Diario di un sommelier

Diario di un Sommelier è la rubrica curata da Giuseppe Petronio, amante del vino e sommelier per passione, noto su Instagram come @peppetronio, in cui racconta in modo originale il mondo del vino, i propri assaggi e le esperienze che vive, selezionando le cantine che più lo colpiscono e mettendo sempre avanti i rapporti umani.

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20 Giugno, 2023

Castelfeder: la buona viticoltura richiede tempo.

Castelfeder: la buona viticoltura richiede tempo. Lo scorso 12 e 13 marzo si è tenuto il Team’s day, evento organizzato dalla famosa agenzia di fornitura Horeca Macoratti a Roma nell’elegante cornice di Villa Appia Antica, per presentare agli addetti e agli appassionati le prestigiose etichette trattate dall’agenzia. In occasione di questo evento ho avuto il piacere di avere, otre a tantissime conferme, anche tante piacevoli scoperte: una di quelle che mi ha colpito per qualità e fascino è stata Castelfeder. Come tutti sappiamo la buona viticoltura richiede tempo: dalla fondazione della cantina Castelfeder nel 1969 ad opera di Alfons Giovanett ad oggi sono passati oltre 50 anni. Esperienza e disciplina accompagnati dall’energia della conduzione familiare sono alla base di questa storia unica e di successo. Il vino non è improvvisazione e l’esperienza di questa cantina nel tempo ne è testimone. La cantina infatti, ormai giunta alla terza generazione, manifesta la sua essenza in una simbiosi di tradizione e spirito pionieristico: “Siamo ad un ottimo punto nella storia dell’industria vinicola altoatesina, ora tocca a noi aumentare la consapevolezza della nostra azienda, lavorare costantemente sulla qualità dei vini e non perdere di vista la tradizione“: affermano Ines e Ivan Giovanett, rappresentanti della giovane generazione della famiglia. Una realtà completa, che ha visto nel tempo consolidare la qualità passando per il completamento dell’assortimento produttivo, la modernizzazione dei processi in cantina frutto di esperienza, e l’internazionalizzazione dei mercati. Ma l’occhio è anche rivolto al prossimo futuro, è doveroso infatti porre il proprio sguardo verso le generazioni a venire e, per questo, sono stati effettuati importanti investimenti nella sostenibilità di tutta la catena produttiva. Alto Adige significa 300 giornate di sole con un territorio protetto dalle Alpi del Nord ma allo stesso tempo presidiato dal clima mediterraneo a Sud, grandi escursioni termiche che rendono vivace e dinamica la produzione. In totale, oggi vengono lavorate dalla cantina altoatesina uve provenienti da 70 ettari di vigneti, di cui circa il 70% sono vitigni bianchi con focus su Chardonnay, Pinot Bianco, Pinot Grigio e Sauvignon. Il restante 30% è di uve rosse e qui il Pinot Nero è chiaramente in primo piano. Dal costante impegno di migliorare e voler produrre solo vino di alta qualità, nel 2018 è stato lanciato il nuovo progetto Pinot Nero che si concentra sui 3 vigneti Buchholz, Glen e Mazon, con ciascuna etichetta che valorizza le singolarità dei vari appezzamenti, ponendo l’accento su ciò che li accomuna, ciò che li contraddistingue e il modo con il quale da queste tre zone particolari si sviluppano tre vini autentici. Nel 2022 la tenuta ha raggiunto altri due grandi traguardi: i 30 anni di produzione “Burgum Novum”, linea di eccellenza di Castelfeder fondata da Günther Giovanett nel 1989, e il lancio del nuovo vino “Kreuzweg” – uno Chardonnay Riserva “Family Reserve”, punta della piramide qualitativa Castelfeder che rappresenta al meglio il suo terroir ed è disponibile solo in edizione limitata di 1.400 bottiglie. La nuova “Family Reserve” aggiunge ulteriore unicità alla selezione di Castelfeder, e non solo, è espressione della storia di famiglia e la qualità che accompagna la cantina fin dall’anno della sua nascita. Vi assicuro che Castelfeder rappresenta una storia di successo… una cantina che, con i suoi primi 50 anni di passione ed esperienza, di intenso lavoro e di vini con un carattere speciale è assolutamente da non perdere! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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15 Maggio, 2023

