Le scoperte enoiche di Benny

Benedetta Costanzo ci porta alla scoperta di piccoli vignaioli e territori che prima di essere raccontati, emozionano. Senza però disdegnare il raccontare le esperienze che devono essere considerate dei punti di riferimento o pietre miliari che dir si voglia, per gli appassionati di vino.

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18 Maggio, 2024

Un secolo di Gallo Nero: io c'ero!

Come in una favola C’era una volta una giovane giornalista del vino, sempre in viaggio e pronta a vivere avventure emozionanti. Grazie al lavoro che faceva si sentiva come Cappuccetto Rosso in una favola moderna. Ma invece di recarsi dalla nonna malata, aveva la fortuna di incontrare belle persone e vivere esperienze uniche in luoghi incantevoli. Domenica scorsa, la nostra eroina si trovava a Firenze, pronta a immergersi in un’altra di queste avventure. Ma non c’era alcun lupo cattivo ad attenderla. Ecco che lì, per festeggiare il suo 100esimo compleanno, c’era un magnifico Gallo Nero, simbolo del prestigioso Consorzio del Chianti Classico. Questa non è la solita fiaba dei fratelli Grimm. Questa è la storia vera e tangibile del Consorzio del Chianti Classico e del suo nobile Gallo Nero. E la nostra giornalista aveva la fortuna di incontrare anche i Galli Neri – i giovani produttori che portano avanti la tradizione e l’innovazione di questa prestigiosa denominazione – e Leonardo Romanelli, una figura iconica nel mondo del vino.
Un cast di personaggi affascinanti e un mondo di avventure da esplorare. E sa già che questa sarà una delle sue avventure più indimenticabili. Intanto un po’ di storia Nel cuore della Toscana, tra le dolci colline che si stagliano contro un cielo azzurro senza fine, si erge una delle regioni vinicole più celebrate al mondo: il Chianti Classico. Questa storia affonda le sue radici nei secoli. Il legame profondo con il simbolo del Gallo Nero risale addirittura al XIV secolo, quando il Gallo Nero era l’emblema della Lega del Chianti, un’organizzazione politico-militare per il controllo del territorio della Repubblica di Firenze. Ma è nel lontano 1716 che la storia del Chianti Classico assume una svolta decisiva, quando il Granduca di Toscana Cosimo III dei Medici emana un bando per stabilire i confini della zona di produzione del Chianti Classico. In quello stesso anno, istituì anche una congregazione di vigilanza per contrastare la diffusa contraffazione di questo vino pregiato, anticipando di fatto l’idea di un Consorzio di tutela.
Ecco perché la data del 1716 è così significativa da essere riportata all’interno del marchio del Gallo Nero che contraddistingue tutti i vini della denominazione.   Una storia continua nel corso dei secoli Nel 1872, il Barone di Ferro Bettino Ricasoli crea la ricetta del Chianti, mettendo in evidenza la centralità del Sangiovese, il vitigno principe della zona, in una “mescolanza di varietà di uve per produrre quel vino di alta qualità”.
Nel 1924, nasce il Consorzio a Radda, con l’obiettivo di promuovere e proteggere il Chianti Classico, distinguendolo dagli altri vini prodotti fuori del territorio di origine. Ma è solo l’inizio di una lunga serie di battaglie che porteranno alla conquista della propria DOCG nel 1996, separandosi definitivamente dalla denominazione del Chianti.
Un’altra tappa fondamentale è il 2005, quando il Gallo Nero diventa il simbolo univoco di tutti i vini Chianti Classico e viene inserito nel contrassegno di Stato applicato su tutte le bottiglie della denominazione: se non c’è il Gallo, non è Chianti Classico.
Nel 2014, l’istituzione della piramide di qualità segna un’altra pietra miliare, con tre livelli distinti: annata, riserva e Gran Selezione, che riflettono la diversità e l’eccellenza dei vini del Chianti Classico. Territorio Il territorio del Chianti Classico ha mantenuto sostanzialmente i confini stabiliti dal bando granducale, con le “capitali” rappresentate dalle città di Firenze e Siena, le quali abbracciano un’area di circa 70.000 ettari che si estende tra le due province.
Per rafforzare ulteriormente il legame tra il vino e il territorio e per aumentare l’identità territoriale e la riconoscibilità di questa eccellenza enologica, nel 2021 è stata approvata un’importante iniziativa: le Unità Geografiche Aggiuntive (UGA). Questo progetto, approvato dall’Assemblea dei Soci del Consorzio del Chianti Classico, prevede l’individuazione di 11 aree distintive all’interno del territorio del Chianti Classico.
Le UGA sono delineate sulla base di criteri specifici, che includono la riconoscibilità enologica, la storicità, la notorietà e i volumi prodotti. Sono sotto-zone caratterizzate anche da peculiarità uniche legate al terroir, al microclima e alle tradizioni vitivinicole locali.
È importante sottolineare che, in questa fase iniziale, le UGA sono applicabili esclusivamente alla tipologia di vino Gran Selezione, la massima espressione di qualità del Chianti Classico. Celebrando il Centenario del Consorzio del Chianti Classico 2024 – il Consorzio del Chianti Classico solleva il calice per celebrare un traguardo storico: cento anni di impegno, passione e dedizione alla valorizzazione di uno dei vini più rinomati al mondo. Il tocco di classe in più: per tutto il fine settimana, è stato possibile brindare ai primi 100 anni del Consorzio nell’elegante calice del Centenario, un simbolo tangibile di un secolo di impegno e successi nel mondo del vino.
Il ruolo del Consorzio va ben oltre la mera tutela del vino. Nel corso degli anni, ha svolto un ruolo fondamentale nel plasmare l’identità del Chianti Classico e nel promuoverlo sul mercato globale. Attraverso campagne di marketing innovative, eventi enogastronomici di prestigio e una costante ricerca dell’eccellenza, il Consorzio ha contribuito a far conoscere e apprezzare il Chianti Classico in ogni angolo del pianeta. Uno sguardo al futuro e all’innovazione Ma guardare al futuro richiede lo stesso spirito di innovazione e impegno che ha caratterizzato il passato del Consorzio. Oggi, più che mai, il Chianti Classico si trova di fronte a sfide impegnative per rimanere attuale e competitivo non solo nel mercato interno, ma anche nei 130 paesi in cui viene esportato. È essenziale tenere conto delle nuove tendenze dei consumatori e della crescente consapevolezza ambientale e della sostenibilità.
Il settore del vino sta attraversando una fase di trasformazione e adattamento, e il Chianti Classico non è immune da questo cambiamento. Tuttavia, con la sua storia millenaria, la sua cultura vinicola radicata nel territorio e il suo impegno per la qualità, è ben posizionato per affrontare queste sfide in modo efficace. La Tre Giorni di Degustazioni ed Eventi a Palazzo Uguccioni Il programma per festeggiare il centenario del Consorzio del Vino Chianti Classico è stato un vero e proprio viaggio sensoriale. Dal 10 al 12 maggio, nel cuore di Firenze, tra le stradine acciottolate del centro storico, Palazzo Uguccioni si è trasformato in un palcoscenico per celebrare un secolo di eccellenza.
Questo gioiello architettonico è stata la prima sede del Consorzio in cui i 33 padri fondatori hanno iniziato la loro attività nel 1924. L’atmosfera all’interno del Palazzo era carica di storia e fascino, con le sue eleganti sale affrescate e i sontuosi saloni che trasudavano l’aura dei secoli passati. Grazie alla generosa concessione della proprietà, i partecipanti l’evento hanno avuto l’onore di accedere a un luogo che altrimenti sarebbe stato chiuso al pubblico. Questo ha reso l’evento ancora più esclusivo e memorabile, regalando a tutti i presenti un’esperienza autentica e indimenticabile. Il programma Sono stati 9 appuntamenti che hanno animato il fine settimana, ognuno offrendo un’esperienza diversa per gli amanti del Chianti Classico. Tra i momenti salienti del programma ci sono stati 5 incontri con altrettanti chef stellati di Firenze e Prato, i quali hanno presentato alcune delle loro creazioni culinarie in perfetto abbinamento con i vini del Gallo Nero. Accanto a loro, il rinomato esperto di vino Leonardo Romanelli ha guidato gli ospiti in un viaggio gustativo straordinario, esplorando le sfumature e le armonie tra cibo e vino. E poi assaggi al banco con varie annate ed etichette.
Importante lo spazio dedicato ai giovani talenti del settore, con 2 momenti riservati ai Giovani Galli Neri, i produttori under 40 che rappresentano il futuro della denominazione. Con la moderazione di Simon Staffler, essi hanno condiviso le loro visioni e le loro aspirazioni, mostrando come stiano portando avanti l’eredità dei loro predecessori con passione e creatività. La mia esperienza Nell’ultima giornata del weekend celebrativo, ho avuto il piacere di partecipare ai due emozionanti eventi conclusivi.
Il primo, dalle 17:00 alle 18:00, è stato il “Chianti Classico Century” guidato da Leonardo Romanelli. Durante questo incontro, abbiamo avuto l’opportunità di assaggiare sei vini mentre ci immergevamo in un racconto che mescolava teatro e musica, ripercorrendo gli ultimi 100 anni di storia del Consorzio e del mondo del vino. È stato magico partecipare a un abbinamento musicale unico nel suo genere grazie alla conduzione di Filippo Bartolotta, che ha fuso grandi pezzi del panorama musicale italiano con annate pregiate di Chianti Classico. Assaggi, musica, recitazione e tanti brividi, ma soprattutto, tanta gioia nel cuore per la consapevolezza di aver vissuto qualcosa di unico e irripetibile. Per questo ho scelto di condividerlo con voi! Vallepicciola – Chianti Classico Riserva 2019 La prima tappa di questo viaggio è stata segnata dal Chianti Classico Riserva 2019 di Vallepicciola, un’espressione autentica del Sangiovese che ha incantato con il suo colore scarico e luminoso. Al naso, le note minerali evocavano l’odore delle pietre bagnate, mentre in bocca la struttura e i tannini ben bilanciati regalavano una piacevole masticabilità. Mentre gli ospiti assaporavano questo vino, la melodia dolce e avvolgente di “Il Cielo in una Stanza” di Gino Paoli riempiva l’aria, creando un’atmosfera di intimità e nostalgia. Questa musica ha reso ancora più dolce l’assaggio e il sapore in bocca, come se aggiungesse un gusto in più, quello dell’emozione di vivere qualcosa di speciale. È stata un’esperienza coinvolgente per i sensi, un incontro tra note musicali e sfumature aromatiche che ha sorpreso e incantato gli ospiti. Le citazioni di Luigi e Bettino Ricasoli Siridolfi, pronunciate da Bartolotta, aggiungevano un ulteriore strato di significato, collegando il presente alla ricca storia del Chianti Classico. La Sala del Torriano – Chianti Classico Riserva 2019 Questo vino, composto per il 90% da Sangiovese e per il restante 10% da Cabernet Sauvignon, prevede una lavorazione rispettosa con delestage e delicate follature. Al primo sorso, emerge una forza delicata, accompagnata da un tannino che richiede tempo per distendersi completamente. Tuttavia, è al naso che rivela tutta la sua complessità: note di viola mammola si intrecciano con un frutto ancora croccante e sfumature di erbe aromatiche, creando un bouquet fragrante e invitante. Si ripete la magia, quando la dolce melodia di “Che male c’è” di Pino Daniele riempie la stanza, trasportando tutti in un’atmosfera di calore e nostalgia.  Fèlsina – Chianti Classico Riserva Rancia 2019 Il viaggio nel mondo del Chianti Classico ci porta ora a Castelnuovo Berardenga, a sud della zona del Chianti Classico, con la riserva storica di Fèlsina, frutto di un singolo vigneto, Rancia, che dona al vino una personalità unica e distintiva. La degustazione è accompagnata dalla musica di Lucio Dalla, con la sua iconica canzone “Attenti al Lupo”. La voce profonda e decisa di Filippo Bartolotta si fonde con il sottofondo musicale, condividendo delle riflessioni sul cambiamento dei consumi, offrendo il punto di vista di Gherardo Ungarelli. È un momento che ci invita a rallentare, ad apprezzare e ad immergerci completamente nell’essenza del vino e nella ricchezza della vita. Rocca delle Macìe – Chianti Classico Gran Selezione Sergio Zingarelli 2015 È un vino che porta con sé il prestigioso nome del suo creatore, Sergio Zingarelli. Composto al 100% da Sangiovese e proveniente dall’UGA di Castellina, è il risultato di un lungo affinamento, ben 18 mesi di invecchiamento in botti da 25 hl seguiti da ulteriori 2 anni di bottiglia. Questa Gran Selezione ha avuto il tempo di sviluppare complessità e profondità, esprimendosi con note terziarie raffinate che virano su un balsamico di eucalipto che invita alla contemplazione. Dopo nove anni dalla vendemmia, il vino si presenta in bocca rilassato e avvolgente, con una densità tannica che solletica gentilmente il palato, con un ritorno balsamico persistente e piacevole che invita a un altro sorso. L’abbinamento musicale con “Gocce di Memoria”, interpretata dalla voce vellutata di Giorgia, con la sua melodia struggente ha permeava l’aria, creando un’atmosfera di intimità e nostalgia che si è fusa perfettamente con il vino, elevando l’esperienza a un piano superiore. San Felice Wine Estates – Chianti Classico Gran Selezione Il Grigio 2015 La degustazione ci porta adesso alla rinomata San Felice Wine Estates (UGA di Castelnuovo Berardenga) che ci regala un assaggio significativo con la sua Gran Selezione Il Grigio 2015 – 90% Sangiovese e 10% vitigni autoctoni – un’altra Gran Selezione che porta con sé le caratteristiche distintive del suo territorio, con note fruttate e speziate che riflettono il microclima e il suolo unici di questa regione. Al naso parte in sordina ma poi in bocca si svela. Ricorda un calciatore che gioca coperto e poi sul finale fa Goal! L’assaggio è accompagnato da due citazioni degli ultimi presidenti del Consorzio, Sergio Zingarelli e Giovanni Manetti: Alla bellezza del Chianti non bisogna mai abituarsi, occorre invece trovare sempre nuovi modi per goderselo.  Altra riflessione sulla coesione tra gli attori di questa comunità chiantigiana che ha reso forte un territorio e una denominazione. Castellinuzza – Chianti Classico Gran Selezione Castellinuzza 2015 (UGA Lamole) La degustazione si conclude con questa Gran Selezione che nasce da un 95% Sangiovese e 5% Malvasia Nera e Canaiolo, due complementari classici che adoro. E anche Lamole perché è un territorio speciale, che a livello pedoclimatico sembra di montagna, caratterizzato dai suoi muretti a secco e le viti ad alberello. L’azienda Castelinuzza di proprietà della famiglia Cinuzzi dal 1400, ha sempre lavorato in modo genuino e con passione fin dal primo vino prodotto nel 1570. Colore trasparente, sentori floreali e note di elicriso e ciliegia. La gustativa è semplice e diretta, scorrevole e sapida. Proprio un gran finale!   Evento conclusivo della due giorni Successivamente, ho partecipato all’evento “Niccolò Palumbo per i 100 del Gallo Nero”, ancora una volta condotto da Leonardo Romanelli. Durante questo momento indimenticabile, abbiamo avuto l’opportunità di degustare dei Chianti Classico in abbinamento ai piatti preparati dallo chef stellato Niccolò Palumbo, del rinomato Ristorante Paca di Prato.
Ascoltare il racconto del vino e la spiegazione da parte dello chef del suo piatto e successivamente verificarne l’armonia sensoriale, è stato un gioco divertente e appagante. Il culmine si è raggiunto con il biscottino artigianale cacao e farina di mandorle con fegatini in abbinamento ad un vino emblema del Chianti Classico: la Gran selezione Il Poggio di Castello di Monsanto 2015.
È stata un’esperienza straordinaria per i sensi, che ha mostrato perfettamente come il Chianti Classico possa sposarsi in modo armonioso con la cucina di alta qualità. Conclusioni e un nuovo obiettivo In definitiva, il centenario del Consorzio del Chianti Classico è stato un evento straordinario, un’occasione unica per celebrare l’unione di intenti e la collaborazione fra le diverse aziende, che hanno caratterizzato l’attività del Consorzio fin dalla sua nascita, trasformando questa realtà in una delle più grandi bandiere del made in Italy nel mondo.
L’evento si è concluso con il discorso di Carlotta Gori, direttrice del Consorzio adottata da ben 28 anni dal Chianti Classico. Con passione ha ribadito l’impegno di voler ripartire simbolicamente proprio dal luogo dove tutto è iniziato, promuovendo la candidatura dell’area del Chianti Classico a Patrimonio dell’UNESCU. Questo perché è uno dei territori più belli al mondo, ricchissimo di cultura, che ha prodotto ricchezza preservando tuttavia l’ambiente.
In Chianti classico ci sono 341 siti storici protetti e grazie a studi impegnativi si sta portando avanti la proposta e speriamo di celebrare presto anche questa corona che senz’altro merita.   Da Firenze è tutto.
Un ultimo brindisi ovviamente con il Gallo Nero.
Cin!!! Benedetta Costanzo
benedetta.costanzo@winetalesmagazine.com
Mi trovi su Instagram come @benedetta.costanzo
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12 Maggio, 2024

