Diario di un sommelier

Diario di un Sommelier è la rubrica curata da Giuseppe Petronio, amante del vino e sommelier per passione, noto su Instagram come @peppetronio, in cui racconta in modo originale il mondo del vino, i propri assaggi e le esperienze che vive, selezionando le cantine che più lo colpiscono e mettendo sempre avanti i rapporti umani.

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11 Ottobre, 2023

Casata Mergè: l’eleganza del Cesanese e non solo

  Negli ultimi mesi, grazie anche al coinvolgimento da parte del Consorzio Roma Doc alla creazione del calendario 2024, ho avuto modo di conoscere meglio alcune delle migliori cantine del territorio e approfondire la denominazione. Casata Mergè si trova al confine tra Frascati e Monte Porzio Catone, in un’area climatica pregiatamene mediterranea. Culla ideale per la coltura di vitigni autoctoni ultracentenari, in una zona che gli antichi Romani elessero a luogo di villeggiatura per eccellenza, grazie al paesaggio, al clima e alla bontà del suo vino. Nella prima metà del Novecento, Manlio Mergè inizia l’attività di viticoltore rispettando la cultura e le caratteristiche storiche del territorio. Oggi Luigi Mergè, con i figli Massimiliano, Mariabeatrice e Marianna, dopo quattro generazioni, continua a tenere vivo quel primo innesto, mantenendo intatte le radici di famiglia, producendo vini nel rispetto delle tradizioni ma al passo con le più avanzate tecnologie. Sui suoli vulcanici dell’azienda sono presenti sia gli autoctoni che i grandi vitigni internazionali, trovano spazio infatti: Sauvignon blanc, Syrah, Merlot, Cesanese, Montepulciano, Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Pinot Noir, Chardonnay, Malvasia, Bellone, Trebbiano, Bombino e Pecorino. Tutti questi vitigni creano ciascuno o in blend tantissime combinazioni di vini ricchi di cura e pregio, che prendono forma in cinque linee di produzione, la 1960 (anno di fondazione dell’azienda), Amore DiVino, Camelot, Roma e Sesto 21. In generale, uno degli aggettivi che più mi piace associare ad un vino è elegante, ed è questo quello che mi è venuto in mente quando ho degustato il loro Cesanese IGP 1960, un vino che al calice evidenzia un rosso trasparente e intensa luminosità, trasmette armonia al naso e al palato regalando con sentori gentili di fragola e visciola, dimostrandosi altresì di carattere al palato, con la giusta dose di calore e sapidità, tannino levigato, dotato di sorso scorrevole e di piacevole final di bocca. Azienda che ha saputo lasciare il segno con questo Cesanese che rappresenta una gran bella sorpresa, essendo a mio avviso difficile trovarne uno dotato di tale eleganza, ma anche tutti gli altri prodotti che ho degustato (e che trovate in foto) sono stati di notevole qualità, per questo se anche voi volete iniziare un percorso di scoperta dei vini del Lazio sapete da dove iniziare! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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2 Ottobre, 2023

