Diario di un sommelier

Diario di un Sommelier è la rubrica curata da Giuseppe Petronio, amante del vino e sommelier per passione, noto su Instagram come @peppetronio, in cui racconta in modo originale il mondo del vino, i propri assaggi e le esperienze che vive, selezionando le cantine che più lo colpiscono e mettendo sempre avanti i rapporti umani.

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29 Luglio, 2022

Sfumature di Pinot Nero

Sfumature di Pinot Nero Il Pinot Nero è di certo uno dei principi dei vitigni internazionali e trova la sua maggiore diffusione in Francia, in particolare nella Côte D’Or, in Borgogna, e nella Champagne, dove viene principalmente spumantizzato. Questo vitigno, tra i più nobili esistenti insieme al nostro Nebbiolo, rappresenta una grande sfida per gli enologi mondiali sia per la sua difficile coltivazione e vinificazione, sia perché è un vitigno che risulta estremamente dipendente dalle caratteristiche del terroir, interpretandolo al meglio…. nel bene e nel male. In Italia è ormai presente in diverse regioni, ma trova alcune delle sue migliori espressioni alla stessa latitudine della Borgogna, una linea che passa per le nostre regioni del nord, in particolare in Trentino-Alto Adige e in Lombardia, nell’Oltrepò Pavese. L’Alto Adige è stato il primo territorio nazionale a importarlo, ed è proprio da qui che inizio a raccontarvi della prima azienda: Cantina Andriano, fondata nel 1893, è la cantina sociale più antica della regione. Alla data di fondazione furono 31 i viticoltori che decisero di compiere la scelta lungimirante, riunendo le proprie forze, di dare vita alla prima cooperativa regionale. Cantina Andriano fu tra le prime cooperative a puntare senza indugio sulla qualità: si diffuse rapidamente tra i soci una gestione mirata della produzione, con una riduzione delle rese consapevole e condivisa da tutti i viticoltori partecipanti. Ad oggi i soci conferitori sono 60 e gli ettari vitati complessivi sono 80, tutti coltivati con tecniche agronomiche che tendono alla ricerca assoluta di qualità produttiva. Importante è il territorio: Andriano è un villaggio storico in prossimità di Bolzano che si estende sul versante occidentale del fiume Adige. Situato a 285 metri slm, è caratterizzato da colline ricoperte di vigneti, frutteti e boschi, con un paesaggio disegnato da torrenti scroscianti e stagni naturali, in un connubio affascinante tra vegetazione alpina e mediterranea. I vini che derivano da questo luogo esprimono pienamente le caratteristiche di ciascun piccolo appezzamento dei tanti soci conferitori e vengono suddivisi, a seconda della provenienza, della varietà di uva e dei metodi di lavorazione. Qui a giocare un ruolo fondamentale sulla impronta aromatica e qualitativa è sicuramente il suolo calcareo che regala ai vini un’impronta minerale e sapida, con i vigneti posizionati a quote tra i 260 e i 450 metri slm. Anche il fattore climatico è fondamentale: è il massiccio del Macaion a proteggere dal freddo del nord le viti di Andriano, mentre verso Sud-Est l’ampia apertura della valle garantisce a tutti gli appezzamenti un’esposizione solare dall’alba alle prime ore del pomeriggio. Nel pomeriggio il sole cala dietro alla montagna e, nelle giornate più torride, regala un benefico refrigerio a tutti i vigneti. Da questi fattori scaturisce un microclima particolare, caratterizzato anche dai venti freschi che scendono dal massiccio, e che, nel periodo finale della maturazione delle uve, fanno più marcata l’escursione termica fra il giorno e la notte. Ad Andriano proprio il buon equilibrio fra caldo e fresco fa sì che i vigneti beneficino di una fase vegetativa più lunga, e i grappoli di una maturazione più lenta e omogenea. Le note aromatiche sono più intense, i vini più rotondi al palato e, anche per questo, la Cantina si ispira come stile di produzione ai vini della Borgogna. La vendemmia, che in media inizia dieci giorni più tardi rispetto al lato opposto della valle, si svolge esclusivamente a mano, e la qualità delle uve raccolte – favorita da una resa molto bassa, pari a circa 49 hl/ha nella media di tutti i vitigni – consente all’enologo Rudi Kofler e alla sua squadra di realizzare in pieno la filosofia vinicola della Cantina. La ricerca ad interpretare al meglio la combinazione fra la collocazione geografica, il terreno e il clima, ha permesso di promuovere, al tempo stesso, l’identità del posto e la consapevolezza della qualità di tutti gli addetti del settore, con l’obiettivo comune di produrre dei vini in grado di eccellere in complessità, precisione e struttura, con uno stile elegante, con note fruttate marcate e con la capacità di narrare nel calice la propria origine ed essere riconoscibili. Il Pinot Nero Riserva Anrar di Andriano è un punto di riferimento per il Pinot Nero. Cresce in uno degli appezzamenti di Pinot Nero più ambiti dell’Alto Adige, a circa 470 metri di quota a Pinzon, nel comune di Egna, su terreni rossastri e argillosi di roccia calcarea, con stratificazioni di pietra dolomitica bianca. Le uve utilizzate provengono da un unico vigneto con esposizione verso Sud-Sudovest, in quella che in tutto l’Alto Adige si considera la culla nobile del Pinot Nero. Il vigneto è gestito da un socio conferitore storico, sicché il Pinot è vinificato con denominazione di vigna e in quantità limitata (da 4.000 a 5.000 bottiglie). Grazie all’elevata densità d’impianto (8.000 ceppi per ettaro), la resa per ceppo è molto bassa per natura. La vendemmia si esegue esattamente nel momento della maturazione organolettica ottimale, ma senza mai oltrepassare questa soglia, in modo da conservare le caratteristiche più tipiche del Pinot. Un terzo delle uve viene poi lavorato a grappolo intero, diraspando invece gli altri due terzi. L’affinamento si svolge in botti di legno nuovo, che conferiscono al vino dei sentori leggermente fumosi. Nel calice, Anrar è un vino quanto mai vivace e manifesta chiari sentori di frutti di bosco, foglie di tè e spezie. Le sue note fruttate sono complesse e sostenute da una stimolante acidità. È un vino rosso strutturato, ma al tempo stesso elegante e persistente, da gustare pienamente anche dopo un certo invecchiamento. Si può definire un grande Pinot Nero compatto, equilibrato con morbidi tannini a grana fine, di alta quota e molto longevo. Nel 2022 Anrar 2019 è stato giudicato da una giuria internazionale, al 24° concorso nazionale del Pinot Nero, Miglior Pinot Nero d’Italia 2022. Proseguendo su altre sfumature e sempre alla stessa latitudine troviamo Cembra Cantina di Montagna. Situata nel comune di Cembra a circa 700 metri slm, nell’omonima Valle a nord-est di Trento, dove la bellezza della montagna e la viticoltura si fondono in un paesaggio di grande fascino ed equilibrio. Un’armonia tra uomo e natura che è il risultato del coraggio, della determinazione e dell’amore per il territorio dei vignaioli cembrani, che si tramandano da generazioni il sapere enologico. Sono loro che hanno costruito pietra su pietra oltre 700 km di muretti a secco per sostenere le vigne lungo la valle, bilanciando grazia artigiana e pendenze estreme. D’altro canto, quest’arte ha meritato nel 2018 il riconoscimento come bene immateriale del patrimonio mondiale dell’UNESCO. Dal 1952 Cembra Cantina di Montagna rappresenta la cantina cooperativa più alta del Trentino. Questa terra, che vanta altimetrie, clima e sottosuoli unici, ha come protagonista il porfido, da sempre chiamato dai valligiani “oro rosso” in quanto spina dorsale della valle e preziosa materia prima. La cantina conta su circa 300 ettari vitati suddivisi in piccoli appezzamenti (con una superficie media inferiore al mezzo ettaro l’uno – considerato che sono 320 i soci conferitori) per lo più adagiati sulla sponda destra dell’Avisio, il