19 Gen 2024
Suggestioni di Vino

Le sorelle Zumbo e l’Etna che scorre nelle vene.

La Montagna, Idda, l’Etna, domina la Sicilia dall’alto dei suoi 3.357 metri. Un dominio che non smette di reclamare attraverso le eruzioni, i risvegli. Te ne accorgi dai boati terribili, dalla pioggia di cenere che arriva fino a Catania, dalle colate laviche oggi più “controllate” rispetto al passato (se di controllo si può mai parlare). 

Il paesaggio lunare che si offre alla vista è surreale. La “petra lavica” è ovunque. Nera come la pece. Dura e tagliente. Inospitale e brulla. 

Eppure, quello che Idda toglie, Idda da. Perché dalla devastazione, nasce la vita. Un ciclo continuo del quale non ce ne si capacita e tale da rendere il territorio dell’Etna baciato da Dio per le coltivazioni. Ciò che un tempo era lava, oggi è terreno fertile, ricco di minerali e metalli così da restituire prodotti meravigliosi. E unici. 

Le vigne qui non sono tantissime. Perché complicato è produrre vino. Terreni scoscesi, pietra da scavare. Raccolte solo manuali e un rischio sempre presente del risveglio di Idda.

Quando però arriva il raccolto, e nel caso del vino, la vendemmia, l’unione degli elementi che baciano questa terra la si ritrova tutta nel calice: il sole, il mare, la montagna, il vulcano. 

Anche quando non erutta, il vulcano è presente. La sua presenza è nei luoghi, nei paesaggi, nell’aria. Soprattutto nelle vene delle persone. Delle donne soprattutto. Che qui, da sempre, si sono occupate delle terre poiché gli uomini facevano altro.

Ogni donna qui, sulle pendici dell’Etna, appare cheta, silenziosa. Tanto cheta che il fuoco che scorre nelle vene ci mette un attimo ad esplodere come il vulcano. Non di odio. Quello mai. Ma di amore. Di passione. Di voglia di esprimere tutta la loro potenzialità. 

Donne che amano la propria terra in maniera viscerale perché viscerale è il rapporto con essa. 

Erica e Ramona Zumbo sono due donne dell’Etna. Due sorelle che hanno scelto di continuare il sogno del nonno in quel di Solicchiata, piccola frazione di Castiglione di Sicilia. 

Il versante è quello nord, quello che da verso il Continente con le Nebrodi a fare da schermo e creare un vero anfiteatro naturale. Forse la zona meno esplorata dell’Etna. Non so se la più selvaggia ma certamente la più esclusiva. In queste zone c’è perfino uno stupendo campo da golf (Il Picciolo) e le Gole dell’Alcantara.

 La nostra è una storia di famiglia che parte da lontano. Nonno aveva impiantato questo vigneto in Contrada Santo Spirito nel 1972. Un impianto a propria immagine e somiglianza. 

Nonno Salvatore uomo tutto di un pezzo era (per dirla alla siciliana e vi prego di leggerlo con la giusta intonazione). Una di quelle persone che non si faceva comandare e gestire da nessuno (come Erica e Ramona ma questo lo scopriremo dopo). Duro come la pietra lavica ma dal cuore che più tenero non si poteva. La vigna non era il suo mestiere. Semmai un passatempo. Un modo per scaricare le fatiche della sua impresa che si occupava di lavori edili, scavi, frantumazione della pietra lavica (sempre presente!). 

Sette ettari di vigna impiantato nel 1972 a controspalliera.

Controspalliera? Sull’Etna? 

Davvero un visionario e uomo tutto di un pezzo non c’è che dire. Impiantare a controspalliera e a pergolato in un luogo dove tutto è sempre stato impiantato ad alberello, la dice lunga su tipo di carattere che nonno Salvatore doveva avere.

Tutti i lavori fatti vigna in Contrada Santo Spirito, Passo Pisciaro, sono stati fatti dal nonno. Dal togliere le pietre a fare l’impianto. Mio nonno era dalle idee proprie. Un visionario che non si faceva comandare e gestire da nessuno. 

Sette ettari di vigneto per pura passione personale. Tutto il vino che veniva fuori lo utilizzava per gli ospiti che mangiavano alla sua azienda agricola, per venderlo come sfuso o semplicemente per regalarlo agli amici. Magari dopo aver passato una serata insieme. 

