23 Feb 2024
Suggestioni di Vino

Pietro Vezzoso. Un pizzico sulla pancia

Ci sono zone della nostra penisola che sembrano non esistere. Ragioni diverse. Geografiche, storiche, sociali. Non è dato sapere. Fatto sta che pure lo sviluppo gli gira intorno lasciando queste zone, luoghi incontaminati. 

Falciano del Massico è un paese in provincia di Caserta che, per capire dove si trova occorre necessariamente aprire Google Maps e digitarne il nome. Ci si accorge che è proprio nel mezzo delle due strade che partendo dal Garigliano, fiume che separa il Lazio dalla Campania, si dirigono verso Napoli. 

Quella più a nord è l’Appia, quella più a sud, in prossimità del mare, è la Domiziana. Percorrendo proprio quest’ultima verso Napoli si arriva a Mondragone, patria delle mozzarelle di bufala. Da Mondragone, la provinciale Falciano-Mondragone ci permetterà, dopo circa 7 km di arrivare a Falciano del Massico, piccolo comune di poco più di 3000 anime.

All’epoca dei Romani, queste erano zone di produzione del vino Falerno, decantato da Orazio, Catullo, Virgilio, Cicerone e Marziale. Un vino esportato in ogni dove del bacino del Mediterraneo che aveva addirittura tre declinazioni: Caucinum per i vini provenienti dall’alta collina; Faustianum quando il vino proveniva dalle migliori vigne per esposizione e pendenza; Falernum, dalle vigne pianeggianti.

L’area, definita Ager Falernus, era nota per la produzione non solo di vino ma anche di olive e grano, il Grano Falerno. 

Poi, l’oblio. Il sonno. Il dimenticatoio. Così che qui oggi e da anni, la vita scorre lenta. I pochi rimasti sono dediti all’agricoltura o alla produzione della mozzarella. Persone schiette, meravigliose, vere. Quelle che solo il sud può offrire. Grandi lavoratori, grandi sognatori. Come Pietro Vezzoso che ha fatto del suo amore per la vigna ed il vino, il sogno della sua vita.

Gli anziani del paese sono stati gli ultimi a vedere qui le vigne rigogliose. Poi tutto si è trasformato in colture diverse e variegate assecondando le necessità del mercato. Pesce, nocciole, ortaggi. Prodotti con maggiore possibilità di trasformare in moneta il sudore dei campi. 

Eppure la DOC Falerno del Massico venne attivata già nel 1989. Senza fortuna e senza quel numero di produttori necessario ad affermarne il nome così che non si riesce ad avere nemmeno un consorzio dedicato. Quello presente, Vitica, deve raccogliere tutte le DOC del Casertano (Aversa, Galluccio, Roccamonfina, Terre del Volturno e Falerno del Massico).

Gli anziani. I nonni come nonno Antonio erano grandi lavoratori. Artefici più o meno fortunati della guerra, spettatori più o meno fortunati della vita.

Nonno Antonio, oltre ad essere un instancabile lavoratore era una grande persona. Di quelle con il cuore d’oro. Aveva la sua vigna in una delle zone più antiche di Falciano, l’Unnitto. Così si chiamava e si chiama. Coltivata con i vitigni che riusciva a mettere o che si era ritrovato (in passato così si faceva).

Mio zio, il marito della cugina di mia mamma, mi raccontava che viveva a Milano e il nonno prima che ripartisse per tornare proprio Milano, gli dava una bottiglia del vino che faceva dalla vigna dell’Unnitto. Quando arrivava e se la beveva, se ne stava a dormire due giorni! Una bomba esagerata. Il terreno ha una caratteristica pazzesca. Li abbiamo adesso gli olivi e 200 piante di Primitivo. Mio fratello voleva farne una etichetta a parte nelle bottiglie di terracotta. Però sono solo 100 bottiglie e mi sarebbe costato troppo. Lo beviamo in famiglia come un valore affettivo. Mio nonno è più contento che le bevo io.