Badia di Morrona: tra storia, natura, qualità ed enoturismo

Badia di Morrona: tra storia, natura, qualità ed enoturismo Cari amici lettori prendo spunto dalla meravigliosa visita in cantina di questa estate per parlarvi di Badia di Morrona, una realtà a dir poco sorprendente per diversi aspetti. A colpirmi nella visita, tra le tante cose, è stata la grande attenzione posta dall’azienda nel raggiungere altissimi standard di qualità, con vocazione a creare vini ben riconoscibili e legati al territorio, ma anche per l’accoglienza e l’esperienza turistica, la lunga storia che la contraddistingue e l’amore per l’ambiente che la circonda. Ci troviamo nello splendido contesto tra Pisa e Volterra, in particolare a Terriciola, dove Badia di Morrona può contare su una tenuta di 600 ettari, in cui boschi di cipressi, lecci e querce lasciano spazio a 40 ettari di uliveti e, soprattutto, a 110 ettari di vigne. Nel 1939 la famiglia Gaslini Alberti acquisisce la tenuta con i primi vigneti storici, testimoni di una viticoltura radicata da tempo nel territorio. Negli anni ’90 Duccio Gaslini Alberti, padre degli attuali proprietari Filippo e Alessandra, dona una svolta qualitativa alla produzione vinicola avviando una grande opera di reimpianto, conservando le vigne più promettenti e studiando i cloni più adatti, la densità di impianto e i sistemi di allevamento ideali per creare espressioni del territorio autentiche e di alta qualità. Nel cuore dell’azienda troviamo la millenaria Badia, splendido nucleo storico della tenuta e prima casa dei vini di Badia di Morrona, meraviglia in cui è possibile celebrare matrimoni, essendoci anche la chiesa consacrata, a cui si è affiancata successivamente una cantina moderna, progettata in chiave sostenibile, sfruttando tecnologia e gravità. Importante è il tema della sostenibilità che si declina sia nelle lavorazioni di cantina, con macchinari moderni ed efficienti, che nei comportamenti quotidiani di tutto il personale coinvolto, ma anche nella produzione di energia pulita da fonti rinnovabili con la presenza di un grande impianto fotovoltaico di circa 2 MW. La vasta tenuta è dotata di grandi case coloniche sapientemente ristrutturate, tutte con piscina, immerse nel verde e suddivise in ville e appartamenti dal carattere elegante, riservato e accogliente. Fornite di ogni confort, queste strutture permettono di rilassarsi nell’incantevole panorama tipico della Toscana, nella vera pace del verde da dove non vorresti mai andar via. Ma parliamo dei vitigni presenti in azienda: per quelli a bacca rossa a farla da padrone è, come è giusto che sia, il Sangiovese, che trova spazio tra le dolci colline per circa il 60% dell’intero parco vitato, mentre le restanti parcelle sono state destinate anche a Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot e Syrah. Per quanto riguarda quelli a bacca bianca il Vermentino e lo Chardonnay sono i più significativi e presenti nelle vigne pianeggianti della tenuta. Camminare tra i filari, in particolare di quelli da cui proviene il Vigna Alta, è stata l’occasione per incontrare suoli davvero preziosi e di antico fascino, con travertino e conchiglie fossili che accompagnano le viti in un viaggio ideale tra passato e presente. I tre vini identitari: N’Antia è il taglio bordolese nato nel 1992 che ha segnato in maniera importante l’esordio della tenuta. N’Antia rappresenta infatti la volontà di Duccio Gaslini Alberti di far parlare il territorio nella lingua di Bordeaux, ovvero tramite Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot. Negli anni, le tecniche di vinificazione si sono evolute e oggi la “ricetta” per N’Antia prevede la fermentazione in acciaio, maturazione di 15 mesi in barrique, un passaggio in vasche di cemento e infine in bottiglia; VignaAlta è la voce del Sangiovese più nobile della tenuta. Nato nel 1994 e fortemente voluto dalla proprietà per esaltare il valore del vitigno toscano per eccellenza, questo Terre di Pisa DOC fermenta in acciaio, matura 24 mesi in botti di rovere francese da 25 hl e riposa 3 mesi in cemento. Nel bicchiere si ritrova un Sangiovese di carattere e fresco che riesce ad essere davvero identitario; Taneto, ha una vocazione transalpina, con il Syrah protagonista e giusto un tocco di Sangiovese e Merlot. Nasce in alcune delle parcelle più ricche di fossili della tenuta (tra cui la Vigna Disperato), che infatti contribuiscono a donargli un carattere minerale e speziato sui generis. Dopo la fermentazione in acciaio, 12 mesi è il tempo di affinamento previsto in barrique e solo la piccola percentuale di Sangiovese matura in botti grandi di rovere francese da 25 hl, cui segue poi una breve sosta in vasche di cemento. A questi si affiancano i Chianti di Badia di Morrona: I Sodi del Paretaio e I Sodi del Paretaio Riserva che rappresentano la lettura orizzontale dei vigneti dell’azienda e in questo senso sono gli alfieri della gamma. Prodotti ogni anno in una tiratura ben più che considerevole dei precedenti vini, incarnano alla perfezione il concetto di piacevolezza e accessibilità.  Nella versione annata il Sangiovese (85%) è affiancato da Cabernet Sauvignon, Merlot e Syrah, fermenta in acciaio e affina in vasche di cemento per 10 mesi; la versione Riserva è un Sangiovese in purezza, con un bel tannino morbido e maturo. Sosta 18 mesi in botti grandi di rovere francese da 44 hl e fa un breve passaggio in cemento prima dell’imbottigliamento. Presenti, infine, le declinazioni floreali dell’azienda, ovvero le accattivanti espressioni in bianco e in rosa di Badia di Morrona: Felciaio, Vermentino toscano in purezza dalla bella sapidità, e Vivaja, Sangiovese rosato delicatamente fruttato, e il bianco La Suvera, cuvée dai tratti mediterranei e tropicali a base di Chardonnay e Viognier. La freschezza aromatica dei tre vini è ben preservata grazie alla vinificazione in acciaio, con l’unica eccezione dello Chardonnay, per cui è previsto un passaggio in barrique di 6 mesi. Una visita che mi ha lasciato un ricordo stupendo ed indelebile sia per qualità dei prodotti che per la meravigliosa esperienza enoturistica, azienda che invito tutti a segnare nella lista di quelle da vivere e da scoprire! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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7 Settembre, 2023