Non ha mai voluto fare una bottiglia o una etichetta. Mai. Sosteneva Che il vino doveva stare nella damigiana. Oggi ci troviamo con una etichetta nuova ma con esistenza sull’Etna tra le più antiche. I passanti compravano lo sfuso a bidoni da 5/10 litri. Era nemico nel dare quantità elevate a qualcuno. 

Il vino scorreva nelle sue vene e tutto ciò che produceva lo sentiva suo.

Abbiamo trovato tantissime lettere di persone passate per la sua azienda e che scrivevano come ringraziamento per le giornate li trascorse, per la sua gentilezza, per il piacere di aver assaggiato ciò che produceva. Oltre al vino produceva la carne, il formaggio di pecora, gli ortaggi.

 Nonno Salvatore purtroppo viene a mancare lasciando un solo figlio, il papà di Erica e Ramona, che per coltivare la terra non ha tempo poiché impegnato nel continuare l’attività edile del padre. 

A morte sua ci siamo trovati con sette ettari di vigneto che non sono pochi. L’abbiamo lavorate il primo anno, le abbiamo lavorate il secondo anno. Poi papà ci disse: ragazze cosa volete fare di questo vigneto? La passione di lavorare sette ettari di vigna, non ce l’abbiamo perché tantissimo altro lavoro da fare c’è. Cosa facciamo?

Non è che la famiglia Zumbo di cose da fare non ne abbia. Un magazzino edile, un cantiere di calcestruzzo, frantumazione e lavorazione della pietra lavica, la gestione dei cantieri. Pure uno stabilimento balneare a Fondachello. E il vigneto? Sette ettari non sono affatto pochi. 

Si sarebbe certamente potuto vendere. In fondo i terreni, le vigne, sull’Etna vengono pagati a peso d’oro. 

Erica e Ramona però si guardano dritte negli occhi e capiscono che se non lo gestiscono loro, il lavoro e il sogno di nonno Salvatore, finirà dimenticato. 

Ci siamo trovati io e mio sorella nel 2018 decidendo di mettere su l’azienda. Dovevamo fare una etichetta per dare una identità al vino e farlo conoscere al mondo intero.

Ecco qui il temperamento di Erica e Ramona. Da piccole andavano con il nonno in campagna. Giocavano e aiutavano nonno Salvatore. Ma di vino, picca e nenti (poco o nulla). Ora si ritrovano a tirar su l’azienda con un obiettivo ambizioso. Senza intenzione alcuna di cedere a compromessi. Ciò che il nonno ha insegnato loro nel solco della tradizione e del concetto di famiglia, è sacralità. Non esiste che si faccia qualcosa che vada contro questo Credo. 

Il vigneto? Trattato con metodi naturali. Tanto che il concime è quello degli animali che scorrazzano liberamente tra i filari. 

La cantina? Niente vasche refrigerate perché così faceva il nonno. Vasche in vetro resina e contenitori in acciaio. Quelli degli anni 70.

Va bene la tecnologia ma non che snaturi tradizione e prodotto.

La nostra vendemmie è un esempio di tradizione. Facciamo tutto a mano. Abbiamo gli animali che sono liberi nel vigneto e concimano loro. Non siamo a guardare la maturazione con metodi moderni ma andiamo in vigna, prendiamo un chicco di uva, lo assaggiamo. Ci ritroviamo in cantina con questi discorsi. 

Il risultato sono 6 etichette per un totale di 30.000 bottiglie (e un potenziale di 60/70 mila).

Nella vigna di Contrada Santo Spirito nascono vini come il rosato CiùriCiùri da Nerello Mascalese, il Bianco Settantadue da Catarratto. Insieme alle due chicche Sannedda, Nerello Mascalese in purezza e Pinea, blend di Cattarrato, Insolia, Minnella, Carricante.

La scelta del Pinea è la scelta ben precisa di continuare quanto iniziato dal nonno che aveva impiantato tra i rossi queste varietà di bianco per dare profumi. Invece di estirpare le piante per il Carricante abbiamo deciso di vinificare qualcosa che identifica veramente il territorio. Non è un Etna doc ma un IGT che identifica le nostre origini.

