09 Feb 2024
Suggestioni di Vino

Specogna. La meraviglia di un luogo, il sogno, l’impegno

Christian Specogna ha 36 anni. Un ragazzo. Un uomo. Fate voi. Poco importa se non a sottolineare come a questa età sia difficile trovare persone dotate di grande equilibrio.
Avete presente Philippe Petit? Divenne famoso certo per le sue imprese di equilibrio ma soprattutto per esser passato, il 7 agosto 1974, da una torre all’altra del World Trade Center di New York (si, quelle distrutte dall’attacco terroristico del 2001). Senza rete, a 400 metri di altezza, con il costante rischio di sfracellarsi al suolo. Compie l’impresa senza patemi d’animo. Senza paura. Senza alcun tipo di tentennamento. Pronto a rifarne un’altra.

Christian è così. Un vignaiolo che non solo ha trovato il suo equilibrio ma riesce, costantemente, a trasmetterlo attraverso i suoi vini.
Non capita spesso che citi subito un vino, ma adesso devo proprio farlo: Duality. Credo sia lo specchio della sua anima. Per un vino si utilizza, sempre più spesso, il concetto di Cru: realizzare da una unica vigna qualcosa di particolare poiché legata a quella precisa particella di terra. La vera esaltazione di terroir. Christian invece crea qualcosa di speciale utilizzando due vigneti posizionati in maniera opposta della collina. Una vigna è a nord est, in bassa collina, per esaltare freschezza, aromaticità, balsamicità. L’altra vigna è a sud d’ovest, in alta collina. Struttura, corpo, calore.
Si uniscono gli opposti per generare l’equilibrio.
Detto così appare semplice e semplice lo fa apparire Christian. Ma non lo è affatto. Serve studio, cura, dedizione, sperimentazione, conoscenza e, soprattutto, equilibrio interiore.
Tutte caratteristiche che si ritrovano parlando con Christian Specogna.

Quella degli Specogna è una storia di tre generazioni di vignaioli appassionati, direi innamorati del mondo del vino partiti grazie a nonno Leonardo nel 1963. 61 anni fa.
Siamo in Friuli Venezia Giulia sui Colli Orientali. Un territorio fantastico con scenari capaci di incantare. Tanti produttori che hanno reso questo territorio conosciuto grazie a sapienza e passione. Prodotti eccezionali portati alla ribalta con garbo e attenzione. Senza strombazzarli o svenderli.
È il carattere delle persone di questi luoghi. Persone miti, aperte, ospitali. Come lo è chi vive in zone di frontiera. Ospitali e pronti a lavorare senza mai tirarsi indietro.
Già, lavorare, lavorare e ancora lavorare. Basta che sia sulle proprie terre.
Anche se mica è stato sempre così.

Nel Friuli, i ricordi della Grande Guerra sono vivi come in nessun altro luogo. Nella memoria di chi ha perso parenti ormai lontani e nei simboli che il territorio stesso conserva.
Dopo la Grande Guerra i resti umani, italiani ed austriaci, furono seppelliti. Per i resti delle case non ce ne fu bisogno visto che poche erano prima, poche rimasero dopo. La povertà, in queste terre di confine, era una consuetudine. Solo che dopo la guerra, con gli uomini decimati, la povertà non poté che aumentare.
La guerra e la povertà disintegrano tutto. Non lo spirito dei Friulani, persone orgogliose e operose. Che ripartono e ce la mettono tutta fino a quando arriva, inesorabile la Seconda Guerra Mondiale. Come uno tsunami che si abbatte sulla spiaggia dopo il ritirarsi delle onde, la Guerra porta via tutto lasciando solo ciò che non serve più a nulla. Ricostruire? Si certo. Ma poi?
Non c’era lavoro qui. Non c’era nulla da fare. Nulla di nulla. Così che le famiglie, allo stremo delle forze, non avevano altra possibilità che mandare i propri figli a lavorare in Svizzera. Li c’era bisogno di manodopera. Operai per le fabbriche.