fiume che nei millenni ha inciso e plasmato la valle, per poi tuffarsi nell’Adige. Le vigne godono di una straordinaria esposizione solare grazie alla loro dislocazione prevalente a sud e sono lambite dall’Ora del Garda, corrente che soffia dolcemente tra i filari favorendo un clima asciutto, molto importante per preservare la salute delle vigne. Un’escursione termica ottimale completa il microclima e contribuisce al bouquet aromatico e alla giusta acidità dei vini. I terreni qui sono generalmente franco-sabbiosi, ricchi di sabbia e carbonati, sciolti e ben drenati, ma soprattutto, come detto, di origine porfirica. Dal 2016 infatti CEMBRA aderisce al Sistema di Qualità Nazionale Produzione Integrata (S.Q.N.P.I.) che si basa sul rispetto dell’ambiente, la tutela della salute degli agricoltori e la sostenibilità economica e dal 2022 “rinasce” e presenta una nuova linea di etichette monovitigno, al fine di valorizzare in maniera ancora più netta le uve più rappresentative del territorio, inteso come un’unica, grande area eccezionalmente vocata. I vigneti del loro Pinot Nero, che oggi è sul mercato con l’annata 2019, crescono tra i 500 e i 600 metri slm e sono raccolti in media a fine settembre-inizio ottobre. La vinificazione molto rispettosa prevede una macerazione a freddo per qualche giorno e una fermentazione in anfore Tava, piccole botti di legno aperte e serbatoi d’acciaio inox con frequenti follature per estrarre aromi e colore per circa 15 giorni. Il Pinot Nero matura poi in piccole botti di rovere francese per 12 mesi. Di colore rosso rubino intenso, al naso si esprime in tutta la sua complessità ed eleganza rivelando note di frutta nera e rossa con sfumature di liquirizia e pepe nero. Al palato è pieno e strutturato, con una vena di freschezza e morbidi tannini. Queste prime due espressioni di Pinot Nero si differenziamo quindi estremamente, per territorio, clima, esposizioni, terreni e tecniche di vinificazione. Continuando a percorrere la stessa latitudine geografica ci spostiamo in Lombardia, in una realtà che ha fatto del Pinot Nero il suo vitigno portabandiera, stiamo parlando di Conte Vistarino. Siamo nello specifico nell’Oltrepò Pavese, nel sud-ovest della regione, punto di incontro di Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia Romagna, territorio con una forma a grappolo d’uva: un lato è costituito dal corso del Po, il vertice opposto, verso sud, dalla massima elevazione della provincia di Pavia che è il monte Lesima (1724 m). Il territorio è costituito per un terzo da zone pianeggianti, cui segue un’ampia zona collinare che termina a sud sull’Appennino Ligure. Dire Oltrepò Pavese significa dire Pinot Nero, ma non è sempre stato così. È stato il Conte Augusto Giorgi di Vistarino a importare dalla Francia questo nobile vitigno nella sua tenuta nel 1850 e oggi, a oltre un secolo di distanza, è la sua trisnipote Ottavia a farne l’orgoglioso stendardo per i vini dell’azienda di famiglia. Proprio nel 1865, per esempio, venne prodotto dal Conte Vistarino – insieme all’amico Carlo Gancia – il primo Spumante Secco, e per ricordarlo quella data è diventata oggi il nome dello spumante di punta dell’azienda.  Da allora la famiglia porta avanti un lavoro costante volto ad esaltare il vitigno nel rispetto del territorio e della sua vocazione. Conte Vistarino ha una superficie complessiva di 620 ettari suddivisi tra boschi, prati, seminatavi, piante arboree da legno pregiato mentre 102 ettari sono destinati a vigneto. Il vitigno maggiormente rappresentato è il Pinot Nero: Conte Vistarino coltiva una decina di cloni di questa varietà su oltre 65 ettari e la vinifica per il 50% in bianco. Oltre la metà di questo vigneto è stato reimpiantato negli ultimi 25 anni da Conte Vistarino secondo criteri di qualità dettati da un mercato che proprio alla fine degli anni ‘80 si stava trasformando; un patrimonio fondamentale che consente oggi di ottenere uva adatta a produrre grandi vini. Per i nuovi impianti di Pinot Nero, Ottavia Vistarino ha privilegiato la scelta di portainnesti e cloni (tutti importati direttamente dalla Francia) con caratteristiche produttive precise: bassa produzione, grappolo e acino piccolo e grande potenziale aromatico. I terreni sono caratterizzati da marne argillose e si presentano prevalentemente calcarei (circa il 50% della composizione dei suoli) con percentuali variabili di argilla, sabbia e limo.  Conte Vistarino conduce tutti i vigneti secondo un’agricoltura integrata a basso impatto ambientale che punta ad ottimizzare le caratteristiche naturali di ogni parcella. La geografia della Tenuta è caratterizzata da un mosaico di piccole unità sparpagliate su una superficie molto estesa e il lavoro di zonazione effettuato in azienda negli anni per ottimizzare l’interazione tra vitigno e terroir è stato davvero molto lungo e dettagliato, e continuerà nei prossimi anni fino a coprire l’intero patrimonio vitato. La cantina, puntando sempre più sul concetto di Cru, produce tre espressioni di Pinot Nero fermo, a tiratura molto limitata (sotto le 5000 bottiglie/anno) e sono Pernice, Bertone e Tavernetto. Pernice è una delle massime espressioni enologiche dell’azienda. Il vigneto dove prende forma questo Oltrepò Pavese DOC si estende per 3,5 ettari in prossimità dell’omonima cascina a 350-400 metri di altezza. Esposto a mezzogiorno, gode di una vista magnifica sulle colline circostanti. Il terreno è tendenzialmente calcareo (52%) con la presenza di argilla, sabbia e pietrisco. Luigi Veronelli nel 1961 scrisse in Vini d’Italia del “Pinot eccellente della località Pernice, in Comune di Rocca de’ Giorgi, dal bel colore rubino chiaro e dall’intenso bouquet” e ancora oggi nel bicchiere il risultato è un vino complesso ed elegante con grandi potenzialità di invecchiamento e molto apprezzato dalla critica italiana e straniera. Bertone, Pinot Nero DOC Oltrepò Pavese, prende il nome dal vigneto dove nasce. Si tratta di una parcella di Pinot Nero situata – in linea d’aria – proprio sopra a Villa Fornace. Si trova a circa 400 metri slm ed è rivolta a sud-ovest. Il terreno conta su una buona presenza franco-argillosa e una significativa percentuale di sabbia. Questo appezzamento, circondato da un fitto bosco, gode di un microclima particolare e, per le caratteristiche del clone, del terreno e dell’esposizione, è caratterizzato da un minor vigore vegetativo e da un leggero anticipo di maturazione che lo porta ad essere il primo dei cru ad esser vendemmiato. Dalla sua prima annata di produzione, vendemmia 2013, ad oggi, ha raccolto il plauso della critica per la sua armonia e profondità. Tavernetto Pinot Nero DOC Oltrepò Pavese nasce nell’omonimo vigneto di 1,7 ettari esposto a sud-sud/est. L’appezzamento si trova a 350 metri slm di altitudine e gode di un andamento vegeto-produttivo molto equilibrato e storicamente è l’ultimo tra i cru ad esser vendemmiato. Nei suoli prevale la matrice argillo-limosa con un’elevata dotazione in calcare. Tutti e tre effettuano un affinamento in barriques di rovere francese dove viene svolta la fermentazione malo-lattica la primavera successiva alla vendemmia. Un vero e proprio viaggio tra le varie espressioni del Pinot Nero alle latitudini della Borgogna. Questo nobile, elegante ed enigmatico vitigno riesce a fare innamorare gli appassionati e ad esprimere il nostro paese con diverse sfumature, con colori che virano e che riflettono le diverse tonalità dei terroir di provenienza…. impossibile non apprezzarlo! A cura di Giuseppe Petronio  Stitched Panorama Stitched Panorama Italien Südtirol Terlan Weinanbau Blauburgunder Traube Italien Suedtirol Trentino Alto Adige Etschtal Terlan Weinanbau Kellerei Terlan Keller Cantina Weinkeller
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29 Giugno, 2022

