Francesco, due filari e un metodo. Empirico.
Francesco, due filari e un metodo. Empirico,
Stanchi della solita routine? Basta, non ce la faccio più del traffico, del capo, dei colleghi. Me ne vado a fare il contadino piuttosto.
Secondo un rapporto della Coldiretti, con la crisi provocata dall’emergenza COVID, nel 2020 si è registrato un balzo del 14% di imprese giovanili rispetto a cinque anni prima. Oltre 55 mila sono ora le aziende guidate da under 35.
Insomma, sembra che il flusso dalle campagne alle città, quello che portò Artemio (Renato Pozzetto) del film “Il ragazzo di campagna” dai campi della bassa a Milano, si sia invertito. Certo, la madre di Artemio lo aveva avvisato: “la città è piena di tentazioni, l’è tentacolare!”.
Ma l’Artemio voleva, comunque, sperimentarla. Troppo forte era l’attrazione.
Sarà, però per chi è nato in città, a Milano appunto, viverci e lavorarci allo stesso tempo, non sempre è il massimo. Il lavoro, i ritmi, gli arrivisti, il caro affitti, il caro bollette, i trasporti, le cene fuori. Uffa!
Quando sei una persona mite, una di quelle che non amano proprio i ritmi frenetici ne tantomeno arrivista perché la tua passione è per per la campagna e la vigna in particolare, tutto ciò che ti circonda può essere una vera gabbia. Allora che si fa? Si scappa? Magari!
Se capita pure di essere un ingegnere, ovvero una di quelle persone che si nutre di calcoli e certezze, non è che puoi scappare prima di aver sperimentato ed accertato ovvero calcolato come si possa vivere con la vita della campagna.
Francesco Siena è un ingegnere e ha anche un bel lavoro. A Milano. Carattere mite. Razionale. Pensatore. Attento ai particolari. Un ingegnere vero. E posso dirlo con ragion di causa essendo anche io un ingegnere. Probabilmente mal riuscito se sono tutto all’opposto di Francesco. Ma forse meglio di altri, so riconoscere le differenze!
Francesco ha una passione, la vigna ed il vino. Ma ha anche un sogno, quello di realizzare lui un vino. Non uno qualunque, qualcosa di speciale. Ora, se qualcuno conosce o ha avuto a che fare con gli ingegneri, quelli che lo sono nel midollo (e io non sono tra quelli!) sa che un ingegnere quando si mette in testa qualcosa da realizzare, ha un metodo infallibile (spesso purtroppo gli ingegneri dicono che il metodo sia estendibile a qualunque cosa, finanche alle relazioni con il risultato che talvolta, magari spesso, prendono tranvate pazzesche).
Si studia, si sperimenta, si studia….”
Semplice no? Si chiama metodo empirico. Va beh, lasciamo stare che poi ci incasiniamo. Basta sapere che occorre non solo studiare ma fare esperienze ed imparare da queste.
La passione di Francesco per la vigna nasce non tanto lontano da Milano, nell’Oltrepò Pavese grazie allo zio che si era regalato per la pensione una vigna con tanto di casale. Grande terra quella dell’Oltrepò e grandi spumanti da Pinot Nero. Anche se qualcuno spinge a fare altro con un vitigno così particolare come il Pinot Nero.
Come l’enologo di mio zio, Mario Maffi, che incitava a vinificare il Pinot Nero alla maniera della Borgogna. Li ho iniziato a fare esperimenti e mi sono appassionato. Prima dei 30 anni quando vivevo a Milano e vivevo a casa dei miei.
Ecco che il quadro di riferimento è abbastanza completo. Francesco, ingegnere, milanese, vive dai genitori (poi per due anni anche da solo), impiegato in una azienda nel campo dei sistemi di automazione (!!), appassionato di vigna. Uno così, o diventa un serial killer a Milano, o scappa.
Francesco scappa prendendosi un anno sabbatico contro il volere di tutti.
Piccola digressione. Quando Francesco mi parla di questo, leggo nel suo sguardo e nella sua voce tutta la pressione subita soprattutto dai genitori. Come ti capisco Francesco e come capisco, da padre, i suoi genitori. Al solo pensiero di una cosa del genere fatta da me e comunicata a mia madre, penso che me la sarei dovuta sentire un giorno si e l’altro pure.
E se me la comunicasse mio figlio non credo reagirei diversamente.
Tanti sacrifici per farti diventare ingegnere, un buon lavoro e poi che fai? Ti licenzi? Ma sei matto? Come ti salta in mente? Chi ti ha messo queste idee in testa?
Questa sarebbe stata mia madre. Tutta la mia solidarietà Francesco
Cosa fare di questo anno sabbatico se non rincorrere i propri sogni?
Ricordare però bene il metodo empirico: studiare come prima cosa ma poi anche sperimentare.