Tenuta Fertuna e il suo nuovo Vermentino Orange

Tenuta Fertuna e il suo nuovo Vermentino Orange   Cari lettori bentrovati! Dopo un breve pausa estiva si riparte, ma prima di parlarvi di Tenuta Fertuna e del loro nuovo vino, voglio iniziare questo articolo con il bellissimo ricordo che conservo della visita alla cantina fatta ormai nell’aprile 2019, dove ho scattato questa foto (link) a mia moglie Martina con il nostro piccolo primogenito Leonardo ancora in grembo, uno scatto avvenuto dopo la degustazione delle eccellenze di Fertuna effettuata insieme all’enologo Paolo Rivella. Tenuta Fertuna, il cui nome rimanda alla fertilità della terra e alla fortuna degli uomini che la coltivano, nasce nel 1997 nel cuore della Maremma Toscana, terra in cui gli antichi etruschi avevano sviluppato la loro fiorente civiltà dedicandosi all’agricoltura già nei secoli passati. La tenuta sorge su un territorio estremamente vocato alla viticultura, in un luogo a farla da padrone è la natura, tra la vegetazione selvaggia e spontanea, la mano dell’uomo ha agito con delicata armonia, disegnando un anfiteatro di vigneti. La tenuta si estende per 145 ettari, di cui 50 attualmente vitati. Tutte le vigne sono dotate di impianto d’irrigazione goccia a goccia, alimentato da un grande lago artificiale di circa 15.000 m2 che prende le sue acque da fonti locali. Una parte dell’azienda è dedicata per circa 5,5 ettari ad olivicoltura. Il terreno ricco di Galestro (roccia scistosa) e di Alberese (substrato calcareo), la natura fertile ed incontaminata, il microclima mediterraneo con forte influenza marina ed una buona escursione termica giorno/notte, fanno della Maremma un terroir particolarmente votato alla coltivazione della vite. Nell’ultimo decennio qui si sono concentrati ingenti investimenti di settore: oltre all’autoctono Sangiovese, vitigno principe delle terre di Toscana, sono stati piantati i più rinomati vitigni internazionali, che sanno dare in Maremma un’espressione del tutto nuova, davvero di grande spessore Come sapete ho sempre a cuore il tema della sostenibilità: Fertuna, a partire dal 2016 sceglie di convertire la produzione a biologico e, dopo un periodo transitorio di “epurazione” da quelle che sono le tecniche agronomiche convenzionali, raggiunge la certificazione biologica dall’annata 2020. Non ancora contenti e sempre attenti a quelli che sono i nuovi traguardi, viene raggiunto anche il traguardo di Cantina Sostenibile conseguendo la certificazione secondo lo standard di qualità Equalitas. L’attenzione viene posta a tutto il ciclo produttivo: dall’impianto alla raccolta fino allo smaltimento ed il riciclo dei sottoprodotti, facendo sì che l’azienda viva un clima etico e sociale positivo. Due protocolli produttivi, biologico e sostenibile, che impreziosiscono il territorio permettendo di vivere integrati in quello che è il bellissimo habitat della Maremma e che concorrono al risultato finale che si rispecchia nei magnifici vini prodotti. Come sappiamo, i vini cosiddetti “orange” che negli ultimi tempi stanno andando molto di moda non sono alto che vini provenienti da uve a bacca bianca che, nella vinificazione, restano a contatto per un tempo, più o meno lungo, con le bucce, andando quindi ad estrarre una colorazione più intensa e tipicamente tendente all’arancione (da qui il nome). Il Vermentino Orange di Tenuta Fertuna è un vermentino 100% proveniente da vigneti di età di 20 anni, con esposizione a Sud-Est, frutto di una selezione manuale dei migliori grappoli. La fermentazione avviene a 20 ºC sulle bucce per 5 giorni e, dopo la separazione dalle bucce, la fermentazione continua a 18 ºC. Il vino è prodotto senza uso di solfiti aggiunti, in ogni fase del processo di produzione. Segue poi la fermentazione malolattica con un successivo affinamento “sur lies” per 6 mesi in piccole vasche d’acciaio, con batonnage settimanale. Ne viene fuori un vino giovane, divertente, al calice si distingue per il colore dorato brillante tendente all’arancio. Al naso spazia su un ventaglio di profumi che passano da ricordi fruttati di mela gialla, dolci di miele, ai ricordi di fiori secchi. Al palato sorprende per freschezza e mineralità, con piacevole gradevolezza di beva. Un sorso che invita l’altro dall’aperitivo alla cena, Vermentino Orange che rappresenta una vera bella sorpresa da provare! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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20 Giugno, 2023

Castelfeder: la buona viticoltura richiede tempo.

Castelfeder: la buona viticoltura richiede tempo. Lo scorso 12 e 13 marzo si è tenuto il Team’s day, evento organizzato dalla famosa agenzia di fornitura Horeca Macoratti a Roma nell’elegante cornice di Villa Appia Antica, per presentare agli addetti e agli appassionati le prestigiose etichette trattate dall’agenzia. In occasione di questo evento ho avuto il piacere di avere, otre a tantissime conferme, anche tante piacevoli scoperte: una di quelle che mi ha colpito per qualità e fascino è stata Castelfeder. Come tutti sappiamo la buona viticoltura richiede tempo: dalla fondazione della cantina Castelfeder nel 1969 ad opera di Alfons Giovanett ad oggi sono passati oltre 50 anni. Esperienza e disciplina accompagnati dall’energia della conduzione familiare sono alla base di questa storia unica e di successo. Il vino non è improvvisazione e l’esperienza di questa cantina nel tempo ne è testimone. La cantina infatti, ormai giunta alla terza generazione, manifesta la sua essenza in una simbiosi di tradizione e spirito pionieristico: “Siamo ad un ottimo punto nella storia dell’industria vinicola altoatesina, ora tocca a noi aumentare la consapevolezza della nostra azienda, lavorare costantemente sulla qualità dei vini e non perdere di vista la tradizione“: affermano Ines e Ivan Giovanett, rappresentanti della giovane generazione della famiglia. Una realtà completa, che ha visto nel tempo consolidare la qualità passando per il completamento dell’assortimento produttivo, la modernizzazione dei processi in cantina frutto di esperienza, e l’internazionalizzazione dei mercati. Ma l’occhio è anche rivolto al prossimo futuro, è doveroso infatti porre il proprio sguardo verso le generazioni a venire e, per questo, sono stati effettuati importanti investimenti nella sostenibilità di tutta la catena produttiva. Alto Adige significa 300 giornate di sole con un territorio protetto dalle Alpi del Nord ma allo stesso tempo presidiato dal clima mediterraneo a Sud, grandi escursioni termiche che rendono vivace e dinamica la produzione. In totale, oggi vengono lavorate dalla cantina altoatesina uve provenienti da 70 ettari di vigneti, di cui circa il 70% sono vitigni bianchi con focus su Chardonnay, Pinot Bianco, Pinot Grigio e Sauvignon. Il restante 30% è di uve rosse e qui il Pinot Nero è chiaramente in primo piano. Dal costante impegno di migliorare e voler produrre solo vino di alta qualità, nel 2018 è stato lanciato il nuovo progetto Pinot Nero che si concentra sui 3 vigneti Buchholz, Glen e Mazon, con ciascuna etichetta che valorizza le singolarità dei vari appezzamenti, ponendo l’accento su ciò che li accomuna, ciò che li contraddistingue e il modo con il quale da queste tre zone particolari si sviluppano tre vini autentici. Nel 2022 la tenuta ha raggiunto altri due grandi traguardi: i 30 anni di produzione “Burgum Novum”, linea di eccellenza di Castelfeder fondata da Günther Giovanett nel 1989, e il lancio del nuovo vino “Kreuzweg” – uno Chardonnay Riserva “Family Reserve”, punta della piramide qualitativa Castelfeder che rappresenta al meglio il suo terroir ed è disponibile solo in edizione limitata di 1.400 bottiglie. La nuova “Family Reserve” aggiunge ulteriore unicità alla selezione di Castelfeder, e non solo, è espressione della storia di famiglia e la qualità che accompagna la cantina fin dall’anno della sua nascita. Vi assicuro che Castelfeder rappresenta una storia di successo… una cantina che, con i suoi primi 50 anni di passione ed esperienza, di intenso lavoro e di vini con un carattere speciale è assolutamente da non perdere! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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15 Maggio, 2023