Domenico Clerico: connubio tra arte e vino di qualità

Domenico Clerico: connubio tra arte e vino di qualità Domenico Clerico rappresenta un grande nome del Barolo in Italia e nel mondo, uomo di grande personalità, che ci ha lasciati nel 2017, a cavallo tra l’artigiano e l’artista che ha rivoluzionato il concetto della viticoltura nelle Langhe, animato dalla ricerca incessante della massima qualità e dal desiderio di sperimentare per raggiungere l’eccellenza che da sempre caratterizza i suoi vini, con l’obiettivo di renderli indimenticabili. Fin dal 1976, quando Domenico Clerico prese in mano l’azienda di famiglia a Monforte d’Alba – partendo da soli tre ettari di vigneto – e decise di scommettere su un territorio ancora poco conosciuto, convinto che attraverso un lavoro meticoloso in vigna e un’attenta vinificazione si potessero ottenere risultati straordinari. Un impegno lungo e costante, contrassegnato da grande passione e competenza: così Clerico è riuscito a scrivere la storia del Barolo, affermandosi come uno dei più importanti produttori a livello mondiale. Domenico Clerico appartiene a quella generazione che ha saputo credere nel sogno di una viticoltura innovativa fondata sulla ricerca della massima qualità, in grado di far scoprire le potenzialità inespresse di un territorio e di cambiare il modo di interpretare il più famoso vino rosso piemontese. L’unione delle forze con altri vignaioli ispirati dagli stessi principi e il coraggio di guardare all’estero cogliendo dalla Francia l’innovazione del diradamento in vigna e l’utilizzo delle barrique in cantina, daranno vita ad un Barolo basato sulla ricerca della concentrazione del corpo e del frutto. Nel tempo il legame di Clerico con Monforte si espande sempre più, con nuovi appezzamenti vitati che vengono acquisiti e che rendono sempre più forte e profondo il rapporto con questo luogo di produzione del Barolo, un legame esclusivo che porta ad esaltarne le caratteristiche tanto da far diventare il Barolo “Classico” il Barolo del Comune di Monforte D’Alba, eccellenza ed espressione qualitativa del territorio. Ma la sua cantina non è solo Barolo: con l’obiettivo di mettere in luce le potenzialità del territorio di Langa, Clerico è stato un precursore nello studio del Nebbiolo, della Barbera D’Alba e del Dolcetto, il vino da cui ha iniziato a costruire il suo sogno. Domenico, per la sua instancabile voglia di sognare e di volare con l’immaginazione del fanciullo, fin da ragazzo, era stato soprannominato dal padre “Aeroplanservaj” che in dialetto piemontese significa Aeroplano Selvatico, soprannome con cui ha chiamato uno dei suoi più celebri vini, l’unico che, a differenza di tutti gli altri vini prodotti a Monforte, proviene dal comune di Serralunga D’Alba. Il legame intenso di Domenico con la terra, il lavoro instancabile tra i filari e le peculiarità dei suoi vigneti hanno costruito negli anni un patrimonio unico. Un’eredità raccolta dalla moglie Giuliana Viberti Clerico e portata avanti da un team di appassionati collaboratori guidato oggi da Oscar Arrivabene, enologo e direttore generale, nell’assoluto rispetto dell’impronta schietta e senza compromessi del suo fondatore. Clerico è stato uno spirito libero e visionario che amava cimentarsi in avventure sempre nuove, un vero e proprio artista del vino. Ed è proprio per ricordare questo tratto della sua personalità che è nato il Premio. Su queste basi è stato istituito, in collaborazione con l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, il Premio Domenico Clerico con l’obiettivo di aiutare i giovani artisti ad inserirsi nel circuito dell’arte contemporanea e stimolare i nuovi talenti a raccontare il connubio tra arte e vino fatto di bellezza, radici, valori e legame con il territorio. Il vino prende il nome di Arte Edizione Limitata Langhe Rosso DOC: ogni anno 2 artisti vengono selezionati per creare 10 diverse etichette che catturano l’essenza di uno dei vini più rappresentativi dell’azienda e che meglio raccontano la sua storia “Arte”, un iconico Langhe Rosso che ha fatto la storia del territorio. Gli acquirenti di questo vino-opera d’arte potranno scegliere, tra una rosa di proposte composta dalle 10 opere degli artisti vincenti, l’etichetta preferita e personalizzare così la propria bottiglia doppia magnum (chiamata anche Jeroboam, 3 Litri) di Arte realizzata in soli 300 esemplari, effettuando la scelta solo su prenotazione attraverso il sito dell’azienda. L’opera più votata di ciascun artista, che sintetizza al meglio quel connubio tra arte e vino fatto di bellezza, radici e valori, verrà permanentemente esposta in cantina. Le vincitrici della scorsa edizione sono state Eleonora Ballario e Francisca Jitaru, autrici delle 10 diverse etichette, 5 per ognuna, che raccontano la personalità dell’Arte Langhe Rosso DOC di Domenico Clerico con un tratto originale ed espressivo. Blend che si compone della struttura e del carattere da Nebbiolo (90%), morbidezza ed eleganza dalla Barbera (10%). Le uve sono vinificate separatamente per ottenere la massima espressione di entrambe le varietà, seguono poi un affinamento in barriques di rovere francese per 12 mesi per poi essere assemblate prima dell’imbottigliamento. Arte simboleggia il desiderio di sperimentare e la curiosità di cercare strade nuove ed inesplorate, senza mai dimenticare la propria provenienza, un connubio tra arte e vino di qualità che rappresenta un motivo in più per innamorarsi dei vini di Clerico! A cura di Giuseppe Petronio 
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22 Giugno, 2022