Pietro adesso è un omone. Un gigante buono che si riconosce come tale solo a guardarlo in viso. Se poi gli si parla, non si può fare a meno che volergli bene subito per quella sua pacatezza e felicità che emana. Eppure la vita non è che sia stata così tenera per lui. Perdere il papà a 15 anni senza aver più la possibilità di abbracciarlo ad esempio, non deve essere stato tanto semplice. 

Anche nonno Antonio se ne era andato tre anni prima non senza aver avuto il tempo di trasmettere a Pietro l’amore per vigne. Le passeggiate tra i filari, la cantina, gli strumenti del mestiere, le mani nel mosto fanno scattare quella scintilla che non solo anima Pietro ma lo segna profondamente. Quell’omone porta dentro di se questi ricordi magari cercando non tanto di cancellare quelli del padre quanto di distrarre il dolore. Fa ancora troppo male.

Poi c’è la vita vera. Quella di tutti i giorni che deve in qualche modo scorrere. Anche se qui, generalmente, è caratterizzata da semplicità mista a difficoltà. Non ti puoi permettere di rimanere sul divano. Devi lavorare. Lavorare sodo e da subito. Infatti Pietro non aspetta e si da subito da fare. Nei campi ovviamente. Ci si rimbocca le maniche e si fa. Si fa.

A diciotto anni incontra Carmela. L’amore della sua vita. Un amore che si unisce a quello per il suocero, Salvatore. Un mentore per lui. La persona che gli insegna a lavorare in vigna. 

Ho avuto la fortuna di conoscere la attuale moglie il cui padre faceva proprio questo lavoro. È stata come una prosecuzione di quanto faceva mio nonno. Mio suocero lavorava per diverse aziende vinicole. Mi sono messo con lui a lavorare. 

Lavori conto terzi. Lavori in vigna. Lavori in terra. Lavori nei giardini. Lavoro, lavoro, lavoro. Pietro non è uno di quelli che si tira indietro. Mai. Con la moglie Carmela hanno anche un piccolo supermercato di paese. Quei meravigliosi posti dove trovi un pò di tutto e che sono indispensabili come le farmacie. 

Abbiamo un piccolo supermercato con mia moglie. Da 19 anni. Resistiamo in questa piccola realtà. Io faccio il jolly, quando serve una mano a mia moglie io sono li; se serve una mano in cantina lei viene da me. Siamo a conduzione familiare. Poi da sempre faccio lavorazioni conto terzi con potature di oliveti e vigneti, giardinaggio. Ho un bel da fare. Chi ha voglia di lavorare lavora!

Grande verità quella di Pietro. In una Italia dove si parla e si parla e si parla ancora, c’è chi si rimbocca le maniche e si sporca le mani. Senza timori e solo con la voglia, la necessità ma anche l’orgoglio di fare qualcosa. Pietro e le persone come lui sono fieri di ciò che fanno. Il lavoro è onestà e integrità. Dignità. Zero chiacchiere, solo lavoro. Chi ha voglia di lavorare lavora. Niente chiacchiere.

Pietro lavora nelle vigne altrui insieme a Salvatore. Impara e impara tanto. Sempre continuando a fare le sue cento bottiglie dalla vigna dell’Unnitto che è costretto anche a reimpiantare nel 2009. Lavora saltuariamente nella vigna di zì Pasquale. Qui zì, zio, è un modo per chiamare in maniera confidenziale ma rispettosa le persone. Forse perché con dimensioni così piccole, bene o male, sono tutti parenti.

Era il 2019 e nella mia testa c’era già il pensiero di mettere su una azienda allora dissi: zì Pasquà, se fate pensiero, io sto qua. Ci siamo messi d’accordo per un ettaro di vigneto. 

Vigna Barone. Così si chiama la vigna di zì Pasquale. Una vigna storica di 70 anni certificata dalla Regione Campania e dalla Università degli studi di Salerno. 

Nel 2021 Pietro decide, dopo essersi consultato con la famiglia, che è giunto il momento di fare il grande passo. Un pò di terra di famiglia c’è, la Vigna del Barone di zì Pasquale si può affittare, qualche soldo per i primi investimenti si trova, insomma, perché no? Il 2022 segna la nascita di Cantina Vezzoso!