Château Dauzac: qualità biodinamica

Château Dauzac: qualità biodinamica  Cari amici oggi facciamo un giro fuori dall’Italia, per noi amanti del vino è impossibile non rivolgere lo sguardo anche nella nostra vicina e prestigiosa Francia. Vi parlo di Château Dauzac, produttore di Margaux ”Grand Cru Classé” secondo la classificazione del 1855, una cantina che ha il privilegio di avere un vigneto in un unico blocco di 49 ettari: 45 ettari con la denominazione Margaux e 4 ettari con la denominazione Haut-Médoc. Situata vicino all’estuario della Gironda, la cui influenza sull’ecosistema del vigneto è fondamentale, la proprietà è protetta dai venti dell’oceano grazie all’abbraccio di 120 ettari di prati e boschi. Una storia che affonda le radici molto lontano nel tempo, risalgono infatti al 1190 le informazioni relative al primo proprietario, Pétrus d’Auzac, che ricevette la terra direttamente da Riccardo I Cuor di Leone. Nel 1545 i monaci benedettini dell’abbazia di Sainte-Croix de Bordeaux furono i primi a menzionare, nei loro registri, la tenuta “Bourdieu” de Dauzac, menzionando la casa colonica con un vigneto. Già a fine del 1600 Château Dauzac diviene noto tra i migliori vigneti del Médoc riuscendo poi più avanti ad assicurarsi il riconoscimento della tenuta nella classificazione del 1855 come ”Grand Cru Classé”. Nel 1924 la famiglia Johnston rilevarono lo Château e introducendo la prima e attuale etichetta gialla, per passare poi alla famiglia Bernat, che lo rileva nel 1939 aprendo le porte della termoregolazione: per regolare la temperatura dei tini il proprietario ebbe infatti l’idea di utilizzare dei blocchi di ghiaccio durante la fermentazione. Si avvicendarono poi altre proprietà portando negli anni 2000 alla costituzione di una nuova cantina a gravità, utilizzando i primi tini di legno con doppie doghe trasparenti, acquisendo know-how per la selezione e la moltiplicazione dei lieviti indigeni dai vigneti di proprietà. Nel 2017 su un appezzamento dei più grandi terroir della denominazione Margaux, Château Dauzac ha ripiantato viti a piede franco di Cabernet Sauvignon da selezioni massali dei migliori vitigni della proprietà, con l’obiettivo di ricreare il sapore originale di questo emblematico vitigno del Médoc. Nel 2020 si insedia la proprietà della famiglia Roulleau. Château Dauzac è impegnato in un’agricoltura altamente integrata che utilizza solo fertilizzanti organici, inoltre, il controllo ecologico delle tignole della vite introdotto circa 20 anni fa, ha eliminato la necessità di utilizzare insetticidi. Su alcuni appezzamenti viene coltivata l’erba per regolare meglio ‘approvvigionamento idrico. Si sta inoltre passando ai principi della viticoltura biodinamica: lo Chateau utilizza due principali preparazioni in questo ambito. La prima è il concime di corno noto come “500”. Durante il periodo invernale viene inserito letame bovino di qualità nelle corna di vacca che vengono poi vengono poi poste nel terreno sdraiate in modo che possano assorbire tutta l’energia della terra. Questa concimazione, quando è ben preparata, ben conservata e ben applicata, è di primaria importanza, perché si rivolge al terreno e alle radici delle piante. La seconda è il Silice “501”, complementare al corno letame. Non si rivolge infatti al suolo bensì alla parte aerea della vite, agendo durante il suo periodo vegetativo. Si compone di farina di quarzo impastata con acqua, anche in questo caso inserita nelle corna, che poi vengono riempite con argilla (proveniente da Dauzac). Questa preparazione favorisce l’equilibrio vegetativo, favorendo l’ottimale esposizione luminosa alla vite e attenuando il rischio di malattie. In linea con la tradizione del Médoc, il vigneto ha una densità di impianto di 10.000 ceppi per ettaro è composto da 69% Cabernet Sauvignon, 29% Merlot e 2% Petit-Verdot. Le rese sono naturalmente limitate da una rigorosa politica di coltivazione, attuata a monte, quindi non è necessaria la potatura verde. Il lavoro di ricerca negli ultimi 30 anni, con l’applicazione di nuove tecniche, ha permesso ai vigneti di proprietà di produrre uve complesse e di qualità superiore coltivate su parcelle omogene. Vengono anche utilizzate tecniche di agricoltura di precisione con la presenza di sensori e stazioni meteorologiche per ogni unità di territorio. Se ne ricavano vini di qualità eccelsa, pienamente godibili, eleganti e allo stesso tempo ricchi di carattere e intensità. La qualità e il rispetto dell’ambiente fanno sì che questa sia una cantina da non perdere per nessun motivo!! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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26 Aprile, 2023

