Vinodentro

Vinodentro è una damigiana (ché altri contenitori sarebbero troppo nobili) che riempio pian piano di emozioni e suggerimenti.
Vinodentro è un palco sul quale il vino è l’attore protagonista e a cui presto la mia voce ma che Vi invito a doppiare con la vostra, perchè qui non stiamo parlando di matematica ed il fatto che in un bicchiere 2 + 2 può benissimo non fare 4 è una magia e…deve stupirVi!
sono assaggi deliranti, storie di Produttori e di Territori, “recit de dégustation” relativi ad Eventi cui ho avuto il piacere di partecipare ed altro ancora, il tutto scritto trattando il vino in quanto tale: un prodotto della terra e dell’uomo e nobile proprio per le sue umili origini.

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16 Maggio, 2024

ALTO PIEMONTE GRAN MONFERRATO, Città Europea del Vino 2024

Il COSA E IL DOVE Quella dell’Alto Piemonte e di un Monferrato che non ha paura di definirsi “Grande” è la storia di denominazioni e territori molto piccoli che raccolgono una sfida e decidono di trovare il modo per mettere insieme turismo ed enogastronomia. Una sfida che, facendo leva sulle eccellenze della buona tavola mira a destagionalizzare i flussi turistici e valorizzare i borghi in una Regione in cui oltre l’80% dei Comuni non supera i 5000 abitanti. Un Territorio in cui vedono la luce le produzioni molto limitate di ben 23 DOC (sulle 41 piemontesi e le 332 nazionali) e 14 DOCG (sulle 19 piemontesi e le 73 nazionali). E siccome dalle piccole cose nascono grandi capolavori, Alto Piemonte Gran Monferrato diventa Città d’Europa del Vino 2024. Venti Comuni, venti identità differenti in rappresentanza, ciascuno per il suo, di un unicum territoriale piemontesemente identitario. È toccato al Gambero Rosso ospitare la presentazione romana di questo progetto nel quale, il Piemonte al centro, si respirano brezze provenienti dalla vicina Liguria, dall’Emilia, dalla Lombardia. Il vino è il totem attorno al quale danzano capolavori: grandi formaggi, grandi salumi, il riso, presidi slow food… Una serata preceduta da una accorata conferenza stampa vissuta sull’entusiasmo delle amministrazioni comunali, dei consorzi e degli Enti di promozione del turismo. Ora, mentre Vi invito ad approfittare di questa occasione per aprire questo scrigno prezioso nel quale sono racchiuse gemme di Storia, Cultura, Accoglienza e Turismo lento, Vi lascio a qualcuna delle mie solite descrizioni relative ad alcuni dei vini proposti in degustazione al fianco della cena curata dallo chef Marco Brioschi. LA MIA “TOP SIX” Molte le etichette in assaggio e tutte di livello molto alto, a dimostrazione che il Piemonte nel bicchiere è una garanzia. Tra le tante ne ho scelte sei (senza badare a nomi e prezzi) da proporVi per un assaggio non scontato e in alcuni casi “WOW”. Non Vi dirò delle Aziende perché voglio lasciare qualcosa da fare anche a Voi. Buona degustazione! 1- OVADA DOCG “FILARE”, ENOTECA REGIONALE DI OVADA E DEL MONFERRATO: “FILARE”, rettilineo di viti o spostamento d’aria quando il “gruppone” sfreccia veloce e s’accavalla nella preparazione della volata. Ma questo Dolcetto, più che in volata, stacca di ruota gli avversari sui saliscendi da cui prende nome. Un “mangia e bevi” continuo di frutti corsari, spezie saladine e sapidità sabbiose portate dal vento. Un incedere affatto semplice, mai scontato, tra scatti e controscatti di ciliegie, more, mandorle e quella vinosità mai dimentica che segue il trenino del vegetale. Sorso birbante privo di ogni soggezione nei confronti dei vitigni dal “gran nome”, sfrontatamente coerente e godurioso. Bicchiere sfaccettato, grissini, salame, amici e chiacchiere. Vince il mio premio “LEVATEMELO”. Da bere ascoltando “PEDALA” di FRANKIE HI-NRG MC. 2- COLLINE NOVARESI DOC VESPOLINA “AUDACE”, FILADORA: un olfatto che getta un ponte immaginario tra Piemonte e Friuli sorretto sui piloni del Rotundone. Ed è dunque la freschezza oscura del pepe quella che fa dire “UAU” e distoglie l’attenzione da lamponi e ciliegie. Ma non fateVi distrarre, rimanete concentrati! Ecco allora che s’avanzano scarpe inzaccherate di terra umida e lavagne di grafite bagnata. Il pot pourri di fiori secchi è lì, sulla tavola e confonde il suo profumo con pensieri di tabacco. Il sorso è snello, preciso come un fioretto, succoso e traditore, di complessa semplicità, dinamico, avvolgente, autorevolmente sapido e di materica tannicità. Arditamente vino. Da bere ascoltando “THE WASP (TEXAS RADIO AND THE BIG BEAT) dei DOORS. 