Dal vigneto di Contrada Marchisia (un ettaro e mezzo solo di Nerello Mascalese) ereditato dalla nonna materna nasce Andìco, il rosso base e l’Etna doc Manata.

Ogni vino è una storia. Ogni vino è un ricordo.

Così Pinea ricorda i pini della vigna sotto i quali Erica e Ramona giocavano a Nascondino. Andìco per identificare la terra nera della colata lavica del 1890. Settantadue è l’anno del primo impianto. CiùriCiùri ricorda Ramona:

Il nome di un vino è come quando sei in gravidanza e devi decidere il nome della figlia. Eravamo in cantina con un calice di vino per la prova. Mi aveva chiamato Eerica dicendo che il nostro rosato era pronto. “Vieni qui e dimmi che te ne pari”. “Madonna mia sembrano ciuri” (fiori in siciliano) dissi spontaneamente. Da li ci siamo guardati : ok si chiamerà CiùriCiùri.

La recensione del CiùriCiùri la trovate anche nel mio blog Instagram.

Sono tutti figli unici i vini e per questo tutti uguali. Ma ce n’è qualcuno che è più uguale dell’altro. Tanto da dedicarci una etichetta specifica curata personalmente da Ramona.

Così l’etichetta di Sannedda è ricavata da una fotografia di nonno Salvatore in cantina. Manata è nonna Peppina nella contrada Trimarchisa.

Sannedda? Manata?

Manata è il ‘ngiurie, il soprannome della nonna e Sannedda del nonno. Il nome “manata” è legato al vino perché la nonna si occupava della gestione degli uomini in vigneto. In periodo di pota quando occorreva raccogliere le sciammedde, i rami potati, andava per i filari a dire agli uomini “raccogliete a manata a manata! Abbbasce abbasce!”. Da li Peppina ‘a Manata. Se a Castiglione dicevi Peppina Santoro non la conosceva nessuno. Sannedda era il  nonno. Era chiamato Turi Sannedda e lo abbiamo onorato dando il nome e la sua immagine. Vene prodotto da un piccolo quadrato in Contrada Santo Spirito dal quale nascono solo circa 1500 bottiglie. È stata la prima parte impiantata dal nonno. Era pure il primo quadro di vigna dal quale si iniziava la vendemmia. 

Donne di temperamento Erica e Ramona. La lava scorre nelle loro vene e fanno fatica a tenerla a bada. Non accettano compromessi ne sono disposte a cedere un millimetro per quanto riguarda il loro Credo. Temperamento forte ma sorriso sempre presente. 

Nostro padre ci da una mano da fuori e mette la parola e le mani al momento giusto. Non abbiamo un enologo interno per scelta nostra. Abbiamo provato e per disintossicarci da questo ci sono voluti due anni e mezzo. L’enologo voleva snaturare la nostra azienda nel senso che noi vogliamo mantenere le nostre origini e tradizioni. Oggi l’Etna è messa oggi in vetrina e si tende a portare le aziende verso ciò che la gente richiede. Il nostro vino è questo. Non si accettano compromessi. Si aspetta qualcuno che vuole capire la nostra storia.

Erica e Ramona. Caratteri forti e diversi. Diverse tra loro ma unite. I contrasti che fanno parte del gioco. Un pò perché sono sorelle, un pò per caratteri diversi, un pò perché donne.

Un giorno ci tiriamo i capelli il giorno dopo non è successo nulla. Siamo fatte cosi ed è bello questo. Le nostre giornate non sono sempre rose e fiori. Siamo due femmine e ciò è bella tosta. Ogni tanto guardo i ragazzi che ci aiutano nel vigneto e gli dico: “mi fate pena perché lavorare con due donne. Spesso vengono da noi e ci dicono di metterci d’accordo. Ma va bene cosi. Separare i compiti è stato importantissimo. Ci confrontiamo però ci occupiamo di cose diverse. 

Erica in cantina e in vigna. Con una frase che mi ha detto Ramona che secondo me è un complimento meraviglioso: non è enologa di studio ma di sangue. Certo, c’è una consulenza esterna perché il confronto diventa importantissima.

Ramona che si occupa della parte commerciale e della accoglienza. 