Château Dauzac: qualità biodinamica

Château Dauzac: qualità biodinamica  Cari amici oggi facciamo un giro fuori dall’Italia, per noi amanti del vino è impossibile non rivolgere lo sguardo anche nella nostra vicina e prestigiosa Francia. Vi parlo di Château Dauzac, produttore di Margaux ”Grand Cru Classé” secondo la classificazione del 1855, una cantina che ha il privilegio di avere un vigneto in un unico blocco di 49 ettari: 45 ettari con la denominazione Margaux e 4 ettari con la denominazione Haut-Médoc. Situata vicino all’estuario della Gironda, la cui influenza sull’ecosistema del vigneto è fondamentale, la proprietà è protetta dai venti dell’oceano grazie all’abbraccio di 120 ettari di prati e boschi. Una storia che affonda le radici molto lontano nel tempo, risalgono infatti al 1190 le informazioni relative al primo proprietario, Pétrus d’Auzac, che ricevette la terra direttamente da Riccardo I Cuor di Leone. Nel 1545 i monaci benedettini dell’abbazia di Sainte-Croix de Bordeaux furono i primi a menzionare, nei loro registri, la tenuta “Bourdieu” de Dauzac, menzionando la casa colonica con un vigneto. Già a fine del 1600 Château Dauzac diviene noto tra i migliori vigneti del Médoc riuscendo poi più avanti ad assicurarsi il riconoscimento della tenuta nella classificazione del 1855 come ”Grand Cru Classé”. Nel 1924 la famiglia Johnston rilevarono lo Château e introducendo la prima e attuale etichetta gialla, per passare poi alla famiglia Bernat, che lo rileva nel 1939 aprendo le porte della termoregolazione: per regolare la temperatura dei tini il proprietario ebbe infatti l’idea di utilizzare dei blocchi di ghiaccio durante la fermentazione. Si avvicendarono poi altre proprietà portando negli anni 2000 alla costituzione di una nuova cantina a gravità, utilizzando i primi tini di legno con doppie doghe trasparenti, acquisendo know-how per la selezione e la moltiplicazione dei lieviti indigeni dai vigneti di proprietà. Nel 2017 su un appezzamento dei più grandi terroir della denominazione Margaux, Château Dauzac ha ripiantato viti a piede franco di Cabernet Sauvignon da selezioni massali dei migliori vitigni della proprietà, con l’obiettivo di ricreare il sapore originale di questo emblematico vitigno del Médoc. Nel 2020 si insedia la proprietà della famiglia Roulleau. Château Dauzac è impegnato in un’agricoltura altamente integrata che utilizza solo fertilizzanti organici, inoltre, il controllo ecologico delle tignole della vite introdotto circa 20 anni fa, ha eliminato la necessità di utilizzare insetticidi. Su alcuni appezzamenti viene coltivata l’erba per regolare meglio ‘approvvigionamento idrico. Si sta inoltre passando ai principi della viticoltura biodinamica: lo Chateau utilizza due principali preparazioni in questo ambito. La prima è il concime di corno noto come “500”. Durante il periodo invernale viene inserito letame bovino di qualità nelle corna di vacca che vengono poi vengono poi poste nel terreno sdraiate in modo che possano assorbire tutta l’energia della terra. Questa concimazione, quando è ben preparata, ben conservata e ben applicata, è di primaria importanza, perché si rivolge al terreno e alle radici delle piante. La seconda è il Silice “501”, complementare al corno letame. Non si rivolge infatti al suolo bensì alla parte aerea della vite, agendo durante il suo periodo vegetativo. Si compone di farina di quarzo impastata con acqua, anche in questo caso inserita nelle corna, che poi vengono riempite con argilla (proveniente da Dauzac). Questa preparazione favorisce l’equilibrio vegetativo, favorendo l’ottimale esposizione luminosa alla vite e attenuando il rischio di malattie. In linea con la tradizione del Médoc, il vigneto ha una densità di impianto di 10.000 ceppi per ettaro è composto da 69% Cabernet Sauvignon, 29% Merlot e 2% Petit-Verdot. Le rese sono naturalmente limitate da una rigorosa politica di coltivazione, attuata a monte, quindi non è necessaria la potatura verde. Il lavoro di ricerca negli ultimi 30 anni, con l’applicazione di nuove tecniche, ha permesso ai vigneti di proprietà di produrre uve complesse e di qualità superiore coltivate su parcelle omogene. Vengono anche utilizzate tecniche di agricoltura di precisione con la presenza di sensori e stazioni meteorologiche per ogni unità di territorio. Se ne ricavano vini di qualità eccelsa, pienamente godibili, eleganti e allo stesso tempo ricchi di carattere e intensità. La qualità e il rispetto dell’ambiente fanno sì che questa sia una cantina da non perdere per nessun motivo!! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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26 Aprile, 2023