L’Etna e i suoi vini vulcanici

L’Etna e i suoi vini vulcanici Parlando di vini vulcanici il pensiero vola subito ai i vini prodotti sulle pendici dell’Etna. Prima di tutto è necessario contestualizzare il territorio: patrimonio mondiale dell’UNESCO, il Monte Etna si trova sulla costa orientale della Sicilia ed è il vulcano attivo più alto d’Europa, uno tra i più attivi del globo. Grazie a millenni di attività eruttiva, l’altezza massima del cono vulcanico oggi supera i 3300 metri di altitudine su circa 45 km di diametro di base. Tali dimensioni lo rendono il vulcano terrestre più imponente d’Europa e dell’intera area mediterranea. L’attività di ceneri ed eruzioni laviche del vulcano si sono succedute nel tempo e l’azione dell’uomo ha tenacemente sovrapposto al paesaggio lavico un paesaggio agricolo tra i più ricchi dell’isola. Qui si producono grandi vini grazie ai terreni di origine vulcanica, a volte ciottolosi e ghiaiosi, a volte sabbiosi o meglio cinerei, grazie alle grandi escursioni termiche, che arrivano anche a 25/30 gradi tra il giorno e la notte, e grazie all’altissima fertilità. Sono presenti alcuni dei vigneti più vecchi coltivati in Italia, addirittura più che centenari e ancora a piede franco, con la forma di allevamento più usata, che è anche quella più tradizionale, rappresentata dall’alberello etneo arrampicato su tutto il monte con l’aiuto delle nere terrazze di pietra lavica. È in questo territorio che vengono coltivate le uve autoctone dell’Etna: Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio per rossi, rosati e spumanti, Carricante e, in minor misura, Catarratto per i bianchi. Il Nerello Mascalese è però il principe dei vitigni a bacca rossa di questa zona, il più diffuso, ed è simbolo della viticoltura eroica del luogo e delle condizioni estreme: la pendenza dei terreni obbliga a fare tutte le operazioni in vigna manualmente. Impossibile non paragonare i risultati dei vini etnei nel calice al Barolo e il Barbaresco, entrambi derivati dal mio amato Nebbiolo, oppure al Pinot Noir di Borgogna, seppur ovviamente vi siano molte differenze per quanto riguarda i diversi terroir, hanno tratti in comune quali eleganza, limpidezza e trasparenza al calice, seguite da sapidità, calore e carattere al palato. Nerello, Nebbiolo e Pinot Noir sono vitigni che raccontano al meglio le condizioni tipiche della composizione del suolo, le escursioni termiche, le altitudini e l’esposizione, riflettono il luogo d’origine come pochi altri sanno fare. Oggi sono 133 le Contrade dell’Etna che compongono lo sfaccettato mosaico del terroir del vulcano. La stratificazione delle colate laviche, l’importante escursione termica, lo scheletro dei suoli, l’esposizione e tanti altri fattori pedoclimatici significativi imprimono sulla Contrada quei tratti di unicità e riconoscibilità tanto apprezzati dagli amanti del vino di tutto il mondo. Si potrebbero fare molti esempi di vini eccellenti provenienti da questi luoghi, ma prima di tutto occorre citare uno degli uomini che più ha contribuito alla crescita di questa zona, ovvero Andrea Franchetti. Venuto a mancare alla fine del 2021, Andrea visita la Sicilia circa 20 anni fa innamorandosi dell’Etna. Ed è proprio In questo luogo che matura la decisione di restaurare un antico baglio con cantina sulle pendici del vulcano a circa 1000 metri di altezza sopra alla piccola frazione di Passopisciaro nel comune di Castiglione di Sicilia. Il suo primo impegno è stato quello di recuperare i vigneti terrazzati abbandonati da tempo con viti vecchie di 80-100 anni, incredibile memoria del luogo, per piantarne di nuovi, mantenendo un’altissima densità di impianto di 12.000 piante per ettaro. Visionario e coraggioso, Andrea Franchetti ha contribuito alla rinascita della viticoltura sul vulcano e alla scoperta dei vini etnei da parte del mercato internazionale. Tra i risultati conseguiti sull’Etna da Franchetti anche la creazione dei vini di Contrada, sul modello dei cru di Borgogna, e l’ideazione del festival internazionale del vino ‘Le Contrade dell’Etna’. Passopisciaro pratica oggi una viticoltura “di precisione”, totalmente rispettosa della natura, contando oggi su 26 ettari di vigna piantati a Nerello Mascalese, al quale si aggiungono anche altre tipologie di uve non autoctone, come il Cesanese di Affile originario della zona intorno Roma e i francesi Petit Verdot e Chardonnay. Si producono qui nove vini differenti, di cui sei con le uve di Nerello Mascalese. Il Passorosso è un vino luminoso, prodotto da un assemblaggio di uve provenienti da vigneti situati ad altezze diverse ciascuno con un tipo diverso suolo. Dopo alcuni anni di produzione, Franchetti si è accorto che dalle uve dei diversi vigneti si ricavavano vini assai differenti l’uno dall’altro, così a partire dal 2008, ha iniziato ad imbottigliarli separatamente. Nasce così la lettura in chiave enologica del concetto di Contrada come vero e proprio cru, concetto di cui Passopisciaro ha rivendicato la primogenitura con ben cinque declinazioni conosciute come “vini delle Contrade”: Contrada C, Contrada P, Contrada G, Contrada S e Contrada R, ognuno proveniente da un vigneto posto nell’omonima Contrada, su colate laviche differenti, con diversa composizione minerale e ad altezze diverse, vere e proprie letture temporali delle eruzioni. I vini che ne derivano sono unici e di grande personalità. Nel 2007 nasce il primo vino bianco di Passopisciaro, il Guardiola, oggi Passobianco, uno Chardonnay in purezza ottenuto da viti piantate a 850-1000m s.l.m., con un profilo minerale fresco ed aromatico che ricorda i grandi bianchi della Borgogna. Completano la gamma due vini di grande prestigio: il rosso Franchetti, il vero signore dell’Etna cuvée ideata nel 2005 da Andrea Franchetti come assemblaggio di Petit Verdot e Cesanese d’Affile, un vino dal fascino magnetico che racchiude tutta la magia del vulcano e custodisce per sempre la visione del fondatore, a cui si aggiunge, a partire dal 2018, anche un vino a base di Chardonnay, Contrada PC, prodotto in edizione limitata in un piccolo appezzamento di terreno tra gli 870 e i 950 m s.l.m.. Altro grande esempio di amore per l’Etna partito dalla Toscana è rappresentato da Carlo Ferrini che, all’inizio degli anni 2000, inizia a Montalcino la storia di Giodo, nel nome un omaggio ai genitori Giovanna e Donatello, un piccolo podere che, oltre alla nuova cantina “invisibile”, perfettamente integrata nel paesaggio circostante e a una casa colonica oggi finemente ristrutturata, conta sei ettari di vigna. Una superficie non irrisoria nel prezioso mondo del Brunello, individuata dopo anni di ricerca. La prima annata è stata la 2009 e con la 2017 Giodo è arrivato alla sua nona edizione, che ha già raccolto punteggi importanti e grandi soddisfazioni. Anche Ferrini, che frequenta la Sicilia da enologo consulente da oltre venti anni, cede al fascino irresistibile dell’Etna, che lo fa innamorare. Inizia così la storia di Alberelli di Giodo, con un Nerello Mascalese in purezza, prima annata la 2016, al quale si affianca dall’annata 2020 anche un Carricante, anch’esso in purezza. Le due espressioni di Alberelli di Giodo nascono in otto piccoli appezzamenti nelle Contrade Rampante e Pietrarizzo, che, sommati, arrivano a poco più di due ettari e mezzo a quasi 1000 metri di altitudine e pochi filari di vecchie viti a piede franco. Ferrini e Franchetti sono testimoni dell’amore per i vini dell’Etna e delle eccellenze che questo luogo genera. A cura di Giuseppe Petronio 
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25 Maggio, 2022

