Diario di un sommelier

Diario di un Sommelier è la rubrica curata da Giuseppe Petronio, amante del vino e sommelier per passione, noto su Instagram come @peppetronio, in cui racconta in modo originale il mondo del vino, i propri assaggi e le esperienze che vive, selezionando le cantine che più lo colpiscono e mettendo sempre avanti i rapporti umani.

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15 Dicembre, 2023

Castello di Querceto: oasi di qualità sostenibile nel cuore del Chianti Classico

Castello di Querceto: oasi di qualità sostenibile nel cuore del Chianti Classico
Come molti di voi sanno sono un grande appassionato dei grandi vini che la Toscana ci regala e innamorato delle sue mille sfaccettature territoriali. Proprio lo scorso anno, a giugno, ho fatto un piccolo tour per cantine che ha consentito di vedere da vicino alcune realtà e che si è concluso da Castello di Querceto, dove ho pernottato con la mia famiglia e dove, tra calda accoglienza, vini unici e natura incontaminata, mi sono sentito a casa. L’azienda, sita a Greve in Chianti e di proprietà della famiglia François, come in pochissimi altri casi in Italia, è sempre rimasta di famiglia e vanta oltre 125 anni di storia nella produzione di vini pregiati dai vigneti intorno al Castello, inoltre, è stata tra i soci fondatori del Consorzio Chianti Classico nel 1924, partecipando alla storia enologica del territorio e non solo. Oggi l’azienda è gestita dalla quinta generazione della famniglia e si estende su 190 ettari, di cui 65 a vigneto e 10 a oliveto, con la restante parte costituito da boschi di quercia e castagno, con la sua grande biodiversità che rappresenta un vero patrimonio verde di flora e fauna che circonda il Castello edificato nel XVI secolo d.C.. Tra le uve prodotte primeggia, come ovviamente ci si aspetta da quelle parti, il Sangiovese, a cui si affiancano numerose altre varietà, tra cui Canaiolo e il Colorino, a cui si affiancano gli internazionali, Cabernet Sauvignon, Syrah, Petit Verdot e Merlot. Tra i vitigni a bacca bianca ci sono la Malvasia del Chianti, il Trebbiano Toscano, il San Colombano e lo Chardonnay. Sin dall’inizio, la famiglia François ha posato le fondamenta del lavoro aziendale sulle basi della conoscenza profonda del proprio territorio, molto vario a livello geologico e climatico, e sul potenziale del suo Sangiovese, oggi declinato in tutte le tipologie della denominazione e non solo. La gamma di Castello di Querceto, infatti, si esprime in due macro-direzioni: da una parte il Chianti Classico, codice imprescindibile del territorio, dall’altra un’interpretazione più libera e personale che dà voce alle parcelle più peculiari del Castello, con un elemento comune che è quello dei cru, di cui Alessandro François è stato pioniere nella zona sin dagli anni ’70. Diverse sono le etichette prodotte, partendo dal Chianti Classico, biglietto da visita di notevole fattura e piacevolezza, classificatosi al 42º posto nella lista dei Top 100 Vini del 2023 di Wine Spectator, si passa poi a referenze sempre più strutturate e caratteristiche, con il Chianti Classico Riserva e ben due Gran Selezione, “La Corte” ed “Il Picchio”, due cru che ci raccontano nel calice le diverse caratteristiche che conferiscono le due differenti parcelle aziendali, i supertuscan “Cignale” (90% Cabernet Sauvignon e restante parte di Merlot), “Querciolaia” (65% Sangiovese e 35% Cabernet Sauvignon) e “QueRceto Romantic” (50% Petit Verdot, 30% Merlot, 20% Syrah). Notevoli anche il “Sole di Alessandro”, Cabernet Sauvignon in purezza di grande carattere, struttura e piacevolezza, e il Vin Santo prodotto secondo la tradizione. Tutti vini caratterizzati da una forte territorialità e da una freschezza e sapidità che vanno a esprimere esattamente le caratteristiche della parcella da cui provengono le uve. Anche in questo caso mi piace sottolineare il carattere sostenibile dell’azienda che si concretizza con l’attività quotidiana, per la quale è stato scelto di applicare parametri e standards definiti da norme ed organizzazioni terze, sotto il costante controllo e le verifiche di soggetti esterni. L’azienda aderisce infatti al Protocollo Viva, promosso dal Ministero della Transizione Ecologica, che certifica l’applicazione dei principi della sostenibilità partendo dalla produzione dell’uva e coprendo tutta l’organizzazione della filiera, secondo gli indicatori di riferimento per il territorio, l’acqua, la gestione del vigneto e l’aria. Tutti i prodotti sono tutelati dagli standard di qualità e sicurezza alimentare BRC (Brand Reputation Compliance) e IFS (International Food Standard), con l’attività aziendale che segue un approccio legale ed etico attento nel suo complesso, applicando la normativa 231/01 ed adottando un codice etico. Ogni volta che penso a questa azienda e bevo i loro vini mi immergo in quella natura incontaminata che circonda il Castello, una vera e propria oasi sostenibile nel cuore della Toscana e del Chianti Classico che spero presto di poter tornare a vivere in prima persona e che consiglio a tutti voi di approfondire! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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11 Novembre, 2023

Casa alle Vacche: tradizione familiare, qualità e accoglienza nel cuore della Toscana