Il mio enologo e agronomo Pietro Razzino mi dice che sono un folle ad aver affrontato le spese.

Prima avevo i terreni in comodato d’uso sulla parola ma con l’azienda ho dovuto fare i contratti veri e propri. Poi le spese per aggiustare la piccola cantina. Il mio enologo mi definisce un garagista. Poche bottiglie ma di un certo livello in 35metri quadrati.Faccio tutto la.

Magari prima o poi la allargo almeno per metterci le gabbie d’acciaio per le bottiglie. 

Serbatoi, barrique. Mi sono trovato quando i prezzi sono aumentati. Ma ci siamo dati un pizzico sulla pancia e siamo partiti. Vogliamo fare la qualità con uve esclusivamente dai nostri vigneti. Non attingiamo a fonti esterne.

Un pizzico sulla pancia. Che meravigliosa espressione!

Pietro lo dice con il sorriso sulle labbra. Sornione e felice. Ne parla come un bambino dei suoi giochi e delle sue scoperte. Ha voglia di trasmettere tutta la sua felicità, il suo essere. L’aver raggiunto un sogno che continua a farlo sognare. Difficoltà tante ma felicità ancor di più.

Una felicità che Pietro mette “pari pari” nei suoi vini dei quali va orgoglioso per il modo nei quali li fa. Genuini, semplici e soprattutto manuali. Ci tiene a questo Pietro. Ci tiene affinché si sappia che lui fa tutto a mano. Con semplicità ed ingegno. Nonché una dose di follia. 

Nelle bollicine ad esempio. 

Quando parlai con l’enologo dissi che volevo fare un rosato. Ma non il classico rosato che fanno tutti quanti perché per me non ha senso. Ho tanta passione e faccio tutto io. Volevo fare qualcosa di diverso: un metodo classico Pas dosé. Lui disse: tu sei pazzo. Ma tu sai che significa fare un metodo classico senza attrezzatura?

Pietro non ha serbatoi refrigerati ne tantomeno le pupitre che realizza con i pannelli della muratura. 

Mi sono portato le uve in cantina. Ho fatto un passaggio nel torchio senza pigiare. Ho messo il cellofan attorno ai fori del torchio per non far fuoriuscire nulla e l’ho fatto solo passare così per tenerlo pulito. Ero intenzionato a non filtrarlo ne chiarificarlo. Poi l’ho messo nel serbatoio di acciaio. Per mantenerlo in temperatura mi sono comprato un pozzetto da congelatore da cucina. Ho preparato una serie di taniche di ghiaccio che levavo e mettevo per mantenerlo sempre a temperatura. Con il mostimetro classico, quando è arrivato intorno a 3.5/4 di zuccheri l’ho imbottigliato. Per un mesetto la presa di spuma e poi nelle pupitre dove ho fatto il remuage 3 volte al giorno. Al marzo del 2023 l’ho sboccato a la volè. Ne ho ricavato 500 bottiglie. Un centinaio di bottiglie le ho perse ma sono contentissimo di ciò che ho messo in commercio. 

Una pazzia che però evidenzia la felicità di Pietro nel voler raggiungere un obiettivo. È come quando si vuole costruire qualcosa con i Lego senza avere dinanzi a se le istruzioni. Si immagina il progetto finito e la mente già vola li. Poi ci si ingegna, si pensa, si fantastica e si lavora. Con pazienza e tenacia per arrivare alla fine ad ammirare ciò che si è creato.

Nel caso delle bollicine, ottenute da uve Barbera (80%) e Primitivo (20%), Pietro ha realizzato qualcosa di interessante che ha voluto dedicare alla moglie: Donna Carmela.

Le etichette che Pietro produce al momento sono tre.

La prima è 1949, un vino dedicato al papà nel suo anno di nascita. Primitivo con affinamento in acciaio. Schietto e verace. Di quelli che bevi con piacevolezza.