3- SIZZANO DOC ROSSO “ROANO” RISERVA 2015, VIGNETI VALLE RONCATI: austero con brio, vorrebbe darsi un tono, stare sulle sue ma…non ce la fa e rivela tutta la sua energia compressa. Ecco allora una ridda di spezie accavallarsi a boschiva sostanza, corteccia, muschio, financo qualche troco spaccato dal fulmine e ancora fumante. La sorpresa è nelle olive in salamoia, quelle che con gli amici si fa a gara a chi sputa il nocciolo più lontano, quelle che non bastano mai e che qui scazzottano con una scia di miele e quell’agrume che rinfresca anche più dell’eucalipto. Il sorso e una scarica di salinità marina (altro che mineralità da super vulcano!) e i tannini sono ragazzacci discoli ancora poco inclini allo star calmi nonostante gli otto anni di braccia conserte (o forse proprio per questo, perché bisognosi di sgranchirsi le gambe). Alcol e freschezza viaggiano in prima classe e la chiusura è un compendio delle freschezze olfattive che sottolinea la sapidità a suon di piccantezze. 4- FARA DOC 2017, IL CHIOSSO: s’approccia silenzioso con l’incensiere e lascia intravedere una sagrestia di legni sacri prima di ringalluzzirsi. Fuori, sul sagrato piove e la terra bagnata si mescola all’aria che sa del ferro delle saette. M’avanzano sensazioni ortolane, di tabacco da borsa e forse castagna (ma questa potrebbe essermi rimasta in memoria dalla settimana scorsa)…mettetele Voi dove preferite. Più pacato il sorso, fresco e sapido quanto deve, ordinato nello sciorinare spezie anche dolci, diretto, firmato dall’iniezione di Vespolina a suon di sottili peposità. Forse un pochino brusco nel chiudere l’assaggio ma comunque molto interessante. 5- GATTINARA DOCG 2020, MAURO FRANCHINO: l’ingresso al naso è complesso e devastante! Frutti di bosco, visciole (in confettura), rose (spine comprese), dolcezze di spezie e tabacco che fanno a spallate con china e rugginosa ferrosità ma… Nessuna boria, nessuna ostentazione. Tutto è gestito con rustica, contadina eleganza, non per vergogna ma come se il calice volesse comunicarVi emozioni seguendo la tradizione orale. Ed allora il camino non può mancare e quella brace che prima era fiamma spande nell’aria la comunanza del fumo appena acre. Sorso caldo e alcol estremamente corretto nel gestire la volata finale tra freschezza e sapidità, vinta da quest’ultima nonostante lo sgambetto dei tannini integrati ma ancora molto sportivi. Emozionante! Da bere ascoltando “TOWER SONG” di LEONARD COHEN. 6- BRAMATERRA DOC 2016, CERUTI: olfatto di eloquente freschezza, giocato su frutti neri ancora ben al di qua della maturazione e sulla freschezza dissetosa e amaricante di un “chinottissimo” Neri. Scugnizza, la componente vegetale racconta ombre boschive, prati falciati di fresco e cespugli di timo serpillo. Appena una gentilezza di viole non poteva mancare, ma forse l’ho voluta cercare per forza. Sorso che dà l’impressione di aver appena trovato la propria dimensione. Un fiume che immagino essere stato rapida impetuosa due o tre anni fa e che oggi è compita scorrevolezza nonostante qualche masso sporga ancora lungo il corso dei tannini. Considerando l’olfatto m’aspettavo qualcosa di più ma magari devo solo riassaggiarlo con più calma (o magari avevo solo bisogno di un volume maggiore nel calice). Si becca il mio premio “PECCATO” ma l’ho già messo nella corposa lista dei vini da riassaggiare con calma. E ORA? Ora è il momento dei ringraziamenti, a Gambero Rosso per avermi ospitato, ai venti comuni che hanno avuto il coraggio di intraprendere insieme questo viaggio e a Voi che avete avuto la pazienza di leggere queste mie poche righe Roberto Alloi VINODENTRO  
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9 Maggio, 2024

I vini del Castagno

DEL CASTAGNO E DI ALTRE COSE Botte, bottega, bottaio… Parole che sanno di passati remoti e futuri incerti. Di un tempo in cui i “barbari” stavano più avanti dei Romani (almeno in fatto di contenitori vinari, stando a quei “contenitori in legno accerchiati” di cui narra Plinio il Vecchio) e di un domani che sembra sempre più “respingente” nei confronti di mestieri antichi e uomini come il protagonista della masterclass di cui Vi racconto. In realtà i protagonisti sono due: il Castagno e Alfredo Sannibale. La pianta e l’uomo che la trasforma. Sullo sfondo il vino in quanto cultura ma anche quotidianità. Il Castagno, Fagacea affine alla Quercia protagonista indiscusso del panorama di quei Castelli Romani cui ha cambiato volto seguendo le necessità dell’uomo e della sua “sete”. L’aumento di popolazione e la grande richiesta di vino del XVII Secolo spinse sull’acceleratore del cambiamento. Le “Costitutiones” emanate dallo Stato Pontificio che consentivano ai proprietari di terreni su cui crescessero piante da frutto di liberarsi dai pesanti usi civici del pascolo e del legnatico accesero i riflettori su quel Castagno che, non a caso, era conosciuto anche come “albero del pane” per le proprietà nutrizionali dei suoi frutti. Bando dunque al bosco misto e via libera ai reimpianti con una pianta dalla crescita estremamente rapida, il cui legno, data l’elevata plasticità, si prestava egregiamente agli usi più disparati, dall’edilizia (sviluppo