Casa alle Vacche: tradizione familiare, qualità e accoglienza nel cuore della Toscana Oggi vi racconto di una scoperta che ho fatto ormai alcuni anni fa, ma che con piacere ritrovo sempre nel mio percorso di degustazioni e segnalazioni per chi vuole qualità dei prodotti e una buona dritta per le vacanze, da tenere sempre in considerazione: vi parlo oggi di Casa alle Vacche. Siamo un uno dei punti focali della produzione vinicola Toscana, in particolare a San Gimignano, zona ad altissima vocazione produttiva e nota per la famosa per la Vernaccia e non solo. Ci troviamo nello spettacolare scenario che offre la campagna toscana, una azienda che segue la tradizione vinicola familiare da generazioni, fatta di passione e particolare attenzione al territorio. Da generazioni è infatti la famiglia Ciappi a seguire con amore e passione tutte le fasi produttive di vino e olio, facendo nascere anche circa vent’anni l’attività agrituristica con l’idea di far godere le bellezze del territorio ad ospiti provenienti da ogni dove. Qualche tempo fa ho avuto il piacere e l’onore di incontrare Andrea Ciappi a Roma che rappresenta la nuova generazione dell’azienda impersonandone a pieno la filosofia. Il particolare nome dell’azienda deriva dal fatto che nell’800 l’area dove oggi sorge ed in particolare l’edificio più antico, erano adibiti a stalle per le vacche che venivano utilizzate per il traino dei carri ed il lavoro nei campi. Il nome oltre a ricordare la storia del territorio vuole anche evocare la semplicità, la genuinità, la fatica ed il duro lavoro di una famiglia di viticoltori, valori che tutti noi dobbiamo tenere a mente quando degustiamo vini e talvolta li giudichiamo. Perché mi piacciono i loro vini? Perché sono ricchi di vita, di slancio, di integrità del frutto, dotati di freschezza e giusta armonia. Ma questa è solo una considerazione di carattere generale dopo aver degustato diverse annate, l’azienda ha infatti una produzione molto variegata che va da i classici della tradizione del territorio fino ad alcune chicche particolari. Tre le versioni di Vernaccia di san Gimignano DOCG, disponibile nella versione base, “I Macchioni” e la Riserva “Crocus” che segue una fermentazione controllata in barili nuovi con continui “batonnage” e un affinamento in bottiglia per almeno 4 mesi. Altro vino di grande struttura e tradizione è Chianti Colli Senesi DOCG Riserva “Cinabro”, realizzato con Sangiovese in diverse qualità clonali e fermentazione tradizionale in rosso per almeno 20 gg. con controllo termico a 30°C. e dopo il primo travaso elevazione in barrique su fecce fini e permanenza in legno per almeno 18 mesi, con almeno 4 in bottiglia. Prodotta anche in questo caso la versione base Chianti Colli Senesi DOCG. Ulteriori rossi di grande struttura sono gli Igt “Acantho”, blend di Cabernet Sauvignon e Ciliegiolo e “Aglieno”, blend di Sangiovese, e Merlot. Prodotto anche un Igt “Merlot” in purezza molto interessante. Negli ultimi anni l’azienda si sta focalizzando soprattutto nella ricerca di vitigni autoctoni, un “ritorno alle origini” dove le colture antiche incontrano le moderne tecnologie. Da qui derivano alcune produzioni in purezza: Canaiolo, Colorino, Sangiovese B. (vinificato in Bianco) e il Ciliegiolo. Non mancano anche alcuni blend con l’Igt Rosso “Lorenzo” (Sangiovese, Canaiolo e Ciliegiolo), Igt Rosato “Raffy” (Canaiolo, Colorino, Ciliegiolo) e Igt Bianco “Fernando” (Vernaccia di San Gimignano, Chardonnay e altri vitigni a bacca bianca). Ultimo arrivato il “Mater”, metodo ancestrale Sangiovese rosato, di grande vivacità, estro e piacevolezza. Chiudiamo il lungo elenco dei prodotti con il dulcis in fundo, il nettare “Vin Santo”. Non posso far altro che consigliarvi di degustare questi vini e anche meglio andare in visita in azienda per immergervi nella tipicità e genuinità della Toscana! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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25 Ottobre, 2023