I segreti dello Champagne con il miglior sommelier d’Italia Ivano Antonini

Questa settimana vi porterò in un viaggio straordinario attraverso il mondo affascinante dello Champagne, vissuto personalmente durante una degustazione indimenticabile a Villa Severi, sede della delegazione AIS di Arezzo. Ad accompagnarci in questo viaggio enologico è stato Ivano Antonini, Miglior Sommelier d’Italia nel 2008 ed ex-patron del rinomato Blend4 di Azzate (VA), un ristorante presente sulla prestigiosa guida Michelin. Ma il vero protagonista della serata è stato lo Champagne, non quello delle grandi Maison conosciute da tutti, ma quello che amo definire la “Piccola Champagne” artigianale. Parliamo dei vini dei RM (Recoltant Manipulant), quei produttori che creano Champagne utilizzando esclusivamente le proprie uve. Non si tratta di produzioni su larga scala, né di vini con uno stile uniforme anno dopo anno. Questi sono Champagne che raccontano storie uniche, che fanno vibrare il cuore e le papille gustative. Potrebbero tranquillamente essere considerati vini fermi, poiché le bollicine sono solo un dettaglio di un quadro molto più ampio. Questi vini hanno tanto da raccontare: il territorio, lo stile, l’eleganza e, soprattutto, la qualità. In molti casi, ricordano addirittura i vini della Borgogna per la loro complessità e raffinatezza. Tutti gli elementi per vivere un’esperienza indimenticabile L’inizio di una degustazione è un momento cruciale in cui il relatore può dimostrare non solo la propria competenza, ma anche la sua capacità di coinvolgere e ispirare il pubblico. Ivano Antonini è maestro in questo, studiando attentamente la platea e avvicinandosi al pubblico con empatia e autenticità. La sua passione per il vino traspare in ogni parola e gesto, trasmettendo un senso di entusiasmo contagioso a tutti i presenti. La sua scioltezza e sicurezza nell’esposizione dei concetti evidenziano la sua vasta esperienza e il suo bagaglio di conoscenze. Ivano è veramente “Enocentrico”!
È evidente fin da subito che il vino è la sua vera passione e che è desideroso di condividerla con gli altri.
Inoltre, ci svela i suoi due grandi amori enologici: lo Champagne e il nebbiolo. Questo aggiunge un ulteriore livello di autenticità alla sua presentazione, mostrando che non è solo un esperto, ma anche un appassionato dei vini che sta per degustare con noi. Presenza carismatica, profonda conoscenza del tema della serata e capacità innata di coinvolgere il pubblico: abbiamo tutti gli ingredienti per vivere una grande serata! Let’s go!!! Niente lezioni: solo alcune nozioni generali A questo punto, potrei parlarvi dello Champagne, del territorio e della sua storia, della denominazione. Tuttavia, mi rendo conto che sono stati scritti numerosi libri su questo argomento e che solo accennare al metodo di produzione o descrivere il territorio potrebbe diluire troppo la lettura e distogliere il focus dalla degustazione che stiamo per affrontare.
Pertanto, chiedo un po’ di pazienza ai meno esperti, perché prossimamente dedicherò un articolo completo allo Champagne, che potrà essere una preziosa fonte di informazioni per i neofiti e un utile ripasso o approfondimento per gli esperti. Per ora, vi fornirò solo alcune nozioni generali per affrontare questa splendida degustazione e goderne appieno. Territorio, zone e vitigni La prima regola scritta è che non è Champagne se non viene dalla Champagne. Per cui dobbiamo innanzitutto immergerci non solo nella sua affascinante storia, ma soprattutto nel territorio che lo ha reso unico al mondo. Situata nel nord-est della Francia, questa regione è caratterizzata da un clima oceanico e in parte continentale. Si trova quasi al limite della zona in cui è possibile coltivare la vite: a Epernay ci troviamo al 49° parallelo.
Si contano 34.200 ettari coltivati in quattro regioni, ognuna con caratteristiche specifiche che influenzano il carattere e lo stile dei vini prodotti. Nella Montagne de Reims, le colline gessose con esposizione predominante a sud favoriscono la coltivazione del Pinot Noir, conferendo agli Champagne di questa zona una nota di potenza e struttura. Nella Vallée de la Marne, i terreni argillosi e calcarei agevolano la coltivazione del Meunier, donando agli Champagne una spiccata morbidezza e un bouquet fruttato. Nella Côte des Blancs, i terreni gessosi favoriscono la coltivazione dello Chardonnay, regalando agli Champagne aromi delicati e una straordinaria finezza. Infine, nella Côte de Bar, nell’Aube, i terreni gessosi con tendenza marnosa promuovono la coltivazione del Pinot Noir, offrendo agli Champagne un carattere rotondo e complesso. Ecco alcuni dati che mettono in evidenza la potenza economica dello Champagne 16.200 viticoltori conferiscono spesso le uve alle grandi Maison, che invece sono soltanto 370, oltre a circa 130 cooperative. Le bottiglie prodotte ammontano a 309 milioni, generando un fatturato di 6.3 miliardi di euro, di cui il 66% è destinato all’esportazione. Il principale paese destinatario delle esportazioni è gli Stati Uniti, che importano circa 34 milioni di bottiglie di Champagne. Anche l’Italia non è da meno, con 9.2 milioni di bottiglie importate,  cifra che è in costante crescita. È evidente il debole che gli italiani hanno per queste bollicine francesi, come dimostra anche la partecipazione a questa degustazione. Nel 2015, la regione dello Champagne è stata riconosciuta come Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, in virtù della sua importanza storica, culturale ed enologica. Tornando alla nostra degustazione, serve precisare che Ivano ha selezionato delle etichette da intenditore, ognuna con peculiarità svelate durante l’assaggio. La sua scelta di servire i vini in un ordine “geografico”” anziché seguire la tipica logica di struttura o grado zuccherino, è stata sorprendente e intrigante. Ci ha condotto in un viaggio sensoriale attraverso le diverse regioni della Champagne, permettendoci di esplorare la diversità delle proposte. Iniziando da 3 vini del nord della Montagne de Reims, di tre villaggi in posizioni differenti,  e procedendo verso sud con un Rosè dell’Aube, abbiamo attraversato la Vallée de la Marne e la Côte des Blancs. Questo approccio ci ha offerto una panoramica completa della regione, consentendoci di apprezzare le caratteristiche uniche di ciascuna zona. Il primo vino scelto è stato particolarmente interessante in quanto prodotto con il Petit Meslier, uno dei vitigni rari ammessi dal disciplinare, oltre ai tre classici più famosi (Pinot Noir, Meunier e Chardonnay). 1. Brut Nature Petit Meslier 2019 Ecco la storia di un vino raro e prezioso: il Petit Meslier, proveniente dalla tenuta Elemart Robion situata nel comune di Lhéry, nella Montagne de Reims. Questa piccola azienda vitivinicola possiede 4.3 ettari di vigneti coltivati in modo biologico dal 2010e produce circa 12.000 bottiglie all’anno. Lhéry è una zona meno strutturata della Champagne, caratterizzata da suoli ricchi del calcare più antico della regione. La famiglia Robion, presente in questa terra da generazioni, coltiva varietà come Meunier, Pinot Noir, Chardonnay e il raro Petit Meslier, tutti in modo parcellare. Le fermentazioni avvengono con lieviti indigeni, permettendo al vino di esprimere appieno il terroir da cui proviene. Il nome dell’azienda, Elemart Robion, è un omaggio ai figli Catherine e Thierry: Eloi, Leopold e Martin, che rappresentano il futuro della cantina. Note di degustazione Il vino che abbiamo avuto il privilegio di degustare è il Brut Nature Petit Meslier 2019, millesimato prodotto con questo vitigno raro proveniente da una singola parcella. Dopo 36 mesi di affinamento sui lieviti, è stato sboccato nel maggio del 2023 con un dosaggio pari a 0 g/l, mantenendo la sua purezza e autenticità. Bellissimo il colore, luminoso, profondo e con tonalità dorate. Essendo una sboccatura di un anno, non è da ossidazione ma da maturità delle uve. Infatti al naso sentiamo note di frutta piene, non vegetali, impreziosite da tocchi di erbe aromatiche come timo e rosmarino. Esprime delicati profumi di lievitati anche se è il frutto a rimanere in evidenza. Una complessità ricca e matura che con qualche grado in più nel calice si apre ulteriormente. In bocca le bollicine sono il dettaglio meno interessante. e’ talmente pieno e strutturato che si può considerare un vino con le bollicine, meno aggressivo dei classici Champagne, anche se minerale e notevolmente sapido. Gran bella persistenza che ci lascia una bocca ben equilibrata grazie alla nota pseudocalorica che bilancia le durezze.     2. Brut Réserve Premier Cru BdB Marion Perseval – 100% Chardonnay Nel cuore della Montagne de Reims, nel villaggio Premier cru di Chamery, la famiglia Perseval custodisce da diverse generazioni le proprie vigne, estendendosi su circa 20 ettari di terreno. Gérard e sua moglie Marie-Thérèse sono ancora dediti alla produzione dello Champagne, anche se potrebbero tranquillamente godersi una vita da pensionati. Hanno passato gran parte delle loro terre ai figli, mantenendone solo una piccola porzione, sufficiente a garantire loro un’occupazione e a produrre poco meno di 12.000 bottiglie.
La produzione di Gérard Perseval si distingue per l’uso della pressa classica champenoise, la fermentazione delle uve in parte in acciaio e in parte in botte, e gli assemblaggi che riflettono l’anima dell’azienda. Lunghe maturazioni in bottiglia sono la chiave per ottenere vini di alta qualità. La loro preferenza è per gli assemblaggi classici, che combinano tutti e tre i vitigni principali con l’uso sapiente dei vini di riserva. Note di degustazione Tuttavia, il nostro assaggio è qualcosa di speciale: un Blanc de Blancs (BdB) a base di Chardonnay, ottenuto dall’assemblaggio di due annate diverse (2018 e 2020). In contrasto con i classici BdB della Côte des Blancs, questo vino presenta una struttura e una masticabilità sorprendenti. È considerato la punta di diamante della loro produzione, in grado di stupire in ogni annata. Il colore è più delicato, così come il primo naso che rivela le note più sottili tipiche dello Chardonnay. Tuttavia, è un vino profondo e complesso, in cui la struttura e la cremosità si fondono con una mineralità verticale e una freschezza agrumata che richiama il cedro. Qui, non sono le classiche note di pasticceria a dominare, bensì il terroir gessoso che parla della terra di Reims. Un bouquet di incredibile ampiezza eleva ulteriormente l’esperienza gustativa. La sensazione pseudocalorica è meno accentuata, ma c’è una grande concordanza con quanto percepito al naso, dai fiori di acacia agli agrumi, rendendo l’esperienza davvero appagante. 3. Millésime 2015 Pascal Mazet l terzo assaggio ci porta nel comune di Chigny-les-Roses, nella Montagne de Reims, presso Pascal Mazet. Fondata nel 1981 con il matrimonio di Catherine, figlia di viticoltori, e Pascal, figlio di contadini, l’azienda ha una superficie vitata di circa 2.5 ettari, gestiti in regime biologico. Dal 2018, sono affiancati dai figli Olivier e Baptiste. L’approccio di Pascal Mazet alla produzione di Champagne riflette un profondo rispetto per la terra e una passione per l’artigianato enologico. Il risultato sono dei vini di straordinaria complessità e carattere, che incarnano il meglio della Montagne de Reims.
Il millesimato in degustazione, rappresenta l’unico vino aziendale derivante da una singola vendemmia, completamente vinificato e fatto maturare in legno. Viene prodotto solo nelle migliori annate e proviene esclusivamente dalle parcelle meglio esposte. È un autentico specchio del millesimo d’appartenenza, a volte più elegante, a volte più giocato su corpo e struttura, ma sempre profondo e complesso. È un instancabile promotore di terreni sani e profondamente vocati, portando in ogni sorso la storia e il carattere del territorio in cui è nato. Note di degustazione l Millésime 2015 che stiamo degustando è una composizione di 46% Meunier, 30% Pinot Noir, 12% Chardonnay e 12% Pinot Bianco. Dopo la fermentazione malolattica, il vino affina per 12 mesi in legno e poi rimane ben 5 anni sui lieviti. Si tratta di un Dosage zero, e ne sono state prodotte solo 2944 bottiglie.
Il colore colpisce per quella nuance tipica dei Blanc de Noirs che aggiunge calore alla luce che emana. È un colore che esprime anche la lunga sosta sui lieviti e la sboccatura di oltre 2 anni. Al naso, arrivano note molto pulite che combinano eleganza e complessità, con una piacevole freschezza di ribes. In bocca, emerge ancora mineralità, ma anche una “morbidezza” accentuata dall’affinamento in legno. Sono assenti le note vanigliate o tostate, rendendo l’esperienza di degustazione estremamente piacevole. 4. Extra brut Terre de Meunier S.A. Con il quarto assaggio ci spostiamo nella Vallée della Marne, nel comune di Mareuil Le Port, presso Dehours & Fils. L’azienda possiede 14,50 ettari vitati e produce circa 80.000 bottiglie all’anno, seguendo i principi della viticoltura biologica HVE. Negli anni ’70, il padre Robert fu un precursore relativamente ai vini di riserva, accantonando il vino nelle annate buone per utilizzarlo in quelle meno favorevoli. Nel 1996 entra in gioco il figlio Jerome, che riorganizza il domaine con l’obiettivo di valorizzare i diversi terroirs, coltivandoli in modo naturale. La sua filosofia è quella di raccogliere le uve a maturità completa sulle 42 parcelle di proprietà, situate sulla riva sinistra della Marna, coltivate al 65% da Meunier. Ogni anno, una singola parcella viene prodotta solo in magnum. Il progetto delle riserve perpetue è iniziato nel 1998 e dal 2021 tutti i parcellari non sono più millesimati ma perpetui. Note di degustazione Abbiamo degustato l’Extra Brut Terre de Meunier S.A., un vino composto al 100% da Meunier, con uve provenienti da due lieux-dits: Le Patis de Cerseuil (a sud) e Les Vignes Dans le bois (a nord). La base è del 2020, con il 16% di vins de réserve (la più vecchia del 2013). La vinificazione avviene in acciaio, con malolattica svolta, e il vino riposa sui lieviti per 24 mesi. Il dosaggio è di 4 g/l, con sboccatura nell’aprile 2023. Sono state prodotte 12.524 bottiglie di questo straordinario vino. Il colore presenta tonalità con riflessi da Vin Gris. La carbonica è più pronunciata, portando profumi un po’ diversi dagli altri. Emergono note di maggiorana e frutta, mentre in bocca si percepisce una mineralità gessosa, struttura e potenza. Grazie al dosaggio zuccherino, si ottiene un equilibrio avvolgente che non dà percezione dello zucchero: è un vino molto completo. È un peccato che da disciplinare non sia possibile produrre Grand Cru con il Meunier in purezza. Si apprezzano le belle potenzialità di questo vitigno, considerato un tempo di serie B ma che sta dimostrando negli ultimi anni un grande valore. Se penso che è il loro vino di apertura, è proprio il caso di esclamare Chapeau! È il mio preferito in assoluto. 5. Extra Brut Blanc de Blancs Grand Cru Ambitieuse S.A. Con il quinto assaggio ci trasferiamo nella mitica Côte des Blancs, nel comune di Cramant, presso Pertois-Lebrun. L’azienda possiede 9,69 ettari vitati e produce circa 35.000 bottiglie l’anno, seguendo i principi della viticoltura biologica HVE. Fondata nel 1955, l’azienda è gestita dagli ultimi eredi della famiglia Perois-Lebrun, i fratelli Antoine e Clément Bouret, che coltivano i vigneti esclusivamente a Chardonnay in 5 villaggi Grand Cru e 2 villaggi Premier Cru.
Dal 2011, Clément si occupa delle vigne della cantina, mentre Antoine gestisce la parte commerciale. Le vinificazioni vengono divise tra legno, acciaio e cemento, ma negli ultimi anni hanno introdotto delle anfore per le vinificazioni separate delle parcelle Grand Cru. Note di degustazione Abbiamo degustato l’Extra Brut Blanc de Blancs Grand Cru Ambitieuse S.A., un vino composto al 100% da Chardonnay proveniente dai villaggi di Chouilly, Le Mesnil-sur-Oger, Oiry e Cramant. È composto per il 50% dalla base dell’annata 2017 e per il restante 50% da vini di riserva perpetua. Dopo la pressatura viene svolta la fermentazione malolattica e il vino riposa sui lieviti per 4 anni. Il dosaggio è di 1.5 g/l e la sboccatura più vecchia della serata risale a giugno 2022. È evidente dalle prime olfazioni che si tratta di un Grand Cru e della Côte des Blancs. Emergono eleganza e tipicità, accompagnate per la prima volta da note spiccate di pasticceria e crema pasticcera. La complessità è amplificata dalla percentuale dei vini di riserva perpetua. Si percepiscono anche note agrumate e una dolcezza legata al frutto evoluto, il tutto sottolineato da un sottofondo gessoso che persiste in bocca, conferendo mineralità e sapidità. 6. Brut Rosé de Brut Rosé de Saignée Saignée 2018 Con l’ultimo assaggio, ci spostiamo nella regione più a sud dello Champagne da Gilbert Leseurre, nel comune di Arrentières (Aube). L’azienda vanta 7 ettari vitati e produce circa 30.000 bottiglie all’anno, seguendo pratiche di viticoltura biologica. Fondata nel lontano 1961, Arrentières è un villaggio piccolissimo, con circa 160 abitanti. I vigneti sono suddivisi principalmente tra Pinot Noir (80%), Meunier (10%) e Chardonnay (10%), distribuiti su 17 parcelle. Nonostante la qualità dei loro vini, sono poco conosciuti in patria poiché la quasi totalità della produzione è destinata all’esportazione. Gilbert rappresenta la quarta generazione di viticoltori, ma nel 1979 ha deciso di cominciare a produrre vino a proprio nome. È sposato con Nathalie Falmet, anch’essa produttrice nell’Aube. Note di degustazione Abbiamo concluso la degustazione con un rosato davvero particolare, il Brut Rosé de Saignée 2018 a base di 100% Pinot Noir. La vinificazione avviene in acciaio e botte nella cantina della moglie Nathalie Falmet, dove il vino riposa sui lieviti per ben 5 anni. Il dosaggio è di 5,5 g/l, e la sboccatura è avvenuta nell’ottobre del 2023. L’assaggio di questo vino è una vera e propria sorpresa. Il rosé può essere prodotto tramite assemblaggio o tramite saignée (macerazione). La Champagne è l’unica regione al mondo che prevede la possibilità di creare un rosé miscelando vino bianco e vino rosso. Nel calice, notiamo subito qualcosa di molto particolare, a cominciare dal colore. Non è il solito rosato con riflessi di buccia di cipolla o color fior di ciliegio; è un rosa peonia pieno, ipnotico e che senz’altro non lascia indifferenti. Anche il bouquet è unico. Come per tutti gli altri assaggi, troviamo come filo conduttore l’equilibrio e la lettura del territorio. Emerge la mineralità del gesso, mentre sono assenti le solite note di pasticceria e pan brioche che spesso identificano questa tipologia di vino. Questa peculiarità rende l’assaggio meno scontato, arricchendo ulteriormente l’esperienza sensoriale. Appuntamento in autunno con un’altra eccellenza In conclusione, l’esperienza di degustare Champagne con Ivano Antonini è stata veramente straordinaria. L’approccio al mondo dei piccoli produttori RM ha aggiunto un tocco speciale alla nostra scoperta delle bollicine, regalandoci emozioni uniche ad ogni sorso. La serata è stata un autentico viaggio sensoriale, arricchito dalla passione e dalla conoscenza di un grande maestro come Ivano Antonini. E non possiamo fare a meno di anticipare un appuntamento imperdibile: siamo riusciti a strappargli la promessa di un’altra serata, questa volta con protagonista un’altra sua grande passione, il Barolo. Quindi, non vediamo l’ora di ritrovarci in autunno per un nuovo viaggio nel mondo del vino, guidati dalla maestria e dalla passione di Ivano Antonini. Benedetta Costanzo
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4 Maggio, 2024

