusciva nessuno. Volevano essere i primi.

Ci siamo attrezzati con una cella frigorifera perché abbiamo capito che la Ribona ha necessità di essere conservata. C’è poco da fa. L’abbiamo adattata perché era il tunnel di ingresso alla cantina e due settimane all’anno diventa cella frigorifera. Non c’abbiamo più una lira dunque adattiamo.

Con il freddo e un pò di studio in più i due buontemponi iniziano a fare la Ribona con criterio arrivando a prendere nel 2020 un premio con Berebene Gambero Rosso. Poi anche con il Rosato Aganita. 

Da li abbiamo iniziato a vedere qualche soldino. Importante per pagare i mutui. Fino li avevamo solo messo soldi. 

Insomma, nel 2005 impiantati i primi quattro filari. Dieci anni dopo nel 2015 le prime vendemmie serie. Nel 2020 finalmente qualcosa di buono. 

Nelle zone nostre sono tutti vecchio stile. Conti qualcosa se vinci qualche premio. I rossi già dal 2018 li facevamo interessanti. La Ribona si è fatta attendere al 2020. Il rosato lo abbiamo fatto per scherzo. 

Quando il cuore di un papà è grande e soprattutto tenero, lo si vede da tante piccole cose. 

Il primo rosso si chiama Adele come la mia bimba. Nascevano insieme nel 2017. Il mosto era quasi vino, gli ultimi travasi. Stava per nascere mia figlia e ho dovuto per forza chiamare il vino come lei. Poi sono arrivate altre due bimbe, gemelle, e dovevo per forza dedicare qualcosa anche a loro. Abbiamo pensato a questo rosato e non pensavamo che il rosato venisse bene in queste zone. Qui non c’è la cultura del rosato. Non se ne parlava. Lo abbiamo fatto con criterio in blend tra Montepulciano e Sangiovese. Lavorazione a freddo, riduzione estrema. Facilità di beva, freschezza. Il Gambero Rosso ce lo ha premiato subito. Inaspettato. Ci ha fatto pensare che stavamo andando nella direzione giusta. Adesso sono conosciuto in questa zona soprattutto per il rosato. Si chiama Aganita come le mie bimbe Agata e Anita.

Il panorama che si gode da qui è bellissimo. C’è una atmosfera magica e nell’aria quella spensieratezza di due ragazzi che hanno messo in un progetto i loro anni più belli. Una quercia grandissima domina i vigneti e non può che essere questo il luogo ideale per le degustazioni guidate da Giulia. 

Il Rosato lo vendiamo tutte qui. Delle 7000 bottiglie prodotte, 4000 ne vendiamo qui. Una manna dal cielo che non pensavo mai. Siamo poveracci ma ci si diverte. 

Andrea ha investito tutto in questa avventura. In questo suo sfogo naturale. L’area di servizio, presa in gestione nel 2015 quando il papà è venuto a mancare, è un grande impegno. Anche per la responsabilità dei 12 dipendenti e delle rispettive famiglie.

È un lavoro grosso. Non centra nulla con questo. Magari destinato a morire perché la figura del gestore è destinata a morire. Questo che è il piano B diventerà magari il piano A.

Nicolò sembra defilato in questa storia. Lui che dopo gli studi inizia a fare consulenze in zona come enologo per poi approdare ad una azienda che produce prodotti enologici. Lui che lavora in cantina e non ha grande voglia di emergere. Non gli interessa se l’azienda porta il nome dell’amico. È un amico. È suo il papà grazie al quale ha guadagnato qualcosa durante gli studi. Colui che ha creduto in questa avventura mettendo anche gran parte dei soldi. C’è tanta riconoscenza che però da sola non può minimamente spiegare la profonda amicizia che lega Nicolò ad Andrea ed Andrea a Nicolò. 

Nicolò mi ha sempre dato una grossissima mano. In etichetta gli ho dato la nomina di enologo. Il patto è che si fa tutto a metà. Una regola non scritta ma che vale più di mille notai. Se devo fare un travaso aspetto Nicolò. È nata cosi e sarà cosi. Anche le lavorazioni in vigna. È un legame forte che non finisce. Le cose si fanno insieme e se può solo uno non si fa. È un modo per stare insieme. All’università eravamo festaioli. Eravamo un pò cosi. Siamo completamente cambiati perché quando si tratta di vendemmiare siamo seri estremi. Pignoli. Chi vendemmia con noi ci dice “siete sempre voi”?. Ci teniamo. Non dobbiamo sbagliare nulla. Eravamo conosciuti per quelli “tanto è uguale” mentre siamo diventati due estremi. 