Gruppo Meregalli: risultati e novità tra dinamicità ed esperienza

Gruppo Meregalli: risultati e novità per una delle aziende italiane che, come poche, possono vantare oltre 160 anni di vita. Ma sono ancora meno le aziende che affondano le loro radici non solo nel tempo, ma anche nella storia. Tutto ebbe inizio nel 1856 quando Giovanni Meregalli trasferì la sua osteria con mescita da Vedano a Villasanta, alle porte di Monza, e iniziò a vendere vino. Di generazione in generazione l’azienda è cresciuta fino a essere conosciuta ovunque, pur restando saldamente nelle mani della famiglia che l’ha generata. Ciò che è certo, è che quella piccola antica osteria si è trasformata in un impero. Nel 1887 l’attività si trasformò in fiaschetteria e vendita all’ingrosso, nel 1969 nasce la Meregalli Giuseppe srl. Sotto la guida del figlio Giuseppe nei primi anni 70, la Meregalli diffuse nuovi marchi e nuove tendenze, propose al grande pubblico etichette conosciute solo a pochi cultori e in pochi anni fu in grado di servire ogni angolo del paese. L’azienda è oggi più prospera che mai, rafforzata dalla presenza della quinta generazione, rappresentata da Marcello, a cui si devono le nuove iniziative e aperture delle consociate del moderno Gruppo Meregalli. Oggi Gruppo Meregalli vanta una gamma di prodotti di assoluto prestigio composta da svariate referenze di oltre 100 produttori lungo due assi portanti, vino e spirits: 2000 specialità in esclusiva sono oggi presenti nei cataloghi del Gruppo. Servizio di logistica, rapidità e velocità, assortimento, formazione, professionalità, eccellenza, queste le parole d’ordine del Gruppo. Grandi soddisfazioni emergono leggendo i fatturati 2021 (dati in milioni di euro) delle aziende del gruppo legate al settore wine, con Meregalli Wines che si attesta a circa 46, Meregalli Spirits supera i 18, Visconti43 che sfiora i 5 nonostante sia stata avviata nel 2017 e le consociate estere, Meregalli France, Suisse e Monaco, che si attestano complessivamente oltre i 6. Con immenso piacere ho avuto l’opportunità di fare una chiacchierata con Marcello. Parlando con lui traspare sin da subito la dinamicità che muove l’azienda nell’ottica del miglioramento continuo e della valorizzazione di tutte le potenzialità. Oltre alle famose Meregalli Wines e Meregalli Spirits, a regalare una grossa soddisfazione è l’ultima nata in casa Meregalli. Visconti43, realtà con filosofia ben definita, con logistica e personale dedicato, accoglie un catalogo intelligente con oltre 200 prodotti selezionati provenienti da cantine italiane e straniere a conduzione familiare, contraddistinte da lavorazioni in vigna che guardano al biologico o da particolari vinificazioni, dal posizionamento alto e con un numero di bottiglie prodotte talvolta centellinato. Colpisce come la pandemia intervenuta negli ultimi anni abbia rappresentato per il Gruppo l’opportunità per accelerare quei processi di transizione e digitalizzazione già in atto. Nel corso di questi ultimi due anni infatti si sono concretizzati alcuni sistemi digitalizzati per la gestione degli ordini, sia B2B che B2C, con gli agenti che hanno potuto mantenere il proprio ruolo concentrandosi sulla consulenza piuttosto che sulla gestione dell’ordine, e con tutto il personale tempestivamente formato all’utilizzo delle piattaforme da remoto per rispondere prontamente alla pandemia. Oltre a questo, anche a seguito di studi interni sulle lavorazioni effettuate, il periodo pandemico ha rappresentato l’impulso per attuare innovazioni al sistema logistico aziendale, dai sistemi operativi alla gestione degli ordini, passando per la riorganizzazione degli uffici. Altro passo in avanti effettuato nell’ultimo periodo è quello che ha visto l’assunzione di due figure specializzate per la parte di CRM, fidelizzando ancora di più contatti e clienti grazie alla creazione di mailing list e alla comunicazione diretta con clienti Horeca e privati. L’azienda, continua Marcello, è sempre proiettata al futuro e non mancano mai nuovi progetti. Oltre alle tante novità in distribuzione, di recente è stata acquisita una quota della cantina biodinamica 1701 in Franciacorta, con un suo ampliamento per aumentare la produzione e promuovere l’accoglienza, ed è stata creata in partnership con Joe Bastianich l’azienda vinicola friulana biologica Ronc dal Diaul. Le scelte in questo campo, che non saranno le uniche, rappresentano la volontà strategica di investire insieme ai partner di settore accompagnandoli nella crescita, ampliando relazioni e attività. Una realtà in continuo movimento che avremo sempre il piacere di seguire! Gruppo Meregalli: risultati e novità tra dinamicità ed esperienza A cura di Giuseppe Petronio 
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19 Maggio, 2022

Cantina Toblino aderisce al Progetto Impetus

Cantina Toblino aderisce al Progetto Impetus. Una cantina situata al centro dell’incantevole Valle dei Laghi, a nord del Lago di Garda ed a sud delle famose Dolomiti di Brenta e poco distante dalla città di Trento, Cantina Toblino è un nome di assoluto rilievo nel mondo del vino. Nota come storica cantina sociale, offre un’ospitalità elegante e genuina e allo stesso tempo un innovativo laboratorio a cielo aperto, dove la ricerca viticola ed enologica porta ogni giorno a realizzare vini di qualità, con una particolare attenzione per l’ambiente. Oggi l’azienda agricola Toblino coltiva i circa 40 ettari dell’antica mensa vescovile in regime biologico, mentre Cantina Toblino riceve le uve da più di 600 soci-viticoltori per un totale di oltre 850 ettari vitati. Una vera eccellenza che lavora nel pieno rispetto dell’ambiente. Gli effetti del cambiamento climatico stanno colpendo da anni il settore vitivinicolo europeo, da qui nasce l’urgenza di trovare soluzioni efficaci, che sappiano adattarsi alle nuove sfide imposte da ecosistemi in continua evoluzione. Cantina Toblino, in tale contesto, ha deciso quindi di prendere parte al progetto IMPETUS per incentivare una viticoltura lungimirante e rispettosa dell’ambiente, un progetto che affronta il tema della sostenibilità con azioni concrete per rispondere in modo efficiente ed efficace all’emergenza climatica e ambientale. Il programma lanciato dall’Unione Europea, nei prossimi quattro anni, coinvolgerà sette aree bioclimatiche: dalle coste spagnole della Catalogna, alle spiagge artiche del Troms in Norvegia, per poi passare a territori mediterranei, continentali e atlantici, fino ad arrivare alle pendici del Monte Bondone in Trentino, nella Valle dei Laghi. L’obiettivo è analizzare e proporre metodologie e tecniche adattabili in tutte le sette regioni selezionate, dando da un lato un contributo a viticoltori e agricoltori europei e fornendo dall’altro modelli di gestione del territorio agli enti e alle autorità locali. La viticoltura è una risorsa economica e culturale da preservare: per questo la Valle dei Laghi, zona vocata alla produzione di uve e vini d’eccellenza, diventa la protagonista di un progetto di studio che va a testare modelli di simulazione, governance e supporto alle decisioni, nuovi vitigni e spostamento delle aree coltivabili, gestione e valutazione integrata del rischio, attivazione del patrimonio culturale materiale e immateriale. Eurac Research, centro di ricerca con sede a Bolzano, curerà l’indagine ideando, provando e implementando soluzioni capaci di gestire in modo ottimale la risorsa più preziosa, l’acqua. Proprio questo fattore ha coinvolto due importanti partner, essenziali per la riuscita del progetto e per la gestione sana e responsabile in viticoltura dell’elemento: il Bacino imbrifero montano (BIM) Sarca-Mincio-Garda e MobyGIS, azienda trentina che si occupa di modellazione e ottimizzazione del ciclo dell’acqua. “Chi lavora quotidianamente la vigna – dichiara Carlo De Biasi, direttore generale di Cantina Toblino – nei prossimi anni dovrà compiere scelte decisive per affrontare al meglio le conseguenze del cambiamento climatico. Oggi abbiamo strumenti che ci permettono di mitigare gli effetti ambientali negativi sulla qualità di uve e vini. Possiamo fare analisi e studi di vocazionalità con strumenti all’avanguardia che permettono di sviluppare, ad esempio, la viticoltura in aree a quote altimetriche superiori alla media, al fine di preservare l’eleganza e la fragranza dei vini. Tutto questo ci permetterà nel prossimo futuro di migliorare la qualità delle uve attraverso una viticoltura innovativa, attenta, rigorosa e sostenibile”. Cantina Toblino aderisce al Progetto Impetus A cura di Giuseppe Petronio 
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22 Aprile, 2022