Orcia Wine Festival: che vi siete persi!

13esima edizione supera tutti i record L’incantevole città di San Quirico d’Orcia ha nuovamente ospitato l’Orcia Wine Festival: dal 25 aprile al 28 aprile, appassionati di vino, intenditori e famiglie si sono riuniti per gustare i sapori dei vini Orcia Doc e immergersi nel tessuto culturale di questo angolo pittoresco della Toscana.
Già alla sua tredicesima edizione, la manifestazione ha preso il via con un notevole aumento di presenze (oltre 1350 gli ingressi), stabilendo un nuovo record di partecipazione. Per chi non è riuscito ad esserci è stato davvero un grosso peccato!!!
Cercherò dunque con questo articolo di condurvi con me alla scoperta di una bellissima kermesse enologica. Un programma d’eccezione Sotto la guida di Giulitta Zamperini, presidente del Consorzio del Vino Orcia, e in collaborazione con il Comune di San Quirico d’Orcia, il festival si è svolto come una celebrazione multiforme che ha soddisfatto tutte le età e tutti gli interessi. Il programma del festival è stato variegato quanto i vini che celebrava, offrendo qualcosa per tutti. Dalle degustazioni guidate da esperti alle attività adatte alle famiglie come l’iniziativa Orcia Wine for Kids, l’evento ha mostrato la versatilità e l’accessibilità dei vini Orcia. Zamperini ha sottolineato il ruolo del festival come piattaforma per mostrare il terroir unico e la qualità in ascesa dei vini Orcia Doc, evidenziando la partnership preziosa con la comunità locale. Il programma del festival ha offerto una proposta vincente per tutta la famiglia. Tra le varie iniziative, ho particolarmente apprezzato l’idea del laboratorio per bambini chiamato “Orcia Wine for Kids”. In questi giorni, spesso vissuti in compagnia della famiglia, questa iniziativa offre un’opportunità preziosa: un laboratorio pensato appositamente per i più piccoli, della durata di ben tre ore, che permette ai genitori di godersi appieno le degustazioni e le masterclass senza preoccuparsi dei figlioli. Durante tutto il festival, i partecipanti hanno avuto l’opportunità di esplorare le strade storiche di San Quirico d’Orcia attraverso passeggiate urbane e visite guidate, immergendosi nel ricco patrimonio culturale della città. l Museo Barbarossa e il Museo Forme nel Verde hanno accolto i visitatori, offrendo spunti sulla storia e la bellezza naturale della regione.
Questo festival ha regalato un’atmosfera unica, lontana dalla confusione che spesso caratterizza altri eventi simili. Immergiamoci dunque nell’energia travolgente dell’Orcia Wine Festival. Un ringraziamento speciale a Marco Capitoni e al Consorzio Orcia che mi hanno dato l’opportunità di esplorare a fondo i vini, il territorio e le cantine. Ma prima facciamo un salto nella storia della DOC e del territorio. Il vino più bello del mondo! Questo slogan, coniato dalla mitica Donatella Cinelli Colombini, incarna il profondo legame dei vini di questa regione con il territorio della Val d’Orcia, riconosciuto nel 2004 come patrimonio dell’UNESCO, diventando il primo territorio rurale a conseguire tale prestigioso riconoscimento.
La storia geologica e pedologica della Val d’Orcia risale a milioni di anni fa, quando questa regione faceva parte di un vasto mare che si estendeva attraverso l’attuale area conosciuta come Toscana. I movimenti tettonici della crosta terrestre nel corso dei millenni hanno portato all’innalzamento del suolo, emergendo dal mare e dando inizio alla formazione delle catene montuose che circondano la valle.
Le rocce marine e sedimentarie che costituivano il fondale marino hanno creato un substrato geologico ricco di minerali e nutrienti che ha reso la regione estremamente fertile, caratterizzata da una grande varietà di terreni e suoli, che vanno dalla terra argillosa alle rocce calcaree e al galestro conferendo ai vini complessità e struttura. Altro fattore importante è il microclima favorevole alla maturazione delle uve che fa godere di ampie escursioni termine tra giorno e notte, fondamentali per la concentrazione degli aromi e per il mantenimento dell’acidità nei vini. Un po’ di storia della Doc La DOC Orcia è stata istituita il 14 febbraio 2000, su impulso di alcuni produttori e fondatori del Consorzio Vini Orcia, con l’obiettivo di sostenere e promuovere l’immagine del vino e del territorio straordinario in cui viene prodotto. Il Sangiovese è il vitigno principale utilizzato nei Vini Orcia: nell’area sono coltivati anche altri vitigni autoctoni e alloctoni, tra cui Foglia Tonda, Colorino, Merlot, Petit Verdot, Trebbiano, Vermentino, Malvasia, Chardonnay, Marsanne e Roussanne.
La denominazione Orcia DOC comprende varie tipologie di vino: Orcia, Orcia Sangiovese, Orcia Riserva, Orcia Rosato, Orcia Bianco e Orcia Vin Santo. La zona di produzione dell’Orcia DOC si trova tra due rinomate denominazioni enologiche, il Brunello di Montalcino e il Vino Nobile di Montepulciano, famose per la produzione di grandi vini rossi apprezzati in tutto il mondo.
Dodici sono i comuni coinvolti nella produzione di questo vino nella denominazione, situati nella parte sud della provincia di Siena: Buonconvento, Castiglione d’Orcia, Pienza, Radicofani, San Quirico d’Orcia e Trequanda, oltre a parte dei comuni di Abbadia San Salvatore, Chianciano Terme, Montalcino, San Casciano dei Bagni, Sarteano e Torrita di Siena. Alla scoperta dei volti dell’Orcia Doc Ecco le 20 Cantine partecipanti all’Orcia Wine Festival: Atrivm, Bagnaia, Campotondo, Capitoni Marco, Dirimpettaio, Donatella Cinelli Colombini, Fabbrica, La Canonica, La Nascosta, La Grancia di Spedaletto, Olivi – Le Buche, Palazzo Massaini, Podere Albiano, Roberto Mascelloni, Poggio Grande, Sampieri del fa, Sassodisole, Tenuta Sanoner, Val d’Orcia Terre Senesi, Vegliena. Dopo aver esplorato i banchi d’assaggio allestiti nelle magnifiche sale affrescate di Palazzo Chigi Zondadari, mi sono concessa una veloce rinfrescata e ho indossato un outfit elegante, pronta per un appuntamento imperdibile.
Al centro del festival c’era infatti la “Cena a Palazzo” del 27 aprile, a cui ho avuto l’onore di essere invitata e che ho molto apprezzato. Una festa culinaria curata in collaborazione con l’Alleanza Slow Food dei Cuochi Toscana. Si è trattata di un’esperienza esclusiva: una cena a quattro mani curata dai talentuosi chef Massimo Rossi del ristorante Belvedere di Monte San Savino e Tiziana Tacchi de Il Grillo è Buon Cantore di Chiusi. Cena a palazzo Chigi Sullo sfondo di Palazzo Chigi Zondadari, gli ospiti hanno gustato un menu creato per esaltare i sapori della regione, con ingredienti provenienti dalla “Comunità dell’olivo minuta” di Chiusi e dalla “Comunità della cassetta di cottura” di San Casciano dei Bagni. Ogni piatto è stato abbinato con cura ai vini delle venti cantine presenti al OWF, mostrando la relazione armoniosa tra cibo e vino profondamente radicata nella tradizione toscana. Una bellissima scoperta è stata la Cassetta di cottura, che ha permesso di creare piatti a lunga cottura in modo sostenibile e con risultati eccellenti.     Ecco il menu. L’atmosfera della serata era pregna di soddisfazione per il buon andamento della manifestazione, e si respirava una bella armonia tra i produttori, che oltre ad essere colleghi sono anche amici. Si percepisce un’autentica collaborazione che permette alla denominazione di crescere sempre di più. Risveglio speciale in Val d’Orcia Domenica mattina, il risveglio a Campiglia in Val d’Orcia è stato magico. Cielo terso e un paesaggio mozzafiato. Avevo voglia di correre a Palazzo Chigi per riprendere gli assaggi e soprattutto partecipare alla masterclass con 9 riserve. Ma prima, una ricca colazione e un salto con Paolo Salviucci della Cantina Campo Tondo, ad ammirare le vigne ad alberello. Spero di parlarvene presto in un articolo dedicato, magari quando in autunno sarà finita la nuova cantina!   La masterclass con le Riserve a Palazzo A Palazzo Chigi iniziamo una splendida masterclass che mi permette di valutare i vini Orcia nel tempo. Fondamentale l’introduzione dei produttori e magnifica la degustazione di Andrea Frassineti Delegato ONAV Siena, un vero conoscitore sia del territorio che dei vini. Andrea ci ha accompagnato calice dopo calice alla scoperta di ben nove vini: l’annata 2019 sicuramente ha mostrato di avere una marcia in più. Dagli assaggi più semplici ai vini più complessi è stato un crescendo molto coinvolgente e rivelatore! Altra masterclass interessante è stata quelli dei bianchi, sabato mattina sempre a Palazzo Chigi,  dove è stato possibile paragonare i vari Orcia Bianco DOC  e IGT andando da vini più semplici e beverini come lo chardonnay Il Tavoleto di Campo Tondo fino a vini più complessi ed evoluti come il Toscana Bianco IGT  di Poggio Grande da uve Marsanne e Roussanne che fermentano e affinano per circa il 50% in legno,  creando un vino di grande struttura, complesso e persistente da gustare nel tempo. Ma passiamo agli assaggi più significativi Tra i bianchi mi hanno colpito il Vermentino Toscana IGT BattiBecco 2023 di Bagnaia per la sua mineralità, ma anche l’ORCIA DOC Rosato MaLamore 2023, dal colore tenue ma brillante. Vini molto beverini e ideali per le serate estive. Particolarmente azzeccato il rosato a base di Sangiovese 100%. Due vini diversi ma che in comune hanno la succosità e lo stacco sapido finale. Bravi, perché il sangiovese in purezza nella versione rosata, non è mai facile da lavorare! Un altro assaggio che mi ha colpito è stato il vino frizzante PetNat Fabbrica – Pienza, originariamente parte della gamma sperimentale, prototipo prima di diventare un nuovo prodotto l’anno scorso, con un nome e un’etichetta completamente nuovi! PopNat 2023 è un vino frizzante naturale, con la fermentazione che ha inizio nel tino e si conclude in bottiglia. Nessun solfito aggiunto, non filtrato, chiarificato o degorgiato; si tratta sicuramente di un vino naturale, caratterizzato da un carattere eccentrico e da una torbidezza che ne enfatizza l’originalità. Lo Spumante Rosato brut (metodo charmat) ultimo nato dell’azienda Sassodisole, che produce vino a Montalcino da ben 4 generazioni,  come spiega Roberto Terzuoli, è il sangiovese più festaiolo, che però grazie alla sua struttura, ben celata dietro l’estrema piacevolezza, può essere un vino da tutto pasto. 6 ore di macerazione, presa di spuma in autoclave, colore accattivante, quasi ipnotico: il sangiovese che non ti aspetti! Altro passo per Bulles Metodo Classico Rosato brut, ottenuto da uve Sangiovese in purezza, dell’Azienda Atrivm situata a San Giovanni d’Asso, nel territorio di Montalcino.
Ho avuto il piacere di assaggiare il millesimo 2018, sboccato a gennaio 2024 dopo aver trascorso circa 72 mesi sui lieviti.
Questo vino viene prodotto solo nelle annate migliori, con una produzione limitata a 500-600 bottiglie. Il perlage è fine e il colore delicato, ottenuto grazie a poche ore di macerazione delle bucce. Si tratta di un brut in cui il dosaggio rende il sorso equilibrato e piacevole, con una persistenza che invoglia a continuare a gustarlo. Pluralità di espressione nei rossi fra Orcia doc, Riserve e IGT Passando ai rossi il discorso si complica perché incontro una pluralità di stili e intenzioni che dapprima possono un po’ disorientare ma poi comprendo: alcuni vini sono figli del territorio, altri sono espressione del vignaiolo. Marco Capitoni mi colpisce sempre per la genuinità e la franchezza dei suoi vini. Pur avendo poche etichette, i suoi vini sono identitari e rappresentano un ritorno alle radici per chi conosce questa realtà. Tra le sue creazioni più riconoscibili, troviamo il Troccolone Orcia Sangiovese Doc 2022, un vino che fermenta e affina in anfora di terracotta dell’Impruneta. È una vera e propria “astuzia enologica”, capace di mantenere intatto il frutto e la freschezza del Sangiovese, mentre in bocca addolcisce le sue asprezze. Il Capitoni Orcia Riserva Doc 2020, un Sangiovese con una percentuale variabile di Merlot, incarna lo stile ormai consolidato dell’azienda. Ancora qualche mese di affinamento in bottiglia e sarà pronto a rivelare appieno la sua complessità. Non posso dimenticare la nuova etichetta presentata al Vinitaly, il Merlot in Magnum dal suggestivo nome “L’uomo e l’uva” IGT Toscana 2019, che conferma la costante ricerca di eccellenza da parte di Capitoni. Se desideri comprendere appieno l’essenza dell’Orcia DOC di Pienza, lui è lo stile di riferimento. Le sue vigne, situate appunto a Pienza, si sviluppano su stratificazioni di sabbie e argille plioceniche a 460 metri sul livello del mare. Capitoni Orcia doc è l’unica etichetta che, dal 2001, viene prodotta ogni anno e secondo Marco Capitoni, è come un puzzle. Frutto di un lavoro certosino, il vino passa attraverso vendemmie separate, vinificazioni separate e affinamento in legni separati. Dopo due anni, si decide il blend vincente che, seppur costante, è sempre il risultato dell’annata. Infine, segue un anno di affinamento in bottiglia prima di essere commercializzato, garantendo una qualità eccezionale e una perfetta espressione del territorio. Podere Albiano: tanto impegno e una scommessa vinta
Ci troviamo nel suggestivo territorio di Trequanda, precisamente nella Frazione di Petroio, dove nei primi anni del 2000 Anna Becheri e Alberto Turri decidono di abbandonare Milano per intraprendere una nuova vita nella Val d’Orcia, partendo da zero. Con determinazione e passione, impiantano manualmente le prime vigne in un territorio ricco di ulivi, boschi e altre coltivazioni. Dopo tre anni di sperimentazioni e microvinificazioni, mirate a comprendere le caratteristiche delle uve e le potenzialità che potevano esprimere, nel 2009 inaugurano una cantina nuova e sostenibile.
I nomi dei loro vini sono un omaggio alla tradizione che li circonda, come Ciriè (che significa “è di nuovo”), a simboleggiare la rinascita della vigna proprio nel luogo in cui era sempre stata! Distintive anche le etichette artistiche che richiamano ai paesaggi della Val d’Orcia.
Tra le loro creazioni, l’Orcia DOC Riserva 2019 Tribolo mi ha particolarmente colpito per la sua schiettezza e verticalità, per la freschezza succosa che caratterizza i grandi Sangiovese. Una nota di grafite arricchisce il bouquet, mentre la complessità e la persistenza in bocca sono testimonianza di una vendemmia eccezionale.   La Grancia di Spedaletto e i sogni che si avverano La Grancia di Spedaletto è il frutto del sogno del nonno di Francesco, il quale, all’età di vent’anni, lasciò le Marche insieme alla nonna per intraprendere una nuova vita in Toscana. Qui avviarono un’azienda agricola e, negli anni successivi, il celebre agriturismo del Castello di Spedaletto, situato nel cuore della Val d’Orcia. Nel 2002, anno della nascita di Francesco, sono state impiantate le prime vigne e ha avuto inizio la produzione vinicola. Oggi, la Grancia di Spedaletto è un’azienda vitivinicola di dimensioni ridotte, con circa un ettaro di vigneto, che si distingue per la produzione di due vini, di cui uno è una riserva di Sangiovese in purezza sottoposta a lungo affinamento.
Questa realtà è a conduzione familiare, e recentemente Francesco insieme al cugino, Mirko Pifferi, hanno preso il timone dell’azienda, occupandosi sia della gestione del vigneto che della cantina, con l’obiettivo di combinare tradizione e innovazione. I vini prodotti sono genuini e sinceri, espressione autentica del territorio e del lavoro appassionato della famiglia. Nonostante debbano ancora crescere, l’entusiasmo e la passione per il lavoro non mancano, e questo si riflette nella qualità e nell’unicità dei loro vini. Sornione come un gatto acquattato tra le viti che uniscono vite Quando ascolti Gabriella parlare dei vigneti, dell’azienda e dei vini, è evidente la dedizione e la passione che ci sta dietro, e non manca mai un sorriso sul suo volto. Valdorcia Terre Senesi, situata a Castiglione d’Orcia, ospita i loro vigneti, incastonati tra boschi e altre realtà biologiche, a un’altitudine compresa tra i 380 e i 500 metri sul livello del mare. Oggi, quasi 7 ettari di vigneti si estendono su una collina che guarda il Monte Amiata, con un’esposizione est-ovest che regala una generosa illuminazione solare e un microclima adatto alla vite. In vigna vengono adottate esclusivamente pratiche tradizionali e sostenibili, evitando l’uso di prodotti chimici. Tutta la produzione è tracciata, certificata e controllata.
Accanto al Sangiovese, coltivano varietà come Cabernet Franc, Merlot, Colorino, Pugnitello, Ciliegiolo e Foglia Tonda. Vorrei soffermarmi sulla loro Riserva Orcia DOC 2019  Sornione, un Sangiovese in purezza che affina per 24 mesi in legno e un ulteriore anno in bottiglia. Il nome stesso fa riferimento a un gatto panciuto che attende di catturare il topo, proprio come questo vino attende pazientemente nelle botti panciute di essere gustato. E in effetti, è un vino che cattura l’attenzione con la sua complessità, la sua eleganza e la sua capacità di raccontare il territorio e la passione che vi è dietro ogni sorso. Luca e Giulitta Zamperini e la storia di un amore grande! Sarebbe facile raccontare la storia di un’azienda con una tradizione lunga più di un secolo, eppure Poggio Grande va oltre. Fondata nel lontano 1907 da Giovanni Zamperini, la famiglia ha vissuto per generazioni nella campagna che circonda il Castello di Ripa d’Orcia, dedicandosi con amore e passione alla fattoria e alle antiche tradizioni agricole dell’allevamento e della coltivazione. Ma Poggio Grande è molto di più. Dal 1999 è anche una cantina, grazie alla dedizione di Luca, attuale proprietario, che ha investito tempo e cura in ogni dettaglio. Dalla scelta delle migliori terre per impiantare nuovi vigneti ai metodi sperimentativi utilizzati nei processi di cantina, l’obiettivo è sempre stato quello di ottenere una produzione di alta qualità.
Ma è anche la storia di un padre e una figlia che condividono una grande passione e che tutti i giorni si impegnano nella gestione della vigna e della cantina mettendoci sempre tanto amore. Ed è quello che si ritrova poi nel calice, insieme a una certa “follia” del voler fare tutto a modo suo di Luca. E così nasce la riserva che vi voglio raccontare: Di Testa Mia Orcia Riserva 2019. Solo 1060 bottiglie prodotte non nelle annate migliori (per ora solo 3 annate dal 2015), ma nelle annate che piacciono di più a Luca, in cui ci crede! La storia del vino la potete ascoltare direttamente da loro, io vi descriverò il vino. Nasce da una sola botte di 10 hl che Luca mette da parte per gli amici, le uve migliori provenienti dal primo vigneto impiantato, e fa quasi 4 anni di affinamento in tonneaux di rovere francese e poi bottiglia. Un vino complesso e longevo, che incarna tutta la passione e l’impegno di una famiglia che ha fatto della viticoltura una vera e propria arte. Cantina Campo Tondo e una famiglia che ci crede Cantina Campo Tondo è molto più di un’azienda vitivinicola: è una famiglia che crede nel proprio territorio e nella passione per il vino. L’affinità nata con la famiglia Salviucci è stata immediata e ho apprezzato ogni membro della famiglia. Persone diverse ma con valori saldi, che portano con loro in vigna, in cantina e nel calice. Mi hanno riservato un’accoglienza speciale, e desidero ringraziare in modo particolare Paolo, che domenica mattina mi ha condotto a vedere le loro viti ad alberello, Elena che ha curato tanti dettagli della manifestazione e, in particolare, la cena a Palazzo, e Sabrina, con cui sento di aver instaurato una bella amicizia. Non vedo l’ora di tornare quando sarà ultimata la nuova cantina per poter scrivere e  raccontare di più.
Dal coraggio di Paolo e Sabrina nasce la loro azienda a Campiglia d’Orcia nel 2000. Oggi è subentrata anche Elena, mentre Sabrina continua a dare un supporto importante. I loro vini si possono considerare di montagna, con altitudini che sfiorano i 600 m slm e un microclima caratterizzato da forti escursioni termiche che permettono maturazioni lente e una grande concentrazione di aromi. Vi parlerò dell’Orcia DOC Banditone 2020. Il nome deriva dal toponimo del vigneto La Bandita, la prima vigna impiantata nel 2000 a Sangiovese con qualche filare di Merlot e Colorino. Esiste un legame profondo tra Banditone e Paolo Salviucci perché è il primo vino che ha prodotto, quello in cui si riconosce di più. Si presenta con un colore rubino brillante e un naso preciso e fine che ci parla chiaramente del Sangiovese: note di viola mammola, frutti rossi e speziatura dolce, con delicate nuance leggermente tostate. In bocca si apprezza la sua complessità: freschezza, note balsamiche e una piacevole trama tannica. Il palato è appagante, grazie anche all’ottima spalla acida che lo rende un vino dalla grande bevibilità, una caratteristica che contraddistingue tutti i vini di Campo Tondo. Ci vediamo alla XIV edizione di OWF Vorrei continuare a condividere con voi tanti altri assaggi straordinari, ma temo di dilungarmi troppo.
Pertanto, vi invito caldamente a visitare la Val d’Orcia e i suoi vignaioli, scoprendo personalmente le meraviglie di questa terra e assaggiando i suoi vini unici. Inoltre, non perdete l’occasione di partecipare alla prossima edizione dell’Orcia Wine Festival , in programma dal 25 al 27 aprile 2025. Io ci sarò e non vedo l’ora di incontrarvi e condividere insieme questa straordinaria esperienza enologica! Benedetta Costanzo
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27 Aprile, 2024