Roberto Sarotto: il Piemonte da non perdere

Roberto Sarotto: il Piemonte da non perdere Cari amici lettori, ormai sono anni che seguo il mondo del vino e molto spesso capita che qualcuno mi chieda in privato cantine che consiglio per qualità, intensità dei vini e piacevolezza… e una che indico sempre è la cantina piemontese Roberto Sarotto! La storia di questa azienda ha inizio nel 1820, quando Giuseppe Sarotto, capostipite della famiglia, da Barbaresco giunge a Neviglie, provincia di Cuneo, dove l’azienda ha sede. Oggi essa conta oltre 90 ettari vitati tra le Langhe del Barolo e del Barbaresco (Neive), il Monferrato e Gavi, con una produzione di molte referenze e circa 1 milione di bottiglie, con ampia distribuzione all’estero. Giuseppe Sarotto è il capostipite di una lunga storia di famiglia, egli è infatti il primo ad intraprendere l’attività vitivinicola, seguito poi dal figlio Giovanni e nipote Luigi Giovanni. La produzione in origine è limitata al solo Dolcetto, che viene negoziato sia sul mercato locale che esportato all’ingrosso in Inghilterra. Nei primi anni ’40, con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale e della Fillossera, il settore entra in crisi e l’attività subisce un drastico arresto. Prende poi in mano l’azienda la generazione successiva, con Angelo, determinato a proseguire l’attività di famiglia, lavorando a vigneti la terra ricevuta dai genitori. Grazie al fondamentale supporto della moglie Maria, le coltivazioni si ampliano verso nuove varietà di uva, come il Moscato, Freisa e Barbera. Nel 1984 Roberto, il figlio di Angelo, si diploma alla prestigiosa scuola enologica di Alba, prospettando un nuovo inizio per l’attività di produzione vinicola che si era fermata anni prima. Sette anni più tardi, l’acquisto di una proprietà di 20 ettari in Barolo costituisce un punto di svolta per lo sviluppo dell’azienda, che entra a far parte della cerchia dei produttori più rinomati del Piemonte e che prosegue l’espansione. In pochi anni vengono annessi vigneti nei più importanti cru del comune di Neive, aggiungendo così il Barbaresco alla propria gamma. Intorno ai primi anni ’90, Roberto e sua moglie Aurora, spingono le loro ambizioni ancora più lontano, precisamente nella zona di Gavi, dove verrà in seguito istituita la cantina secondaria. Oggi l’azienda, oltre ad espandersi territorialmente, vede la nuova generazione partecipare attivamente alle attività aziendali, con i figli di Roberto e Aurora, Enrico ed Elena, ed ha visto un grande progresso tecnologico con l’entrata in funzione, nella stagione vendemmiale 2021, del nuovo reparto pigiatura della Roberto Sarotto, composto da due tramogge con circuiti di trasporto dell’uva distinti e gestibili dal quadro sinottico. Sono state inoltre installate tre presse pneumatiche, di cui una in grado di operare in atmosfera di azoto, un sistema che riducendo al minimo l’ossidazione dei mosti riduce l’utilizzo di solfiti e che rappresenta una delle più innovative in Italia. È evidente a tutti come la conduzione familiare sia uno dei plus di questa azienda, che si fregia tra le altre cose di due aspetti molto interessanti e curiosi. Il primo che vi racconto è il conseguimento da parte loro della certificazione del GUINNESS WORLD RECORDS per la Botte di rovere più grande del mondo inaugurata lo scorso luglio nella cantina di Naviglie. Realizzata in rovere di Slavonia dalla ditta G. & P. Garbellotto S.p.A. di Conegliano Veneto, la Botte è alta all’incirca 5,3 metri per un diametro di 4,70 metri e una profondità di 3,70 metri., ed è dedicata “Ai fondatori” della cantina: i genitori Angelo e Maria, pionieri del successo di quello che, nell’arco di 70 anni, è diventato un brand apprezzato a livello nazionale e internazionale. La messa in opera della Botte ha impegnato una decina di operai per due settimane e le sue capacità sono di 478 ettolitri di vino, inaugurando la sua attività con il Barolo della vendemmia 2016, una delle migliori degli ultimi anni. La Botte più grande del mondo è parte integrante di un progetto di solidarietà, la Riserva dei Fondatori che ne deriverà contribuirà infatti ad alimentare la ricerca scientifica contro i tumori, tema che vede in prima fila Ivana Sarotto, sorella di Roberto, da molti anni ricercatrice all’Istituto di Candiolo. Secondo aspetto che mi fa piacere segnalavi è l’apertura a partire da febbraio di quest’anno del nuovo Museo interattivo Roberto Sarotto ad Alba, con un percorso che prevede un tour auto-guidato, che il visitatore potrà seguire scaricando la guida digitale, disponibile in diverse lingue, direttamente sul proprio cellulare. Il Museo Roberto Sarotto costituisce il punto d’incontro di ciò che è la storia della famiglia, con la realtà odierna della cantina e coloro che ne rappresentano il futuro, completando l’esperienza del visitatore che vuole approfondire la conoscenza dell’azienda oltre i suoi prodotti. Lo spazio, situato nella suggestiva sala sotterranea del Punto Vendita, si compone di una parte espositiva delle annate storiche e dei grandi formati dei vini più pregiati dell’azienda, immagini d’epoca, mostra dei territori da cui nascono i vini dell’azienda con una video-presentazione della zona e, infine, una cabina sensoriale in cui il visitatore viene trasportato nel mondo della cantina Roberto Sarotto attraverso le voci e le interviste dei suoi componenti e collaboratori. Passando ai vini, sono tantissime le referenze di questa azienda che conta poco meno di 40 etichette, oltre ad invitarvi a vederle sul loro sito, ve ne elenco alcune tra spumanti, celebri denominazioni e classici vitigni piemontesi, Alta Langa, Arneis, Gavi, vitigni internazionali come lo Chardonnay, Dolcetto, Barbera, Nebbiolo, Barolo, Moscato, Brachetto, e distillati… ma ve ne consiglio tre per questa primavera/estate: visto che il periodo freddo è alle spalle ma non bisogna mai tralasciare la presenza di un grande vino rosso, non dovete perdervi il “Currà”, Barbaresco DOCG Riserva, da uve Nebbiolo coltivate nella limitata e omonima area di produzione, è un vino complesso, di carattere e di grande armonia, con uve che seguono una macerazione a freddo con successiva fermentazione per 10 giorni, ed un affinamento per 2 mesi in inox, per poi passare 14 – 15 mesi in botti di rovere, quindi ancora 6 mesi in inox, 6 mesi in bottiglia; con l’arrivo delle belle giornate vi suggerisco “Impuro”, Piemonte DOC Chardonnay, un blend speciale con lo Chardonnay (85%) a cui si aggiunge il Sauvignon Blanc, un assemblaggio che avviene nel momento in cui entrambi i vini hanno completato la fermentazione. Bouquet intenso, complesso, di grande eleganza, vinificato in bianco con macerazione pellicolare e lunga permanenza sui lieviti, che affina per 6-8 mesi in acciaio; non possono, infine, mancare le bollicine, “Ivy” è un Vino Spumante Bianco Brut, dedicato a Ivana, sorella di Roberto, ed è il primo Spumante prodotto da Roberto Sarotto. Una selezione di uve Chardonnay 40%, Pinot Nero 40% e Cortese 20% spumantizzate con metodo Martinotti, con lunga permanenza del vino sulle fecce della stessa rifermentazione per 12 mesi, conferendo struttura e corpo uniti alla freschezza caratteristica del metodo. Con questo articolo vi ho lasciato davvero una vera e propria dritta su una cantina che dev’essere assolutamente tra i vostri prossimi acquisti, consigliatissima!!! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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6 Aprile, 2023