Alla scoperta delle eccellenze piemontesi: Mauro Molino

Alla scoperta delle eccellenze piemontesi: Mauro Molino Finalmente questa lunga estate meteorologica sta volgendo al termine ed è tempo di riprendere ad essere accompagnati dai grandi vini strutturati e di carattere come quelli piemontesi: oggi vi parlo dell’Azienda Agricola Mauro Molino. L’azienda, fondata nel 1953, conta circa 18 ettari vitati e si trova nel cuore dell’area di produzione del Barolo, in particolare a La Morra in frazione Annunziata. Una realtà giovane e dinamica, ma fortemente legata alla tradizione e alle proprie radici. Da sempre a conduzione familiare, vede l’origine della produzione con Mauro Molino che negli anni ’70, dopo aver studiato e fatto pratica nel campo dell’enologia in Emilia Romagna, in seguito alla morte del padre Giuseppe, torna nelle Langhe delle sue origini. Il padre gli ha lasciato in eredità alcuni vigneti e lui vede in questa occasione la grande opportunità di creare qualcosa di unico nella propria amata terra. Nel 1982, dopo aver effettuato una ristrutturazione dei vigneti e della cantina, produce il suo primo Barolo, quello del Vigneto Conca. Da qui inizia Mauro comprenderà sempre di più la fortuna di poter lavorare in una zona unica al mondo, quella del Barolo. Si innamorerà sempre di più dei monovitigni tipici di questo territorio e in particolare del Nebbiolo. Oggi fa parte dello staff aziendale a pieno titolo Matteo, il primo figlio di Mauro. Da sempre appassionato alla produzione di vino di altissima qualità, ha iniziato sin da piccolo a interessarsi della cura dei vigneti e dei diversi processi di vinificazione, portando una ventata di freschezza e di innovazione a livello produttivo, cercando di esaltare sempre di più la qualità dei vini, l’eleganza e la piacevolezza. Martina, la figlia più piccola di Mauro, si unisce al padre e al fratello nella conduzione dell’azienda. Come da tradizione anche Martina si diploma alla Scuola Enologica di Alba, e dopo alcune esperienze all’estero, ritorna a La Morra pronta per dare il suo contributo nelle attività di famiglia, dedicandosi in modo innovativo alla comunicazione, alla commercializzazione e alla trasmissione della filosofia aziendale. L’Azienda produce vini che rappresentano al meglio l’espressione del nostro territorio, partendo dai classici piemontesi, declinati anche nelle versioni dei più importanti cru. Sono presenti il Dolcetto, Dimartina (blend di Barbera, Merlot e Nebbiolo), Barbera d’Alba, Barbera d’Asti “LERADICI”, Barbera d’Alba “Legattere”‎, Langhe Nebbiolo, Barolo base e diversi cru Barolo: “Gallinotto”, “Bricco Luciani”, “La Serra” e “Conca”. Sono presenti anche i bianchi Roero Arneis e Chardonnay. Questa azienda rimane sicuramente tra quelle che metto nel mio “piano di viaggio” per quando potrò riorganizzarmi e tornare in Piemonte a visitare cantine, per adesso ho degustato il loro Barolo che rappresenta un grandissimo biglietto da visita, impossibile non innamorarsene! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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11 Ottobre, 2023

Casata Mergè: l’eleganza del Cesanese e non solo

  Negli ultimi mesi, grazie anche al coinvolgimento da parte del Consorzio Roma Doc alla creazione del calendario 2024, ho avuto modo di conoscere meglio alcune delle migliori cantine del territorio e approfondire la denominazione. Casata Mergè si trova al confine tra Frascati e Monte Porzio Catone, in un’area climatica pregiatamene mediterranea. Culla ideale per la coltura di vitigni autoctoni ultracentenari, in una zona che gli antichi Romani elessero a luogo di villeggiatura per eccellenza, grazie al paesaggio, al clima e alla bontà del suo vino. Nella prima metà del Novecento, Manlio Mergè inizia l’attività di viticoltore rispettando la cultura e le caratteristiche storiche del territorio. Oggi Luigi Mergè, con i figli Massimiliano, Mariabeatrice e Marianna, dopo quattro generazioni, continua a tenere vivo quel primo innesto, mantenendo intatte le radici di famiglia, producendo vini nel rispetto delle tradizioni ma al passo con le più avanzate tecnologie. Sui suoli vulcanici dell’azienda sono presenti sia gli autoctoni che i grandi vitigni internazionali, trovano spazio infatti: Sauvignon blanc, Syrah, Merlot, Cesanese, Montepulciano, Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Pinot Noir, Chardonnay, Malvasia, Bellone, Trebbiano, Bombino e Pecorino. Tutti questi vitigni creano ciascuno o in blend tantissime combinazioni di vini ricchi di cura e pregio, che prendono forma in cinque linee di produzione, la 1960 (anno di fondazione dell’azienda), Amore DiVino, Camelot, Roma e Sesto 21. In generale, uno degli aggettivi che più mi piace associare ad un vino è elegante, ed è questo quello che mi è venuto in mente quando ho degustato il loro Cesanese IGP 1960, un vino che al calice evidenzia un rosso trasparente e intensa luminosità, trasmette armonia al naso e al palato regalando con sentori gentili di fragola e visciola, dimostrandosi altresì di carattere al palato, con la giusta dose di calore e sapidità, tannino levigato, dotato di sorso scorrevole e di piacevole final di bocca. Azienda che ha saputo lasciare il segno con questo Cesanese che rappresenta una gran bella sorpresa, essendo a mio avviso difficile trovarne uno dotato di tale eleganza, ma anche tutti gli altri prodotti che ho degustato (e che trovate in foto) sono stati di notevole qualità, per questo se anche voi volete iniziare un percorso di scoperta dei vini del Lazio sapete da dove iniziare! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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2 Ottobre, 2023