Roberto Sarotto: il Piemonte da non perdere

Roberto Sarotto: il Piemonte da non perdere Cari amici lettori, ormai sono anni che seguo il mondo del vino e molto spesso capita che qualcuno mi chieda in privato cantine che consiglio per qualità, intensità dei vini e piacevolezza… e una che indico sempre è la cantina piemontese Roberto Sarotto! La storia di questa azienda ha inizio nel 1820, quando Giuseppe Sarotto, capostipite della famiglia, da Barbaresco giunge a Neviglie, provincia di Cuneo, dove l’azienda ha sede. Oggi essa conta oltre 90 ettari vitati tra le Langhe del Barolo e del Barbaresco (Neive), il Monferrato e Gavi, con una produzione di molte referenze e circa 1 milione di bottiglie, con ampia distribuzione all’estero. Giuseppe Sarotto è il capostipite di una lunga storia di famiglia, egli è infatti il primo ad intraprendere l’attività vitivinicola, seguito poi dal figlio Giovanni e nipote Luigi Giovanni. La produzione in origine è limitata al solo Dolcetto, che viene negoziato sia sul mercato locale che esportato all’ingrosso in Inghilterra. Nei primi anni ’40, con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale e della Fillossera, il settore entra in crisi e l’attività subisce un drastico arresto. Prende poi in mano l’azienda la generazione successiva, con Angelo, determinato a proseguire l’attività di famiglia, lavorando a vigneti la terra ricevuta dai genitori. Grazie al fondamentale supporto della moglie Maria, le coltivazioni si ampliano verso nuove varietà di uva, come il Moscato, Freisa e Barbera. Nel 1984 Roberto, il figlio di Angelo, si diploma alla prestigiosa scuola enologica di Alba, prospettando un nuovo inizio per l’attività di produzione vinicola che si era fermata anni prima. Sette anni più tardi, l’acquisto di una proprietà di 20 ettari in Barolo costituisce un punto di svolta per lo sviluppo dell’azienda, che entra a far parte della cerchia dei produttori più rinomati del Piemonte e che prosegue l’espansione. In pochi anni vengono annessi vigneti nei più importanti cru del comune di Neive, aggiungendo così il Barbaresco alla propria gamma. Intorno ai primi anni ’90, Roberto e sua moglie Aurora, spingono le loro ambizioni ancora più lontano, precisamente nella zona di Gavi, dove verrà in seguito istituita la cantina secondaria. Oggi l’azienda, oltre ad espandersi territorialmente, vede la nuova generazione partecipare attivamente alle attività aziendali, con i figli di Roberto e Aurora, Enrico ed Elena, ed ha visto un grande progresso tecnologico con l’entrata in funzione, nella stagione vendemmiale 2021, del nuovo reparto pigiatura della Roberto Sarotto, composto da due tramogge con circuiti di trasporto dell’uva distinti e gestibili dal quadro sinottico. Sono state inoltre installate tre presse pneumatiche, di cui una in grado di operare in atmosfera di azoto, un sistema che riducendo al minimo l’ossidazione dei mosti riduce l’utilizzo di solfiti e che rappresenta una delle più innovative in Italia. È evidente a tutti come la conduzione familiare sia uno dei plus di questa azienda, che si fregia tra le altre cose di due aspetti molto interessanti e curiosi. Il primo che vi racconto è il conseguimento da parte loro della certificazione del GUINNESS WORLD RECORDS per la Botte di rovere più grande del mondo inaugurata lo scorso luglio nella cantina di Naviglie. Realizzata in rovere di Slavonia dalla ditta G. & P. Garbellotto S.p.A. di Conegliano Veneto, la Botte è alta all’incirca 5,3 metri per un diametro di 4,70 metri e una profondità di 3,70 metri., ed è dedicata “Ai fondatori” della cantina: i genitori Angelo e Maria, pionieri del successo di quello che, nell’arco di 70 anni, è diventato un brand apprezzato a livello nazionale e internazionale. La messa in opera della Botte ha impegnato una decina di operai per due settimane e le sue capacità sono di 478 ettolitri di vino, inaugurando la sua attività con il Barolo della vendemmia 2016, una delle migliori degli ultimi anni. La Botte più grande del mondo è parte integrante di un progetto di solidarietà, la Riserva dei Fondatori che ne deriverà contribuirà infatti ad alimentare la ricerca scientifica contro i tumori, tema che vede in prima fila Ivana Sarotto, sorella di Roberto, da molti anni ricercatrice all’Istituto di Candiolo. Secondo aspetto che mi fa piacere segnalavi è l’apertura a partire da febbraio di quest’anno del nuovo Museo interattivo Roberto Sarotto ad Alba, con un percorso che prevede un tour auto-guidato, che il visitatore potrà seguire scaricando la guida digitale, disponibile in diverse lingue, direttamente sul proprio cellulare. Il Museo Roberto Sarotto costituisce il punto d’incontro di ciò che è la storia della famiglia, con la realtà odierna della cantina e coloro che ne rappresentano il futuro, completando l’esperienza del visitatore che vuole approfondire la conoscenza dell’azienda oltre i suoi prodotti. Lo spazio, situato nella suggestiva sala sotterranea del Punto Vendita, si compone di una parte espositiva delle annate storiche e dei grandi formati dei vini più pregiati dell’azienda, immagini d’epoca, mostra dei territori da cui nascono i vini dell’azienda con una video-presentazione della zona e, infine, una cabina sensoriale in cui il visitatore viene trasportato nel mondo della cantina Roberto Sarotto attraverso le voci e le interviste dei suoi componenti e collaboratori. Passando ai vini, sono tantissime le referenze di questa azienda che conta poco meno di 40 etichette, oltre ad invitarvi a vederle sul loro sito, ve ne elenco alcune tra spumanti, celebri denominazioni e classici vitigni piemontesi, Alta Langa, Arneis, Gavi, vitigni internazionali come lo Chardonnay, Dolcetto, Barbera, Nebbiolo, Barolo, Moscato, Brachetto, e distillati… ma ve ne consiglio tre per questa primavera/estate: visto che il periodo freddo è alle spalle ma non bisogna mai tralasciare la presenza di un grande vino rosso, non dovete perdervi il “Currà”, Barbaresco DOCG Riserva, da uve Nebbiolo coltivate nella limitata e omonima area di produzione, è un vino complesso, di carattere e di grande armonia, con uve che seguono una macerazione a freddo con successiva fermentazione per 10 giorni, ed un affinamento per 2 mesi in inox, per poi passare 14 – 15 mesi in botti di rovere, quindi ancora 6 mesi in inox, 6 mesi in bottiglia; con l’arrivo delle belle giornate vi suggerisco “Impuro”, Piemonte DOC Chardonnay, un blend speciale con lo Chardonnay (85%) a cui si aggiunge il Sauvignon Blanc, un assemblaggio che avviene nel momento in cui entrambi i vini hanno completato la fermentazione. Bouquet intenso, complesso, di grande eleganza, vinificato in bianco con macerazione pellicolare e lunga permanenza sui lieviti, che affina per 6-8 mesi in acciaio; non possono, infine, mancare le bollicine, “Ivy” è un Vino Spumante Bianco Brut, dedicato a Ivana, sorella di Roberto, ed è il primo Spumante prodotto da Roberto Sarotto. Una selezione di uve Chardonnay 40%, Pinot Nero 40% e Cortese 20% spumantizzate con metodo Martinotti, con lunga permanenza del vino sulle fecce della stessa rifermentazione per 12 mesi, conferendo struttura e corpo uniti alla freschezza caratteristica del metodo. Con questo articolo vi ho lasciato davvero una vera e propria dritta su una cantina che dev’essere assolutamente tra i vostri prossimi acquisti, consigliatissima!!! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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6 Aprile, 2023