demografico voleva dire necessità di nuove abitazioni e di travature di sostegno) a, appunto, la produzione di botti. E il Castagno, sotto forma della classica botte da 11hl, ha accompagnato per lunghissimo tempo il Frascati dalla fermentazione al viaggio verso la città sui “carretti a vino”. Questo almeno fino agli anni ’60, quelli dello spopolamento delle campagne a favore di una città che sembrava offrire lavoro sicuro e stabilità economica. La viticoltura subì allora un duro colpo e la cura della vigna divenne hobby e non più “mestiere”. Si persero professionalità e smarrirono conoscenze, le botti in legno cedettero il passo alla comodità del cemento prima e della vetroresina e dell’acciaio poi. E cambiò anche il volto dei paesi, Albano in testa, che passarono in breve tempo dall’essere custodi di segreti artigiani tramandati da generazioni alla desolazione delle botteghe chiuse. ALFREDO SANNIBALE, “IL” BOTTAIO E veniamo ad Alfredo l’ultimo templare, esemplare ormai unico di una specie che la cecità dell’uomo ha portato all’estinzione. Classe 1946, bottaio di quarta generazione, artista della scure e del pialletto, profondo conoscitore della materia che lavora. Il Castagno è nel suo DNA, sa dove andare a cercare i tronchi migliori (GGiovani e forti dall’alto dei loro max 16-18 anni), scarta nodi, segue vene, sceglie doghe (massimo 3 ad albero), stagiona, taglia, pialla, accerchia. Accende zolfanelli, lava, asciuga, indica, insegna. Monta e smonta, costruisce, accrocca, ripara… Lo sguardo e le mani, un unico strumento di precisione. Sorride Alfredo, anche amaramente, quando racconta dei suoi settant’anni a bottega, svela (in parte) segreti, dà voce a oggetti inanimati, sciorina spessori, racconta aneddoti, strizza l’occhio e dice trucchi. Le sue opere da tempo hanno varcato i confini dei Castelli Romani colonizzando altri vulcani (l’Etna) e financo la terra dei canguri. I VINI DEL CASTAGNO Sei assaggi da cinque Aziende (quattro laziali e una marchigiana). Sei vini che in comune hanno l’esilio dorato in quel Castagno che Alfredo modella perché sia soddisfatto il nostro alcolico edonismo. – LA TORRETTA: giovane Azienda di Grottaferrata condotta da Riccardo Magno (cugino e dirimpettaio del Gabriele di cui avrete letto anche la settimana scorsa) con entusiasmo e rigore biodinamico. Tre ettari di vecchi impianti e quattro etichette che conoscono terracotta georgiana e castagno locale. LAZIO BIANCO IGT “CASTAGNA” 2022: da un’Azienda che ho sempre visto solo dall’esterno e che mi ripropongo di visitare a strettissimo giro, un blend di Trebbiano e di un vecchio clone di Malvasia di Candia che non conosce altro che il legno della botte di Alfredo (a parte il vetro). Un ritorno alla Tradizione che ben si sposa con le uve prodotte dal vigneto più vecchio dell’Azienda, che da più di sessant’anni affonda le proprie radici nell’anima della terra. Al naso l’impronta del Castagno è netta e affatto sovversiva. Ne racconta il miele e in parte il frutto, sicuramente si colora del giallo della frutta matura e delle messi assolate ma una ventata di mediterranea balsamicità ravviva i cuori a suon di menta romana, timo e iodio di frangenti lontani. Il sorso è un incontro di boxe tra le languide carezze di un calore alcolico abbracciato alle dolcezze del frutto e l’animo ribelle di una Malvasia che fa leva sulle doghe cerchiate per alzare la voce. Di controllata freschezza usa il fendente della sapidità per ravvivare l’interesse e chiedere un rabbocco del calice. Da bere ascoltando “LA HOLA” dei MAU MAU. – CANTINA RIBELÀ: in quel di Monte Porzio Catone dai 2ha condotti con rigoroso stile biodinamico da Daniele e Chiara Presutti provengono vini che ben interpretano il variegato suolo nel quale affondano le radici le piante. LAZIO BIANCO IGP “PENTIMA” 2022: 50gg di macerazione sulle bucce, 9 mesi di legno e poi vetro. Questo il percorso di una Malvasia (vecchio clone) che già da quel nome “PENTIMA” sa di strapiombi e vulcani e che impegna l’occhio ben oltre le mie capacità di sorvolo. Giallo di buccia di mela matura, camomilla e cedro (maturo ma anche candito) vive della spinta amaricante del vitigno danzando su note vegetali e amaricanti di menta, basilico, alloro e tè. Il sorso, sicuramente dissetante, rivela la vigoria dei tannini affilati, compita freschezza e mineralità muscolare esaltando l’animo varietale del vitigno. Un vino non nelle mie corde, più uno “yellow” che un “orange” ma che dimostra l’impegno e la crescita di un’Azienda che deve fare ancora molta strada ma ha le idee ben chiare. – IL VINCO: siamo a Montefiascone (VT), altro vulcano, altri suoli per una piccola Azienda condotta in stile “nature” da tre amici. 