Benedetta Costanzo. Il mio Vinitaly 2024

Oltre le Polemiche, i fatti delle Donne del Vino Tra chiacchiere, critiche e polemiche, la 56esima edizione di Vinitaly si conferma come un evento imprescindibile per il settore, ma anche come palcoscenico per discorsi importanti. Quest’anno, in particolare, si è parlato molto del ruolo delle donne nel mondo del vino e delle sfide che ancora devono affrontare. Le affermazioni sulla genetica femminile e il senso di inferiorità atavico e sul bere da sole,  hanno sollevato interrogativi importanti, ma hanno anche offerto l’opportunità di riflettere e discutere su temi cruciali. Quindi mentre Vinitaly chiude i battenti con numeri positivi e un’atmosfera di successo, le polemiche innescate dalle recenti dichiarazioni di Boralevi durante il TG2 Post continuano a far discutere.
Scelgo di guardare oltre le polemiche e di concentrarmi sulle donne che, oltre a bere il vino, sono protagoniste attive nella sua creazione. Il mio Vinitaly Korale In un settore tradizionalmente dominato dagli uomini, è importante riconoscere e celebrare il contributo fondamentale delle donne nel mondo del vino. Esse non solo lavorano nei vigneti e nelle cantine, ma sono anche enologi, sommelier, giornaliste e imprenditrici vinicole di successo. La loro presenza e il loro impegno sono essenziali per l’evoluzione e la crescita del settore.
In questo contesto, la storia di Korale prende vita: un progetto che ho conosciuto al Vinitaly e che voglio far conoscere a tutti per farne un esempio da divulgare.
Nella lotta contro la violenza di genere, ogni iniziativa conta. È con questo spirito che l’Associazione Donne del Vino si impegna attivamente in varie iniziative a livello nazionale e regionale. Oggi voglio raccontarvi di un progetto straordinario portato avanti dalla delegazione calabrese dell’associazione DDV: Korale, il primo vino contro la violenza di genere. Korale: perché tacere non è mai la soluzione
Il nome “Korale”, scelto con cura dall’Associazione, racchiude in sé una storia affascinante da raccontare. Prima di tutto, è un vino “corale”, perché nasce dalla collaborazione di 10 produttrici calabresi, ognuna contribuendo con il proprio migliore rosso, creando così un blend che celebra l’unione e la diversità. Questo connubio di sapori è il risultato della lavorazione di sei vitigni autoctoni: Gaglioppo, Magliocco, Greco Nero, Nerello Cappuccio, Nerello Mascalese e Nocera. L’arte di creare questo mix perfetto è stata curata in cantina dalla produttrice Danila Lento e dalla sommelier Maria Rosaria Romano. Si tratta di un’edizione limitata, solo poche centinaia di bottiglie. Ma ciò che rende questo vino così speciale è il suo scopo: sostenere il Centro Antiviolenza “Roberta Lanzino” di Cosenza.
Il Centro è una struttura fondamentale in Calabria, nata per offrire sostegno e assistenza alle donne vittime di violenza, un luogo che si impegna a non lasciare mai sole le donne in momenti di bisogno. È dedicato a Roberta, una giovane donna che è stata tragicamente vittima di violenza sessuale e omicidio a soli 19 anni. A distanza di 35 anni da questo tragico evento, non è ancora stata fatta giustizia, un fatto che sottolinea ancora una volta le sfide e gli ostacoli che le donne devono affrontare. È davvero triste e sconcertante vedere come ancora oggi le vittime di violenza di genere debbano lottare non solo contro l’abuso stesso, ma anche contro i pregiudizi della società. È inaccettabile che ancora esistano mentalità che suggeriscono che la colpa di ciò che accade alle donne sia in qualche modo della vittima stessa, una mentalità che non solo perpetua l’ingiustizia, ma rende anche più difficile per le vittime ottenere sostegno e giustizia. Obiettivo del progetto Il progetto Korale si pone l’obiettivo di dimostrare che con la solidarietà e la coesione è possibile trovare una soluzione a questa grave problematica. Intanto le bottiglie sono state regalate a chi ha offerto donazioni al Centro Antiviolenza e la campagna è andata benissimo, oltre le aspettative.
La prima presentazione del vino è avvenuta il 3 marzo presso la sede AIS a Cosenza nell’ambito delle “Giornate delle Donne del Vino” che ha visto la partecipazione del Presidente Nazionale delle Donne del Vino, Daniela Mastroberardino. Il tema scelto per le iniziative nazionali e regionali del 2024 è stato “Donne, Vino, Cultura”, un tema che abbraccia i valori fondamentali promossi dall’Associazione Donne del Vino. Questa tematica riflette l’amore per la terra, la valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, con un’attenzione particolare al patrimonio vitivinicolo, che rappresenta un tesoro culturale di inestimabile valore. Le “Giornate delle Donne del Vino” Le “Giornate delle Donne del Vino” rappresentano un appuntamento imperdibile per tutte le associate, un momento di unione e celebrazione dell’apporto femminile alla società e al mondo del vino. Dal 1 al 14 marzo, in tutta Italia e in dieci Paesi nel mondo, si sono susseguiti eventi diffusi che hanno dato visibilità al ruolo delle donne nel settore vinicolo. Gli eventi hanno compreso degustazioni, incontri, tavole rotonde incentrate sul tema dell’anno e una campagna social che ha coinvolto le socie in scatti fotografici, valorizzando i contesti paesaggistici di grande valore culturale legati al mondo del vino. Queste giornate risultano importanti per la valorizzazione della cultura enologica e la lotta contro la violenza di genere, come dimostra il lancio del progetto Korale. Korale approda al Vinitaly Ho avuto l’opportunità di degustare Korale e capire il progetto durante il Vinitaly. Infatti il 15 aprile, presso lo stand istituzionale della Regione Calabria, si è svolta la presentazione del progetto e ho partecipato a quest’incontro con molto piacere. La degustazione è stata guidata da Chiara Giannotti, una giornalista stimata e donna del vino, fondatrice di Vino.tv, un blog, un profilo social e una WebTv dedicati al mondo vinicolo. Chiara  Giannotti ha sapientemente condotto l’evento coinvolgendo non solo la delegata regione Calabria Vincenza Alessio Librandi, ma anche altre donne produttrici che hanno condiviso la loro visione e il loro impegno nel progetto. Presenti l’Onorevole Gallo e il Maestro gioielliere Gerardo Sacchi. Etichetta ricca di simbolismo antico Centrale l’intervento di Caterina Malaspina, che ha brillantemente spiegato l’etichetta di “Korale”, ricca di simbolismo mitologico. Molti degli elementi presenti sull’etichetta rimandano alla storia di Persefone, la figlia di Demetra rapita da Ade e costretta a vivere negli inferi contro la sua volontà. La madre, nel suo disperato tentativo di ritrovare la figlia, trascura la natura, portando il mondo alla carestia. Per risolvere la situazione, Zeus interviene imponendo ad Ade di restituire Persefone alla madre. Tuttavia, poiché Persefone ha mangiato sei chicchi di melograno negli inferi, è obbligata a ritornare per sei mesi ogni anno. In quei mesi la terra diventava spoglia e non produceva mentre quando riusciva a liberarsi rendeva fertile la terra: nasceva il mito dell’alternanza delle stagioni. ,
Il nome “Kora-le” trae origine dal greco antico (kora” = donna o fanciulla) ma è anche uno dei nomi con cui veniva invocata la dea Persefone. Questa storia di rinascita e fertilità è incarnata dall’etichetta di “Korale”, che raffigura il profilo del volto di una delle numerose statue ex-voto dedicate a Persefone, che punteggiavano la Magna Grecia. Sostenibilità Korale, oltre a rappresentare l’incontro tra i millenari vitigni della regione Calabria, porta avanti un importante impegno per la sostenibilità ambientale. La sua storia affonda le radici nell’antica tradizione vitivinicola della regione, dove furono i Greci a introdurre la coltivazione della vite. Tuttavia, Korale non è solo un omaggio all’antica tradizione vitivinicola della regione, dove furono i Greci a introdurre la coltivazione della vite. È anche un esempio di come sia possibile coniugare la tradizione vinicola con pratiche sostenibili che includono l’utilizzo di bottiglie più leggere e sottili, riducendo così il loro impatto ambientale e il consumo di risorse durante la produzione e il trasporto. Inoltre, i tappi utilizzati sono completamente riciclabili, contribuendo a minimizzare l’impronta di carbonio del prodotto. Anche l’etichetta di Korale è stata realizzata con materiali eco-sostenibili, utilizzando fibre riciclate. Questa scelta non solo riduce l’utilizzo di risorse naturali vergini, ma promuove anche l’idea di economia circolare, contribuendo a ridurre gli sprechi e a chiudere il ciclo dei materiali. Conclusioni In conclusione, il progetto Korale rappresenta non solo un vino di alta qualità e dal profondo legame con le radici storiche della Calabria e della Magna Grecia, ma anche un simbolo di solidarietà, sostenibilità e empowerment femminile nel mondo del vino. Korale dimostra che è possibile coniugare la tradizione vinicola con pratiche moderne e responsabili in un contesto in cui le donne del settore vinicolo sono sempre più protagoniste. Questo progetto è un esempio di come la determinazione e il talento femminile possano dare vita a iniziative significative per combattere la violenza sulle donne. Questa iniziativa rappresenta l’impegno nella società civile per il miglioramento della condizione femminile e per un futuro migliore. Benedetta Costanzo
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21 Aprile, 2024