Casale dello Sparviero: forza ed eleganza in grande stile toscano

Casale dello Sparviero: forza ed eleganza in grande stile toscano  Cari amici lettori, come tutti sappiamo le degustazioni sono sempre una meravigliosa occasione per conoscere, approfondire e scoprire aspetti e realtà del nostro amato mondo del vino. Lo scorso febbraio ho avuto il piacere di partecipare alla presentazione del libro di Armando Castagno “Castellina in Chianti – territorio, vino, persone” scritto per raccontare lo splendido territorio che accoglie poco meno di 40 produttori facenti parte dell’associazione Viticoltori di Castellina in Chianti. In questa cornice meravigliosa ho avuto il piacere di scoprire Casale dello Sparviero che con la sua qualità ha saputo sin da subito colpirmi e farmi incuriosire. Assolutamente non trascurabili le dimensioni dell’azienda che si colloca nell’incantevole paesaggio collinare del Chianti Classico senese, come detto siamo appunto tra i comuni di Castellina in Chianti e di Poggibonsi, e si estende complessivamente su circa 380 ettari, di cui 90 di vigneti situati ad un’altitudine ottimale per la produzione dei grandi vini toscani di qualità di circa 250 metri. Un terroir unico rende unico il Casale dello Sparviero che grazie alla sua estensione riesce ad avere la propria produzione su suoli variegati alternando zone sabbiose a zone argillose, con la costante presenza di scheletro, un contesto variabile e valorizzato al meglio. Una realtà che nasce 1972 per volontà dell’imprenditore padovano Olindo Andrighetti, che intuisce le potenzialità dei grandi rossi toscani delle colline del Chianti. La prima geografia della tenuta è ben diversa da quella odierna e vede al centro il nucleo di Campoperi con il bosco, i terreni adibiti a seminativo e l’oliveta che fanno da contorno alle vigne di Sangiovese. Il 1996 rappresenta invece l’anno della svolta: la Campoperi acquisisce la tenuta confinate di Casale, che viene adibita a nuovo centro operativo e produttivo, dando vita al Casale dello Sparviero. Lo stesso anno vede inoltre un passaggio di consegne tra il padre Olindo e la figlia Ada che, con una serie di investimenti mirati, avvia un processo di rinnovamento dei vigneti e di tecnologizzazione della cantina, al fine di rendere l’azienda un’eccellenza del territorio. L’azienda crede fortemente nel rispetto della natura e delle tradizioni, senza trascurare il tocco innovativo e il carattere internazionale: la produzione si concentra infatti su diversi cloni di Sangiovese, sul Canaiolo e Pugnitello, in continuità con la tradizione che agisce come perfetto complementare, ma nell’area all’esterno dei confini della denominazione sono stati introdotti gli internazionali Merlot e Cabernet Sauvignon, il tutto nel rispetto dell’ambiente e dei suoli con la minimizzazione degli interventi in vigna, nel tenere bassa la resa per ettaro del vigneto, nella simbiosi tra la natura e gli animali del territorio, nel profondo rispetto della biodiversità. Forte di un credo basato sul rispetto della natura e di una profonda sinergia tra uomo e ambiente, Casale dello Sparviero dalla vendemmia 2016 ha dato il via al processo di conversione in agricoltura biologica, arrivando ad avere la vendemmia 2019 come prima a fregiarsi della certificazione e una completa produzione biologica dal 2022. Molto legata al Casale la scelta del nome e del simbolo dell’azienda: Lo Sparviero, elegante rapace, nidifica da tempo immemore all’interno della tenuta ed in special modo all’interno delle buche pontaie del Casale stesso, dove è possibile ammirare le nidiate dei nuovi nati in primavera. Forza ed eleganza sono le caratteristiche principali di questo nobile volatile, che ben rappresentano lo stile dei vini qui prodotti e rafforzano il legame con il territorio. Tra i vigneti presenti in azienda il più antico è quello di Paronza, le cui tracce storiche risalgono al 1169. È da qui che si ottiene la punta di diamante di Casale dello Sparviero, ovvero il Chianti Classico Gran Selezione Paronza, da suoli di argillosi, questa collina è stata individuata nel 1997 come quella destinata alla produzione dell’eccellenza aziendale. Molte altre sono le produzioni di qualità di questa azienda: Chianti Superiore, Chianti Classico e Chianti Classico Riserva, il Bianco di Casale dello Sparviero (50% è Vermentino, la parte restante Malvasia e Trebbiano), Rosato (da uve Sangiovese) e l’IGT Toscana rosso (Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Merlot). Vino dallo stile inconfondibile che riescono a coniugare forza ed eleganza in pieno stile toscano, da non perdere assolutamente! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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25 Marzo, 2023