10 anni di attività, cemento a profusione (ma ovviamente anche i legni di Alfredo), e solo vitigni “local”. VINO BIANCO “LE CAPANNACCE” 2022: Procanico e basta per un olfatto dedicato alla frutta secca. Ecco dunque le nocciole (non a caso siamo dove siamo) e le arachidi, con le loro tostature, ecco la composta di mele, la cera d’api, gli agrumi canditi e una chiara impronta tufacea. Sorso morbido e genuino, fresco e sapido quanto si conviene. Cortese nel suo abbraccio calorico, rivela un finale di agrumi anche canditi e minerale piccantezza. – TENUTA SAN MARCELLO: Da Milano a Senigallia per vivere, da Senigallia alla Georgia e ritorno per fare vino. Questo in breve il percorso di Massimo (Palmieri) che nella sua TENUTA SAN MARCELLO coccola 5ha campagna ad impatto praticamente zero vinificando Verdicchio e Lacrima in anfore interrate che sono gemellaggio tra la storia enologica della Georgia a quella delle Marche. Qui, oggi, presenta due vini in anteprima talmente assoluta che le etichette, dedicate “velatamente” ad Alfredo, sono state create solo per questa serata. VINO BIANCO “COLPA D’ALFREDO 1” + VINO BIANCO “COLPA D’ALFREDO 2” 2022: dopo la coppia “CIELO SOMMERSO” e “INDISCIPLINATO” (di cui potete leggere qui) ecco altri due vini che è difficile leggere singolarmente. Figli della terra i primi due, questi altri abitano le doghe ammaestrate da Alfredo. Uno ci nasce e poi sceglie la tempra dell’acciaio per farsi i muscoli. L’altro nasce dalla forgia di Vulcano e nel castagno ripone la propria saggezza. Due Verdicchi che sanno di anarchia, spazzano via preconcetti e cancellano stereotipi. Il primo è fumoso e imprime sulla pellicola dell’olfatto brume, campagna e racconti. Ma la camera oscura, anima delle stampe artistiche, rivela un sistema zonale profondamente mediterraneo. Balsamico nel suo sovraesporre intrichi di macchia e freschezze di rosmarino, salvia e menta. Il sorso è un bivio dal quale qualche buontempone ha tolto i cartelli di indicazione. Esalta le dolcezze e lascia di stucco con un profondo senso marino. Spiazzante, apre al Verdicchio sentieri impercorsi. Il secondo completa il primo (peccato per un soffio di volatile scappato via come un palloncino dalla mano di un bambino) riempiendo l’occhio con quel suo colore che sa del sole di Luglio a picco sulla sabbia e aprendo i polmoni di balsamicità mentolate e miele che calma gli eccessi e poi anice, timo, un ché di sulfureo e il giusto di salmastro. Sorso saggio, di garbata freschezza e compita sapidità che sottolinea piccantezze sottili e chiude ricordando la mandorla. L’un per l’altro da riassaggiare con calma per carpirne i segreti celati nell’animo. Da bere, con calma, ascoltando “TICK AS A BRICK part 1 &2” dei JETHRO TULL. – COLLEFORMICA: Azienda di Velletri, tre ettari di terra di cui la metà vitati e 100 anni di schiene curve per lavorarla. Biodinamica a 360°, vecchie vigne di Malvasia e Trebbiano ma anche reimpianti (2017) di un Primitivo che già abitava lì. VINO ROSSO “PRIMATIVO” 2022: certo ci sono ciliegie e prugne, l’arancia, le rose, le viole ma è quel profumo di ricordi, di soffitta che colpisce e poi quella nota ortolana di rapa rossa… Sorso beverino, di spiazzante corrispondenza, morbido ma assolutamente pimpante, con quei tannini ancora birichini che affiancano ricordi di liquirizia e di giostre, fave di cacao e agrume sanguigno. E ORA? Ora è il momento di ringraziare tutti, il Comune di Frascati per avermi ospitato e per aver saputo “aggiustare il tiro” organizzando un’Edizione di VINALIA PRIORA davvero all’altezza del lignaggio di un vino che è molto di più. È il momento di ringraziare le Aziende che hanno voluto condividere con noi il frutto del loro lavoro. È il momento di ringraziare Ilaria Giardini per aver condotto con professionalità e passione una masterclass unica. Ed è il momento di ringraziare Alfredo per il lavoro di una vita e per i vini che, per suo tramite, ci emozionano ogni giorno. Roberto Alloi VINODENTRO    
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2 Maggio, 2024

VINALIA PRIORA 2024, il Frascati e i suoi versanti

IL COSA E IL DOVE In un’atmosfera che ricordava certamente più un’ottobrata frascatana che i tepori primaverili, si è svolta la presentazione alla stampa della terza Edizione di VINALIA PRIORA, manifestazione ispirata alle vecchie festività romane celebrate in Aprile in onore dell’uva raccolta l’anno precedente. Un Evento organizzato dal Comune tuscolano in collaborazione con IPERICO Servizi per la Cultura e ODEA su impulso del Consorzio Tutela Denominazioni Vino Frascati. Nella splendida cornice di TENUTA DI PIETRA PORZIA è toccato a Jacopo Manni (ricercatore presso l’Università di Tor Vergata e profondo conoscitore delle realtà vitivinicole dei Castelli Romani) introdurre i lavori, condurre una masterclass interessantissima nella quale al Vino veniva assegnato il titolo di oggetto geografico alimentare per autonomasia e dare ufficialmente inizio a una tre giorni che ha celebrato l’imbottigliamento della nuova annata di quel FRASCATI che è la più vecchia tra le DOC italiane. 