Lungarotti è #vinosostenibile

Nel mio percorso di racconto di vino sostenibile incontro un nuovo esempio e posso affermare con entusiasmo che Lungarotti è vinosostenibile Impossibile non aver mai sentito parlare di Lungarotti, azienda che rappresenta l’eccellenza enologica umbra, famosa per le importanti pagine scritte nella storia del vino. Ci troviamo a Torgiano, piccolo borgo rurale a pochi passi da Perugia e Assisi, nel cuore verde d’Italia, luoghi a cui sono molto legato avendo trascorso diversi anni di studi universitari proprio nella città di Perugia. Anche se molto conosciuta, è doveroso fare cenno alla storia di questa azienda. Un percorso che inizia negli anni ’60 con Giorgio Lungarotti, pioniere della moderna enologia italiana, e che prosegue oggi grazie all’impegno, la passione e la competenza dalle figlie Chiara e Teresa, mantenendo una forte impronta familiare basata sul rispetto dei valori che uniscono tradizione, storia e territorio. Occorre ricordare che fu grazie a Giorgio che, a partire dalla vendemmia 1962, anno in cui creò i suoi primi vini, Rubesco e Torre di Giano, la zona di produzione conseguì uno dei primi riconoscimenti a DOC italiani (Rosso e Bianco di Torgiano) nel 1968. Stessa importante sorte per il Rubesco Riserva Vigna Monticchio, Torgiano Rosso Riserva prodotto per la prima volta ne 1964 che divenne DOCG nel 1990. Giorgio, da sperimentatore ardito, accanto all’opera di recupero e valorizzazione dei vitigni autoctoni, procedette alla selezione e all’adattamento di nuove varietà nel territorio, seguendo e anticipando per molti aspetti le più moderne tendenze dell’enologia. Oggi Lungarotti oltre alla principale Tenuta di Torgiano, 230 ettari certificata VIVA, produce anche a Montefalco, con 20 ettari a conduzione biologica dal 2010. La certificazione di sostenibilità VIVA, come sappiamo, si basa sull’analisi di quattro indicatori previsti dal disciplinare: aria, acqua, vigneto e territorio. La Tenuta di Torgiano, nel 2018, è stata la prima ad ottenere in Umbria tale certificazione, nonché la nona in Italia, ed oggi continua ad essere certificata a seguito del recente rinnovo. I terreni aziendali sono condotti praticando una viticoltura attenta alla sostenibilità e alla biodiversità, oltre che alla valorizzazione dei vitigni autoctoni intervallati da varietà internazionali come Cabernet Sauvignon, Merlot, Chardonnay e Pinot Grigio, introdotte in Umbria da Giorgio Lungarotti sin dagli anni ’60 e ’70. In campagna è praticata una viticoltura attenta agli sprechi, puntuale e rispettosa dell’ambiente: alcune zone dei vigneti sono state mappate dall’alto con droni che hanno permesso di creare delle mappe di vigore che, interfacciandosi con trattori con guida satellitare muniti di GPS, consentono di intervenire con precisione aumentando o diminuendo la concimazione o l’apertura degli ugelli in caso di trattamento, consentendo di apportare alla pianta solo quanto a lei strettamente necessario; presenza di postazioni meteo dislocate nei vigneti che analizzano i dati climatici (temperatura dell’aria e del suolo, umidità dell’aria, pioggia, bagnatura fogliare, irradiazione solare, direzione e velocità del vento) fondamentali per la riduzione del numero dei trattamenti ai fini del controllo delle malattie delle piante, come oidio o peronospora; intelligente è la gestione delle risorse idriche, nel suolo. Sono infatti presenti dei sensori che verificano la disponibilità idrica del terreno al fine di ottimizzare la pratica dell’irrigazione di soccorso per le uve bianche. Proprio per questo impegno l’azienda è divenuta capofila del progetto MeteoWine, realizzato in collaborazione con l’Università di Perugia, per la raccolta dei dati climatici da utilizzare per l’elaborazione di modelli meteorologici. Un progetto che negli anni ha visto importanti implementazioni fino alla nascita di una Piattaforma Meteo Regionale che oggi rielabora i dati raccolti in tutta l’Umbria e costruisce modelli, con conseguenti previsioni meteo attendibili, fondamentali per elaborare un DSS (Sistema di Supporto alle Decisioni) per diminuire l’impatto dei trattamenti in agricoltura. Inoltre, nelle tenute di Torgiano e Montefalco non si utilizza il diserbo, ma si effettua un controllo meccanico delle malerbe, e la concimazione è rigorosamente organica, utilizzando il sovescio e il letame di chianina per preservare la biodiversità del terreno. Nel 2004 Lungarotti è stata scelta come cantina pilota a livello nazionale dal Ministero delle Politiche Agricole per realizzare il progetto “Energia della vite” ideato dal Centro Ricerche sulle Biomasse dell’Università di Perugia al fine di ricavare energia dagli scarti di potatura attraverso un impianto a biomasse. Molto importante è anche l’utilizzo di packaging sostenibile, nel febbraio 2021 per il Rubesco e per il Torre di Giano sono state introdotte le nuove bottiglie più leggere, già adottate in passato per quasi tutte le etichette di Lungarotti, che consentono di ridurre fino al 35% le emissioni di CO2. Importante è anche la generazione di energia per i propri consumi: nel luglio 2018 è stato installato un impianto fotovoltaico sulla copertura degli edifici aziendali che copre il 40% dei fabbisogni di energia con un risparmio di oltre 3.000 ton di CO2. Quest’ultima misura si accompagna all’efficienza nella scelta delle attrezzature, al momento di ogni un nuovo investimento infatti viene posta grande attenzione all’acquisto di attrezzature a ridotto consumo energetico. In ultimo, viene data grande importanza alla gestione del suolo, effettuando lavorazioni che evitano fenomeni di erosione o di costipazione, ed al mantenimento di boschetti naturali nei terreni aziendali che circondano i vigneti. Tantissime accortezze che si accompagnano ai piccoli gesti di comportamento quotidiano, nel risparmio energetico e nella gestione dei rifiuti. Fortissimo è quindi lo spirito che guida l’azienda all’attenzione verso la sostenibilità e la tutela dell’ambiente, con il pilastro della qualità legato a doppio filo al concetto che vede la terra come un bene ricevuto in prestito dai nostri figli, da restituire il più possibile integro ed intatto. Tutto questo impegno mette in secondo piano la qualità? Assolutamente no! Un esempio, dei tanti che si potrebbero fare, è il risultato conseguito dal Rubesco Riserva Vigna Monticchio 2016 arrivato primo nella classifica 2021 dei 100 migliori rossi italiani stilata dal mensile Gentleman. Il vino di punta di Lungarotti è risultato il migliore vino rosso italiano – ex aequo con il Bolgheri Sassicaia 2017 di Tenuta San Guido – incrociando e sommando i punteggi delle sei principali guide italiane. Oggi il Rubesco è una delle etichette umbre più famose nel mondo, orgogliosamente premiato, orgogliosamente green! Lungarotti è #vinosostenibile A cura di Giuseppe Petronio 
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25 Marzo, 2022

Vino in anfora: non chiamatela moda!