Michele Taliano, eccellenza e tradizione tra Roero e Barbaresco

Michele Taliano, eccellenza e tradizione tra Roero e Barbaresco La storia della cantina parla di famiglia e di vino sin dal 1930, una storia che parte da lontano e arriva al presente con tantissima passione e dedizione alla terra e alla qualità. In quegli anni nasce l’azienda agricola con Domenico Taliano, proveniente da una famiglia da sempre dedita ai lavori in vigna e nei campi, conosciuta in paese con il soprannome “Re Cit” che significa “piccoli re”. L’idea di espandere l’attività aziendale nelle Langhe inizia però con Michele Taliano, una volta presa in mano la gestione delle vigne in eredità: inizialmente i vigneti infatti erano tutti compresi all’interno del comune di Montà, zona del Roero, ma nel 1974 l’azienda cresce grazie alle idee di Michele che acquisisce una cascina di circa 5 ettari di terreno nel crù Montersino a San Rocco Seno d’Elvio, frazione di Alba ricompresa insieme ai Comuni di Barbaresco, Neive e Treiso nella DOCG Barbaresco. A metà degli anni ‘90 i figli di Michele, la nuova generazione composta da Alberto e Ezio, rilanciano l’azienda modificandone le metodologie di produzione dell’uva e di affinamento del vino e acquisendo altri terreni nel Roero, proseguendo le innovazioni seppur mantenendo sempre fissa la tradizione e alta la vocazione a creare prodotti di qualità. Oggi la proprietà si estende per 15 ettari, 3 ettari circa di nebbiolo da Barbaresco, 1,5 barbera, e i restanti nel Roero, in particolare circa 4 ettari si trovano in località Bòssora in un contesto naturale che forma uno splendido anfiteatro naturale circondato da boschi e gole cui si accede con difficoltà percorrendo un sentiero sabbioso. La produzione è fortemente legata al territorio, con i nomi dei vini derivano dal connubio tra fantasia e recupero di parole del dialetto tradizionale. Le bottiglie prodotte sono circa 70.000, di cui circa sole 5.000 di Barbaresco, vini classici della tradizione come Roero Arneis, Favorita, Barbera, Dolcetto e Nebbiolo; vini denominati “Fantasia” che vedono i vitigni autoctoni affiancati da vitigni internazionali come il Sauvignon Blanc e Cabernet Sauvignon; la linea “Alta Gamma” composta dai due Barbaresco (Ad Altiora e Tera Mia Riserva), Roero Riserva e Barbera d’Alba Superiore; per concludere poi con i vini dolci come il Birbet (derivante dalla vinificazione di uve Bragat Rosa) e Moscato d’Asti. È proprio vera la frase di Robert Louis Stevenson: “il vino è poesia imbottigliata”. Alcuni vini infatti evocano emozioni e sensazioni che sanno ispirare, rendere creativi, catturare i pensieri o semplicemente farci migliorare l’umore e passare una meravigliosa serata. È questo il caso del Barbaresco Riserva Tera mia, da uve 100% Nebbiolo della zona di Montersino allevato su suoli calcarei, vinificato secondo tradizione con macerazione delle uve, e fatto maturare per ben 48 mesi in legno (in parte grande e in parte barrique) per renderlo pienamente godibile subito e donargli longevità per chi ha la capacità di attendere. Dopo averlo versato e fatto roteare il calice si dipinge di archetti, un colore che lascia penetrare la luce e che si illumina, colore leggero, aranciato e sfumato. Maturo e coerente nei suntuosi profumi di piccoli frutti rossi balsamici, avvolti da uno sfondo mandorlato e una retrolfattiva di dolce vaniglia. Fitta trama tanica al sorso pone avanti il suo carattere con vivavità e croccantezza invitando ogni volta al sorso successivo, che scalda ogni volta il palato. Lungo il finale speziato. Un vino e una cantina che rappresentano la tradizione e l’eccellenza, da provare assolutamente! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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16 Marzo, 2023