3 + 1 i vini in degustazione (ne troverete 5 perché alla voglia di assaggiarne un altro non sono riuscito a resistere) a rappresentare i differenti versanti dell’enorme complesso del Vulcano Laziale. Da 600000 a (forse) 25000 anni fa, quasi 300km^3 di materiali eruttati nel corso di tre fasi di attività hanno dato origine a un complesso vulcanico alto in origine oltre 2000m e del diametro di quasi 70Km. Un intero universo di suoli con pedologie infinite (altro che le Langhe)! Versanti differenti, quote differenti, temperature, irradiazione solare, ventilazione differenti. Dai 100m slm ai circa 600 (potenzialmente, perché no, anche oltre 800), una differenza di oltre 2 gradi di gradiente termico anche considerando soltanto Frascati e il Monte Tuscolo, oltre 1h di irraggiamento solare in più sul versante E rispetto a quello occidentale di Grottaferrata, un “ponentino” che riesce a portare il mare fin nel bicchiere… Questi in estrema sintesi i numeri di un Territorio assolutamente unico, culla della Civiltà Occidentale, in cui si produce vino da oltre duemila anni. E il vino di Frascati racconta la storia dell’uomo e dell’agricoltura. Qui Marco Porcio Catone ha scritto il De Agri Cultura (cUltura che, forse non a caso, un tempo si scriveva con la “U” e non con la “O”). Qui, negli anni del boom economico, l’abbandono delle campagne inseguendo il mito della grande città ha relegato la produzione vinicola a hobby incidendo in maniera inevitabilmente negativa sul livello qualitativo. Qui, ora, si sta tentando di invertire la rotta, di contestualizzare il vino in un oggi che, pur non potendo essere dimentico dei trascorsi storici, deve guardare a un domani fatto di consumi differenti. Qui si sta prendendo finalmente coscienza (o almeno sono tanti coloro che lo stanno facendo) che il FRASCATI può accostare al suo tradizionale pragmatismo nasi che meritano qualche annusata in più, che possono emozionare anziché solo raccontare. Qui si deve provare agli scettici che se ci troviamo di fronte ad uno dei pochissimi vini bianchi in grado di potersi fregiare, in alcuni casi, dell’appellativo “RISERVA” beh…un motivo ci sarà! GLI ASSAGGI I vini di questa sera sono frutto dell’annata 2023 (a parte quello di Gabriele e Luigi che c’ha un anno di più), un’annata funesta (soprattutto per il Centro-Sud), che ha messo alla prova nervi e risorse economiche dei Produttori. Un’annata che, raccontata da Lorenzo Costantini, si può riassumere in un “menocinquantapercento” che spaventa ancor più pensando all’incertezza di un futuro sempre più segnato da un clima che abbiamo già cambiato e che non si vergogna di presentarci il conto. Annata difficile dunque, ma uve di qualità assoluta per produzioni tutte da assaggiare. Dunque, tre vini per tre versanti. 1. VILLA SIMONE: dalle Marche al Lazio inseguendo la Qualità. Lorenzo Costantini non ha certo bisogno di presentazioni o di un altro che ne tessa le lodi in quanto enologo ma non fa certo male ricordare qui quanto la sua passione per il Territorio dei Castelli Romani e per quella Malvasia Puntinata che ne è vitigno principe giovi a tutto il movimento del vino. FRASCATI SUPERIORE DOCG “VILLA DEI PRETI” 2023: il versante E del Vulcano è quello delle freschezze boschive, delle vegetalità balsamiche. Qui però la frutta, ancorché croccante (anzi: quasi acerba) alza subito la voce. E se l’agrume non può essere taciuto, sono l’albicocca e la buccia della mela che contrastano la nespola quelle che comandano i giochi. E poi, mentre visualizzate il giallo delle ginestre, e le brezze che scendono dal Monte Tuscolo trasportano ombre e frescure, ecco arrivare i pendii lavici a saturare l’atmosfera. Il sorso è sgambettante, dinamico, morbido quanto deve ma profondamente inciso dalla piccante, minerale sapidità. 2. CASALE VALLECHIESA: al centro dell’areale produttivo del Frascati, l’Azienda della Famiglia Gasperini ha da tempo lasciato il “carretto a vino” imboccando la strada della Qualità e dell’innovazione senza però mai abbandonare la Tradizione. FRASCATI SUPERIORE DOCG “HEREDIO” 2023: qui, al centro, è il frutto ad essere protagonista. E questo FRASCATI non smentisce le aspettative, carico com’è di dolcezze esotiche, di pesca matura, di florealità d’acacia che lasciano poche speranze di poter emergere alle erbe di campo. Ci vuole il sorso per pareggiare (quasi) i conti con la sua sbarazzina freschezza e il segreto svelato di una mineralità vulcanica presente ma garbata. Forse un po’ più “uozzamerica” rispetto alle annate passate (o quantomeno rispetto a quanto ricordassi). 