Badia di Morrona: tra storia, natura, qualità ed enoturismo

Badia di Morrona: tra storia, natura, qualità ed enoturismo Cari amici lettori prendo spunto dalla meravigliosa visita in cantina di questa estate per parlarvi di Badia di Morrona, una realtà a dir poco sorprendente per diversi aspetti. A colpirmi nella visita, tra le tante cose, è stata la grande attenzione posta dall’azienda nel raggiungere altissimi standard di qualità, con vocazione a creare vini ben riconoscibili e legati al territorio, ma anche per l’accoglienza e l’esperienza turistica, la lunga storia che la contraddistingue e l’amore per l’ambiente che la circonda. Ci troviamo nello splendido contesto tra Pisa e Volterra, in particolare a Terriciola, dove Badia di Morrona può contare su una tenuta di 600 ettari, in cui boschi di cipressi, lecci e querce lasciano spazio a 40 ettari di uliveti e, soprattutto, a 110 ettari di vigne. Nel 1939 la famiglia Gaslini Alberti acquisisce la tenuta con i primi vigneti storici, testimoni di una viticoltura radicata da tempo nel territorio. Negli anni ’90 Duccio Gaslini Alberti, padre degli attuali proprietari Filippo e Alessandra, dona una svolta qualitativa alla produzione vinicola avviando una grande opera di reimpianto, conservando le vigne più promettenti e studiando i cloni più adatti, la densità di impianto e i sistemi di allevamento ideali per creare espressioni del territorio autentiche e di alta qualità. Nel cuore dell’azienda troviamo la millenaria Badia, splendido nucleo storico della tenuta e prima casa dei vini di Badia di Morrona, meraviglia in cui è possibile celebrare matrimoni, essendoci anche la chiesa consacrata, a cui si è affiancata successivamente una cantina moderna, progettata in chiave sostenibile, sfruttando tecnologia e gravità. Importante è il tema della sostenibilità che si declina sia nelle lavorazioni di cantina, con macchinari moderni ed efficienti, che nei comportamenti quotidiani di tutto il personale coinvolto, ma anche nella produzione di energia pulita da fonti rinnovabili con la presenza di un grande impianto fotovoltaico di circa 2 MW. La vasta tenuta è dotata di grandi case coloniche sapientemente ristrutturate, tutte con piscina, immerse nel verde e suddivise in ville e appartamenti dal carattere elegante, riservato e accogliente. Fornite di ogni confort, queste strutture permettono di rilassarsi nell’incantevole panorama tipico della Toscana, nella vera pace del verde da dove non vorresti mai andar via. Ma parliamo dei vitigni presenti in azienda: per quelli a bacca rossa a farla da padrone è, come è giusto che sia, il Sangiovese, che trova spazio tra le dolci colline per circa il 60% dell’intero parco vitato, mentre le restanti parcelle sono state destinate anche a Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot e Syrah. Per quanto riguarda quelli a bacca bianca il Vermentino e lo Chardonnay sono i più significativi e presenti nelle vigne pianeggianti della tenuta. Camminare tra i filari, in particolare di quelli da cui proviene il Vigna Alta, è stata l’occasione per incontrare suoli davvero preziosi e di antico fascino, con travertino e conchiglie fossili che accompagnano le viti in un viaggio ideale tra passato e presente. I tre vini identitari: N’Antia è il taglio bordolese nato nel 1992 che ha segnato in maniera importante l’esordio della tenuta. N’Antia rappresenta infatti la volontà di Duccio Gaslini Alberti di far parlare il territorio nella lingua di Bordeaux, ovvero tramite Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot. Negli anni, le tecniche di vinificazione si sono evolute e oggi la “ricetta” per N’Antia prevede la fermentazione in acciaio, maturazione di 15 mesi in barrique, un passaggio in vasche di cemento e infine in bottiglia; VignaAlta è la voce del Sangiovese più nobile della tenuta. Nato nel 1994 e fortemente voluto dalla proprietà per esaltare il valore del vitigno toscano per eccellenza, questo Terre di Pisa DOC fermenta in acciaio, matura 24 mesi in botti di rovere francese da 25 hl e riposa 3 mesi in cemento. Nel bicchiere si ritrova un Sangiovese di carattere e fresco che riesce ad essere davvero identitario; Taneto, ha una vocazione transalpina, con il Syrah protagonista e giusto un tocco di Sangiovese e Merlot. Nasce in alcune delle parcelle più ricche di fossili della tenuta (tra cui la Vigna Disperato), che infatti contribuiscono a donargli un carattere minerale e speziato sui generis. Dopo la fermentazione in acciaio, 12 mesi è il tempo di affinamento previsto in barrique e solo la piccola percentuale di Sangiovese matura in botti grandi di rovere francese da 25 hl, cui segue poi una breve sosta in vasche di cemento. A questi si affiancano i Chianti di Badia di Morrona: I Sodi del Paretaio e I Sodi del Paretaio Riserva che rappresentano la lettura orizzontale dei vigneti dell’azienda e in questo senso sono gli alfieri della gamma. Prodotti ogni anno in una tiratura ben più che considerevole dei precedenti vini, incarnano alla perfezione il concetto di piacevolezza e accessibilità.  Nella versione annata il Sangiovese (85%) è affiancato da Cabernet Sauvignon, Merlot e Syrah, fermenta in acciaio e affina in vasche di cemento per 10 mesi; la versione Riserva è un Sangiovese in purezza, con un bel tannino morbido e maturo. Sosta 18 mesi in botti grandi di rovere francese da 44 hl e fa un breve passaggio in cemento prima dell’imbottigliamento. Presenti, infine, le declinazioni floreali dell’azienda, ovvero le accattivanti espressioni in bianco e in rosa di Badia di Morrona: Felciaio, Vermentino toscano in purezza dalla bella sapidità, e Vivaja, Sangiovese rosato delicatamente fruttato, e il bianco La Suvera, cuvée dai tratti mediterranei e tropicali a base di Chardonnay e Viognier. La freschezza aromatica dei tre vini è ben preservata grazie alla vinificazione in acciaio, con l’unica eccezione dello Chardonnay, per cui è previsto un passaggio in barrique di 6 mesi. Una visita che mi ha lasciato un ricordo stupendo ed indelebile sia per qualità dei prodotti che per la meravigliosa esperienza enoturistica, azienda che invito tutti a segnare nella lista di quelle da vivere e da scoprire! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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7 Settembre, 2023