È proprio in Svizzera che viene letteralmente spedito nonno Leonardo. Originario di un piccolo paese delle Valli di Natisone, Montefosca a ridosso con la Slovenia, al compimento dei diciotto anni compie il suo primo viaggio (pensiamo ai nostri figli oggi…). Non si era mai mosso dai dintorni di casa. Non conosceva niente del territorio e continuerà a non conoscerlo perché il viaggio, in corriera, lo porta direttamente in Svizzera, a Lucerna, in acciaieria. Senza fermate.
Non va male però li. Certo, sacrifici. Tanti sacrifici ma utili per poter mettere da parte qualcosa dopo aver aiutato la famiglia nel corso degli anni. Stringere i denti per cinque lunghi anni, è servito. Nonno Leonardo fa ritorno a casa. Stavolta non viaggia in corriera ma in auto. Viaggio condiviso ovviamente perché i soldi servono. Non è una scampagnata ma il viaggio in macchina consente di guardare bene fuori dal finestrino quei paesaggi mai visti prima. È così che Leonardo si innamora perdutamente della sua regione che non era solo quella, comunque bella, delle Valli.
Le suggestive colline di Rocca Bernarda e di Corno di Rosazzo, per le quali occorre passare per tornare a casa, sono suggestive oggi, figuriamoci sessant’anni fa quando niente oltre la natura riusciva a contaminarle. Un territorio tanto bello quanto difficile che ci mise poco a far breccia nel cuore di Leonardo tanto da farlo decidere di investire qui i suoi risparmi. Un semplice pezzo di terra. Non chiedeva altro.
Marzo 1963. Così ha inizio per nonno Leonardo e la moglie una nuova vita.

I friulani sono persone miti e meticolose. L’azienda di Leonardo è una azienda agricola a 360 gradi: serve tutto per sopravvivere. Cereali, bestiami. Carne e latte. Fino ad accorgersi della potenzialità del vino.

Veniva meglio del latte

Meticolosità. Si capisce che c’è potenzialità nell’uva e nel vino. Non che ci fosse tanta esperienza ma il vino si era sempre fatto a casa. Anno dopo anno nonno Leonardo specializza l’azienda in una tenuta vitivinicola.

Poi con mio padre Graziano nei fine anni 70 inizio anni 80 si puntò sempre di più alla qualità. Imbottigliamenti, miglioramento del lavoro in cantina e in vigna.

Alla fine degli anni 80 le zone del Collio iniziano ad essere sempre più conosciute e riconosciute nonostante il Consorzio sia attivo dal 1964 con il riconoscimento Denominazione Origine Protetta del 1968. Ci vuole altro oltre la qualità mi verrebbe da dire. Come la specializzazione delle aziende e un pò di sano marketing.

Oggi siamo alla terza generazione composta da me e mio fratello Michele. Coltiviamo circa 25 ettari a vigneto per 100/120 mila bottiglie l’anno in funzione dell’annata esclusivamente da vigne di proprietà che seguiamo personalmente secondo metodi biologici e biodinamici. In più produciamo anche del miele con gli alveari che abbiamo sule colline e un pò di olio di oliva.

Christian è uno di quelli che non sta fermo un attimo. A guardarlo, a parlarci, non sembra. Il tono di voce è di quelli che esprime calma e serenità. Il suo animo però è di una persona in perenne fibrillazione e con il pallino fisso del miglioramento.
Non c’è ossessione nella sua voglia di migliorarsi. È un bisogno quasi fisico non volto a se ma a voler trasmettere, attraverso i suoi vini, la bellezza e la potenzialità di ciò che ha intorno.
Studia e studia tanto. Quelli di Viticoltura ed Enologia a Trieste servono per gestire la parte di vigna e cantina ma se si vuole valorizzare il territorio serve altro.

Abbiamo avviato un progetto di zonazione per individuare le caratteristiche intrinseche delle varie particelle. Molto specifiche. Filare per filare per riuscire a creare una carta di identità di ogni appezzamento. Capire sempre meglio come intervenire dove e quando. Quando sei in coltivazione biologica e biodinamica, capire quando e dove intervenire, diventa fondamentale.