3. GABRIELE MAGNO: Azienda nata nel 2015 (indimenticabile per me l’assaggio di quella annata, di quel Frascati che, magicamente, gettava un ponte tra la Tradizione e il futuro remoto). Vecchi vigneti nel pieno della Valle Marciana e qualcosa in affitto per produzioni da additare a esempio. FRASCATI SUPERIORE DOCG “GABRIELE MAGNO” 2022: Grottaferrata, Valle Marciana, tufi degni di un esame di rilevamento geologico e un mare che è ben più che panorama lontano. Quella pesca e quella mela Golden che quasi schiacciano la mediterranea balsamicità di timo e maggiorana provano quanto l’annata differente e 365 giorni di vetro in più facciano la differenza ma il ponentino che sembra trasportare anche la risacca non si fa mettere i piedi in testa. Il sorso è d’altri tempi ma di disarmante modernità. Fresco e di marina sapidità avvolge il palato con glicerico abbraccio e calore alcolico d’altri tempi gettando un ponte tra la tradizione e il futuro. Da bere ascoltando “COME SCOGLIO” da “COSÌ FAN TUTTE” di W. A. MOZART (interpretata dal soprano MARIANGELA SICILIA, Orchestra Sinfonica della RAI diretta dal Maestro SPERANZA SCAPUCCI. GLI EXTRA TENUTA DI PIETRA PORZIA: il Lago Regillo, la battaglia tra Romani e Latini, i Dioscuri, Marco Porcio Catone… E poi la distruzione di Tuscolo e la nascita di Frascati, i passaggi di mano del feudo fino all’attuale proprietà della Famiglia Giulini. Questa in sintesi la storia di un’Azienda nella quale, come in rarissimi altri casi, la Storia (quella con la “S” Maiuscola) si mescola al vino. Un corpo unico di 60ha che non ha uguali, produzioni identitarie e, recentemente, ben più che un occhio di riguardo per autoctoni di nicchia. FRASCATI SUPERIORE DOCG “DANAE” 2023: ha nell’animo un legame stretto con il n° 2 ma…quel 30% di Greco… Un’iniezione di classicità in un vino altrimenti di romano pragmatismo. C’è il frutto, pieno e rotondo. Pesca, pera, mela a piena maturità con un quid di limone (maturo anche lui) a evitare ridondanti dolcezze. Poi un richiamo al sottosuolo, minerale e sorgivo e una brezza vegetale di felci e sottobosco. Sorso pieno, di carezzevole morbidezza, fresco quanto serve e sapido di più con un finale nel quale le dolcezze schiacciano i richiami minerali. L’avrei preferito con più polso ma… BORGO DEL CEDRO: costola (o frutto di gemmazione” della Famiglia Costantini, BORGO DEL CEDRO rappresenta uno dei volti nuovi della rinascita frascatana. VINALIA PRIORA mi hanno dato l’opportunità di ficcare il naso in un’Azienda che conosco solo di nome grazie all’interposta persona di Alessandro Filomusi Guelfi. Troverò il modo di saperne di più per me e per Voi. FRASCATI SUPERIORE DOCG “FILIAE” 2023: un assaggio “rubato” (ma che spero davvero di poter ripetere con più calma) che rivela un olfatto elegante ancorché un po’ troppo esotico per i miei gusti, con quell’ananas in evidenza cui segue un lungo corteo di albicocche, melone, fiori d’acacia e un agrume che, esotico anch’esso, è lime più che limone. Non manca certo la mineralità, più silicea forse che non lavica, di pietre umide asciugate dal sole. Sorso vispo ma compitamente morbido esprime vivace freschezza coerente sapidità e corretta rispondenza olfattiva. Chiude discretamente lungo sottolineando la mineralità e il varietale della Malvasia. Magari non emozionante ma da tenere assolutamente d’occhio per il futuro. ED ORA? Ora, mentre ringrazio gli Organizzatori tutti di VINALIA PRIORA, mi corre l’obbligo di sottolineare come, dal “passaggio a vuoto” dello scorso anno sia risorta un’araba fenice. Un Evento in grado di accomunare Storia, bellezza, archeologia e Territorio sotto l’ombrello di quel Frascati che, pur stentando ancora, pur non avendo ancora (in molti casi) scelto se inseguire l’identità territoriale o i mercati, dimostra di voler rialzare la testa e riappropriarsi di una dignità per lungo tempo perduta. E ne approfitto anche per darVi appuntamento alla prossima settimana, quando Vi racconterò una storia che coinvolge Territorio, paesaggio, Tradizione, uomini, vino, lavoro e Roberto Alloi VINODENTRO  
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25 Aprile, 2024

Kras PTP "TERAN" 2016, RENČEL

TERRANO RENCEL Sin dai tempi della Repubblica di Venezia il Terrano sta al Territorio come la Malvasia sta all’Oriente. Se è vero che c’è chi lo vuole “triestino” vistane citata la presenza in quel di Duino sin dal 1444, il Terrano è un vino che non vuol sentir parlare di confini. Era il vino “non navigato”, quello che non aveva attraversato i mari. E mentre all’epoca era un termine che raggruppava vini diversi oggi è stato identificato come appartenente alla famiglia dei Refoschi. Un Refosco dal Peduncolo Verde che fuori dall’areale PTP viene chiamato Refošk e che mi spinge a lanciare un anatema contro chi volesse scomodarsi ad accostarlo al Prošek per alimentare sterili polemiche prive di basi culturali e fondamenti storici. Vino “di nicchia” nel ‘700, venduto anche come “medicina” nelle