Fattoria Lornano, storia e qualità sostenibile

Fattoria Lornano, storia e qualità sostenibile Lo scorso 22 febbraio a Roma, in occasione della presentazione del libro di Armando Castagno “Castellina in Chianti – territorio, vino, persone” scritto per raccontare lo splendido territorio che accoglie poco meno di 40 produttori facenti parte dell’associazione Viticoltori di Castellina in Chianti, ho avuto l’occasione di partecipare alla splendida degustazione che mi ha fatto incontrare realtà storiche come Fattoria Lornano, notevole per qualità e filosofia produttiva. Una lunga storia alle spalle di Lornano, un’azienda agricola di proprietà della stessa famiglia dal 1904, situata sulle colline a sud est di Castellina in Chianti, sul confine tra Castellina e Monteriggioni, membra del “Consorzio del Marchio Storico Chianti Classico Gallo Nero” sin dalla sua fondazione avvenuta nel 1924. La cantina fu edificata attorno all’antica chiesa di Lornano nel XV secolo e la forma dell’attuale struttura, che oggi accoglie la produzione e l’attività agrituristica, risale alla seconda metà del XVIII secolo. La proprietà si estende per oltre 180 ettari di cui 70 sono vitati, su terreni caratterizzati da differenti suoli e microclimi, ad un’altitudine media di 300 m s.l.m.. L’80% dei vigneti è costituito da 15 differenti cloni di Sangiovese, accuratamente selezionati, che esprimono tutti i caratteri autentici di questa antica e incredibile uva che rappresenta l’anima della Toscana. Il restante 20% è coltivato a Merlot, Cabernet Sauvignon, con una piccola percentuale di uve bianche di Trebbiano e Malvasia, usate per la produzione del famoso Vin Santo del Chianti Classico DOC, creato secondo le più tradizionali tecniche che lo rendono un prodotto davvero prezioso. In azienda vengono vinificate esclusivamente le uve provenienti dei vigneti della tenuta in una moderna cantina con vasche in acciaio a temperatura controllata ed i vini prodotti affinano in botti di rovere francese nell’antica cantina d’invecchiamento sotterranea, un luogo magico che protegge naturalmente da improvvisi sbalzi di temperatura e che pone le condizioni ottimali per la maturazione dei vini. I vini prodotti sono il Chianti Classico, presenti anche nella versione Riserva e Gran Selezione, tre IGT (rosso, rosato e il Supertuscan “Commendator Enrico”), un Chianti Colli Senesi e, infine come detto, il Vin Santo. Come sapete amo evidenziare le cantine che lavorano nel pieno rispetto dell’ambiente con il mio #vinosostenibile e qui siamo difronte ad una realtà che ha scelto da diversi anni di ridurre l’impatto ambientale delle proprie azioni, implementando nuove pratiche etiche e sostenibili per garantire soluzioni rispettose dell’ambiente e delle sue risorse alle generazioni future. La via che persegue lo sviluppo sostenibile è ormai imprescindibile, ed è per questo che nel 2022 la cantina ha ricevuto dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (Mipaaf) la certificazione SQNPI (Sistema di Qualità Nazionale Produzione Integrata), che certifica e garantisce un sistema agricolo di produzione basato su metodi agronomici di difesa che prediligono l’utilizzo di risorse e di meccanismi di regolazione naturali, limitando l’impatto sull’ambiente. Una via che vede la cantina impegnata nella salvaguardia e mantenimento dei boschi di proprietà, nel favorire la biodiversità, favorendo l’insediamento di insetti impollinatori, attraverso l’inerbimento del vigneto durante tutte le fasi vegetative, nell’adottare tecniche di produzione integrata, prevedendo l’utilizzo di risorse e meccanismi naturali, limitando l’impatto sull’ambiente eliminando ogni prodotto chimico fertilizzante ed erbicida. Ma oltre a questi aspetti il rispetto dell’ambiente vede anche la minimizzazione degli interventi e trattamenti, la produzione di energia pulita rinnovabile, nonché le iniziative per il sociale: in vigna è stata installata una stazione meteo che consente l’utilizzo di modelli previsionali di malattie del vigneto in modo da trattare solo quando necessario, nel corso di quest’anno viene utilizzato un sistema di produzione di energia elettrica tramite un impianto fotovoltaico per coprire i fabbisogni aziendali per tutti i processi di produzione, vengono infine attuati e sviluppati progetti a favore della collettività, con l’obiettivo di fare impresa in maniera condivisa e inclusiva, aiutando anche i consumatori a fare scelte responsabili e compatibili con la salute ed il benessere. Insomma una realtà del Chianti Classico che merita davvero di essere nel vostro calice! Fattoria Lornano, storia e qualità sostenibile A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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2 Marzo, 2023