OperaWine 2024: l’affascinante première di Vinitaly

Il 13 aprile 2024 si è svolto alle Gallerie Mercatali di Verona, OperaWine, Finest Italian Wines, l’unico appuntamento organizzato all’estero da Wine Spectator. E’ uno degli eventi più affascinanti e più attesi di tutto il calendario enologico Italiano e internazionale.
Manifestazione esclusiva per gli amanti del vino di tutto il mondo, anche quest’anno ha fatto da overture all’inaugurazione della 56esima edizione di Vinitaly 2024.
Questo prestigioso evento giunto ormai alla 13esima edizione (prima edizione nel 2012),  ha visto la presenza di ben 131 produttori italiani di vini di alta qualità, delle quali  25 cantine sono state sempre presenti (Allegrini, Antinori, Bruno Giacosa, Ca’ del Bosco, Castello di Ama, Castello di Volpaia, Famiglia Cotarella, Ferrari, Feudi di San Gregorio, Fontodi, Livio Felluga, Lungarotti, Masi, Masciarelli, Nino Negri, Ornellaia, Paolo Scavino, Pieropan, Planeta, San Felice, Tasca d’Almerita, Tenuta San Guido, Tormaresca, Umani Ronchi e Zenato). 131 vini italiani selezionati da Wine Spectator Organizzato da Veronafiere e Vinitaly in collaborazione con Wine Spectator, il più autorevole magazine di settore statunitense, l’accesso a OperaWine è riservato, esclusivamente su invito, a una selezione di giornalisti e operatori specializzati, confermando il suo status di evento elitario nel mondo del vino.
Ecco la lista dei produttori OperaWine 2024, annunciati da Bruce Sanderson e Alison Napjus in occasione di wine2wine Business Forum 2023.
Questa straordinaria selezione di cantine rappresenta il meglio della produzione vinicola italiana, offrendo agli ospiti un’esperienza unica e indimenticabile per i sensi. Dai vini rossi intensi e corposi alle sfumature delicate dei bianchi, OperaWine 2024 ha deliziato il palato degli intenditori più esigenti. Il programma ufficiale alle Gallerie Mercatali di Verona Alle 12.30 si è svolta la Conferenza stampa di Wine Spectator che ha visto gli interventi di Maurizio Danese, amministratore delegato di Veronafiere, Matteo Zoppas, presidente di Ice-Agenzia, Jeffery Lindenmuth, executive editor di Wine Spectator, Alison Napjus, senior editor & tasting director di Wine Spectator, Bruce Sanderson, senior editor di Wine Spectator.
Successivamente, l’arrivo della delegazione della Conferenza Internazionale sul Vino di OIV, con ministri, viceministri e ambasciatori di 30 nazioni produttrici di vino.
Alle ore 13, foto di gruppo con i produttori di OperaWine e a seguire inaugurazione e aperture del Grand Tasting alle ore 14.30. La chiusura era prevista per le ore 17.30 ma di fatto si è un po’ prolungata. Connubio perfetto tra arte dell’Opera e cultura del vino Dopo aver fatto i salti mortali e aver superato qualche piccolo imprevisto, eccomi pronta a tuffarmi in questa nuova avventura. Controlli serrati all’entrata, tantissime persone qualificate e poi la sfinge!
L’edizione 2024, OperaWine infatti, si ispira a un tema classico, legato all’arte e alla cultura italiana: l’opera lirica. Questo tema affonda le sue radici fin nel nome dell’evento stesso, testimoniando l’affinità intrinseca tra la manifestazione e il mondo dell’opera. In particolare, gli allestimenti di OperaWine 2024 richiamano la programmazione della prestigiosa stagione areniana 2024, che proporrà al pubblico opere di grande impatto emotivo e artistico, tra cui Turandot, Aida, Il Barbiere di Siviglia, Carmen, La Bohème e Tosca. La tredicesima edizione di OperaWine si propone quindi di celebrare l’eccellenza del vino italiano attraverso la magnificenza delle scenografie e delle emozioni suscitate da queste straordinarie opere liriche.   Alcuni dati su OperaWine Ancora una volta, i vini rossi saranno i protagonisti indiscussi di OperaWine 2024, rappresentando ben 99 delle 131 referenze in degustazione. Seguono con 22 etichette i vini bianchi, mentre gli sparkling e i vini dolci contano rispettivamente 8 e 2 presenze. Sul fronte dei brand, si registrano tre nuove aziende debuttanti rispetto al 2023, La Valentina – Abruzzo e le due Toscane, Argiano e  Isole e Olena. Sono 6 i produttori che fanno ritorno in lista dopo l’assenza dello scorso anno e precisamente Vincenzo Ippolito (Calabria), Terenzuola (Liguria), Villa Sandi (Veneto), Prunotto (Piemonte), Pietradolce (Sicilia), Gerardo Cesari (Veneto).
Le aziende non selezionate per l’edizione 2024 presenti l’anno scorso, sono 8: Librandi (Calabria), Montevetrano (Campania), Gravner (Friuli Venezia Giulia), Cantine Lunae Bosoni (Liguria), Rainoldi (Lombardia), Leone de Castris (Puglia), Siro Pacenti (Toscana), Zymè (Veneto).
La classifica per regioni conferma la supremazia della Toscana in testa con 34 aziende selezionate, seguita da Piemonte (19 aziende) e Veneto (18). Complessivamente, il Nord d’Italia esprime il 43% dei produttori “bandiera” del made in Italy, mentre il Centro contribuisce con il 33% e il Sud e le Isole con il 24%. Celebrazione dell’eccellenza enologica italiana nel cuore di Verona Varcando le soglie di questa affascinante location con un abbigliamento elegante e curato, requisito imprescindibile per immergersi nell’atmosfera esclusiva di OperaWine, mi sono trovata catapultata in un mondo stimolante e affascinante. È stata un’esperienza straordinaria poter entrare nell’olimpo dei vini italiani, anticipando l’inizio ufficiale di Vinitaly 2024. La possibilità di degustare in anteprima le eccellenze presenti, tra cui annate pregiatissime come il leggendario Sassicaia 1997, è stata un privilegio unico. Avevo già avuto l’opportunità di assaggiare l’annata 2017 durante  Matter of Taste, ma devo ammettere che l’aggiunta di 20 anni di invecchiamento ha trasformato radicalmente il vino, rendendolo a mio avviso ancora più straordinario! Le mie impressioni personali su OperaWine 2024 Il Gran Tasting mi ha offerto l’opportunità di esplorare e apprezzare in modo più approfondito la vasta gamma di vini disponibili, una sola etichetta per azienda, preparandomi in modo ottimale per affrontare le degustazioni durante Vinitaly.
Inoltre, l’occasione di stabilire contatti e connessioni importanti già prima dell’inizio ufficiale della fiera è stata estremamente preziosa. Grazie alle interazioni e agli assaggi presso gli stand di OperaWine, ho avuto la fortuna di entrare in contatto con produttori ed esperti del settore, rendendo nei giorni successivi il mio percorso attraverso Vinitaly ancora più gratificante e significativo.   Ecco gli assaggi che vi racconto
Tanta gente, moltissimi assaggi e meno di tre ore per affrontare il tutto. Di fronte a questa sfida,  mi sono affidata alla mia esperienza e ho optato per un mix di degustazioni, selezionando con cura i vini che meglio rappresentassero la diversità e l’eccellenza delle produzioni italiane. Le considerazioni di Alison Napjus, Senior Editor di Wine Spectator, hanno guidato le mie scelte: il vino italiano, secondo Napjus, esprime il suo massimo potenziale quando è abbinato al piatto giusto, un aspetto che riveste un’importanza cruciale soprattutto negli Stati Uniti, dove l’abbinamento cibo-vino non è ancora così diffuso come in Italia. Ho così cercato di capire se lo stile dei produttori stia andando verso la facilità di beva, incarnando un stile più attuale  e richiesto dai consumatori che anche quando scelgono una bevuta più impegnativa cercano sempre una piacevolezza scorrevole. Ippolito 1845 – Calabria con l’etichetta 160 Anni del 2015 Il mio primo assaggio è stato dedicato a un’azienda che ho avuto il piacere di visitare quest’estate: Ippolito 1845 con il suo straordinario vino “160 Anni” – annata 2015. Questa etichetta è stata creata per celebrare la storia dell’azienda, il suo impegno e la sua passione nel mondo vinicolo. Le tecniche innovative utilizzate per l’appassimento delle uve Gaglioppo su graticci e la lunga macerazione sulle bucce hanno conferito a questo vino profumi di frutti di bosco, viola, uvetta e spezie dolci. Il risultato è un vino complesso, dalla struttura imponente e dall’intrigante rotondità. Ho apprezzato particolarmente l’equilibrio perfetto di questo vino, con tannini ben integrati e una persistenza che si prolunga piacevolmente nel tempo.     Tasca d’Almerita |- Sicilia Contea di Sclafani Tenuta Regaleali Rosso del Conte 2017 Impossibile scegliere tra gli assaggi siciliani che mi hanno colpito di più durante OperaWine 2024: il Pietradolce (Etna) Barbagalli 2018, il Passopisciaro Terre Siciliane Contrada G 2016, il Benanti (Etna) Serra della Contessa Riserva 2016 e il Feudo Maccari Sicilia Vigna Guarnaschelli 2021 sono solo alcuni dei vini che hanno lasciato un’impronta indelebile nella mia memoria sensoriale.
Tuttavia, desidero dedicare un momento speciale per raccontarvi il mio assaggio del Rosso del Conte 2017 di Tasca d’Almerita. In cantina possiedo la 2014 e credo che presto la aprirò per confrontare le sensazioni che possono derivare da annate diverse. La degustazione di questo vino è stata un’esperienza unica, capace di trasmettere l’autenticità e l’eleganza tipiche dei grandi vini siciliani.   Elena Fucci – Aglianico del Vulture Titolo 2020 e Grifalco – Aglianico del Vulture Superiore Daginestra 2019 Un’altra piacevole sorpresa è stata la degustazione dei vini del Vulture: il Grifalco Aglianico del Vulture Superiore Daginestra 2019 ed il famoso Elena Fucci Aglianico del Vulture Titolo 2020 si sono distinti come i migliori assaggi della regione. Quando si parla del Vulture, queste due aziende si possono considerare punti di riferimento assoluti sia in Italia che nel resto del mondo. Pur essendo figli di annate diverse, entrambi i vini presentano caratteristiche simili e promettenti, ma richiedono ancora del tempo per esprimere appieno il loro potenziale.   Marchesi di Barolo | Barolo Sarmassa 2004 Passando a una serie di assaggi in Piemonte, desidero condividere con voi l’esperienza del Barolo Sarmassa 2004. Questo vino, proviene da un terroir che geologicamente appartiene all’epoca tortoniana ma presenta caratteristiche del suolo serravalliane e pertanto regala sensazioni veramente speciali. Tra i migliori cru dei Marchesi di Barolo, il Sarmassa vanta pendii esposti a sud e terreni bianchi relativamente poco fertili, che contribuiscono a limitare le rese e a concentrare la qualità. Dopo un affinamento di 10 anni in botte di piccole dimensioni seguito da ulteriori anni in botti grandi e alcuni mesi in bottiglia, il Barolo Sarmassa si presenta con un colore granato evoluto. Al naso, gli aromi spaziano dalla resina di pino al tabacco, dalla cannella al cuoio, mentre in bocca il vino si rivela un autentico velluto, con tannini ancora presenti ma di una rara setosità. Un vino da grandi occasioni e dalle notevoli capacità di invecchiamento. Per me, il momento culminante è stato poter salutare personalmente Valentina Abbona e sua madre, due donne del vino veramente straordinarie, che hanno reso ancora più speciale questa esperienza. Gerardo Cesari | Amarone della Valpolicella Classico Bosan Riserva 2013 l Veneto e i suoi straordinari vini, tra cui spicca indubbiamente l’Amarone, che regna sovrano tra le eccellenze della regione. Scelgo di condividere con voi la mia esperienza con Gerardo Cesari. Ho avuto il privilegio di scambiare qualche parola con l’enologo e ricevere un invito speciale nella loro cantina. Il Bosan Riserva 2013 di Gerardo Cesari presenta eleganza e complessità tipiche dell’Amarone. Le tonalità scure delle note balsamiche e terrose si fondono armoniosamente con i profumi avvolgenti di ciliegia in confettura, pepe e vaniglia. In bocca si apre con una dolcezza avvolgente, per poi rivelarsi sapido e caldo, avvolgente ad ogni sorso. I tannini decisi, ma perfettamente integrati, donano al vino una straordinaria struttura, mentre i sapori di ciliegia e cioccolato fondente persistono a lungo nel palato. Frutto di un invecchiamento di 3 anni in barrique francesi e 15 mesi di affinamento in bottiglia, questo Amarone ha origine dal vigneto terrazzato omonimo situato a Marano della Valpolicella, a 500 metri di altezza, caratterizzato da suolo calcareo e in parte vulcanico. Un’esperienza autentica nel cuore del Veneto enologico. Tabarrini | Montefalco Sagrantino Il Bisbetico Domato 2020 quando arrivo nella zona dei vini Umbri, mi sembra di respirare un’aria familiare, avendo più volte approfondito il territorio dal punto di vista vinicolo. ritrovo i vini emblematici che raccontano la storia e la tradizione di questa parte dell’Umbria: Lungarotti col Torgiano Rubesco Vigna Monticchio Riserva 2016, Scacciadiavoli – Montefalco Sagrantino 2010, e Giampaolo Tabarrini che mi ha fatto degustare Montefalco Sagrantino Il Bisbetico Domato 2020.
un assaggio che merita di essere riaffrontato fra qualche tempo, anche se lo stile si sta affinando ha bisogno comunque di più tempo per smussarsi un po’.   Arnaldo Caprai | Montefalco Sagrantino 25 Anni 2013 Un incontro importante è stato quello con Marco Caprai e il suo straordinario Sagrantino. Marco è considerato il padre del Sagrantino moderno, quel vitigno che oggi è conosciuto e ammirato in tutto il mondo. È stato lui il promotore e il regista dell’affermazione di questa varietà e del vino nella versione secca, cambiando radicalmente le sorti non solo del territorio, ma anche dell’intero settore vitivinicolo umbro. Ciò che rende ancora più significativo il lavoro di Marco è la sua attenzione per l’ambiente e la sostenibilità. Il Sagrantino 25 Anni, creato per celebrare le nozze d’argento dell’azienda, ha conquistato i Tre Bicchieri del Gambero Rosso nel 1997 e ancora oggi regala esperienze sensoriali straordinarie. Al naso, emergono note di tostature e cioccolato che incorniciano susine e ciliegie sotto spirito, lavanda e liquirizia e note balsamiche avvolgenti. Il sorso è sontuoso e caldo, con un peso specifico notevole, ma moderno e equilibrato. Dopo undici anni di invecchiamento, il vino comincia a trovare un buon equilibrio grazie ai tannini ben integrati, con un finale leggermente astringente che invita a un altro sorso.   Riflessione finale su Operawine 2024
Potrei continuare con altri assaggi ma preferisco fermarmi qui e lasciarvi con le me ultime considerazioni. Secondo me è essenziale porre l’attenzione su due fronti fondamentali che emergono dall’esperienza di OperaWine 2024: l’adeguamento dei vini e la sostenibilità. Vini più versatili per il futuro del vino
In primo luogo, l’aggiornamento dei vini rappresenta una sfida cruciale per l’industria vinicola italiana. È fondamentale che i vini siano più accessibili e facili da bere, al fine di scongiurare il calo del consumo. Questo non significa compromettere la qualità o l’autenticità dei vini italiani, ma piuttosto adattarli alle esigenze e alle preferenze dei consumatori moderni, offrendo una gamma diversificata di opzioni che possano soddisfare una vasta gamma di palati. Vini più versatili e meno da meditazione. Sostenibilità e meno burocrazia
In secondo luogo, la sostenibilità è un imperativo categorico per il futuro vinicolo italiano. È necessario rendere la sostenibilità una realtà tangibile, non solo un concetto astratto. Ciò richiede un impegno concreto non solo da parte dei singoli produttori, ma anche l’adozione di politiche e leggi che favoriscano e promuovano la sostenibilità ambientale in tutto il settore. È fondamentale semplificare le leggi e rendere le normative più accessibili, in modo che anche i piccoli produttori possano adottare pratiche sostenibili senza eccessiva burocrazia. Solo attraverso un impegno collettivo e una visione condivisa per l’innovazione e la sostenibilità, l’industria vinicola italiana potrà continuare a prosperare e a mantenere la propria posizione di leadership nel panorama vinicolo mondiale. OperaWine 2024 ha rappresentato un’importante pietra miliare in questo percorso, evidenziando le sfide e le opportunità che attendono il settore nel futuro. Benedetta Costanzo
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13 Aprile, 2024

Vino e Donne: Avventure Alsaziane!