L’azienda Specogna cresce con gradualità. Nonno e papà lasciano nelle mani di Christian e Michele quindici ettari che diventano venticinque nel giro di dieci anni. Piccole acquisizioni per piccole zonazioni. Un passo alla volta. Senza strafare. Solo quando pronti. Piccoli passi per transitare dal passato al presente proiettandosi verso il futuro.

Del passato c’è la memoria storica fatta del nonno e di papà, venuti a mancare da diverso tempo. Oggi siamo in una fase climatica tremendamente diversa ed è dunque fondamentale riuscire a comprendere questa trasformazione. Sessant’anni fa quando iniziò mio nonno, in questa zona nel Friuli, il numero di giornate che in media andavano oltre 30 gradi erano non più di dieci/dodici Oggi siamo a circa 55/60. Maturazione diverse con tempi diversi di maturazione. Tempi di raccolta diversi. Diventa fondamentale capire come aiutare la pianta e il suolo a resistere a queste condizioni. 30 anni fa si guardava solo alla pianta. Oggi invece si guarda al suolo e alla capacità di riuscire a mantenere una grande qualità e vitalità del terreno attraverso sovesci ed inerbimenti particolari nutrizioni con sostanza organica che aiutino ad avere un equilibrio del suolo per aiutare la pianta in queste annate cosi particolari. Siamo noi due con la nostra squadra. C’è mia moglie Violetta che mi da un aiuto in azienda e nella ricezione delle persone che vengono a farci visita.

Gli esami non finiscono mai dunque si continua a studiare nella vita e Christian, non essendo uno che fa le cose per caso, continua a studiare. Va all’estero per capire come altri produttori abbiano trattato i vitigni. Piemonte, Toscana, Loira, Borgogna. Tanto per citarne qualcuna. Capisci cosa fanno gli altri ma soprattutto quanto potenziale inespresso ci sia nel tuo territorio. Ecco, questo dovrebbero farlo in molti. Quelli bravi lo chiamano benchmarking. Anche se poi quando vedono che nel vino occorre investire e non solo fare di testa propria, si tirano indietro.

Fino a 15 anni fa producevamo solo vini di annata e di pronta beva. Per far emergere ancor di più qualità e potenzialità del territorio e delle nostre colline, iniziammo a studiare le colline stesse e le vigne dando così alla luce vini specifici da cru con potenzialità maggiore.

Poi lavori in cantina con affinamenti prolungati e in botte. Macerazioni. Tanta tecnica. Vini attesi e mai maltrattati.

Prima i bianchi facevano affinamento soprattutto in acciaio per circa 7 mesi ovvero in uscita nella primavera successiva. Su questi vini ho iniziato a fare affinamenti di 2/4 anni per renderli più particolari.

Studio, sperimentazione, cultura, analisi. Testa e tanto cuore. Christian gestisce con il suo garbo e la sua innata positività.

Il mio sogno è che i nostri vini siano la nostra rappresentazione. Personalità che ci rappresenti ed identifichi. Li vogliamo sentire nostri. Io sono il primo pignolo e ho una costante voglia di imparare. Appena posso giro le zone vinicole del mondo e confrontarmi. Per me è prima di tutto una passione e un amore e ho una voglia immensa di migliorarci sempre di più. Per lasciare il segno. Contribuire a far conoscere nel mondo l’eccellenza del nostro territorio e la potenzialità delle colline. Sono diventato papà nel 2022 e sarebbe magico lasciare un segno. Proprio per far si che le nuove generazioni ci seguano dobbiamo coinvolgerli con la passione e l’emozione non con la forzatura. Con mia figlio, così come sta facendo mio fratello, dobbiamo fare del nostro meglio e trasferire le emozioni che tutto questo ci da. È quanto hanno fatto i nostri genitori e nostro nonno.

Le emozioni. Christian tende a mantenerle celate. Tipico delle persone di queste zone. Tipico per chi pensa a dimostrare le cose con i fatti più che con le parole. Arrivare da una famiglia vissuta nella povertà e nelle difficoltà ma che ha saputo sollevarsi e andare avanti, segna. Segna dentro fino giù nell’anima. Non ce la fai ad essere diverso da così.