Tenuta Mazzolino e il Pinot Nero, tra passione, eleganza e amore per la terra

Tenuta Mazzolino e il Pinot Nero, tra passione, eleganza e amore per la terra Non tutti conoscono l’eleganza del Pinot Nero, uno dei principi dei vitigni internazionali che trova la sua maggiore diffusione in Francia, in particolare nella Côte D’Or, in Borgogna, e nella Champagne, dove viene principalmente spumantizzato. Questo vitigno, tra i più nobili esistenti insieme al nostro Nebbiolo, e di certo tra i miei preferiti in assoluto, rappresenta una grande sfida per gli enologi mondiali sia per la sua difficile coltivazione e vinificazione, sia perché è un vitigno che risulta estremamente dipendente dalle caratteristiche del terroir. In Italia è ormai presente in diverse regioni, ma trova alcune delle sue migliori espressioni alla stessa latitudine della Borgogna, una linea che passa per le nostre regioni del nord, una in particolare la troviamo in Lombardia, nell’Oltrepò Pavese. Proprio qui affonda le sue radici la Tenuta Mazzolino, venti ettari vitati, dolcemente adagiati sulla riva destra del Po, nella zona collinare a ridosso degli Appennini nella provincia di Pavia, una terra fatta di sapori e tradizioni tutte da scoprire. L’azienda si trova nello specifico nei pressi di Corvino San Quirico e fin dagli esordi – nel 1980 – la proprietà decide di intraprende percorsi inediti, reinterpretando il territorio con un occhio rivolto alla Borgogna – grazie anche a collaborazioni illustri con enologi di fama internazionale come Giacomo Bologna, Jean François Coquard e Kyriakos Kynigopoulos quest’ultimo ancora oggi figura di riferimento per la parte enologica. Ma sono l’amore per la terra e una filosofia da sempre rispettosa delle tradizioni e dei tempi a dettare la cifra del lavoro in vigna: la bassa produzione per ettaro, la potatura corta e l’inerbimento naturale dei vigneti senza l’uso di concimi chimici sono il passaporto per ottenere vini di grande qualità. Ma non c’è solo il Pinot Nero: oggi la cantina vanta 8 etichette – cinque bianchi e due rossi – che raccontano una storia, fatta di tradizione e innovazione, di identità e di passione: il Noir – punta di diamante nella produzione dell’Azienda, un Pinot Nero in purezza, frutto dell’oasi di Borgogna ricreata dall’azienda in Oltrepò, il Blanc 100% Chardonnay, dal profilo elegante, morbido e anch’esso ispirato alla scuola enologica della Borgogna; lo Spumante Rosé Cruasé DOCG Pinot Nero vino raro e originale,  dal carattere deciso. Il metodo classico Blanc de Blancs è intenso, ricco e molto fresco, profuma di frutta gialla, fiori, agrumi e pan brioche. Seguono i due vini d’ingresso, il Terrazze, un Pinot Nero in purezza, dal colore rosso rubino, fresco e autentico, il Camarà, ottenuto con uve Chardonnay dei vigneti nell’omonima frazione da cui il vino prende nome, un bianco fresco, elegante e armonico, morbido e sapido. E infine immancabile per questo territorio la Bonarda – da uva Croatina, da secoli vitigno autoctono dell’Oltrepò Pavese –  e il Moscato, vino dolce cremoso e avvolgente. Ultima etichetta arrivata in ordine di tempo è Terrazza Alte, un Pinot Noir – nome omen – ottenuto vinificando separatamente le uve provenienti dalla parte alta delle vigne del Terrazze. Si tratta di un Pinot di razza, profondo e dinamico. Un vino di colore rubino delicato, ma brillante con leggeri riflessi rosso mattone; al naso risulta intenso, con quegli aromi tipici da pinot nero con sentori di frutta rossa, arancia sanguinella e qualche nota speziata. Il finale è persistente con un ritorno di buccia di arancia sanguinella, e sentori di frutti rossi a polpa acida che anticipano la progressione di un sorso profondo.  Al palato è agile e regala un tannino equilibrato e vellutato. Le severe vene calcareo-gessose gli donano profondità e dinamicità di sorso. Elegante e raffinato come solo il Pinot Noir sa essere, ma anche fresco e intenso, figlio di una vigna “difficile” e come tutte le cose che richiedono più tempo e fatica, il Terrazze Alte rivela un carattere unico e deciso. In questo periodo, purtroppo, si sente parlare sempre più della siccità che attanaglia il nostro paese, e Tenuta Mazzolino ha scelto di portare avanti la lotta a questa problematica attraverso la consapevolezza e le buone abitudini, adottando una serie di pratiche intelligenti per contrastare i danni delle alte temperature: per ovviare a questa allarmante situazione climatica, da anni viene messo in atto la pratica del sovescio che, anziché venire interrato, viene fatto rullare al suolo nel tentativo di ridurre l’irraggiamento e conservare la freschezza e l’umidità, inoltre la cantina, parallelamente alle altre soluzioni adottate, si impegna per evitare tagli troppo rasi del manto erboso ed a praticare l’abbandono totale della defogliatura e della cimatura. Quest’ultima tecnica consiste nell’avvolgere sulla sommità del filare gli apici dei germogli, anziché tagliarli, vengono avvolti, in modo da creare un “cappello” per ombreggiare i grappoli, che giovano dell’ombreggiatura che risulta nettamente maggiore. Per Tenuta Mazzolino le scelte che iniziano in vigna, “finiscono” in bottiglia e costituiscono la filosofia stessa dell’azienda. La ricerca dell’eccellenza enoica in bottiglia continua anche con la terza generazione alla guida della tenuta: Francesca Saralvo, milanese, nel 2015 abbandona i codici dell’avvocatura per dedicarsi a tempo pieno alle vigne tra cui è cresciuta fin da bambina. Ne sposa la filosofia e mette testa e cuore in questo progetto che mira a proporre vini legati al territorio ma con un respiro internazionale. Azienda che voi amici winelovers non dovete assolutamente perdervi! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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18 Febbraio, 2023

Monpissan, cantina di famiglia nel cuore del Roero

Monpissan, cantina di famiglia nel cuore del Roero In occasione di Nebbiolo nel Cuore, bellissimo evento tenutosi a gennaio scorso a Roma, ho avuto l’occasione di conoscere diverse realtà molto interessanti, una di queste è stata Monpissan. Una storia di famiglia, una piccola cantina con grande qualità ed esperienza alle spalle. Nel lontano 1909 fu Antonio Gallino “Toni Bel” ad iniziare la tradizione e a coltivare le sue vigne in Piemonte, nello specifico a Canale, e forse allora non immaginava che un giorno anche le sue pronipoti ne avrebbero seguito le orme. Forse non tutti conoscono il ROERO: siamo nella provincia di Cuneo, areale delimitato dalla porzione di territorio situata a Nord di Alba, sulla riva sinistra del Tanaro, tra la pianura di Carmagnola e le basse colline dell’Astigiano. I paesaggi vitivinicoli del Roero, insieme a quelli di Langhe e Monferrato, nel giugno 2014 sono stati dichiarati Patrimonio Mondiale UNESCO. Come in molte altre zone del Piemonte, la viticoltura nel Roero ha una storia millenaria: la produzione viticola si sviluppa, infatti, prima dell’arrivo dei Romani, fin dalla presenza dei Liguri, grazie probabilmente all’influenza degli Etruschi, e si estende con sempre maggiore intensità fino ai giorni nostri. Ma torniamo alla storia della cantina: l’attività di Antonio fu poi portata avanti e incrementata dal figlio Giuseppe, detto Pinutin, che acquisì nuovi vigneti a Cascina Boera, luogo dove tutt’ora sorge Cantina Monpissan. Antonio era il nonno dell’Antonio Gallino di oggi, che con la passione della vite e del vino, anche grazie all’aiuto costante della moglie Margherita, porta a vinificare uve provenienti da 13 ettari di proprie vigne e a coltivare le tipiche nocciole. Antonio oggi è coadiuvato dalla figlia Pinuccia e dal genero Giovanni, coinvolti pienamente nel lavoro di vigna, cantina, agriturismo e marketing aziendale. Abbinando antiche tradizioni e nuove tecnologie, Cantina Monpissan produce i vini tipici del Roero come Arneis, Roero, Nebbiolo e Barbera, ma anche vini come Bonarda e Grignolino, dolci come Armonia e Birbet, Spumante Brut. A nonno Pinutin, è dedicato il “Pinutin Rosè” da uve nebbiolo mentre al bisnonno è dedicata la selezione Roero Arneis docg “Toni Bel” grazie al quale è iniziata la storia della cantina. Uno dei vini più rappresentativi dell’azienda è proprio il Roero DOCG, 100% Nebbiolo, prodotto a sinistra del Fiume Tanaro nell’omonima zona della denominazione. Un vino che denota un colore rubino con trasparenze e sfumature ramate, di grande eleganza e maturità grazie al passaggio in legno, esprime note di ciliegia e mirtillo, cenni di cuoio e liquirizia, mentendosi fresco e vibrante, al palato conferma la sua eleganza e la genuina piacevolezza di beva. Una piacevole scoperta da tenere d’occhio! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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2 Febbraio, 2023