Tenuta Fertuna e il suo nuovo Vermentino Orange

Tenuta Fertuna e il suo nuovo Vermentino Orange   Cari lettori bentrovati! Dopo un breve pausa estiva si riparte, ma prima di parlarvi di Tenuta Fertuna e del loro nuovo vino, voglio iniziare questo articolo con il bellissimo ricordo che conservo della visita alla cantina fatta ormai nell’aprile 2019, dove ho scattato questa foto (link) a mia moglie Martina con il nostro piccolo primogenito Leonardo ancora in grembo, uno scatto avvenuto dopo la degustazione delle eccellenze di Fertuna effettuata insieme all’enologo Paolo Rivella. Tenuta Fertuna, il cui nome rimanda alla fertilità della terra e alla fortuna degli uomini che la coltivano, nasce nel 1997 nel cuore della Maremma Toscana, terra in cui gli antichi etruschi avevano sviluppato la loro fiorente civiltà dedicandosi all’agricoltura già nei secoli passati. La tenuta sorge su un territorio estremamente vocato alla viticultura, in un luogo a farla da padrone è la natura, tra la vegetazione selvaggia e spontanea, la mano dell’uomo ha agito con delicata armonia, disegnando un anfiteatro di vigneti. La tenuta si estende per 145 ettari, di cui 50 attualmente vitati. Tutte le vigne sono dotate di impianto d’irrigazione goccia a goccia, alimentato da un grande lago artificiale di circa 15.000 m2 che prende le sue acque da fonti locali. Una parte dell’azienda è dedicata per circa 5,5 ettari ad olivicoltura. Il terreno ricco di Galestro (roccia scistosa) e di Alberese (substrato calcareo), la natura fertile ed incontaminata, il microclima mediterraneo con forte influenza marina ed una buona escursione termica giorno/notte, fanno della Maremma un terroir particolarmente votato alla coltivazione della vite. Nell’ultimo decennio qui si sono concentrati ingenti investimenti di settore: oltre all’autoctono Sangiovese, vitigno principe delle terre di Toscana, sono stati piantati i più rinomati vitigni internazionali, che sanno dare in Maremma un’espressione del tutto nuova, davvero di grande spessore Come sapete ho sempre a cuore il tema della sostenibilità: Fertuna, a partire dal 2016 sceglie di convertire la produzione a biologico e, dopo un periodo transitorio di “epurazione” da quelle che sono le tecniche agronomiche convenzionali, raggiunge la certificazione biologica dall’annata 2020. Non ancora contenti e sempre attenti a quelli che sono i nuovi traguardi, viene raggiunto anche il traguardo di Cantina Sostenibile conseguendo la certificazione secondo lo standard di qualità Equalitas. L’attenzione viene posta a tutto il ciclo produttivo: dall’impianto alla raccolta fino allo smaltimento ed il riciclo dei sottoprodotti, facendo sì che l’azienda viva un clima etico e sociale positivo. Due protocolli produttivi, biologico e sostenibile, che impreziosiscono il territorio permettendo di vivere integrati in quello che è il bellissimo habitat della Maremma e che concorrono al risultato finale che si rispecchia nei magnifici vini prodotti. Come sappiamo, i vini cosiddetti “orange” che negli ultimi tempi stanno andando molto di moda non sono alto che vini provenienti da uve a bacca bianca che, nella vinificazione, restano a contatto per un tempo, più o meno lungo, con le bucce, andando quindi ad estrarre una colorazione più intensa e tipicamente tendente all’arancione (da qui il nome). Il Vermentino Orange di Tenuta Fertuna è un vermentino 100% proveniente da vigneti di età di 20 anni, con esposizione a Sud-Est, frutto di una selezione manuale dei migliori grappoli. La fermentazione avviene a 20 ºC sulle bucce per 5 giorni e, dopo la separazione dalle bucce, la fermentazione continua a 18 ºC. Il vino è prodotto senza uso di solfiti aggiunti, in ogni fase del processo di produzione. Segue poi la fermentazione malolattica con un successivo affinamento “sur lies” per 6 mesi in piccole vasche d’acciaio, con batonnage settimanale. Ne viene fuori un vino giovane, divertente, al calice si distingue per il colore dorato brillante tendente all’arancio. Al naso spazia su un ventaglio di profumi che passano da ricordi fruttati di mela gialla, dolci di miele, ai ricordi di fiori secchi. Al palato sorprende per freschezza e mineralità, con piacevole gradevolezza di beva. Un sorso che invita l’altro dall’aperitivo alla cena, Vermentino Orange che rappresenta una vera bella sorpresa da provare! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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20 Giugno, 2023

Castelfeder: la buona viticoltura richiede tempo.