Casale dello Sparviero: forza ed eleganza in grande stile toscano

Casale dello Sparviero: forza ed eleganza in grande stile toscano  Cari amici lettori, come tutti sappiamo le degustazioni sono sempre una meravigliosa occasione per conoscere, approfondire e scoprire aspetti e realtà del nostro amato mondo del vino. Lo scorso febbraio ho avuto il piacere di partecipare alla presentazione del libro di Armando Castagno “Castellina in Chianti – territorio, vino, persone” scritto per raccontare lo splendido territorio che accoglie poco meno di 40 produttori facenti parte dell’associazione Viticoltori di Castellina in Chianti. In questa cornice meravigliosa ho avuto il piacere di scoprire Casale dello Sparviero che con la sua qualità ha saputo sin da subito colpirmi e farmi incuriosire. Assolutamente non trascurabili le dimensioni dell’azienda che si colloca nell’incantevole paesaggio collinare del Chianti Classico senese, come detto siamo appunto tra i comuni di Castellina in Chianti e di Poggibonsi, e si estende complessivamente su circa 380 ettari, di cui 90 di vigneti situati ad un’altitudine ottimale per la produzione dei grandi vini toscani di qualità di circa 250 metri. Un terroir unico rende unico il Casale dello Sparviero che grazie alla sua estensione riesce ad avere la propria produzione su suoli variegati alternando zone sabbiose a zone argillose, con la costante presenza di scheletro, un contesto variabile e valorizzato al meglio. Una realtà che nasce 1972 per volontà dell’imprenditore padovano Olindo Andrighetti, che intuisce le potenzialità dei grandi rossi toscani delle colline del Chianti. La prima geografia della tenuta è ben diversa da quella odierna e vede al centro il nucleo di Campoperi con il bosco, i terreni adibiti a seminativo e l’oliveta che fanno da contorno alle vigne di Sangiovese. Il 1996 rappresenta invece l’anno della svolta: la Campoperi acquisisce la tenuta confinate di Casale, che viene adibita a nuovo centro operativo e produttivo, dando vita al Casale dello Sparviero. Lo stesso anno vede inoltre un passaggio di consegne tra il padre Olindo e la figlia Ada che, con una serie di investimenti mirati, avvia un processo di rinnovamento dei vigneti e di tecnologizzazione della cantina, al fine di rendere l’azienda un’eccellenza del territorio. L’azienda crede fortemente nel rispetto della natura e delle tradizioni, senza trascurare il tocco innovativo e il carattere internazionale: la produzione si concentra infatti su diversi cloni di Sangiovese, sul Canaiolo e Pugnitello, in continuità con la tradizione che agisce come perfetto complementare, ma nell’area all’esterno dei confini della denominazione sono stati introdotti gli internazionali Merlot e Cabernet Sauvignon, il tutto nel rispetto dell’ambiente e dei suoli con la minimizzazione degli interventi in vigna, nel tenere bassa la resa per ettaro del vigneto, nella simbiosi tra la natura e gli animali del territorio, nel profondo rispetto della biodiversità. Forte di un credo basato sul rispetto della natura e di una profonda sinergia tra uomo e ambiente, Casale dello Sparviero dalla vendemmia 2016 ha dato il via al processo di conversione in agricoltura biologica, arrivando ad avere la vendemmia 2019 come prima a fregiarsi della certificazione e una completa produzione biologica dal 2022. Molto legata al Casale la scelta del nome e del simbolo dell’azienda: Lo Sparviero, elegante rapace, nidifica da tempo immemore all’interno della tenuta ed in special modo all’interno delle buche pontaie del Casale stesso, dove è possibile ammirare le nidiate dei nuovi nati in primavera. Forza ed eleganza sono le caratteristiche principali di questo nobile volatile, che ben rappresentano lo stile dei vini qui prodotti e rafforzano il legame con il territorio. Tra i vigneti presenti in azienda il più antico è quello di Paronza, le cui tracce storiche risalgono al 1169. È da qui che si ottiene la punta di diamante di Casale dello Sparviero, ovvero il Chianti Classico Gran Selezione Paronza, da suoli di argillosi, questa collina è stata individuata nel 1997 come quella destinata alla produzione dell’eccellenza aziendale. Molte altre sono le produzioni di qualità di questa azienda: Chianti Superiore, Chianti Classico e Chianti Classico Riserva, il Bianco di Casale dello Sparviero (50% è Vermentino, la parte restante Malvasia e Trebbiano), Rosato (da uve Sangiovese) e l’IGT Toscana rosso (Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Merlot). Vino dallo stile inconfondibile che riescono a coniugare forza ed eleganza in pieno stile toscano, da non perdere assolutamente! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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25 Marzo, 2023