Dunque regola numero uno è studiare; numero due, sperimentare. Francesco le applica alla lettera: studiare per imparare come si fanno le cose in agricoltura e sperimentare sul campo lavorando assiduamente. Un pò di ingegno (mica si è ingegneri per caso in fondo) et voilà.
Francesco scova un programma di agricoltura alla pari e ci si tuffa. Una cosa dove, in cambio di vitto ed alloggio si da una mano in azienda. Siamo ben prima del COVID e la cosa non è proprio comune. Ma di pazzi come Francesco, comunque ce ne sono nel programma.
Un programma che aiuta ad imparare oltre che a capire.
Ho capito però che era un bagno di sangue. Nessuno campava con questo lavoro e facevano altro per campare. La consapevolezza è arrivata dunque con l’esperienza. Non è una cosa così idilliaca. Ci sono state aziende dove non ho imparato nulla e altre dalle quali ho imparato tanto. In particolare nel Roero e a Poppiano. In quest’ultima azienda ho trovato Guido Galandi che fa biologico con vitigni autoctoni come Fogliatonda e Pugnitello. Lui è il mio mentore e mi ha invogliato a sperimentare il Pinot Nero.
Insomma, Francesco metabolizza che a meno che non si sia fortunati e riuscire a partire con ettari ed ettari, è difficile non fare altro. Quasi tutti gli imprenditori che ha conosciuto, hanno un altro lavoro. Quello principale per giunta.
La vita però riserva sempre delle sorprese. Così che se da Milano se ne voleva andare per inseguire il suo sogno, da Milano se ne va per inseguire l’amore. Anche gli ingegneri si innamorano!
Da Milano la famiglia si mette su in Toscana, nei pressi di Firenze. La passione della vigna? La porta con se ovviamente. Anzi, in Toscana non può che trovare nuova linfa.
Quando mi sono trasferito per sposarmi a Firenze, ho cercato un terreno in zona e l’ho trovato a Calenzano sotto il Monte Morello, massiccio di calcare che domina Firenze.
Il trasferimento porta l’amore, il matrimonio, i figli, la vigna (circa 1000 metri quadri) e pure il vecchio lavoro.
Mi sono ripreso anche il vecchio lavoro perché mi hanno chiamato. Gli dissi che lo potevo fare solo da casa e a loro andava bene. Sono tutt’ora assunto in questa azienda così da conciliare la passione per il vino con il lavoro.
Adesso viene il bello però. Perché il terreno c’è ma la vigna ancora no.
Francesco (siamo nel 2013), seguendo la via del Pinot Nero vinificato in rosso, si fa accompagnare dallo zio in Alto Adige a comprare le barbatelle. Prende i giusti cloni, tipo quelli della Borgogna per intenderci, e inizia la sua opera di impianto.
Che si fa, si pianta in modo tradizionale? Manco per niente.
Ho piantato le barbatelle ad alberello a settonce. Ovvero con tutte le viti equidistanti. Come se fossero tanti triangoli isosceli affiancati con ai vertici una pianta. Una cosa un pò esoterica.
Sempre Guido a Poppiano aveva messo una vite ad alberello con un sistema che usavano i romani, meno perfetto del settoncie, mi pare si chiamasse il quinconce con tanti quadrati e rettangoli. Così ho voluto qualcosa di più perfetto. E bello e comodo perché io immaginavo di passare in più direzione.
Settonce. Ha studiato il ragazzo non c’è che dire. Una cosa particolare voleva fare. Io già immagino i contadini che passavano di li e lo vedevano fare l’impianto a settonce e pensavano tra se e se (qualcuno magari nemmeno poi così intimamente): ovvia, un settonce…l’è proprio un bischero.
Fa tutto parte della sperimentazione del metodo empirico comunque. Forse a Francesco manca un pò di praticità della quale si accorge subito. In primis perché la coltivazione ad alberello in una zona dominata da animali selvatici offre cibo facile da mangiucchiare.
Ho avuto ogni tipo di problema dagli animali. Caprioli, cinghiali. Un pò di tutto.
Il concetto dell’alberello non era però male. In teoria.
Poi perché, anche se non sta scritto da nessuna parte, il Pinot Nero non predilige il settonce.
Un enologo mi disse che il settonce non era proprio adatto al Pinot e ho dovuto mettere i normali filari.
Osservazione del fenomeno e ritaratura. Il metodo empirico riciccia sempre fuori. Tanto, Francesco di fretta, non ne ha.
È un progetto a lungo periodo. Tutto il progetto è improntato alla calma. Io penso che inizierò a fare il vino che voglio tra cinque o dieci anni. È tutto uno sbagliare e un riprovare. Qualcuno potrebbe pensare che non è una cosa seria: è piccola sì, ma lo è seria. Non ho fretta di fare qualche cosa. Ci voglio comunque arrivare.