Poi Decanto, un Falerno del Massico totalmente da Primitivo proveniente dalle Vigne del Barone di oltre 60 anni. Affinamento in acciaio per un vino che ho recensito sul mio blog e l’ho definito una coccola che dovremmo farci ogni tanto. Un modo di vivere la semplicità nella schiettezza. 

Infine Donna Carmela ovviamente. Un vino del quale Pietro va particolarmente fiero. Anche perché gli consente di divertirsi e mettere in ogni singola bollicina un pezzo del suo immenso cuore.  

Dalla Vigna del Barone arriverà anche un altro vino che per adesso rimane all’interno di un paio di barrique. Vedrà la bottiglia solo quest’anno e sono davvero curioso di capire come il Decanto si sarà evoluto. 

Ad oggi siamo a 1800 bottiglie di Decanto), 1500 di 1949, 500 bottiglie di donna Carmela. Abbiamo poi due barrique di Falerno del Massico e un’altra di bianco.

Tutte le vigne e l’uliveto sono certificai biologici certificato. Anche l’ulteriore ettaro sul quale Pietro ha impiantato viti per realizzare il Falerno del Massico bianco con Falanghina, Moscato Giallo e Fiano di Avellino.

Se devo fare un Falerno del Massico bianco come gli altri non ci sto. Voglio fare una cosa differente visto che sono poche bottiglie. Mi pozz’ sfizià come voglio io! Così, per fare una pazzia ulteriore, le ho messe prima in appassimento. 

Torna la lucida follia di Pietro. Una voglia di distinguersi per non omologarsi ma anche per dire al mondo che esiste. Vuole esserci Pietro. Vuole diffondere tutta la sua felicità attraverso le creazioni. 

Io prediligo nei vigneti e cantina solo lavorazioni manuali. Io mi faccio follatura manuale come facevano mio nonno e mio suocero. Mi hanno insegnato i valori di questo lavoro. Nonno Antonio e mio suocero Salvatore. Non abbiamo presse ma torchio tradizionale classico. Non tiro fino all’ultimo perché mio nonno mi diceva che all’ultimo è più amarognolo.

Già mi immagino Pietro Razzino, enologo ed agronomo, quando si trova a parlare con Pietro. Lui vuole fare e penso che lo lasci ed incoraggi a fare. Pochi suggerimenti per guidarlo nei passi, ma poi è giusto che l’entusiasmo non venga mai frenato. 

Abbiamo un grandissimo rapporto. È di Sessa Aurunca, conosce il territorio e mi conosce da prima. Ha potuto constatar che tipo di lavorazioni faccio. Lui mi dice che “con l’uva sana e genuina che porti tu in cantina abbiamo poco da fare”. 

Non c’è voglia di strafare in Pietro. Non c’è voglia di arricchirsi, di diventare grandi, di fare cose roboanti. Vuole arrivare a 10.000 bottiglie. Nulla di più. Così da mantenere l’azienda di famiglia, in famiglia. Per continuare a fare le cose a mano come gli è stato insegnato da nonno Antonio e dal suocero Salvatore. 

Papà e nonno che non ci sono più sarebbero davvero soddisfatti di Pietro. Lui sta bene così. Ha la moglie Carmela e i suoi due figli che iniziano a passeggiare con lui nelle vigne (e che ovviamente danno una mano!), la sua cantina, la sboccatura a la volè. Guadagna quel che gli serve per vivere e far vivere la sua famiglia con dignità e rispetto. Il resto davvero non conta. Ci sono i valori. Quelli che Pietro sta trasferendo ai suoi figli. Perché quello che davvero conta nella vita è la famiglia. 

Lui è e rimarrà un gigante buono. Un omone di quelli che continuerà a mettere a suo agio le persone trasmettendo serenità, entusiasmo, valori.

Grazie Pietro. Grazie per tutto ciò che rappresenti. Grazie per il tuo impegno sul sul territorio, Grazie per esserti dato quel pizzico sulla pancia!

Grazie!

 

 

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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