Castelfeder: la buona viticoltura richiede tempo. Lo scorso 12 e 13 marzo si è tenuto il Team’s day, evento organizzato dalla famosa agenzia di fornitura Horeca Macoratti a Roma nell’elegante cornice di Villa Appia Antica, per presentare agli addetti e agli appassionati le prestigiose etichette trattate dall’agenzia. In occasione di questo evento ho avuto il piacere di avere, otre a tantissime conferme, anche tante piacevoli scoperte: una di quelle che mi ha colpito per qualità e fascino è stata Castelfeder. Come tutti sappiamo la buona viticoltura richiede tempo: dalla fondazione della cantina Castelfeder nel 1969 ad opera di Alfons Giovanett ad oggi sono passati oltre 50 anni. Esperienza e disciplina accompagnati dall’energia della conduzione familiare sono alla base di questa storia unica e di successo. Il vino non è improvvisazione e l’esperienza di questa cantina nel tempo ne è testimone. La cantina infatti, ormai giunta alla terza generazione, manifesta la sua essenza in una simbiosi di tradizione e spirito pionieristico: “Siamo ad un ottimo punto nella storia dell’industria vinicola altoatesina, ora tocca a noi aumentare la consapevolezza della nostra azienda, lavorare costantemente sulla qualità dei vini e non perdere di vista la tradizione“: affermano Ines e Ivan Giovanett, rappresentanti della giovane generazione della famiglia. Una realtà completa, che ha visto nel tempo consolidare la qualità passando per il completamento dell’assortimento produttivo, la modernizzazione dei processi in cantina frutto di esperienza, e l’internazionalizzazione dei mercati. Ma l’occhio è anche rivolto al prossimo futuro, è doveroso infatti porre il proprio sguardo verso le generazioni a venire e, per questo, sono stati effettuati importanti investimenti nella sostenibilità di tutta la catena produttiva. Alto Adige significa 300 giornate di sole con un territorio protetto dalle Alpi del Nord ma allo stesso tempo presidiato dal clima mediterraneo a Sud, grandi escursioni termiche che rendono vivace e dinamica la produzione. In totale, oggi vengono lavorate dalla cantina altoatesina uve provenienti da 70 ettari di vigneti, di cui circa il 70% sono vitigni bianchi con focus su Chardonnay, Pinot Bianco, Pinot Grigio e Sauvignon. Il restante 30% è di uve rosse e qui il Pinot Nero è chiaramente in primo piano. Dal costante impegno di migliorare e voler produrre solo vino di alta qualità, nel 2018 è stato lanciato il nuovo progetto Pinot Nero che si concentra sui 3 vigneti Buchholz, Glen e Mazon, con ciascuna etichetta che valorizza le singolarità dei vari appezzamenti, ponendo l’accento su ciò che li accomuna, ciò che li contraddistingue e il modo con il quale da queste tre zone particolari si sviluppano tre vini autentici. Nel 2022 la tenuta ha raggiunto altri due grandi traguardi: i 30 anni di produzione “Burgum Novum”, linea di eccellenza di Castelfeder fondata da Günther Giovanett nel 1989, e il lancio del nuovo vino “Kreuzweg” – uno Chardonnay Riserva “Family Reserve”, punta della piramide qualitativa Castelfeder che rappresenta al meglio il suo terroir ed è disponibile solo in edizione limitata di 1.400 bottiglie. La nuova “Family Reserve” aggiunge ulteriore unicità alla selezione di Castelfeder, e non solo, è espressione della storia di famiglia e la qualità che accompagna la cantina fin dall’anno della sua nascita. Vi assicuro che Castelfeder rappresenta una storia di successo… una cantina che, con i suoi primi 50 anni di passione ed esperienza, di intenso lavoro e di vini con un carattere speciale è assolutamente da non perdere! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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15 Maggio, 2023