Prima vendemmia nel 2016 che da il là alle sperimentazioni in cantina. Tra le mille difficoltà nel reperire materiali giusti, tecniche giuste, attrezzature giuste.
Sto facendo esperienza via via e ogni tanto capita di fare errori grossi. Quando ti rifornirci nei canali professionali, quelli che richiedono migliaia di pezzi è un conto, se vai nei consorzi ti danno robaccia. Nel 2021 avevo usato una botte che mi aveva dato problemi. Nel 2022 ho usato il vetro e adottato accorgimenti per migliorare la durata.
Francesco prende una pigiatrice e diraspa a mano tenendo i raspi per fare il vino alla maniera della Borgogna. Certo, con le viti giovani è un pò complesso. Ma è un ingegnere con il metodo empirico….
Tengo i raspi per il 53% circa. Sto trovando un equilibrio essendo partito al 70.
La sperimentazione si è avvalsa ovviamente anche della barrique. Abbandonata nel giro di un batter di ciglia avendo capito la difficoltà nel gestirla essendo da solo.
Ho avuto delle barrique ma sono difficile da gestire. Se vado via una settimana per lavoro chi me le colma? Preferisco acciaio e vetro nelle damigiane con olio enologico e a volte uso la co2.
La calma con la quale Francesco affronta il suo progetto, è serafica. Sa con certezza che riuscirà. È questione di tempo, ma ci riuscirà. Ne è certo. Sembra di vedere un bambino che gioca al suo Piccolo Chimico attendendo che l’esperimento riesca. Anche se per Francesco questa è una cosa seria. Non un gioco. Magari un passatempo per la pensione. Di certo non un gioco.
“Ogni anno cerco di sistemare qualcosa con l’obiettivo di fare qualcosa di buono da offrire agli amici. Oltre che imparare e avere qualcosa di bello cui dedicarmi. Non adesso che di cose da fare ne ho tante, ma per quando avrò tempo. Una vigna dura decine di anni. Questo mi ha dato molto benessere mentale.
Quanto l’ambiente aggressivo dell’azienda, di una città come Milano ti ha spinto e quanto sia stata la terra ad attirarti?
Quello che soffrivo tanto era la mia routine a Milano. In ufficio tutte le mattine, il traffico. Ho vissuto a Milano due anni da solo. Tutti questi fattori insieme mi hanno fatto dire basta. Un pò di soldi da parte li ho, proviamo a seguire questa spinta. Ci sono tante idee ma poi non ti fidi e l’esperienza di un anno serviva per imparare e capire come lo facevano.
Lavorare da casa mi ha fatto trovare un equilibrio. Ora mi tengo stretto lavoro e stipendio. Ho fatto non carriera ma aumentato la responsabilità andando a fare consulenze e seminari. Ora amo il mio lavoro da ingegnere. Adesso, è dal 2012 che va avanti questa vita qui.
Lo scorso anno ho fatto un centinaio di bottiglie più un tot di sfuso che vendo soprattuto a mio padre che è il mio cliente numero uno. All’inizio me lo comprava per sostenermi adesso perché gli piace. Ho anche una società per fare birra con mio fratello. La cosa sta andando bene. Ci lavora più lui. Io faccio le ricette e un pò di branding. Il resto lo fa lui. Non siamo un birrificio ma un marchio, commissioniamo la produzione. È un pò come qui. Una volta che hai a che fare con il lieviti. Io applico il mio approccio da ingegnere che consiste nello studiare, fare prove, studiare, ecc.
Progetti per il futuro per il vino è trovare una stabilità di prodotto. Da un punto di vista agronomico e produttivo penso di aver trovare le chiavi. Mi manca la parte di cantina e confezionamento. Oltre al farlo conoscere.
Francesco, dimenticavo: ma perché il nome “Due filari”?
Il nome Due filari deriva dai tempi dell’Oltrepò perché mio zio mi aveva dato proprio due filari da gestire. Quelli più esterni. Non capivo perché me li avesse dati ma poi ho scoperto che li ci andavano i cinghiali che si fermavano ai due filari!
Ecco, questa è la storia di Francesco e del suo sogno. Una storia di fuga e di ritrovamenti. Di attese. Di sperimentazioni. Ma soprattutto è la storia di una persona normale, ancorché ingegnere, che coniuga il cambiamento con il sogno. Lasciare la città per la campagna, si può fare. Si può fare davvero.
Volete alla fine sapere se il suo Pinot Nero è buono? Si è buono davvero. Uno di quei vini che non troverete mai (almeno per ora) al ristorante o sullo scaffale di una enoteca. Forse chiamando Francesco o contattandolo tramite la sua pagina Facebook o Instagram. Vedete voi. Però, bevendolo vi farà venire voglia di realizzarlo scappando dalla frenetica vita della città con la consapevolezza che si può fare un ottimo vino con passione e metodo. Empirico!