Alla conquista dell’Alsazia con le donne del vino. L’Alsazia, terra di vini rinomati e paesaggi mozzafiato, è stata la cornice del mio primo viaggio con l’Associazione Nazionale Donne del Vino. Quest’esperienza ha unito passione, conoscenza e quella sensibilità distintiva che spesso caratterizza le donne nel mondo del vino.
L’anno scorso sono entrata a far parte di questa associazione in cui credo molto. Le Donne del Vino Italiane sono un gruppo dinamico e influente che riunisce le menti più brillanti e talentuose del settore enologico, dalla produzione alla vendita, alla comunicazione del vino. Questa associazione gode di un’ottima reputazione sia in Italia che all’estero e non solo celebra il vino, ma anche il ruolo fondamentale che le donne possono esprimere in questo settore. Le Donne del Vino: Passione e Condivisione È molto più di un’associazione: è un movimento che mira a diffondere la cultura e la conoscenza del vino attraverso la formazione e la valorizzazione del ruolo della donna imprenditrice nel settore vitivinicolo ed enoturistico. Gli obiettivi sono ambiziosi e strettamente legati all’aspetto professionale, in particolare mirano alla promozione di un consumo responsabile, alla crescita della cultura del vino e la valorizzazione del ruolo delle donne nella società e nel lavoro. Inoltre collegare le Donne del Vino tra loro favorendo iniziative condivise, la formazione e i viaggi di istruzione, portare la voce delle Donne del Vino alle istituzioni e alle organizzazioni del vino italiane ed estere.   Un’avventura con le protagoniste del vino Questa associazione, la più grande e attiva nel settore enologico femminile a livello mondiale, ha gettato le basi per molte altre organizzazioni di donne impegnate in diversi ambiti economici, dimostrando che l’inclusione di tutta la filiera, dalla produzione alla vendita, è la chiave per il successo e l’innovazione.
E così quando si è presentata l’opportunità di visitare, non solo da un punto di vista enologico, un paese come l’Alsazia mi sono lanciata. La Strada dei Vini Ho così scoperto La Strada dei Vini, un percorso incantevole che si snoda attraverso panorami mozzafiato, caratterizzati da vigneti a perdita d’occhio e punteggiati da castelli maestosi e pittoreschi villaggi dalle case a graticcio. Conosciuta un tempo come “Strada del vino”, con i suoi 170 km che si snodano da nord a sud, ci regala paesaggi che sembrano usciti da una fiaba. Inaugurata il 30 maggio 1953, La Strada del Vino dell’Alsazia è la più antica in Francia e si snoda ai piedi del massiccio dei Vosgi. Lungo tutto il tragitto, seguendo i sentieri viticoli segnalati, i viaggiatori possono esplorare numerose cantine e realtà vinicole, che rappresentano indubbiamente una delle principali ricchezze della regione. Esperienze straordinarie tra i vigneti dell’Alsazia Il viaggio tra i vigneti dell’Alsazia è stata un’esperienza indimenticabile, che mi ha permesso di comprendere territorio, stile e Anima di questi vini molto diversi dai nostri che possono essere considerati la vera essenza di questa terra straordinaria. Con piacere vi invito a seguirmi in un viaggio attraverso l’Alsazia, mentre condivido con voi le ragioni che rendono questo territorio così affascinante e degno di essere scoperto e apprezzato in tutte le sue sfaccettature.
Oltre alle meraviglie enogastronomiche legate al mondo del vino, ci sono alcuni elementi che hanno toccato profondamente la mia sensibilità e che voglio condividere con voi: le affascinanti case dai tetti spioventi, le eleganti cicogne e la suggestiva replica della Statua della Libertà. Questi sono solo alcuni degli elementi che rendono questo territorio così unico! Affascinanti case dai tetti spioventi Le pittoresche case a graticcio che punteggiano i villaggi dell’Alsazia sono tesori architettonici che raccontano storie antiche e incantano con la loro bellezza rustica. Sebbene siano un elemento comune in buona parte dell’Europa centrale, la loro presenza qui aggiunge un tocco di antica bellezza e romanticismo ai borghi e alle città alsaziani. La ragione della loro diffusione è in parte da attribuire alla semplicità dei materiali utilizzati nella loro costruzione: legno, paglia, gesso e malta, tutti facilmente reperibili e poco costosi. Inoltre, la costruzione di queste case richiedeva tempi relativamente brevi, grazie alla disponibilità dei materiali e alla semplicità della tecnica di montaggio. Tuttavia i ricchi preferivano altre tecniche e materiali più prestigiosi, come la pietra, che era un vero status-symbol dell’epoca. Infatti le dimore patrizie spesso erano caratterizzate da torri e altri elementi distintivi che esprimevano ricchezza e prestigio.
Le cicogne, simbolo dell’Alsazia Con i loro modi eleganti e la presenza dei nidi sui campanili delle chiese, sulle case e sulle torri dei villaggi e delle città, aggiungono un tocco di magia e mistero al paesaggio alsaziano.
Ho ammirato con meraviglia gli eleganti voli delle cicogne che solcavano i cieli d’Alsazia, creando una scena incantevole mentre si libravano sopra i prati e tra le vigne. conferendo un fascino unico al paesaggio. È stato un privilegio poter osservare da vicino un animale così raro nel nostro paese, ma così comune e simbolico in questa regione. La cicogna diventava così non solo un elemento caratteristico dell’Alsazia, ma anche un emblema della sua bellezza e della sua ricca biodiversità.   Statua della Libertà: connessione fra due mondi Infine, voglio raccontarvi dell’emozione crescente che provavo quando per raggiungere vigneti e cantine giungevamo all’ingresso settentrionale della città di Colmar e ci si trovava di fronte a una replica imponente della Statua della Libertà. Alta dodici metri e realizzata in resina, questa fedele riproduzione dell’iconica statua di New York è stata eretta nel 2004 per commemorare il centenario della morte di Auguste Bartholdi, l’artista che l’ha creata. Ho interpretato questa presenza come un legame tangibile tra Colmar e New York, due città distanti ma unite da un filo ideale. La statua mi appariva non solo come un simbolo della libertà e dell’illuminazione, ma anche di una connessione speciale tra due luoghi diversi del mondo. Ammirarla era un’esperienza che rapiva l’animo, aggiungendo un tocco di magia alla visita dei vigneti e delle cantine, mentre mi perdevo nei significati profondi che evocava. Ma torniamo al vino! Per comprendere appieno l’importanza dell’enologia in Alsazia è fondamentale esaminare alcuni aspetti chiave della regione, tra cui il suo terroir, la sua storia e le sue denominazioni vinicole. Quindi in questo primo articolo vi spiegherò territorio, clima, vitigni, denominazioni e stili per poi proseguire nei prossimi articoli con il racconto delle aziende visitate e degli assaggi che mi hanno colpito di più. Alsazia e Terroir Dal punto di vista pedologico, l’Alsazia è uno dei territori che vengono considerati di montagna per la produzione di alcuni grandissimi vini. È vero che siamo a una latitudine che non permette un facile allevamento della vite.  Ma è anche vero che le altitudini dei Vigneti vanno dai circa 200 metri di altitudine fino a un massimo di 400 m slm. Quindi non possiamo parlare fino in fondo di viticultura di montagna. Anche perché le caratteristiche climatiche sono molto particolari: inverni estremamente rigidi e freddi; però l’estate e la fine della Primavera tendono ad essere molto calde, a volte addirittura torride.  Quindi abbiamo un clima che per alcuni versi potrebbe anche ricordare il nostro Alto Adige e quindi con dei vini di luce, dei vini generosi, che in alcuni casi maturano una componente alcolica anche abbastanza elevata. Più di 10 varietà di suoli differenti È un territorio ricco e diversificato, caratterizzato da molti suoli differenti e tanti microclimi. lo scostamento delle faglie geologiche ha fatto emergere suoli di tipologia molto differente (sabbiosa, ghiaiosa, marnosa, calcarea, argillosa, granitica o vulcanica, di ardesia e di loess), tanto da essere definita la sorella maggiore della Borgogna. Andiamo dal suolo leggermente più sabbioso,  proprio a ridosso del fiume Reno,  a quelli più calcarei e argillosi nelle aree collinari, fino a una  componente addirittura vulcanica data dai Monti Vosgi, importantissimi perché proteggono dai venti freddi da ovest e da nord, creando un microclima ideale per la coltivazione delle uve. II fiume Reno, invece, fornisce un prezioso apporto di umidità che favorisce lo sviluppo della botrytis cinerea, elemento chiave per la produzione di vini dolci di alta qualità.   Un po’ di storia… Storicamente, l’Alsazia è stata al centro di molte vicende politiche e culturali, passando spesso tra le mani di Francia e Germania nel corso dei secoli. Questo ha influenzato non solo la cultura e le tradizioni della regione, ma anche la produzione vinicola, che riflette una fusione unica di influenze francesi e tedesche. Il territorio dell’Alsazia, con la sua doppia anima francese e tedesca, rappresenta un crocevia di culture e tradizioni che si riflettono anche nella produzione vinicola.
Divisa in due parti, Haut-Rhin e Bas-Rhin, il paese vanta un totale di 15,2 mila ettari dedicati principalmente alla coltivazione delle uve a bacca bianca, con solo l’8% della produzione destinata ai vini rossi, percentuale tuttavia in crescita. Vitigni e denominazioni L’Alsazia è conosciuta per la sua produzione di vini monovarietali, fatti da una singola varietà d’uva, come Riesling, Gewürztraminer, Pinot Gris e Muscat. Questi vini riflettono le caratteristiche distintive del terroir alsaziano e rappresentano alcune delle espressioni più pure e autentiche del territorio. Le tre appellazioni di origine controllata (AOC) dell’Alsazia che rappresentano l’apice della qualità e dell’espressione del terroir alsaziano sono: – Alsace, denominazione riservata ai vini di regola da monovitigno; – Alsace Grand Cru, che portano il nome del vitigno in etichetta; – Crémant d’Alsace, spumante elaborato con il metodo della rifermentazione in bottiglia, prevalentemente da uve Pinot blanc. I Grands Crus alsaziani sono stati definiti negli anni ‘70, a seguito di lunghissime trattative. Oggi sono 51, rappresentano l’espressione dei vari profili di suolo e possono essere elaborati solo da quelli che in Alsazia sono definiti vitigni nobili: Gewürztraminer, Riesling Renano, Muscat d’Alsace e Pinot Gris. La resa dei vini alsaziani grand cru è inoltre inferiore a quello degli altri: 55 ettolitri contro gli 80 dell’appellazione base. Vini dell’Alsazia: una gioia per il palato e il cuore Imbottigliati nella  conosciutissima bottiglia alsaziana con etichette spesso gialle, è impossibile non riconoscere questi vini!
La regione è molto conosciuta per i vini meno secchi. Non di rado, infatti, i produttori vinificano le proprie uve lasciando in bottiglia dei residui di zucchero piuttosto percettibili, rendendo così il vino più morbido e alcolico: sono i cosiddetti vini “moelleux”.
Sul fronte dei vini dolci, invece, l’AOC Alsace e l’AOC Alsace Grand Cru possono includere le tipologie Vendage Tardive, elaborati da uve nobili in sovramaturazione o colpite dalla muffa nobile, e Sélection de Grains Nobles, ottenuti mediante selezione di acini colpiti da botrytis cinerea: sono tipologie dotate di grande complessità e persistenza dovute alla maggiore concentrazione delle sostanze o alla presenza della muffa nobile.
Le Vendange Tardive e le Sélection de Grains Nobles sono gioielli enologici, e rappresentano la quintessenza della dolcezza e della complessità, testimoniando l’eccezionale maestria dei vignaioli alsaziani. Alsazia in tavola Oltre ai vini straordinari, l’Alsazia delizia anche il palato con la sua ricca tradizione gastronomica, influenzata dalla vicina Foresta Nera in Germania.
Ci sono infatti molti piatti e specialità in comune ai due paesi, soprattutto per quanto riguarda le pietanze a base di carne o le famose bretzel, i pani salati a forma di cuore intrecciato.  Piatti come la Choucroute (crauti aromatizzati alle bacche di ginepro che fanno da contorno a salsiccia, pancetta, stinco di maiale o prosciutto), il Bäckeoffe (stufato di carne e verdure)  e il Coq au Riesling (gallo cotto nel vino bianco alsaziano) si sposano armoniosamente con i vini locali, creando esperienze culinarie indimenticabili.     Per oggi mi fermo qui e mi riservo di continuare il mio viaggio con le Donne del Vino la prox settimana raccontandovi delle persone appassionate che ho incontrato e con le quali ho condiviso quest’esperienza di crescita personale, delle aziende e degli assaggi più emozionanti.
Sempre sulla mia rubrica “Le scoperte enoiche di Benny”, sempre su Winetales Magazine. Cin! Benedetta Costanzo
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6 Aprile, 2024

Aprile, aprile, ogni goccia fa barile!