Château Dauzac: qualità biodinamica

Château Dauzac: qualità biodinamica  Cari amici oggi facciamo un giro fuori dall’Italia, per noi amanti del vino è impossibile non rivolgere lo sguardo anche nella nostra vicina e prestigiosa Francia. Vi parlo di Château Dauzac, produttore di Margaux ”Grand Cru Classé” secondo la classificazione del 1855, una cantina che ha il privilegio di avere un vigneto in un unico blocco di 49 ettari: 45 ettari con la denominazione Margaux e 4 ettari con la denominazione Haut-Médoc. Situata vicino all’estuario della Gironda, la cui influenza sull’ecosistema del vigneto è fondamentale, la proprietà è protetta dai venti dell’oceano grazie all’abbraccio di 120 ettari di prati e boschi. Una storia che affonda le radici molto lontano nel tempo, risalgono infatti al 1190 le informazioni relative al primo proprietario, Pétrus d’Auzac, che ricevette la terra direttamente da Riccardo I Cuor di Leone. Nel 1545 i monaci benedettini dell’abbazia di Sainte-Croix de Bordeaux furono i primi a menzionare, nei loro registri, la tenuta “Bourdieu” de Dauzac, menzionando la casa colonica con un vigneto. Già a fine del 1600 Château Dauzac diviene noto tra i migliori vigneti del Médoc riuscendo poi più avanti ad assicurarsi il riconoscimento della tenuta nella classificazione del 1855 come ”Grand Cru Classé”. Nel 1924 la famiglia Johnston rilevarono lo Château e introducendo la prima e attuale etichetta gialla, per passare poi alla famiglia Bernat, che lo rileva nel 1939 aprendo le porte della termoregolazione: per regolare la temperatura dei tini il proprietario ebbe infatti l’idea di utilizzare dei blocchi di ghiaccio durante la fermentazione. Si avvicendarono poi altre proprietà portando negli anni 2000 alla costituzione di una nuova cantina a gravità, utilizzando i primi tini di legno con doppie doghe trasparenti, acquisendo know-how per la selezione e la moltiplicazione dei lieviti indigeni dai vigneti di proprietà. Nel 2017 su un appezzamento dei più grandi terroir della denominazione Margaux, Château Dauzac ha ripiantato viti a piede franco di Cabernet Sauvignon da selezioni massali dei migliori vitigni della proprietà, con l’obiettivo di ricreare il sapore originale di questo emblematico vitigno del Médoc. Nel 2020 si insedia la proprietà della famiglia Roulleau. Château Dauzac è impegnato in un’agricoltura altamente integrata che utilizza solo fertilizzanti organici, inoltre, il controllo ecologico delle tignole della vite introdotto circa 20 anni fa, ha eliminato la necessità di utilizzare insetticidi. Su alcuni appezzamenti viene coltivata l’erba per regolare meglio ‘approvvigionamento idrico. Si sta inoltre passando ai principi della viticoltura biodinamica: lo Chateau utilizza due principali preparazioni in questo ambito. La prima è il concime di corno noto come “500”. Durante il periodo invernale viene inserito letame bovino di qualità nelle corna di vacca che vengono poi vengono poi poste nel terreno sdraiate in modo che possano assorbire tutta l’energia della terra. Questa concimazione, quando è ben preparata, ben conservata e ben applicata, è di primaria importanza, perché si rivolge al terreno e alle radici delle piante. La seconda è il Silice “501”, complementare al corno letame. Non si rivolge infatti al suolo bensì alla parte aerea della vite, agendo durante il suo periodo vegetativo. Si compone di farina di quarzo impastata con acqua, anche in questo caso inserita nelle corna, che poi vengono riempite con argilla (proveniente da Dauzac). Questa preparazione favorisce l’equilibrio vegetativo, favorendo l’ottimale esposizione luminosa alla vite e attenuando il rischio di malattie. In linea con la tradizione del Médoc, il vigneto ha una densità di impianto di 10.000 ceppi per ettaro è composto da 69% Cabernet Sauvignon, 29% Merlot e 2% Petit-Verdot. Le rese sono naturalmente limitate da una rigorosa politica di coltivazione, attuata a monte, quindi non è necessaria la potatura verde. Il lavoro di ricerca negli ultimi 30 anni, con l’applicazione di nuove tecniche, ha permesso ai vigneti di proprietà di produrre uve complesse e di qualità superiore coltivate su parcelle omogene. Vengono anche utilizzate tecniche di agricoltura di precisione con la presenza di sensori e stazioni meteorologiche per ogni unità di territorio. Se ne ricavano vini di qualità eccelsa, pienamente godibili, eleganti e allo stesso tempo ricchi di carattere e intensità. La qualità e il rispetto dell’ambiente fanno sì che questa sia una cantina da non perdere per nessun motivo!! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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26 Aprile, 2023