Michele Taliano, eccellenza e tradizione tra Roero e Barbaresco

Michele Taliano, eccellenza e tradizione tra Roero e Barbaresco La storia della cantina parla di famiglia e di vino sin dal 1930, una storia che parte da lontano e arriva al presente con tantissima passione e dedizione alla terra e alla qualità. In quegli anni nasce l’azienda agricola con Domenico Taliano, proveniente da una famiglia da sempre dedita ai lavori in vigna e nei campi, conosciuta in paese con il soprannome “Re Cit” che significa “piccoli re”. L’idea di espandere l’attività aziendale nelle Langhe inizia però con Michele Taliano, una volta presa in mano la gestione delle vigne in eredità: inizialmente i vigneti infatti erano tutti compresi all’interno del comune di Montà, zona del Roero, ma nel 1974 l’azienda cresce grazie alle idee di Michele che acquisisce una cascina di circa 5 ettari di terreno nel crù Montersino a San Rocco Seno d’Elvio, frazione di Alba ricompresa insieme ai Comuni di Barbaresco, Neive e Treiso nella DOCG Barbaresco. A metà degli anni ‘90 i figli di Michele, la nuova generazione composta da Alberto e Ezio, rilanciano l’azienda modificandone le metodologie di produzione dell’uva e di affinamento del vino e acquisendo altri terreni nel Roero, proseguendo le innovazioni seppur mantenendo sempre fissa la tradizione e alta la vocazione a creare prodotti di qualità. Oggi la proprietà si estende per 15 ettari, 3 ettari circa di nebbiolo da Barbaresco, 1,5 barbera, e i restanti nel Roero, in particolare circa 4 ettari si trovano in località Bòssora in un contesto naturale che forma uno splendido anfiteatro naturale circondato da boschi e gole cui si accede con difficoltà percorrendo un sentiero sabbioso. La produzione è fortemente legata al territorio, con i nomi dei vini derivano dal connubio tra fantasia e recupero di parole del dialetto tradizionale. Le bottiglie prodotte sono circa 70.000, di cui circa sole 5.000 di Barbaresco, vini classici della tradizione come Roero Arneis, Favorita, Barbera, Dolcetto e Nebbiolo; vini denominati “Fantasia” che vedono i vitigni autoctoni affiancati da vitigni internazionali come il Sauvignon Blanc e Cabernet Sauvignon; la linea “Alta Gamma” composta dai due Barbaresco (Ad Altiora e Tera Mia Riserva), Roero Riserva e Barbera d’Alba Superiore; per concludere poi con i vini dolci come il Birbet (derivante dalla vinificazione di uve Bragat Rosa) e Moscato d’Asti. È proprio vera la frase di Robert Louis Stevenson: “il vino è poesia imbottigliata”. Alcuni vini infatti evocano emozioni e sensazioni che sanno ispirare, rendere creativi, catturare i pensieri o semplicemente farci migliorare l’umore e passare una meravigliosa serata. È questo il caso del Barbaresco Riserva Tera mia, da uve 100% Nebbiolo della zona di Montersino allevato su suoli calcarei, vinificato secondo tradizione con macerazione delle uve, e fatto maturare per ben 48 mesi in legno (in parte grande e in parte barrique) per renderlo pienamente godibile subito e donargli longevità per chi ha la capacità di attendere. Dopo averlo versato e fatto roteare il calice si dipinge di archetti, un colore che lascia penetrare la luce e che si illumina, colore leggero, aranciato e sfumato. Maturo e coerente nei suntuosi profumi di piccoli frutti rossi balsamici, avvolti da uno sfondo mandorlato e una retrolfattiva di dolce vaniglia. Fitta trama tanica al sorso pone avanti il suo carattere con vivavità e croccantezza invitando ogni volta al sorso successivo, che scalda ogni volta il palato. Lungo il finale speziato. Un vino e una cantina che rappresentano la tradizione e l’eccellenza, da provare assolutamente! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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16 Marzo, 2023