Questa volta, sono entusiasta di condividere con voi un articolo un po’ diverso dal solito. Piuttosto che raccontare di una visita in cantina o di un evento enoico specifico, ho il piacere di introdurvi a una selezione di etichette che ho personalmente gustato e apprezzato enormemente. È un’esperienza che spero diventi un appuntamento ricorrente, permettendoci di esplorare insieme il vasto panorama delle eccellenze enogastronomiche che il nostro paese – e non solo – ha da offrire. Attraverso la degustazione di questi vini, vi condurrò in un viaggio attraverso i territori più affascinanti, suscitando curiosità e interesse per le diverse tradizioni vinicole. Pronti a sollevare i calici e iniziare questo viaggio? Ho scelto di presentarvi sei tipologie diverse di vino, ognuna portatrice di caratteristiche uniche e affascinanti, in modo da offrirvi un viaggio attraverso gusti e profumi che si adattano a una vasta gamma di piatti. La mia priorità è stata sempre privilegiare abbinamenti che valorizzino il territorio di provenienza del vino. Quindi, preparatevi a scoprire insieme le stelle del mese che hanno saputo conquistarmi con la loro straordinaria unicità e raffinatezza.   Bollicina Metodo Classico: Frecciarossa Extra Brut Millesimato 2020 Nel magico mondo delle bollicine, il Frecciarossa Extra Brut Millesimato 2020 della rinomata Azienda Frecciarossa si distingue per la sua eleganza e raffinatezza. Fondata nel lontano 1919 da Mario Odero, un visionario innamorato delle colline dell’Oltrepò Pavese, l’azienda ha saputo tramandare nel tempo la sua passione per il territorio e la produzione di spumanti di alta qualità. Il nome suggestivo dell’azienda, nato da un errore di trascrizione del toponimo “Fraccia Rossa”, racchiude in sé l’essenza di una storia intrisa di tradizione e innovazione. Azienda: Frecciarossa è da sempre una pioniera nello sviluppo dello spumante di qualità, sia sul territorio italiano che oltre confine. Attualmente alla guida c’è quarta generazione, Valeria che insieme alla madre Margherita Odero, nipote di Mario portano avanti l’azienda con una gestione al femminile e dalla forte impronta biologica. Con 21 ettari di vigneto su una tenuta complessiva di 31 ettari, la biodiversità è una realtà tangibile, grazie alle innumerevoli tecniche ed attenzioni. Vitigno: Questa eccellente bollicina è ottenuta esclusivamente da uve di Pinot Nero, espressione autentica del territorio dell’Oltrepò Pavese. Territorio: Le colline dell’Oltrepò Pavese, anticamente sommerse dal mare, custodiscono terreni ricchi di storia e mineralità. La varietà geologica dei suoli, che comprende argille rosse, marne e vene di gesso, conferisce al vino una complessità e un carattere unici, che si riflettono pienamente nel bicchiere. Scheda Tecnica: La vendemmia manuale e la pressatura soffice delle uve intere permettono di ottenere un mosto fiore di alta qualità. La fermentazione alcolica avviene a temperature controllate, seguita da una decantazione spontanea e una stabilizzazione a freddo durante l’inverno. Il tiraggio avviene nella primavera successiva alla vendemmia, seguito da una presa di spuma a 16 °C e un affinamento sui lieviti di 22 mesi, con successiva sboccatura avvenuta nel febbraio 2023. Degustazione Il Frecciarossa Extra Brut Millesimato 2020 si presenta nel bicchiere con un invitante colore giallo paglierino, arricchito da riflessi dorati e un perlage visibile e persistente. Al naso, si apre con fragranti note di fiori bianchi, arricchite da suggestivi sentori balsamici e minerali. In bocca, regala un’esperienza di grande armonia e piacevolezza, con una buona vena acida che pulisce il palato, lasciando un retrogusto caratterizzato da note minerali distintive. Un autentico Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese in purezza, che incanta con la sua complessità e eleganza. Abbinamento Questa bollicina di classe si presta magnificamente a essere gustata come aperitivo di benvenuto o in accompagnamento a piatti raffinati a base di pesce, come un carpaccio di tonno o un crudo di gamberi. La sua freschezza e complessità lo rendono inoltre ideale da abbinare a formaggi cremosi e delicati, come il brie o il camembert, e la sua struttura permette di abbinarlo anche a un primo piatto con funghi e tartufo,  esaltando al meglio il carattere unico di questo vino.   2. Vino Bianco: MEZZO BRACCIO TOSCANA IGT 2019 RIESLING In un viaggio attraverso la Toscana, nel cuore della Tenuta Monteloro dei Marchesi Antinori, scopriamo un tesoro enologico, un Riesling Renano che incanta con la sua unicità e raffinatezza. Azienda: Immersa tra le suggestive colline dell’Appennino alle spalle di Fiesole, la Tenuta Monteloro dei Marchesi Antinori è un vero gioiello. I paesaggi mozzafiato, che si dice abbiano ispirato il viaggio dantesco della Divina Commedia, raccontano storie antiche di nobili famiglie fiorentine, tra cui quella di Dante Alighieri e Beatrice Portinari. La tenuta, situata a un’altitudine media di 500 metri s.l.m. su 600 ettari totali, si contraddistingue per un clima fresco e terreni ricchi di minerali, ideali per la coltivazione di varietà aromatiche a bacca bianca. Vitigno e  Annata 2019 Il Riesling Renano trova in questa terra toscana un’espressione unica, grazie ai suoli argillosi e calcarei che conferiscono al vino una straordinaria complessità. Il Mezzo Braccio, prodotto a partire dall’annata 2007, prende il nome da un’antica unità di misura fiorentina, testimone di un passato ricco di storia e tradizione. L’annata 2019 ha visto un inverno rigido seguito da una primavera caratterizzata da piogge benefiche per lo sviluppo vegetativo. L’estate calda è stata mitigata da alcune precipitazioni che hanno favorito un’ottima maturazione delle uve, mantenendo un equilibrio perfetto tra acidità e maturità aromatica.
Vinificazione: Le uve, raccolte manualmente tra settembre e ottobre, sono state diraspate e delicatamente pressate per estrarre il succo con la massima delicatezza. La fermentazione alcolica avviene in tini di acciaio inox a temperatura controllata, seguita da un affinamento sui lieviti e un successivo affinamento in bottiglia per 18 mesi. Degustazione e Abbinamento Il Mezzo Braccio si presenta nel bicchiere con un affascinante colore giallo paglierino. Al naso si aprono fragranti aromi floreali di sambuco e fiori bianchi, accarezzati da leggere note verdi di bosso e sensazioni iodate. In bocca, il vino colpisce per la sua freschezza arricchita da una sapidità che sostiene un’elegante mineralità che conferisce profondità e struttura.
Questo Riesling Renano toscano è l’ideale compagno di piatti di pesce, come un plateau di ostriche o un piatto di linguine con cernia e asparagi. La sua freschezza e complessità lo rendono perfetto anche in abbinamento a piatti a base di verdure, come una terrina di verdure croccanti o un risotto primaverile. 3. Rosato: Vesuvio Lacryma Christi DOC Rosato Black Label della Cantina Del Vesuvio Nel cuore delle terre fertili ai piedi del Vesuvio, la Cantina Del Vesuvio ci regala un’esperienza enologica unica con il suo prestigioso Vesuvio Lacryma Christi DOC Rosato Black Label. Fondata nel 1930 da Giovanni Russo e oggi gestita con passione e dedizione dall’intera famiglia, l’azienda si distingue per la produzione di vini biologici e sostenibili, mantenendo vive le tradizioni vinicole campane e offrendo esperienze autentiche ai visitatori. Filosofia aziendale La Cantina Del Vesuvio ha fatto una scelta coraggiosa nel 1996: quella di produrre esclusivamente vino biologico, mantenendo un approccio sostenibile in tutte le fasi della produzione. Questa decisione, sebbene non facile, si è rivelata fondamentale per preservare l’autenticità e la qualità dei loro vini. La conduzione familiare dell’azienda, con Maurizio Russo e la sua famiglia al timone, testimonia l’impegno e la passione che animano ogni processo, dalla vigna alla bottiglia. Un vitigno autoctono campano Il Vesuvio Lacryma Christi DOC Rosato Black Label è ottenuto da sole uve di Piedirosso, detto pier’e palummo, un antico vitigno autoctono un po’ capriccioso ma dalle caratteristiche uniche. Le vecchie vigne, coltivate con cura e rispetto per il territorio, contribuiscono a conferire al vino una straordinaria complessità e profondità. Vinificazione e Caratteristiche Questo rosato campano si distingue per il suo colore rosa e il suo bouquet floreale e fruttato, arricchito da note di frutti di bosco e fiori primaverili. Al palato, si presenta fresco e vivace, con una piacevole morbidezza e una sottile mineralità che lo rende particolarmente intrigante. Affinato per 6 mesi in acciaio, questo vino esprime al meglio il carattere unico del terroir vesuviano.   Abbinamento Il Vesuvio Lacryma Christi DOC Rosato Black Label è un vino versatile, adatto ad accompagnare una vasta gamma di piatti. Perfetto in abbinamento a formaggi freschi, piatti a base di pesce, risotti e carne bianca. ottimo con un primo condito con pomodorini del piennolo, tipici di questa terra! Si consiglia di servirlo a una temperatura di 8-10°C per apprezzarne al meglio tutte le sfumature aromatiche e gustative.   Vino Rosso: Montetarbato IGT Ravenna Centesimino 2018 di Cantina San Biagio Vecchio Immersi tra le colline romagnole di Oriolo dei Fichi, Andrea e Lucia sono i custodi dell’anima della Cantina San Biagio Vecchio, un’autentica oasi vitivinicola a due passi da Faenza. Con passione e dedizione, coltivano sei ettari di terra dove prendono vita vitigni autoctoni come l’Albana, il Sangiovese e il Centesimino, un tesoro enologico dalla storia avvincente.   Storia e Filosofia La Cantina San Biagio Vecchio è il risultato di un amore condiviso per la terra e la viticoltura. Andrea, subentrato nella conduzione del podere a Don Antonio Baldassari, parroco di San Biagio e appassionato vignaiolo, e Lucia, proveniente dal mondo della ristorazione, uniscono le loro passioni e competenze per dare vita a vini unici e autentici. Con una profonda connessione con il territorio e una filosofia improntata alla sostenibilità, la coppia dà vita a vini che raccontano la storia e le tradizioni della Romagna. Ottenuto al 100% da una selezione di vecchi cloni di Centesimino, vitigno semi-aromatico autoctono della Romagna, questo vino rappresenta un’autentica espressione del territorio di San Biagio Vecchio. Se come me vi recherete a trovarli in azienda, sarà la stessa a Lucia a raccontarvi la storia proprio calpestando i vigneti in cui nasce la storia di questo vitigno. Vinificazione e Caratteristiche: Il Montetarbato si distingue per il suo colore rosso rubino intenso e la sua prorompente aromaticità, che avvolge il palato con note speziate, rosa canina e alloro. In bocca, riprende fedelmente il quadro olfattivo, sviluppando una piacevole persistenza sostenuta dalla sottilissima trama dei tannini e grande freschezza. La fermentazione spontanea con i propri lieviti indigeni e la maturazione in acciaio conferiscono al vino un carattere unico e autentico.
Abbinamento Gastronomico: Il Montetarbato si presta magnificamente all’abbinamento con piatti di carne, come le succulente costolette di agnello con erbe aromatiche. La sua complessità aromatica e la freschezza in bocca si sposano alla perfezione con i sapori intensi come una tartare di manzo al tartufo con germogli verdi.   Vino Dolce: ROMAGNA DOCG ALBANA PASSITO di Cantina Bissoni 2018 Immersa tra le affascinanti colline romagnole di Bertinoro, la Cantina Bissoni rappresenta un autentico scrigno di tradizione e qualità, dove Raffaella Bissoni, donna straordinaria e custode appassionata della terra, crea vini che raccontano la storia e la bellezza di bertinoro e dello Spungone.     Storia e Filosofia Fondata nel 1988 da Raffaella Bissoni, la Cantina Bissoni si estende su un terreno di 12 ettari, di cui 6 vitati, e rappresenta un’eccellenza nella produzione di vini di alta qualità. Da quasi trent’anni, Raffaella si dedica con passione alla coltivazione di uve autoctone come il Sangiovese e l’Albana, seguendo una filosofia improntata al rispetto per l’ambiente e alla valorizzazione delle tradizioni locali. Nel 2016, la Cantina ha ottenuto la certificazione biologica, confermando l’impegno di Raffaella per la sostenibilità e il benessere del territorio. Tra le eccellenze della Cantina Bissoni spicca il ROMAGNA DOCG ALBANA PASSITO, un nettare dorato ottenuto con il metodo di appassimento su pianta. L’Albana, regina indiscussa della Romagna, si trasforma in un vino straordinario, ricco di aromi e note gustative che conquistano i sensi. Vinificazione e Caratteristiche Il processo di vinificazione di appassimento delle uve in pianta, nelle annate favorevoli è impreziosita dall’azione della Botrytis Cinerea. Dopo una vendemmia effettuata in più passaggi per la raccolta delle uve appassite, segue una fermentazione alcolica con lieviti indigeni e un affinamento di circa due anni, parte in acciaio e parte in barriques di rovere francese, seguito da almeno 18 mesi in bottiglia. Il risultato è un vino di una straordinaria complessità, dal colore giallo oro intenso tendente all’ambrato con l’invecchiamento. Al naso si aprono profumi di confettura di albicocca, dattero, fichi secchi, miele e vaniglia, con note speziate e, con l’invecchiamento, sentori tipici di zafferano. In bocca si rivela grasso, suadente a volte con una leggera sensazione tannica, con una persistenza indelebile. Abbinamenti: questo passito è un vino ricco e strutturato, adatto a grandi invecchiamenti. Si sposa magnificamente con formaggi stagionati e erborinati, foie gras, ma anche con torte al cioccolato e pasticceria secca. Da degustare almeno 3 anni dopo la vendemmia, questo vino è in grado di regalare emozioni uniche e indimenticabili, rappresentando il meglio della tradizione vinicola della Romagna. Concludo questo viaggio attraverso i sapori del mese di aprile invitandovi a non dormire ma a scoprire ulteriori delizie enogastronomiche su Winetales Magazine e a vivere ogni sorso in modo consapevole e appassionato. Che ogni bottiglia sia un racconto da gustare con curiosità e che ogni sorso sia un viaggio nei paesaggi e nelle tradizioni che rendono unici i vini che amiamo. Cin cin e buona degustazione! Benedetta Costanzo
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30 Marzo, 2024

Matter of Taste 2024: Trionfo! Parte II

Dove eravamo rimasti?
Riprendiamo il racconto di Matter of Taste interrotto la scorsa settimana perché ho proprio tanta voglia di proseguire. Quest’esperienza, finora raccontata attraverso le eccellenze francesi e non solo, mi ha calato in uno scenario d’élite: assaggi superlativi con vini di elevato punteggio ma anche di pari qualità. Faccio fatica a definire il vino come un semplice prodotto; è molto di più! In questa realtà ho trovato connessioni inaspettate, luoghi non ancora visitati sono stati scoperti, storie studiate e sognate hanno finalmente trovato riscontro, facendo volare la mia anima enoica.
Ricominciamo quindi il racconto, partendo dall’Italia che in quest’evento non ha sfigurato. Anzi! Le eccellenze del Belpaese erano talmente numerose da non permettermi di assaggiarle tutte. Tuttavia, ho fatto del mio meglio e qui racconterò gli assaggi che ho trovato più emozionanti e coinvolgenti. La Toscana in testa alle eccellenze italiane
La regione che ormai mi ha adottata, la Toscana, ancora una volta, si è dimostrata la regina indiscussa, rappresentando il meglio che l’Italia ha da offrire. Da Montalcino alla Maremma, dal Chianti Classico a Bolgheri, la regione, con ben 14 su 23 aziende italiane premiate, si conferma come il fiore all’occhiello del panorama vinicolo italiano. La straordinaria varietà di territori e vini, ciascuno con la propria storia e carattere unico ha espresso Montalcino tramite  Col d’Orcia raccontato dal Conte Marone-Cinzano in persona e Il Marroneto con Alessandro Mori; Nel Chianti Classico, aziende come Fontodi con il Chianti Classico Gran Selezione Vigna del Sorbo e Flaccianello della Pieve, Tenuta La Massa e Bibi Graetz hanno esibito la quintessenza del Sangiovese. A Bolgheri, Tenuta San Guido, Poggio al Tesoro e Marchesi Antinori Guado al Tasso hanno trasportato i presenti con storie di passione tramandate attraverso le generazioni. Petrolo in Valdarno ha dimostrato di produrre solo vini di eccellenza con il suo Galatrona e le tre versioni di Boggina A, B e C, incantando con potenza e finezza. Fattoria Le Pupille, con la Signora del Morellino Elisabetta Geppetti, ha esaltato l’eleganza del territorio. Infine, da Tua Rita, il Giusto di Notri e il Redigaffi hanno rappresentato la quintessenza della qualità e dell’artigianalità toscane. Oltre la Toscana
Le regioni che seguono mantengono un’elevata rappresentanza di eccellenze italiane. Nel Piemonte langarolo, aziende come Domenico Clerico, Paolo Scavino ed Elio Grasso si distinguono con i loro prestigiosi Baroli, regalando al territorio un’eccellenza ineguagliabile. Nel Veneto, spiccano gli Amarone di Masi e Zymé, che confermano la grandezza enologica della regione. Il resto d’Italia è ben rappresentato da Feudi San Gregorio – Tenute Capaldo per la Campania e l’Irpinia, da Tenute San Leonardo con il suo 2016 da punti 97+ orgoglio per il Trentino e da Cantina Terlano per l’Alto Adige (Alto Adige Terlaner Grand Cuvée Primo RP 97+).   Basta indugi e iniziamo con gli assagg!
Partiamo dal cuore stesso del dibattito enologico: il celebre Sassicaia. Questo vino è da sempre oggetto di discussioni accese e polarizzanti. Alcuni lo amano senza riserve, mentre altri lo criticano con una fermezza quasi dogmatica. Personalmente, credo che sia essenziale mantenere un approccio obiettivo quando si valuta un vino di tale prestigio. Le stesse regole dovrebbero applicarsi a tutti i vini: considerare l’annata e scegliere il momento ideale per assaporarlo al meglio. Cominciamo con Guidalberto, vino più accessibile della Tenuta San Guido. Ho avuto il piacere di degustare la sua annata 2021: un vino con un carattere distintivo, caratterizzato da un ingresso in bocca soddisfacente e una chiusura sapida che lascia un’impressione duratura. Passando al famoso Sassicaia, ho avuto l’opportunità di assaggiare la sua annata 2017. Quest’annata in Toscana è stata caratterizzata da temperature più elevate rispetto alla media, dando vita a un vino notevolmente diverso rispetto al suo predecessore del 2016. Fa presagire una longevità minore in quanto già piacevole ed equilibrato al palato. Una sosta indimenticabile a Poggio al Tesoro di Marilisa Allegrini,
Qui l’enologo Christian Coco mi ha guidato attraverso una serie di degustazioni che hanno espresso l’autenticità e l’eleganza del territorio. Abbiamo iniziato con il Vermentino da clone corso “Solosole 2022”, un vino fresco e vibrante che ha catturato l’anima della costa toscana. Successivamente, ci siamo lasciati incantare dal “Bolgheri Rosso Il Seggio 2021” e dal “Bolgheri Superiore Sondraia 2020”, vini che hanno raccontato la storia e la potenza dei grandi rossi bolgheresi. Infine, il culmine dell’esperienza è stato l’assaggio del mio preferito, il Cabernet Franc “Dedicato a Walter 2020”, con un punteggio di 94 da parte di Robert Parker. In tutto questo, l’eleganza del sorso è stata il filo conduttore che ha legato ogni degustazione, lasciandomi con un ricordo indelebile di questa straordinaria esperienza enologica. Il vino è arte
Un salto per salutare Bibi Graetz, il rinomato viticoltore che riempie di ‘Colore’ la Toscana (cit. Forbes 2021). Ho avuto l’onore di assaggiare l’eccellenza del suo “Testamatta” 2021, che ha ottenuto un incredibile punteggio di 96 da Robert Parker. Ma soprattutto, ho avuto il privilegio di degustare il leggendario “Colore”, la massima espressione del suo sogno. Realizzato con uve tradizionali toscane provenienti da alcuni dei vigneti più antichi e rari della regione, questo vino incarna la quintessenza della Toscana. Il Sangiovese conferisce struttura e potenza, il Colorino dona frutta e tannini vellutati, mentre il Canaiolo contribuisce con mineralità e intensità. Solo le migliori botti dell’intera produzione diventano “Colore”. E anche quest’anno, la 2021 ha raggiunto un incredibile punteggio di 98+ da parte di Robert Parker. Alessandro Mori: un’esperienza al di là delle mie aspettative!
Quest’uomo ha trasformato Il Marroneto in un’icona del Brunello, un vino premiato e idolatrato dalle guide e dai critici enoici più prestigiosi al mondo. Situate sul pendio nord della collina di Montalcino, nelle vicinanze della cinta muraria della città, le vigne del Marroneto rappresentano un luogo di magia e tradizione. Alessandro mi ha spiegato l’importanza del rispetto per l’uva, per la terra e per i valori profondamente radicati in lui che lo hanno spinto, nel 1994, ad abbandonare una carriera legale per diventare vignaiolo. I suoi vini sono veri e autentici, urlano l’identità del territorio. Nel Madonna delle Grazie 2019, con un punteggio di 99 da parte di Robert Parker, ho colto la commovente riconoscibilità di un Brunello “puro”, che incarna l’anima di Montalcino. Anche i rossi di Montalcino Ignaccio 2021 e Iacopo 2021 hanno catturato la mia attenzione per la loro personalità accattivante e la versatilità.
Tenuta La Massa:  gemma nel cuore del Chianti Classico
Ho il privilegio di incontrare il carismatico proprietario, Giampaolo Motta, che condivide con me la sua filosofia: utilizzare la conoscenza del territorio non solo per migliorare la produttività, ma per creare vini capaci di un’autentica interpretazione territoriale. Giampaolo ha rilevato l’azienda nel 1992, avviando un lungo processo di ripristino dei vigneti e delle cantine, con il sogno di trasformarla in un paradiso irraggiungibile. Nel calice, l’ottima qualità dei vini cattura il mio cuore: il Giorgio Primo 2019 (con un punteggio di 97+ da Robert Parker) e il Carla 6 2019 (con un punteggio di 96) dimostrano che la Toscana continua a essere una terra di straordinaria bellezza e qualità enologica. La Tenuta di Trinoro, dove la Toscana si unisce all’Umbria e al Lazio.
Un’esperienza unica con gli assaggi dei vini nati dalla filosofia e dalla forte personalità di Andrea Franchetti, uno dei più anticonformisti protagonisti del panorama vinicolo italiano. Produttore di assoluta eccellenza sia nella Val d’Orcia, patrimonio Unesco, con la Tenuta di Trinoro, che sull’Etna, con Passopisciaro, Andrea Franchetti, scomparso nel 2021, ha lasciato un’eredità indimenticabile. Oggi, le aziende sono portate avanti dal figlio Benjamin, affiancato da un team giovane tutto under 35. Tra gli assaggi offerti, ho avuto il privilegio di degustare Le Cupole 2021, un blend bordolese diverso ogni anno, che si distingue nel calice per uno stile internazionale ormai “toscanizzato”. Caratterizzato da freschezza gustativa e gradevolezza di beva, Le Cupole 2021 ha ottenuto un punteggio di 94 da Robert Parker, confermando l’eccellenza della Tenuta di Trinoro anche sotto la guida della nuova generazione. Bodega Chacra: Alla scoperta del Terroir Patagonico
La storia di Bodega Chacra e di Piero Incisa della Rocchetta è un viaggio di passione e scoperta che ha inizio nel 2001, quando Piero si innamora di un vino assaggiato alla cieca. Da questo momento, nasce un sogno che lo porterà a lasciare Tenuta San Guido per acquistare nel 2004 terreni in Patagonia, nell’Alta Valle del Rio Negro, con vigneti risalenti fino al 1932 a piede franco. Oggi, circa 45 ettari di vigneti sono gestiti secondo i principi dell’agricoltura biodinamica. In Patagonia, una “chacra” è un pezzo speciale di terra destinato alla pomologia, ma è anche un centro energetico vitale che ci connette con l’intero universo. Questa filosofia si riflette nei vini di Bodega Chacra, dove il vino diventa compagno di piacere e sensibilità, nutrendoci e connettendoci con tutto ciò che vive e vibra. I vini di Bodega Chacra mi hanno davvero stupito. Nascono da un clima secco, con escursioni termiche da zona desertica e costante irraggiamento solare, e si distinguono per la completa assenza di malattie fitosanitarie e per il rispetto del territorio in cantina, con fermentazioni spontanee, nessuna chiarifica e filtrazione. Diversi assaggi e tante emozioni. I miei “Chacra” preferiti
Il Bodega Chacra – Mainqué Chardonnay 2018 è un’esperienza di eleganza, sapidità e spinta minerale, frutto di fermentazione in legno e affinamento di 11 mesi in barrique di primo, secondo e terzo passaggio. Mentre il Bodega Chacra – Barda 2018, prodotto al 100% da Pinot Noir proveniente dalle vigne più giovani, si distingue per la sua purezza, leggerezza e succosità, con tannini carezzevoli e straordinaria bevibilità. Un inizio indimenticabile in questo viaggio alla scoperta del Terroir Patagonico.   In conclusione
Matter of Taste è stato un vero e proprio sogno, un’immersione che ha stimolato ogni fibra del mio essere. Mi ha svelato il vero potere del vino nel trasportare mente e anima in terre di puro piacere e meraviglia. Torno a casa arricchita da un’esperienza davvero straordinaria grazie al livello superlativo dei vini. Per oggi da Zurigo è tutto… passo e chiudo! Benedetta Costanzo
benedetta.costanzo@winetalesmagazine.com
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23 Marzo, 2024