Dai 3.5 ettari vitati i due ragazzacci producono quattro vini. Tre di questi portano il nome di qualcuno della famiglia Giorgetti.

Adele è il blend di Montepulciano e Sangiovese al 50%. Solo acciaio per un vino da tutto pasto. Fresco e generoso. Per nulla impegnativo e adatto ad essere bevuto sotto la quercia nelle serate di primavera. Quando ancora non fa troppo caldo.

Aganita è il rosato da Sangiovese (90%) e Montepulciano. Un rosato che non ti aspetti perché dotato di una vena balsamica forse fornita dal tanto iodio che arriva dal mare. Ma è fresco di frutta fresca, delicato ed elegante.

Poi c’è Sante. Papà Sante. 

Per ringraziare il mio papà. Il rosso di maggior pregio che fa un passaggio in legno di rovere.  Tonneau e barrique di due tostature diverse. Ci siamo concentrati parecchio: selezioniamo le uve, lo facciamo solo in annate particolari e non ci deve essere un solo chicco rovinato. È un rosso che come dico a tutti lo facciamo perché ha una storia e un valore affettivo. È un rosso che però in queste zone si beve poco. Siamo conosciuti per la freschezza e la bevibilità mentre Sante è da meditazione. Anche io bevo raramente. È interessante assaggiarlo durante il percorso che fa in bottiglia. 

Infine il Ribona Flosis che prende il nome dal fiume che scorre qui vicino e che in epoca romana si chiamava cosi.

Da qualche carta geografica trovata in comune, il fiume scorreva quasi qui sotto la cantina nostra. Con i millenni magari ha contributo a creare i terreni. Facciamo le fermentazioni lunghissime. Le temperature controllate allo spasimo. Il grosso lo facciamo in campo e in fermentazione. Poi non facciamo più niente. Abbiamo capito che in bottiglie evolve tantissimo. Pensiamo di darlo alle guide l’anno successivo. 

Un vino il Ribona, recensito sul mio blog Instagram, che stupisce davvero. I sentori sono di frutta fresca a pasta bianca accompagnato da note erbacee. Ananas, acacia e un leggero iodio. Fieno tagliato e frutti tropicali si rincorrono. Quando pensi di averlo capito ti stupisce con le note sgrumate e una nota idrocarburo. Sorso secco e con una bella avvolgenza che non stucca ma arricchisce il sorso. Sembra che sia morbido ma poi scende giù con una verticalità meravigliosa!Un bel retrogusto di limone delicato che pulisce in maniera egregia la bocca.Persistenza non lunga e bellissimo bilanciamento che invita a berlo e berlo. Semplice e genuino. Schietto e vivo. Convincente ma tanto. Un bellissimo lavoro dei due ragazzacci!

Due amici che fanno vivere la loro amicizia nel modo più alto e puro. Non serve neanche parlarsi alle volte. Non serve una società con quote e notai. Forse il vino buono viene anche da questo. 

Io copro gli errori suoi e lui fa cosi con me. Magari litighiamo ma in maniera dolce. Alla fine ammettiamo chi ha ragione. È bellissimo e importantissimo.

Tutto davvero molto bello. Pensare al futuro sembra un obbligo ma nemmeno ci pensano. Forse per non rovinare tutto. Guardare al presente con la speranza di arrivare a guadagnare di più. Monetizzare diventa importante anche se non prioritario. Espandersi diventa complicato. L’essere vicini al mare è un vantaggio certo ma anche un problema. Chi ha terra non la venderà mai.Il vino ce lo finiamo subito. A natale l’ho finito. Non vogliamo acquistare l’uva. Il futuro, a meno che non cambia qualcosa che ci piacerebbe continuare così magari guadagnando qualcosa in più. Non ci possiamo allargare. Ci piace il discorso che ognuno ha lavoro suo e questo lo facciamo insieme. 

I due ragazzi del borgo, cresciuti troppo in fretta come dice De Gregori non hanno bisogno di altro se non continuare la loro amicizia. E la loro avventura. 

In mente la voglia di guadagnarsi un riconoscimento come i Tre bicchieri del Gambero Rosso. Un pò perché, come dice Andrea, in queste zone se non hai un premio non ti si fila nessuno; un pò perché, secondo il mio parere, avrebbero bisogno di sentirsi dire che sono bravi. Che ce l’hanno fatta. Una pacca sulla spalla.

Mi viene in mente papà Sante che ha tanto creduto in loro e nel loro progetto. Magari sarebbe bastata la sua approvazione. Il migliore dei premi possibili. 

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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