10 Mar 2022
WineKult

Si scrive вино si legge Vino…sia in Russo sia in Ucraino

Si scrive вино, si legge Vino. Sia in russo sia in ucraino. Il vino è unione, costruzione, fratellanza. Come insegna il Vino della Pace: una bella storia di pacifismo enoico.

Philippe Daverio diceva che il vino è il vero elemento unificatore dell’Europa, dal momento che l’unica parola con radice linguistica comune tra i vari Paesi è proprio VINO: Wine, Wein, Vin, Vinho, Wijn e, appunto вино. Ecco perché è giusto e bello affidare a una bottiglia di vino un messaggio di pace, in un momento tragico in cui assurdi venti di guerra soffiano da est verso Europa. A dire il vero è un messaggio universale, valido a qualsiasi latitudine, perché il vino è una delle migliori espressioni dello spirito e dell’abilità del genere umano: è sforzo collettivo, cura, sacrificio, armonia, piacere, cultura. L’esatto opposto della guerra, insomma.

Lo sanno bene in Friuli, nel goriziano non a caso terra di confine, dove nel 1983 nasce la Vigna del Mondo. Si tratta di un progetto di fratellanza umana, amorevolmente custodito dai soci della Cantina Produttori Cormòns, che hanno messo a dimora centinaia e centinaia di vitigni provenienti da ogni continente: oggi è una delle più belle collezioni varietali del mondo intero, (comprensiva di oltre 800 varietà da 60 Paesi). Nel 1985 la prima vendemmia, da cui origina il Vino della Pace, un bianco che definire multivarietale è a dir poco riduttivo. L’etichetta recita: “Un vino simbolo e portatore di Pace. Lo compongono, con armonia, i vitigni dei cinque Continenti pazientemente raccolti in un vigneto che, unico al Mondo, rappresenta non solo la fiducia, ma unisce, nel vino, tutte le esperienze e conferma la solidarietà di questa epoca”.

Le prime bottiglie il 9 aprile del 1986 vengono inviate come messaggio di pace a numerosi Capi di Stato civili e religiosi. Il messaggio è potenziato dall’immediatezza e dalla forza comunicativa dell’arte, visto che le tre etichette d’esordio sono firmate da nomi di fama internazionale quali Arnaldo Pomodoro, Enrico Baj, Zoran Music. Da quel momento, ogni anno il miracolo di unire pace, arte e vino ai massimi livelli si arricchisce di testimonial (e destinatari, papi compresi) d’eccezione.

Le etichette delle annate successive sono create da artisti di assoluto rilievo, tra cui Minguzzi, Fiume, Consagra, Manzù, Sassu, Fini, Vedova, Botero, Rauschenberg, Pistoletto, Spoerri, Treccani, Isgrò, Mitoraj, Nespolo, Tadini, Ceroli. Anche Dario Fo e Yoko Ono illustrano il loro messaggio di pace, contribuendo ad arricchire una galleria d’arte sui generis in cui le bottiglie-opere diventano presto oggetti da collezionismo.

Forse anche per non disperdere lo spirito simbolico iniziale, la produzione subisce una battuta d’arresto, per riprendere nel 2017 (l’etichetta è dello stilista Roberto Capucci) con un assemblaggio di varietà autoctone e il supporto a progetti solidali di prossimità territoriale.

Non si può definire il Vino della Pace un vino di moda, anche se è assurto negli anni passati a fenomeno quasi di costume, ma certamente il messaggio di cui è portatore permane di una perenne attualità. Vorremmo che la pace, quella sì, fosse di moda, sempre e ovunque.

Verrebbe da parafrasare il celebre invito pronunciato da Ronald Reagan a Berlino nel 1987 “Mr. Gorbachev, tear down this wall!”: Mr. Putin, drink this wine!

A cura di Katrin Cosseta