farmacie, ha uno “ieri” recente che racconta di quelle Osmize dove si è sempre consumato GGiovane. Scontroso, di “brividosa” acidità, poco incline alle facili amicizie, è solo da una ventina d’anni che alcuni Produttori hanno deciso di seguire quanto in realtà consigliato dai bordolesi a fine ‘800, ammorbidirne il carattere con malolattica e legno (anche se Joško racconta di un certo Lozar che, in anni dimenticati e segnati da temperature più basse, faceva appassire parte delle uve per dare corpo a vini altrimenti troppo esili). Il Terrano è un vino che va preso per mano e che ti prende per mano, non è immediato ma ti porta lontano con la sua freschezza che sa di mitteleuropa e di confini che l’uomo traccia e la natura cancella. E allora ecco che il Carso diventa Kras, non è Italia o Slovenia o Trieste o Gorizia, è terra che gli uomini calpestano e coltivano, fatica di roncare, rocce inclini all’inciampo, doline e vento che sega la faccia. Ed è il vino delle doline più che quello delle vette spazzate dalla bora, a volte rotondo come un 33 giri, a volte spigoloso come un pezzo suonato dal CD. Ma due parole su Joško (Renčel) le vogliamo dire?! Ma proprio solo due, perché altrimenti dovremmo scrivere un libro (e perché dovreste averne già letto qui)! Inventore? Filosofo? Forse pazzo (ché 3ha, 8 vitigni, 10000 bottiglie e…tipo 22 etichette sono numeri da camicia di forza). Bianchi, rossi, rosati, passiti (ahhh, quel Micarone!)…vini studiati e altri nati per “sbaglio”. L’hanno definito l’Archimede del vino ma a me piace pensare all’uomo Joško nella sua forma più pura: vignaiolo. La strada di mattoni gialli che porta da lui passa da Trieste e inanella una serie infinita di curve che raccontano di sbarre che furono e uomini contro. Kremen, vigne e poi Dutovlje è là in fondo. Al N° 24 c’è la sua cantina, dimessa e nascosta casa tra le case. Disordine ordinato di botti storiche, vasche d’acciaio, un’anfora (sola e solitaria, quasi dimenticata là, nel suo cortile), botti piene d’aceto ed altre in cui stanno vicinivicini vini di una “cambogia” di annate Tutte pronte al giudizio insindacabile dell’assaggio di un lui che ne deciderà il destino Joško parla poco di suo (e l’italiano neppure bene) ma il vino accomuna, azzera distanze, traduce sguardi ed emozioni. Se poi volete altre notizie cercatevele da soli ché qui devo dirVi di un vino e poi…mica posso sempre fare tutto io! Dunque, “TERRANO“… Inizialmente diffidente sembra voler essere specchio della gente del posto. Ruvido, ventoso, sa di steppa bagnata e camino che asciugai le ossa. Poi si lascia andare alle spezie e si dischiude al frutto, rosso e nero, carnoso, maturo. In bocca entra senza fare sconti, diretto, spontaneo, morbido quanto deve, quel tanto che serve per risultare educato e cercare di pareggiare la rampante acidità. La mora è netta, la ciliegia non vuole essere da meno e le spezie passate al mortaio fanno da legante rilanciando il sorso dopo aver preso per mano la timidezza di un animo erbaceo. Un duro dal cuore tenero, un orso con l’incedere elegante di un Pinot Nero. Da bere ascoltando “PLAY THAT FUNKY MUSIC” di WILD CHERRY ma nell’interpretazione live di PRINCE (magari con ben più di qualche fetta di Kraški Pršut). Il costo? Non lo ricordo, ma se l’ho comprato io potete farlo anche Voi Roberto Alloi VINODENTRO  
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18 Aprile, 2024

Viticoltori Montespertoli, una rigenerazione toscana

IL COSA E IL DOVE Lo scorso 6 Aprile, i “ragazzacci” di VINARIO4 hanno colpito ancora! Stavolta sono riusciti a portare a Roma un pezzo di quell’altra Toscana di cui troppo spesso ci dimentichiamo. Sto parlando di quell’Associazione VITICOLTORI MONTESPERTOLI che hanno ospitato nello SPAZIO FAREdel MERCATO CENTRALE. Se la provocazione serve ad accendere i riflettori su Territori che ancora non si “vogliono” conoscere allora: “VIVA LA REVOLUCIÓN”! Quella di Montespertoli e dei suoi Viticoltori è una lotta senza quartiere. Atleti in una competizione che si chiama “VINO”, si battono per dare dignità a un Territorio che ancora non ne ha avuta abbastanza. Quel Montespertoli che era per me come uno scioglilingua mentre mandavo a memoria le 7 sottozone della DOCG Chianti, è non solo la prima ad essere stata istituita ma anche il fazzoletto di Toscana più vitato (insieme a Montalcino) dell’intera Regione. Un Territorio di colline più dolci rispetto a quelle del Chianti Classico, estremamente variegato in termini pedologici (dalle sabbie del Sud ai conglomerati del Nord passando per le argille della zona centrale), che racconta nel bicchiere un mare antico come farebbero le conchiglie di cui è ricco il sottosuolo se le avvicinaste alle orecchie. 