Nonno aveva una mentalità più di azienda agricola perché era vissuto in quel contesto storico. Papà voleva andare oltre ed normale che quando c’è un cambiamento non è mai facile e devi sempre lottare. Sempre con rispetto ed intelligenza. La stessa cosa con noi. Anche se papà è venuto a mancare da diversi anni e non stava bene da diversi anni. Era una necessità oltre che una volontà darci da fare per subentrare in un altro percorso. Abbiamo iniziato a camminare in vigna. È stato un percorso naturale un pò come accade anche ad altre aziende familiari. Abbiamo iniziato a prendere in mano l’azienda circa quindi anni fa quando ne avevo venti io e ventisette mio fratello che ora segue anche un’altra azienda, la Toblar mentre io principalmente la Specogna.

I prodotti che Christian realizza hanno voglia di identità. Voglia di donare eleganza e finezza dunque equilibrio. Riconoscibilità al territorio senza mai perdere il faro della piacevolezza e della bevibilità nel senso più nobile del termine. Pulizia ed eleganza.
Così si creano due tipologie di vini ben distinte attraverso il diverso affinamento: acciaio per i vini di annata e pronta beva; legno per le riserve.

Un legno che non camuffa e non aggiunge. Nobilita.

 

Non siamo negli anni novanta dove si utilizzavano le botti senza cognizione di causa. Semmai il legno, utilizzato in maniera intelligente, può essere un grande contenitore che esalta le caratteristiche del vino. È ovvio che bisogna trovare la dimensione giusta. Il legno, la tostatura adeguata. Comprendere quale uva va bene per quale botte.

Ricordo gli anni 90. Se un vino non era passato in botte e non potevi dire “barricato”, era meglio non proporlo. A nessuno importava quale fosse il legno, di quale tostatura, ecc. Il risultato? Si utilizzava a caso. Si metteva qualsiasi vino in una botte piccola (perché quella grande non dava molto) e super tostata.
Non che l’acciaio sia esente da critiche: usato male, e si usa male, tende a standardizzare o dare problematiche di riduzione e chiusura del vino. Le anfore possono essere troppo ossidanti. Insomma, ogni materiale ha pro e contro e va capito, dopo attento studio, come utilizzarlo correttamente.

Un mio amico vignaiolo diceva che il vino può affinare in qualsiasi contenitore basta che non si senta quel contenitore. Per arrivare a farlo occorre comprendere perfettamente le proprie uve La stagione e fare le scelte ottimali. In una stagione fredda quindi con più acidità vado a scegliere un legno più nuovo che può reggere bene l’ossigenazione. Per le annate più calde con acidità bassa e grado alcolico elevato prediligo legni più vecchi con meno ossigenazione per non avere pesantezza ed opulenza tale da perdere equilibrio. L’utilizzo della botte dunque non maschera, se bene utilizzate, il territorio. Molto spesso utilizzo botti non tostate quindi legno a lunghissima stagionatura all’aria aperta e anche questo evita che la botte vada a sovrastare il vitigno dunque il vino. Le mie sono tutte fermentazioni spontanee e l’ossigeno della botte supporta la fermentazione alcolica. Non faccio mai travasi dunque lascio le fecce e i lieviti che ci sono. Ecco che l’ossigenazione della botte previene i rischi di chiusura per riduzione. Essendo legni non tostati ci sono meno sensazioni che andrebbero a coprire il vino. Le prime volte che si bevono i nostri vini non si immagina abbiano fatto affinamenti in legno e questa per me è una cosa bellissima.

L’amore e la passione con la quale Christian parla del suo lavoro è quella di un papà che parla dei suoi figli. C’è un progresso nella crescita di un bambino come quella di un vino. Si adattano i comportamenti di padre a quelli di un figlio così come si cerca di guidarlo verso il meglio senza prevaricare troppo. Le stagioni differenti, le annate diverse necessitano cure diverse, accorgimenti diversi. Così fa Christian con i suoi vini. Ogni pezzo del suo discorso è orientato a mantenere uno stile ed una identità. Sua e ancor di più del territorio. Cresce lui per far crescere il territorio. Si migliora lui per migliorare la percezione del territorio. Non si vede in un luogo diverso da qui. Come se fosse parte della Rocca Bernarda.