Non chiamatela moda! Le anfore, originarie della Georgia dove sono chiamate Qvevri, sono state utilizzate per secoli per la vinificazione, il trasporto e la conservazione del nostro amato vino e rappresentano il più antico recipiente utilizzato e poi diffuso in Italia dai greci e dagli etruschi. Senza dilungarci troppo sulla ricostruzione storica e sulle loro evoluzioni, quello che sappiamo oggi è che alcuni pionieri della vinificazione hanno fatto parlare molto dei risultati ottenuti tramite il loro utilizzo e così si sono succeduti negli ultimi anni diversi produttori che hanno saputo valorizzare l’utilizzo dell’anfora moderna e cogliere la potenzialità delle nuove tecnologie a disposizione. Ma quali sono le principali caratteristiche delle anfore moderne? Le anfore hanno una porosità paragonabile a quella del legno che permette la necessaria micro ossigenazione, utile per favorire l’evoluzione del vino e donargli struttura ed armonia, senza però modificare la composizione organolettica del liquido e senza fornire i tipici sentori del legno e della sua tostatura, rispettando e valorizzando le caratteristiche dell’uva nella sua pienezza. Altre caratteristiche delle anfore moderne sono: l’estrema possibilità di pulizia e lavabilità, non assorbono infatti nessuna particella del liquido che viene in esse contenuto, minimizzando quindi anche la possibilità di avere effetti indesiderati come ad esempio la proliferazione batterica; l’alta coibentazione e la grande capacità di mantenere una temperatura costante; la lunga durata e quindi una maggiore possibilità di riutilizzo nel tempo; le forme, che permettono moti convettivi continui che tendono a mantenere in sospensione ed agitazione continua le fecce, con una naturale movimentazione che si può assimilare a una sorta di batonnage continuo; infine, in alcuni casi, il design. Ecco le versioni di anfora moderna maggiormente utilizzate: anfora in ceramica: impasto ceramico cotto ad altissima temperatura, il caso principe su tutti quello del produttore Tava, in Trentino, che ha saputo reinventare l’attività di famiglia fiutando la giusta nicchia di mercato puntando su ricerca e qualità, con successo ormai consolidato e mondiale; anfora di cocciopesto: miscela di laterizi macinati, sabbia, legante cementizio, scarti lapidei, acqua, fibre di canapa e di cotone, che ripercorre quella tecnica utilizzata dagli antichi romani per creare le strade secondarie a partire dagli scarti. Su tutti l’esempio dell’azienda Drunk Turtle di Pisa; anfora in grès Clayver: anfora che prende il nome dall’azienda ligure che le produce, un contenitore ceramico studiato espressamente per Ia vinificazione, frutto di un lungo lavoro di ricerca e sperimentazione. Alcune aziende hanno già portato avanti alcuni progetti, certamente non più solo esperimenti o iniziative secondarie: Tenuta di Ghizzano, dopo un periodo di ricerca e sperimentazione, ha scelto i vasi vinari in Cocciopesto Drunk Turtle e in terracotta Tava per dare forma ad un nuovo progetto, Mimesi, concretizzato per ora in un primo Sangiovese in purezza DOC Terre di Pisa e un Vermentino in purezza IGT Costa Toscana. L’azienda, sulle morbide Colline Pisane a sud-est di Pisa e a circa 30 chilometri dal Mar Tirreno, segue i dettami dell’agricoltura biodinamica dal 2006. I vini Mimesi sono in perfetta linea con la filosofia dell’azienda: nati da vigne storiche, attraverso il recupero di metodi antichi riproposti in chiave moderna, e dopo un duro lavoro, hanno raggiunto una forte identità territoriale. Il Sangiovese matura per 14 mesi nel vaso vinario “Drunk Turtle” e il Vermentino trascorre 4 mesi in anfora di Terracotta Tava sulle fecce fini. Altra famosa azienda toscana, questa volta in Maremma, che ha scelto di utilizzare l’anfora, è Fattoria Le Pupille da cui nasce il vino omonimo, Le Pupille, 100% Syrah in edizione limitata, prodotto in circa 3.000 bottiglie per la prima annata, la 2015 e 4.700 bottiglie per la seconda annata, la 2016. Un vino che racconta una storia di duplicità: due sono le creatrici del vino (Elisabetta Geppetti e sua figlia Clara Gentili), due le vigne da cui nascono le sue uve, due le tecniche di vinificazione utilizzate. Le uve ricche di aromi e tannini delicati e dolci della Vigna del Palo sono vinificate in tonneaux aperti da 500 litri. Quelle provenienti dalla Vigna di Pian di Fiora, contraddistinte da una particolare florealità e una fitta trama tannica, preservano queste caratteristiche grazie alla vinificazione in orci di terracotta. Il blend ottenuto dall’unione delle due masse matura per circa 10-12 mesi in piccoli legni francesi da 300 litri di primo e secondo passaggio per poi affinare in bottiglia per altri 20 mesi circa. Altro esempio, questa volta più “speciale”, è quello di Cantina Kaltern (ve ne ho parlato qui) dove l’appassionato e competente enologo Andrea Moser utilizza le anfore contemporanee Clayver, per il suo Project XXX, nome che deriva da eXplore – eXperiment – eXclusive e identifica vini innovativi, unici, creati in edizione limitata. I primi vini prodotti sono un Pinot Grigio (“Mashed” – 666 bottiglie), che deve la propria struttura e il suo colore inconfondibile alle due settimane di macerazione nell’uovo di ceramica, mentre il secondo vino del Project XXX è un Cabernet Sauvignon Riserva (“One by One”) imbottigliato solo in bottiglie Magnum (150 bottiglie). Gli acini d’uva che hanno dato origine a questo vino, diraspati a mano uno per uno hanno infine fermentato e macerato in Tonneau. Entrambi i vini non sono stati filtrati. Ultimo esempio, quello di Podere Casaccia, progetto più recente che prende vita ad Anghiari, vicino Arezzo e il confine tra Toscana e Umbria. Il vino, BEBA 99, un blend di uve toscane (Sangiovese, canaiolo nero, colorino, aleatico, ciliegiolo) da vigne vecchie storiche poste in altitudine di 460 metri, riportate alla luce produttiva da Paola De Blasi e realizzato, anche in questo caso, insieme all’enologo Andrea Moser. Dopo le prime vinificazioni in legno, dall’annata 2020 è vinificato e fatto maturare in Anfora Tava testimoniando, rispetto alla parallela e precedente vinificazione in legno, tutta l’espressività storica del blend di uve toscane provenienti da vigne vecchie permettendo loro di esprimere tutte le proprie caratteristiche senza le modifiche indotte dal legno. Una scommessa di due amici enologi che, intrecciando tecnica e sentimento, hanno portato avanti la loro idea per tirare fuori l’anima di viti storiche. Molto bello anche il significato del nome, BEBA è il soprannome della nonna di Paola che in corrispondenza della prima vinificazione ha compiuto 99 anni. Le anfore permettono quindi di avere una maggiore pulizia al naso ed al palato, esaltando la naturalezza del vitigno. Ciascun vino è frutto della volontà di un produttore, di un enologo, di un cantiniere oltre che della peculiarità del vitigno, del terreno, del microclima e di fattori esterni come ad esempio l’andamento meteorologico dell’annata. Non esiste certo una ricetta unica e predefinita, ed è forse per questo che ci si innamora di questo mondo. Quello che è certo è che la tendenza all’utilizzo di queste anfore moderne crescerà sempre più e farà esprimere sempre meglio i vitigni, esaltandone le caratteristiche. Prepariamoci quindi a vederle sempre più spesso durante le nostre visite in cantina e a goderne i risultati nei nostri calici! A cura di Giuseppe Petronio 
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25 Febbraio, 2022