Nittardi ed il suo legame con l’arte

Nittardi ed il suo legame con l’arte Come spesso ho scritto qui nella mia rubrica, il vino è una forma d’arte a tutti gli effetti e rappresenta un concentrato di emozioni per tutti noi appassionati. Per arricchire questo concetto voglio iniziare questo articolo riportando le parole di Léon Femfert, oggi alla guida dell’azienda Nittardi fondata dai genitori Peter Femfert, gallerista d’arte con amore per il vino e per l’Italia, e Stefania Canali, storica e docente universitaria: Léon Femfert «Il vino è più di un prodotto agricolo. Dentro ciascuna bottiglia, nel vino stesso, assapori la terra da cui proviene, percepisci la forza di chi l’ha prodotto e la storia che lo ha plasmato. Per me, il vino è Cultura con la C maiuscola, come l’arte, la musica e la poesia». Nittardi si trova sulle colline tra Firenze e Siena in una posizione privilegiata a 450 metri di altezza, tra le morbide colline di San Donato, Castellina in Chianti e Panzano. La proprietà conta 160 ettari totali di cui 40 ettari vitati suddivisi in due corpi: una parte a Castellina in Chianti e una in Maremma. Nel Chianti Classico si coltivano Sangiovese, altre varietà autoctone e una piccola vigna di Merlot. In Maremma troviamo Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Merlot, Petit Verdot, Cabernet Franc, Syrah, Vermentino, Roussanne e alcune varietà sperimentali. La tenuta Nittardi era, originariamente, una torretta utilizzata a scopo difensivo, utilizzata già nel XVI secolo e conosciuta con il nome di “Nectar Dei”. Nel corso dei secoli la struttura è passata in mano a diversi proprietari, tra cui spicca anche il grande Michelangelo Buonarroti, genio insuperabile le cui opere oggi affascinano milioni di persone. Con la loro attività vitivinicola, Peter Femfert e Stefania Canali hanno deciso di conservare in modo concreto il profondo legame tra vino, arte e cultura, che da sempre caratterizza la tenuta. La coppia, anno dopo anno, è riuscita a riportare agli antichi fasti la tenuta, reimpiantando alcuni vigneti nel 1992, aumentando i propri tenimenti espandendosi in Maremma, e chiamando come enologo il celebre Carlo Ferrini. Per mantenere ancora più stretto il legame con l’arte, ogni anno, sin dal 1981, un artista di fama internazionale realizza per il Chianti Classico “Casanuova di Nittardi” l’etichetta e la carta seta che avvolge le bottiglie, aggiungendo un ulteriore valore artistico al loro valore enologico. Per festeggiare il 40° anniversario del loro Chianti Classico “Vigna Doghessa” la famiglia Canali-Femfert ha deciso di indire un concorso artistico internazionale aperto anche ad artisti anche emergenti e di scegliere, per la vendemmia 2020, non uno ma ben sei artisti per vestire questa ricorrenza speciale e un settimo artista per il formato magnum. Il Chianti Classico Casanuova di Nittardi, con le sue etichette d’artista, nasce in prossimità della casa padronale a Castellina in Chianti e dal 2012 è espressione di una vigna particolarmente vocata, “Vigna Doghessa”: un appezzamento situato a 450 metri slm con terreni di media profondità, ricco di galestro ed alberese, che definiscono il carattere di questo Sangiovese. I filari, esposti verso il sud, godono di un microclima ideale per la produzione di vini che anno dopo anno riescono ad esprimere queste antiche terre come delle vere opere d’arte. L’edizione 2020 è frutto di un’annata “classica” che ha permesso la produzione di un Chianti Classico straordinario, complesso e ricco. L’intera produzione di Chianti Classico Casanuova di Nittardi “Vigna Doghessa” 2020 inoltre è stata suddivisa in circa 6000 casse, ciascuna con 6 bottiglie, una diversa dall’altra e tutte fasciate con la propria carta seta: una collezione nella collezione che (per chi non si accontenta di una sola bottiglia) è disponibile nelle migliori enoteche a partire da novembre scorso. La giuria del Premio Nittardi è stata composta da famosi galleristi, personalità di settore, artisti e collezionisti d’arte e tutte le opere vincitrici sono state esposte in una mostra gratuita “40 anni di vino e arte” presso la Galleria Palazzo Coveri a Firenze. L’arte è nel DNA dell’azienda infatti la casa padronale e i vigneti più prossimi sono infatti punteggiati da 45 sculture create da famose personalità e che creano un percorso artistico davvero unico: il Giardino delle Sculture. Nittardi grazie alla sua grande vocazione artistica, alla cultura e al vino riesce a quindi a trasmettere emozioni profonde, personali e uniche, non resta che degustare! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio Leon Femfert
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