Devo sempre migliorarmi perché con il clima diverso e si riparte sempre da zero. Con l’esperienza si acquisiscono nozioni per supportare in vigna e in cantina. Bisogna essere sempre aggiornati sulle evoluzioni tecnologiche. Piccoli dettagli che fanno la qualità.

Uno come Christian sa che si è sudato e guadagnato tutto ciò che ha. Certo, senza nonno Leonardo e papà Graziano non ci sarebbe tutto questo. Ma tutto questo è frutto di tanto tanto ma tanto altro. E la fortuna non c’entra.

La fortuna te la cerchi. Se stai seduto sul divano non arriva nessuna fortuna da te. Quindi nulla è per caso. La fortuna piò capitare una volta ma poi devi essere in grado di mantenerlo.

25 ettari vitati. Oltre centomila bottiglie. Una bella azienda, senza dubbio. Ma Christian è e rimane umile. Un passo per volta. Con tanto lavoro dietro le quinte. Quello che la gente non vede. Fine settimana dedicati al lavoro. Orari estremi e tanti sacrifici. Senza questo, non si ottiene nulla e la fortuna, se c’è stata, passa velocemente.

C’è tanto lavoro sia nella produzione sia nella comunicazione per far scoprire chi siamo. Quando parlo di vino sono sincero ed onesto. Non mi sono mai nascosto o tirato indietro. La sincerità di un racconto vero. Raccontare ciò che sono e che voglio portare avanti.

Christian Specogna, una persona intelligente e positiva. Orientata al futuro. Convinto più che mai che quanto fatto e quanto riesce a fare ogni giorno rappresenta il meglio che si possa fare. Nessun pentimento.

Penso al futuro. Ciò che faccio lo penso tra venti anni. Un investimento, una piantina. I lavori fatti li penso in modo che possano essere portati avanti di decenni. Rimpianti no. Proseguire. Se non sei ottimista in questo settore non vai avanti. L’unica fortuna nel nostro mestiere è sperare che il clima sia dalla tua. Ho una moglie che è vicino a me che è super stimolante e sono fortunato. Con mio fratello abbiamo un bell’equilibrio.

Non ho volutamente parlato dei vini di Specogna, se non di Duality (comunque recensito sul mio blog Instagram) perché i vini sono la parte meno rilevante della narrazione ancorché più importante per l’azienda. Quando parli con Christian è come se li bevessi e comunque quando li bevi trovi esattamente quello che ti dice.

I vitigni sono quelli friulani ma non mancano le contaminazioni (anche se in un territorio di confine certi vitigni si perdono nel tempo).
Friulano e Ribolla Gialla con immissione di Sauvignon Blanc, Chardonnay, Pinot Grigio e Malvasia per i bianchi; Refosco, Schioppetino, Pignolo, Merlot, Cabernet Franc & Sauvignon per i rossi.

In arrivo una Malvasia Riserva che nasce proprio da un progetto di zonazione: pochi filari per far capire ed esaltare la potenzialità di questa zona (l’etichetta porta la sagoma delle vigne); un Pinot grigio ramato riserva. Sul mio blog recensirò gli altri ma posso già dire che si tratta di piccoli, intensi, capolavori. Dunque stay tuned!

Come azienda abbiamo sempre creduto in questa versione a contatto con le bucce portando avanti una tradizione già presente cento anni fa. Grande personalità e struttura con macerazione di oltre due mesi che donano caratteristiche da rosso. Il Pinot Grigio che si è formato da una alterazione del Pinot Nero, attraverso una lunga macerazione, fa rivivere queste radici.

Ciò che auguro a Christian e alla Specogna è di non perdere mai lo spirito che li contraddistingue e che sembra essere pervaso da una sensazione di meraviglia. La stessa meraviglia presente negli occhi di nonno Leonardo nel vedere i territori sui quali decise di fermarsi e vivere.
Al lettore auguro di non perdere la possibilità di assaggiare i capolavori di Christian e, come me, sentire la meraviglia e l passione per un territorio fantastico.

 

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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