Castello Vicchiomaggio è #vinosostenibile

Nel mio percorso di scoperta nel mondo del vino Castello Vicchiomaggio è una realtà che per molti aspetti ha lasciato il segno. Adagiato in cima ad una collina dominante la Valle di Greve in Chianti, Vicchiomaggio rappresenta una straordinaria tappa per chi ama il vino, l’enoturismo, la storia e la bellezza. Il nome della cantina deriva proprio dall’antico Castello, una location unica, con una meravigliosa piscina a strapiombo sui vigneti e un fantastico ristorante. Il Castello è il cuore della tenuta che si estende per 140 ettari di cui 34 coltivati a vigneto, 10 ad olivo ed il restante è parco. Tra le varietà coltivate spicca su tutti il Sangiovese, uva tradizionale e fondamentale per la produzione del Chianti Classico. Sono presenti, però, altri vitigni di varietà internazionale quali il Merlot e Cabernet Sauvignon utilizzate in particolare per la produzione di vini rossi IGT. Un terroir caratterizzato da un clima mediterraneo e dal tipico terreno ricco di argilla e pietre grandi, il cosiddetto Galestro, il tutto in un in una cornice naturale incantevole. Particolare attenzione è rivolta all’esposizione dei vigneti, sono infatti tutti rivolti verso Sud per garantire la massima esposizione solare durante tutta la giornata. La storia di questa azienda nel settore del vino inizia da lontano. Nel 1921 Federico Secondo Matta, dopo aver lavorato nella ristorazione, crea una grande società di importazione di vini nel Regno Unito. Imprenditore affermato, Federico acquista Castello Vicchiomaggio e, nel 1970, suo figlio John Matta inizia il percorso nella produzione di vini, avendo a cuore l’agricoltura tradizionale sostenibile, il rispetto del territorio e la qualità derivante delle basse rese. L’utilizzo del legno di affinamento, che John introduce in azienda, regala eleganza e longevità ai vini prodotti. Assistito da Paola, sua moglie, e dalle figlie, l’azienda è oggi a completa conduzione familiare e produce vini intriganti, con diversi stili, sempre con l’attenta e indelebile firma enologica di John. Ed è proprio una delle figlie di John, Victoria, oggi pienamente dedicata alla gestione della cantina, che mi racconta come tra le tante attenzioni e la cura dei dettagli per i vini e l’accoglienza, non può essere trascurato il fattore che ospita tutti noi su questa terra: l’ambiente. Per questo motivo Castello Vicchiomaggio ha aderito al progetto VIVA, conseguendo la certificazione di sostenibilità nel marzo 2021: una cantina storica, pluripremiata e celebrata dai maggiori critici del vino, non può trascurare il rispetto per l’ambiente e la sostenibilità nelle proprie azioni. Il progetto VIVA va a misurare la performance di sostenibilità della filiera vite-vino, a partire dal calcolo delle impronte dell’acqua e del carbonio (Water and Carbon footprint), ed è promosso dal Ministero della Transizione Ecologica. Victoria mi racconta come la decisione di iniziare il percorso VIVA ed ottenere la certificazione è stata presa proprio perché questa, nello specifico, abbraccia l’azienda nella sua totalità e non si occupa soltanto delle attività svolte in vigna. L’impegno aziendale è quindi completo. Molti i progetti già realizzati e quelli in cantiere: per la raccolta dell’acqua piovana, ad esempio, sono state installate 13 vasche da 100hl la cui acqua è utilizzata per l’irrigazione del giardino del castello, le acque provenienti da altre 8 vasche da 50hl vengono invece utilizzate per pulire i macchinari della vigna. Per quanto riguarda l’agriturismo è in previsione per la nuova stagione l’installazione di una colonnina per la ricarica delle auto elettriche al fine di favorire la mobilità sostenibile. I tetti del Castello non possono accogliere pannelli solari per motivazioni derivanti dalla regolamentazione paesaggistica, essendo dimora storica, tuttavia sono forti le volontà di conseguire la migliore ottimizzazione dei consumi nell’ottica dell’efficienza. L’impegno per la biodiversità è accresciuto ogni in anno piantando a Vicchiomaggio piante mellifere, in vigna inoltre viene praticato il sovescio per aumentare la sostanza organica naturale del terreno e la gestione delle malerbe viene effettuata con il solo utilizzo di macchinari, senza ricorrere quindi a prodotti chimici. La conduzione dell’oliveto è biologica: oltre al vino infatti viene effettuata una piccola produzione di olio extra vergine di oliva e IGP dalle 600 piante di olivo presenti in azienda. “Il territorio per noi è sempre stato fondamentale”, mi racconta Victoria, ”ed è per questo che lavoriamo in termini di salvaguardia e di sostenibilità per far sì che anche le generazioni future godano di certi luoghi.  La promozione della sostenibilità è quindi importante strumento di protezione del territorio e leva per la sua valorizzazione. Ciò è fattibile, credo, solo con una unione tra le aziende ed è per questo motivo che insieme ad altri viticoltori della zona abbiamo fondato l’associazione dei Viticoltori di Greve in Chianti che ha tra i suoi obiettivi quello della sostenibilità (che viene rappresentata anche nel logo).” Impossibile non ritrovarsi nelle parole di Victoria, che conclude: “Non si può pensare di fare vino senza sostenere e valorizzare l’ambiente che quel vino ci ha donato. Il nostro impegno verso l’ambiente è legato anche, tutti i giorni, con l’impegno nel preservare il castello, ha oltre 1000 anni di storia è quindi nostro compito custodirlo.” La salvaguardia della storia e della tradizione si intrecciano con qualità, ricerca dell’eccellenza, innovazione e amore per l’ambiente, tutto contornato dalla la possibilità di vivere in azienda un’esperienza enoturistica unica…. eccovi la dimostrazione del perché Vicchiomaggio ha lasciato il segno nel mio percorso di scoperta nel mondo del vino. Vicchiomaggio è #vinosostenibile A cura di Giuseppe Petronio 
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26 Gennaio, 2022

Eccellenza Toscana

Nel panorama dei numerosi shop online è sempre più importante distinguersi e puntare sulla qualità e sull’unicità dell’offerta: Eccellenza Toscana raccoglie le tipicità toscane portando la genuinità dei piccoli produttori sulle nostre tavole. Come fa? Semplicemente selezionando e mettendo in connessione i piccoli artigiani locali, che altrimenti non riuscirebbero a distribuire i loro prodotti, con una platea di appassionati di prelibatezze culinarie e tipicità enogastronomiche toscane, facendo in modo che si possa acquistare direttamente da loro nel modo più smart. L’ordine effettuato sul sito Eccellenza Toscana viene inviato subito al produttore che prepara direttamente il pacco e lo invia tramite corriere, in questo modo in circa 2/3 giorni lavorativi dal giorno di spedizione il pacco viene consegnato, garantendo altissima qualità artigianale e freschezza, con la massima cura e attenzione al cliente che può seguire il tracciamento in ogni istante e avere assistenza continua. I produttori presenti su Eccellenza Toscana hanno in comune la filosofia di produzione artigianale locale portata avanti con amore e passione per la cultura e la tradizione Toscana, sono frutto di un’accurata scelta di artigiani contraddistinti dal possedere una filiera corta e dall’avere una scrupolosa selezione delle materie prime, dando sempre la priorità alla massima qualità del prodotto finale. Dietro questo progetto c’è l’idea di due amici che, con l’intento di valorizzare i prodotti tipici toscani di piccole aziende artigianali, si sono impegnati a promuovere in Italia e all’estero l’eccellenza del meticoloso lavoro dei produttori toscani, testati e di fiducia, mettendo in risalto anche le differenze territoriali delle varie zone della regione. A questo si aggiunge tanto cuore e gentilezza nel condividere l’esperienza enogastonomica della propria terra. Ma cosa si può trovare sul sito? Direi che è un paradiso per chi come me è appassionato dei prodotti toscani! Si va dagli alcolici, con vini, birre, grappa e distillati, passando poi ai condimenti come olio e salse, dolci tipici della tradizione, cioccolato e confetture artigianali, tipicità salate (ad esempio pasta, prosciutti, formaggi, salumi, sbriciolona, porchetta, lardo, ecc.), passando poi alle farine ed allo zafferano… insomma non manca proprio nulla e le chicche sono davvero tantissime! Li trovate su https://eccellenzatoscana.eu/ , Instagram e Facebook. A cura di Giuseppe Petronio 
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