Un corpo unico quando stanno insieme e insieme decidono cosa farne. Con tutti gli altri, i maschi, fuori. Guai a entrare nella loro realtà.

Non devono mettere bocca. Mio padre ci prova a mettere bocca ma in base al nostro sguardo, capisce. La sua supervisione è però fondamentale. Ci guarda dall’esterno, in punta di piedi come ha sempre fatto.

Non sempre le cose vanno bene. Ci sono giorni nei quali il risveglio porta demoralizzazione e l’idea di portare avanti le tradizioni scostandosi da quanto richiede il mercato diventa debole. Le soddisfazioni di chi le esorta ad andare avanti cosi è benzina sul fuoco. O sulla lava. Le accende e fornisce loro la carica.

Ci piace pensare che ci sia una parte del mondo che vuole cosi. Alla  gente che si ferma, raccontiamo la nostra storia. Erica se li porta nell’orto a raccogliere le melanzane, i pomodori che ha piantato lei. Così poi mangiano il prodotto che hanno raccolto. Ok la modernità ma questo, le tue origini, è quello che conta.

La fierezza di due donne. L’orgoglio e la fortuna di essere nati in un posto baciato da Dio. La consapevolezza ma anche la fatica nel portare avanti qualcosa che nonno Sannedda avrebbe voluto veder evolvere nella tradizione. 

Io dico sempre che abbiamo la fortuna di essere nate qui. Ci sono tantissime parti del mondo importanti ed è vero che l’Etna è stato conosciuto in ritardo. È stato conosciuto grazie ai grandi. Siamo state graziate nell’avere ciò che abbiamo. Ci siamo nate dentro. Stiamo curando l’azienda senza toccare i punti salienti. Apportiamo modifiche che in una storia di sessanta anni, servono. 

Tanta è la strada ancora da fare e tanto il sudore ancora da versare. Senza mai abbattersi e senza mai darsi per vinte. Certo, se il nonno avesse imbottigliato quel vino, adesso avrebbero la strada più spianata dinanzi. Combattere con le grandi realtà dell’Etna non è semplice. Così come non è resistere alle richieste di chi vuole acquistare i loro terreni. Ma si va avanti.

Se il nonno avesse dato un nome al vino, avrebbe tolto lavoro a noi ma saremmo oggi più avanti. Lui però era un gran lavoratore ed è come se ci avesse detto “allacciatevi la scarpe strette e iniziate a camminare da sole. Io ho fatto adesso fate voi”

Si va avanti e si andrà ancora avanti. Sempre al femminile. Ramona ha una bimba di dieci anni. Erica una di due. Le femmine continuano la dinastia delle vignaiole. 

Chanel che è mia figlia è contenta di raccontare la nostra storia quando siamo in degustazione e Marzia, la figlia di Erica, nel suo piccolo, ogni volta che va in vigna la troviamo a raccogliere i chicchi di uva o spostare in cassetta. Noi siamo cresciute cosi ed è giusto che sia così anche per loro. Il lavoro non ha mai fatto male a nessuno. Non ha avuto età per noi e non la ha per loro.

Nuttata persa e figlia fimmina. Così un vecchio proverbio siciliano. In questo caso, sono però le donne che stanno creando il futuro della famiglia (oltre quello dell’azienda edile). Oggi ci sono le sorelle Zumbo, Erica e Ramona. Un domani magari ci saranno le cugine Zumbo, Chanel e Marzia. Chi lo sa.

Per adesso c’è solo da applaudire a queste due forti e coraggiose donne che non solo dimostrano quanto sia possibile gestire una azienda tutta al femminile ma anche e soprattutto come la voglia di mantenere le tradizioni possa essere vera ragione di esistenza. Contro tutto e tutti.

Forza, determinazione e carattere che trasmettono direttamente ai loro vini. Impetuosi come la lava che scende dal cratere. Caldi come il sole che scalda la Montagna. Sapidi come il vento che sale dal mare. Minerali come la petra lavica. Intensi come i sapori di questi luoghi.

Soprattutto veri! 

Provare per credere.

Le sorelle Zumbo e l’Etna che scorre nelle vene.

 

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

Mi trovi su Instagram come @ivan_1969