Roberto Sarotto: il Piemonte da non perdere

Roberto Sarotto: il Piemonte da non perdere Cari amici lettori, ormai sono anni che seguo il mondo del vino e molto spesso capita che qualcuno mi chieda in privato cantine che consiglio per qualità, intensità dei vini e piacevolezza… e una che indico sempre è la cantina piemontese Roberto Sarotto! La storia di questa azienda ha inizio nel 1820, quando Giuseppe Sarotto, capostipite della famiglia, da Barbaresco giunge a Neviglie, provincia di Cuneo, dove l’azienda ha sede. Oggi essa conta oltre 90 ettari vitati tra le Langhe del Barolo e del Barbaresco (Neive), il Monferrato e Gavi, con una produzione di molte referenze e circa 1 milione di bottiglie, con ampia distribuzione all’estero. Giuseppe Sarotto è il capostipite di una lunga storia di famiglia, egli è infatti il primo ad intraprendere l’attività vitivinicola, seguito poi dal figlio Giovanni e nipote Luigi Giovanni. La produzione in origine è limitata al solo Dolcetto, che viene negoziato sia sul mercato locale che esportato all’ingrosso in Inghilterra. Nei primi anni ’40, con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale e della Fillossera, il settore entra in crisi e l’attività subisce un drastico arresto. Prende poi in mano l’azienda la generazione successiva, con Angelo, determinato a proseguire l’attività di famiglia, lavorando a vigneti la terra ricevuta dai genitori. Grazie al fondamentale supporto della moglie Maria, le coltivazioni si ampliano verso nuove varietà di uva, come il Moscato, Freisa e Barbera. Nel 1984 Roberto, il figlio di Angelo, si diploma alla prestigiosa scuola enologica di Alba, prospettando un nuovo inizio per l’attività di produzione vinicola che si era fermata anni prima. Sette anni più tardi, l’acquisto di una proprietà di 20 ettari in Barolo costituisce un punto di svolta per lo sviluppo dell’azienda, che entra a far parte della cerchia dei produttori più rinomati del Piemonte e che prosegue l’espansione. In pochi anni vengono annessi vigneti nei più importanti cru del comune di Neive, aggiungendo così il Barbaresco alla propria gamma. Intorno ai primi anni ’90, Roberto e sua moglie Aurora, spingono le loro ambizioni ancora più lontano, precisamente nella zona di Gavi, dove verrà in seguito istituita la cantina secondaria. Oggi l’azienda, oltre ad espandersi territorialmente, vede la nuova generazione partecipare attivamente alle attività aziendali, con i figli di Roberto e Aurora, Enrico ed Elena, ed ha visto un grande progresso tecnologico con l’entrata in funzione, nella stagione vendemmiale 2021, del nuovo reparto pigiatura della Roberto Sarotto, composto da due tramogge con circuiti di trasporto dell’uva distinti e gestibili dal quadro sinottico. Sono state inoltre installate tre presse pneumatiche, di cui una in grado di operare in atmosfera di azoto, un sistema che riducendo al minimo l’ossidazione dei mosti riduce l’utilizzo di solfiti e che rappresenta una delle più innovative in Italia. È evidente a tutti come la conduzione familiare sia uno dei plus di questa azienda, che si fregia tra le altre cose di due aspetti molto interessanti e curiosi. Il primo che vi racconto è il conseguimento da parte loro della certificazione del GUINNESS WORLD RECORDS per la Botte di rovere più grande del mondo inaugurata lo scorso luglio nella cantina di Naviglie. Realizzata in rovere di Slavonia dalla ditta G. & P. Garbellotto S.p.A. di Conegliano Veneto, la Botte è alta all’incirca 5,3 metri per un diametro di 4,70 metri e una profondità di 3,70 metri., ed è dedicata “Ai fondatori” della cantina: i genitori Angelo e Maria, pionieri del successo di quello che, nell’arco di 70 anni, è diventato un brand apprezzato a livello nazionale e internazionale. La messa in opera della Botte ha impegnato una decina di operai per due settimane e le sue capacità sono di 478 ettolitri di vino, inaugurando la sua attività con il Barolo della vendemmia 2016, una delle migliori degli ultimi anni. La Botte più grande del mondo è parte integrante di un progetto di solidarietà, la Riserva dei Fondatori che ne deriverà contribuirà infatti ad alimentare la ricerca scientifica contro i tumori, tema che vede in prima fila Ivana Sarotto, sorella di Roberto, da molti anni ricercatrice all’Istituto di Candiolo. Secondo aspetto che mi fa piacere segnalavi è l’apertura a partire da febbraio di quest’anno del nuovo Museo interattivo Roberto Sarotto ad Alba, con un percorso che prevede un tour auto-guidato, che il visitatore potrà seguire scaricando la guida digitale, disponibile in diverse lingue, direttamente sul proprio cellulare. Il Museo Roberto Sarotto costituisce il punto d’incontro di ciò che è la storia della famiglia, con la realtà odierna della cantina e coloro che ne rappresentano il futuro, completando l’esperienza del visitatore che vuole approfondire la conoscenza dell’azienda oltre i suoi prodotti. Lo spazio, situato nella suggestiva sala sotterranea del Punto Vendita, si compone di una parte espositiva delle annate storiche e dei grandi formati dei vini più pregiati dell’azienda, immagini d’epoca, mostra dei territori da cui nascono i vini dell’azienda con una video-presentazione della zona e, infine, una cabina sensoriale in cui il visitatore viene trasportato nel mondo della cantina Roberto Sarotto attraverso le voci e le interviste dei suoi componenti e collaboratori. Passando ai vini, sono tantissime le referenze di questa azienda che conta poco meno di 40 etichette, oltre ad invitarvi a vederle sul loro sito, ve ne elenco alcune tra spumanti, celebri denominazioni e classici vitigni piemontesi, Alta Langa, Arneis, Gavi, vitigni internazionali come lo Chardonnay, Dolcetto, Barbera, Nebbiolo, Barolo, Moscato, Brachetto, e distillati… ma ve ne consiglio tre per questa primavera/estate: visto che il periodo freddo è alle spalle ma non bisogna mai tralasciare la presenza di un grande vino rosso, non dovete perdervi il “Currà”, Barbaresco DOCG Riserva, da uve Nebbiolo coltivate nella limitata e omonima area di produzione, è un vino complesso, di carattere e di grande armonia, con uve che seguono una macerazione a freddo con successiva fermentazione per 10 giorni, ed un affinamento per 2 mesi in inox, per poi passare 14 – 15 mesi in botti di rovere, quindi ancora 6 mesi in inox, 6 mesi in bottiglia; con l’arrivo delle belle giornate vi suggerisco “Impuro”, Piemonte DOC Chardonnay, un blend speciale con lo Chardonnay (85%) a cui si aggiunge il Sauvignon Blanc, un assemblaggio che avviene nel momento in cui entrambi i vini hanno completato la fermentazione. Bouquet intenso, complesso, di grande eleganza, vinificato in bianco con macerazione pellicolare e lunga permanenza sui lieviti, che affina per 6-8 mesi in acciaio; non possono, infine, mancare le bollicine, “Ivy” è un Vino Spumante Bianco Brut, dedicato a Ivana, sorella di Roberto, ed è il primo Spumante prodotto da Roberto Sarotto. Una selezione di uve Chardonnay 40%, Pinot Nero 40% e Cortese 20% spumantizzate con metodo Martinotti, con lunga permanenza del vino sulle fecce della stessa rifermentazione per 12 mesi, conferendo struttura e corpo uniti alla freschezza caratteristica del metodo. Con questo articolo vi ho lasciato davvero una vera e propria dritta su una cantina che dev’essere assolutamente tra i vostri prossimi acquisti, consigliatissima!!! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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