Matter of Taste 2024: Trionfo! Parte I

Eccellenze Vinicole a Zurigo con Robert Parker Wine Advocate
Zurigo, una città incantevole avvolta dall’aria frizzante di marzo, è diventata il palcoscenico per uno degli eventi vinicoli più prestigiosi del mondo: la sesta edizione di Matter of Taste, organizzata da Wine Advocate. Questo evento, tenutosi il 2 e 3 marzo, ha attirato una miriade di esperti qualificati e appassionati del vino da ogni angolo del globo.
Giudicati secondo rigorosi criteri di qualità, i vini che hanno superato il punteggio di 90/100 sono stati i protagonisti indiscussi, con l’Italia e la Francia a dominare la scena, seguite da Portogallo, Svizzera e il resto del mondo. Questa varietà internazionale ha offerto un’esperienza senza pari, permettendomi di immergermi nell’eccellenza vinicola mondiale.
Per evitare inconvenienti legati ai voli e per godermi appieno l’atmosfera di Zurigo, sono arrivata in città il giorno precedente. Dopo aver immortalato gli splendidi panorami della città, mi sono concessa un aperitivo in un locale dal fascino propriamente “artistico”, di cui vi parlerò dettagliatamente in un prossimo articolo dedicato alle mie scoperte in questa meravigliosa città. Una cena veloce e poi il mio focus si è spostato sullo studio delle cantine che avrei avuto l’opportunità di degustare il giorno seguente. La lista dei partecipanti ha attirato la mia attenzione in particolare verso i rinomati produttori italiani come Antinori, Tenuta San Guido – Sassicaia con la presenza di Priscilla Incisa della Rocchetta, Feudi di San Gregorio, Poggio al Tesoro, Tenuta di Trinoro, Il Marroneto, Tenuta La Massa, e Zymè, solo per citarne alcuni. Queste aziende rappresentano per me una garanzia di eccellenza, avendo avuto l’opportunità di conoscerle nel corso del tempo. Altrettanto importante è stato per me esplorare il panorama vinicolo francese, con la presenza dei prestigiosi Châteaux bordelesi accanto ad altre rinomate aziende della Champagne, della Borgogna, della Provenza e della Côte du Rhône.
Non potevo certo trascurare di esplorare le cantine provenienti da altre parti del mondo, che hanno suscitato la mia curiosità e che promettevano esperienze sensoriali uniche. Dopo aver delineato un piano d’azione, mi sono ritirata presto per la notte, carica di motivazione e anticipazione per la giornata seguente.
Giunta al Palazzo dei Congressi di Zurigo, il Kongresshaus Tonhalle, sono rimasta affascinata dalla sobria eleganza dell’edificio. Salendo al secondo piano, ho varcato la soglia di un sogno enoico. Le aziende erano nei loro stand e io era pronta a vivere un’esperienza indimenticabile.   Alla Scoperta dell’Eccellenza: Cos d’Estournel 2009
Il mio viaggio attraverso l’eccellenza enoica ha preso il via con una memorabile degustazione presso il grandioso Chateau Cos d’Estournel, un’icona tra i Chateaux bordolesi, situata nell’appellazione Saint-Estèphe. Una cantina ricca di storia fin dal 1811, inserito nella classificazione ufficiale dei vini di Bordeaux come 2éme Grand Cru Classé nel 1855.
Oggi dà alla luce quattro etichette, il Cos D’Estournel, in versione rosso e bianco, e il “secondo” vino, chiamato “Les Pagodes de Cos”, in cui confluiscono le uve provenienti dalle viti più giovani. Etichette che continueranno a stupirci, con il proprio stile inconfondibile e la loro inarrestabile evoluzione.     La prestigiosa annata del 2009, insignita dei massimi 100/100 punti da Parker, ha dato vita a un’esperienza degna di essere ricordata per sempre. Ho avuto l’onore di assaporare uno dei vini più celebrati al mondo. Ogni sorso del Cos d’Estournel 2009 è stata un’espressione di eleganza e complessità che ha solleticato ogni parte del mio palato. Il vino, con la sua struttura impeccabile e i suoi aromi avvolgenti, ha confermato perché Cos d’Estournel è considerato uno dei pilastri dell’enologia francese. Ogni dettaglio, dalla profondità dei suoi aromi alla sua lunga persistenza in bocca, ha riflettuto il lavoro meticoloso e l’attenzione ai dettagli che caratterizzano questo prestigioso gioiello del patrimonio vinicolo francese.         Chateau Troplong Mondot 2009  è un vino di Bordeaux dell’appellazione Saint-Émilion, classificato come Premier Grand Cru Classé B nella Classificazione dei vini di Saint-Émilion. La cantina si trova sulla Riva Destra della regione vinicola di Bordeaux, adiacente a Château Pavie.
Chateau Troplong Mondot 2009  mi ha confermato il valore che un  terroir riesce a regalare ai vini donando complessità,
eleganza, persistenza e una trama tannica invidiabile. Ancora più entusiasmante della 2016 e della 2019,
la 2020 annata dal buon andamento che pur mostrando una giovinezza elegante può sfidare il tempo senza esitazioni.     Anche Domaines Delon / Léoville Las Cases mi ha impartito una lezione memorabile:
tra un Clos du Marquise 2014 del terroir di Saint Julien e un Nenin 2018 di Pomerol,
ho potuto percepire le sottili sfumature dei diversi blend e terroir e constatare come
nel Potensac 2018 il Cabernet Franc conferisse eleganza al sorso, mentre il
Léoville Las Cases 2017 si presentava già come un’opera d’arte senza tempo.       La Provenza ha brillato con Chateau d’Esclans, offrendomi l’assaggio di una serie di rosati che hanno catturato il mio cuore per la loro eleganza e il loro fascino.
Chateau d’Esclans si trova a La Motte En Provence nel dipartimento del Varo poco a nord di Saint Tropez e vicino a Cannes.
Ho assaggiato un’intera gamma di rosé composti dai vitigni tradizionali provenzali: Grenache in primis, Mouvedre, Cinsault, Rolle (una sorta di vermentino) e Syrah.
Tra tutti, il mio preferito è stato il Cotes de Provence Rosè Garrus 2021, da Grenache (90%) e Rollo (10%) provenienti da vigne vecchie tra 90 e 100 anni, le più alte della tenuta. Le note esotiche e le sensazioni fragranti di brioches e gli accenni tostati mi ricordavano uno champagne, risultando al palato corposo e incisivo.
L’etichetta più glamour è sicuramente il Cotes de Provence Rosé Rock Angel 2022, un vino graffiante che nasce da vigne allevate in terreni rocciosi e alti..   Ma è stato l’assaggio dello Chateauneuf du Pape Blanc Cuvée Speciale Vieilles Vignes de Clairette in magnum 2019, della Famiglia Isabel Ferrando, a rapirmi completamente.
Affinato parte in legno e in parte in Bon Bon di vetro, è la bottiglia più rara dell’azienda. Una mangum sensazionale che proviene da piante secolari di Clairette Rosé: è un bianco mozzafiato, ma se ne produce soltanto un tonneau all’anno. Offre una complessità e un’eleganza che hanno deliziato il mio palato e i miei sensi.
Infine, lo Chateauneuf du Pape Colombis 2016 si è distinto tra i rossi, ancora giovani, con la sua identità unica e inconfondibile.       Questo viaggio enologico è proseguito, dopo una fugace pausa per il pranzo,  con l’assaggio delle prelibatezze offerte da Philipponnat.
Da quasi 5 secoli, questa famiglia vanta una ricca tradizione di vignaioli e negozianti nelle terre tra Ay e Dizy. Per ben 5 generazioni hanno  vinificato nelle cantine storiche del XVIII secolo di Chateau de Mareuil.
Gli assaggi dell’Extra-Brut Grand Cru Cuvée 1522 del 2016, Royale Réserve Non Dosé e Blanc de Noirs Extra-Brut 2018 hanno catturato la mia anima enoica con la loro complessità e raffinatezza. Questi vini sono stati caratterizzati da un perfetto equilibrio tra intensità, freschezza e mineralità, accentuato dai dosaggi molto bassi che rendono la bevuta ancora più interessante. Wow, davvero!       Un viaggio incantato nel mondo di Niepoort: Eccellenza dal Douro alla Mosella
Sono passata dunque agli assaggi delle cantine iberiche prima fra tutte Niepoort, una vera e propria eccellenza del Douro. Assaggio dopo assaggio, sono rimasta stupita dal fascino unico che questi vini esercitano. I loro bianchi, in particolare, hanno catturato la mia attenzione con la loro sapidità e complessità, soprattutto quelli provenienti dai terreni granitici. Ogni sorso era un’esperienza sensoriale unica, rendendo difficile la scelta del preferito tra tante eccellenze. Ma la sorpresa più grande è stata l’assaggio dei vini provenienti dai loro vigneti in Mosella. Questa nuova scoperta ha arricchito ulteriormente il mio viaggio enologico, offrendomi un’inedita prospettiva della produzione vinicola di Niepoort. La degustazione è stata conclusa in modo memorabile con il Party Port Tawny Reserve in Magnum, affinato a Vila Nova De Gaia secondo la tradizione. Un finale infinitamente delizioso che ha suggellato l’esperienza, lasciandomi desiderosa di continuare il mio viaggio nel mondo dei vini Niepoort.     Gli assaggi delle due aziende della Famiglia Alvarez, proprietaria di Vega Sicilia nella Ribiera del Duero dal 1982 e della cantina Tokaj-Oremus,  hanno aggiunto un capitolo straordinario al mio viaggio enologico. I vini spagnoli,  in particolare Alion 2020, si sono rivelati davvero eccellenti, ma è stato il Tokaji Aszu 5 puttonyos di Oremus del 2000 a lasciarmi senza fiato.
Infatti il Tokaj Aszú è un vino prodotto con un processo meticoloso, reso possibile solo in annate eccezionali e in condizioni uniche che permettono lo sviluppo della muffa nobile. Gli acini botritizzati appassiti vengono posti in apposite gerle chiamate puttonyos (23/25 chili). Una volta ridotti in poltiglia, si ha la pasta di Aszù che viene aggiunta al mosto ottenuto da grappoli non botritizzati nelle botti da 136 litri (gònc). Il numero di puttonyos determina la classificazione del Tokaj Aszù, che può variare da tre a otto: maggiore è la presenza di puttonyos, più dolce ed alcolico sarà il vino prodotto. Durante l’affinamento in botte, interviene un’altra muffa, la “Cladosporium cellare”, che dona al vino note ossidative. Il processo di invecchiamento viene completato in botti da 136 e 200 litri per due o tre anni, seguito dall’affinamento per un ulteriore anno in bottiglia.
Al palato, il Tokaji aszu di Oremus si rivela ricco ed intenso, con un lungo retrogusto. È un vino travolgente, sorprendente, che cattura l’essenza stessa della sua terra d’origine e incanta con ogni sorso grazie alla freschezza gustativa che si beffa del  tempo. 24 anni e non sentirli! Un racconto a parte meritano Bodega Chacra e soprattutto le realtà italiane presenti, con le quali ho avuto l’onore e il privilegio di entrare in contatto.
Per oggi mi fermo qui, lasciando il piacere di continuare queste scoperte alla prossima settimana, quando pubblicherò la seconda parte di questo articolo.
Non vedo l’ora di condividere con voi gli ulteriori emozionanti dettagli di questa avventura enologica! Benedetta Costanzo
benedetta.costanzo@winetalesmagazine.com
Mi trovi su Instagram come @benedetta.costanzo  
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