Fattoria Lornano, storia e qualità sostenibile

Fattoria Lornano, storia e qualità sostenibile Lo scorso 22 febbraio a Roma, in occasione della presentazione del libro di Armando Castagno “Castellina in Chianti – territorio, vino, persone” scritto per raccontare lo splendido territorio che accoglie poco meno di 40 produttori facenti parte dell’associazione Viticoltori di Castellina in Chianti, ho avuto l’occasione di partecipare alla splendida degustazione che mi ha fatto incontrare realtà storiche come Fattoria Lornano, notevole per qualità e filosofia produttiva. Una lunga storia alle spalle di Lornano, un’azienda agricola di proprietà della stessa famiglia dal 1904, situata sulle colline a sud est di Castellina in Chianti, sul confine tra Castellina e Monteriggioni, membra del “Consorzio del Marchio Storico Chianti Classico Gallo Nero” sin dalla sua fondazione avvenuta nel 1924. La cantina fu edificata attorno all’antica chiesa di Lornano nel XV secolo e la forma dell’attuale struttura, che oggi accoglie la produzione e l’attività agrituristica, risale alla seconda metà del XVIII secolo. La proprietà si estende per oltre 180 ettari di cui 70 sono vitati, su terreni caratterizzati da differenti suoli e microclimi, ad un’altitudine media di 300 m s.l.m.. L’80% dei vigneti è costituito da 15 differenti cloni di Sangiovese, accuratamente selezionati, che esprimono tutti i caratteri autentici di questa antica e incredibile uva che rappresenta l’anima della Toscana. Il restante 20% è coltivato a Merlot, Cabernet Sauvignon, con una piccola percentuale di uve bianche di Trebbiano e Malvasia, usate per la produzione del famoso Vin Santo del Chianti Classico DOC, creato secondo le più tradizionali tecniche che lo rendono un prodotto davvero prezioso. In azienda vengono vinificate esclusivamente le uve provenienti dei vigneti della tenuta in una moderna cantina con vasche in acciaio a temperatura controllata ed i vini prodotti affinano in botti di rovere francese nell’antica cantina d’invecchiamento sotterranea, un luogo magico che protegge naturalmente da improvvisi sbalzi di temperatura e che pone le condizioni ottimali per la maturazione dei vini. I vini prodotti sono il Chianti Classico, presenti anche nella versione Riserva e Gran Selezione, tre IGT (rosso, rosato e il Supertuscan “Commendator Enrico”), un Chianti Colli Senesi e, infine come detto, il Vin Santo. Come sapete amo evidenziare le cantine che lavorano nel pieno rispetto dell’ambiente con il mio #vinosostenibile e qui siamo difronte ad una realtà che ha scelto da diversi anni di ridurre l’impatto ambientale delle proprie azioni, implementando nuove pratiche etiche e sostenibili per garantire soluzioni rispettose dell’ambiente e delle sue risorse alle generazioni future. La via che persegue lo sviluppo sostenibile è ormai imprescindibile, ed è per questo che nel 2022 la cantina ha ricevuto dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (Mipaaf) la certificazione SQNPI (Sistema di Qualità Nazionale Produzione Integrata), che certifica e garantisce un sistema agricolo di produzione basato su metodi agronomici di difesa che prediligono l’utilizzo di risorse e di meccanismi di regolazione naturali, limitando l’impatto sull’ambiente. Una via che vede la cantina impegnata nella salvaguardia e mantenimento dei boschi di proprietà, nel favorire la biodiversità, favorendo l’insediamento di insetti impollinatori, attraverso l’inerbimento del vigneto durante tutte le fasi vegetative, nell’adottare tecniche di produzione integrata, prevedendo l’utilizzo di risorse e meccanismi naturali, limitando l’impatto sull’ambiente eliminando ogni prodotto chimico fertilizzante ed erbicida. Ma oltre a questi aspetti il rispetto dell’ambiente vede anche la minimizzazione degli interventi e trattamenti, la produzione di energia pulita rinnovabile, nonché le iniziative per il sociale: in vigna è stata installata una stazione meteo che consente l’utilizzo di modelli previsionali di malattie del vigneto in modo da trattare solo quando necessario, nel corso di quest’anno viene utilizzato un sistema di produzione di energia elettrica tramite un impianto fotovoltaico per coprire i fabbisogni aziendali per tutti i processi di produzione, vengono infine attuati e sviluppati progetti a favore della collettività, con l’obiettivo di fare impresa in maniera condivisa e inclusiva, aiutando anche i consumatori a fare scelte responsabili e compatibili con la salute ed il benessere. Insomma una realtà del Chianti Classico che merita davvero di essere nel vostro calice! Fattoria Lornano, storia e qualità sostenibile A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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