17 i moschettieri dell’Associazione (oggi ce n’erano 10 e io, colpevolmente, non sono riuscito neppure a conoscerli tutti) e Sangiovese il principe cui hanno giurato fedeltà (ma non mancano autoctoni come Pugnitello, Foglia Tonda, Ciliegiolo e gli internazionali), 450ha vitati, 14 Aziende in regime BIO, Territorio vocato ai Rossi ma non dimentico dei Bianchi. 2 anni il prossimo 28 Maggio, l’Associazione si è data una serie di regole che, partendo dalla coltivazione diretta delle uve e dal rispetto della materia prima, passano per pratiche agronomiche sostenibili da attuare con l’intera comunità agricola. Ultima regola? Non sottrarsi mai al confronto e portare il messaggio fuori dai propri confini. GLI ASSAGGI I banchi d’assaggio (presidiati mai come in questa occasione) dai Produttori in prima persona, sono stati preceduti da una masterclass fuori dagli schemi precostituiti. 4 vini presentati alla cieca da Giulio Tinacci (alias MONTALBINO, presidente dell’Associazione) e sottoposti al giudizio dei presenti per cercare corrispondenze tra caratteristiche organolettiche Territori. Cosa ne è venuto fuori? Fatte salve le didattiche evidenze di quanto sabbie e/o argille influiscano sul risultato finale quello che è saltato agli occhi è una sorta di trait d’union tra tutti i prodotti, quasi che la firma del vignaiolo passi in subordine rispetto all’avallo del Territorio. Una comunione d’intenti dalla vigna al bicchiere assolutamente priva di omologazioni a dimostrare quando sia importante lavorare insieme per il raggiungimento di un risultato comune di alto livello. I vini? Di seguito troverete la mia consueta e personalissima classifica (oltre alla descrizione di tutti gli altri vini) ma, al di là di tutto colpisce la freschezza di tutte le produzioni. Bevibilità ai massimi livelli, vini immediati, dinamici, pronti sin da subito (tanto da sembrare in alcuni casi già evoluti) ma senza tema di affrontare almeno qualche anno di vetro per dare il massimo. LA MASTERCLASS 1. LE FONTI A SAN GIORGIO Azienda a trazione femminile, quella di Piera Giovannelli. 13ha certificati BIO dal 2020 dedicati essenzialmente ai vitigni della tradizione per produzioni attente alla Tradizione ma che strizzano l’occhio al gusto contemporaneo. CHIANTI MONTESPERTOLI DOCG 2022: Sangiovese, Colorino, Pugnitello, cemento e acciaio sono gli ingredienti per questo Chianti di GGiovane, vibrante intensità. Forse troppo timido nel presentare uno spettro olfattivo in realtà di inattesa complessità fatto di ciliegie nere, liquirizia, tabacco, un ché di pellame sapientemente mixati alla sostanziosa presenza agrumata, scala velocemente la classifica della piacevolezza una volta che lo si assaggia. Eccolo dunque riproporre in bocca la sostanza del frutto con ragazzina vivacità, facendo leva su freschezza e sapidità quasi marine e un tannino quasi “dolce” a fare il controcanto. Si becca il mio premio “LEVATEMELO” 2. PODERE GHISONE 60ha di cui 15 vitati quelli di questa Azienda familiare. Vitigni del Territorio con una iniezione di internazionali, rossi in particolare ma senza dimenticare bianchi storici come Trebbiano e Malvasia. CHIANTI MONTESPERTOLI DOCG “BORRO DEGLI OLMI” 2022: al naso si percepisce una certa assonanza con il vino precedente, quella sorta di timidezza iniziale e poi la pienezza del frutto rosso dà la mano alla freschezza floreale, l’asprezza della marasca viene mitigata da un grasso cioccolato mentre un tocco di pepe verde e una nota ematica si occupano della chiusura. Il sorso accompagna l’olfatto sbrogliando un sostanzioso estratto e tannini ancora non ben pettinati tra spezie e mirtilli fino al finale di minerale piccantezza. 2. CASTELLO SONNINO Quasi duecento gli anni di storia (del vino e non solo) che l’Azienda custodisce. Una produzione Territoriale (non dimentica dei vitigni internazionali) che mixa tradizione e innovazione con risultati di grande personalità. CHIANTI MONTESPERTOLI DOCG “SONNINO” 2022: forse il più complesso della batteria. Un olfatto che dei rovi lascia percepire, oltre ai frutti, anche le spine prima di far spazio all’aspra amarena e sorprenderci con un ché di anguria. La gentile delicatezza della viola e la più maschia liquirizia ci traghettano poi verso un finale che propone un intero corredo di erbe aromatiche. In bocca dimostra calore ma non riesce a contenere l’irruenza monella di una vena fresco-sapida che fa leva anche sull’iniezione di Trebbiano per solleticarci le gengive con le sottili piccantezze tannico/pepate. Chiude lungo quanto deve lasciandoci in fondo al calice un ricordo di contadina rusticità. Bellobello. 4. FATTORIA LA LECCIA 20ha trazione femminile con un oggi targato 2013. Biologica dal 2019, basa la propria produzione su vitigni del Territorio ma non dimentica internazionali come Merlot e Syrah. CHIANTI MONTESPERTOLI DOCG SUPERIORE 2022: praticamente tutto Sangiovese con un quid di Trebbiano ad instillare ulteriore freschezza in un vino pronto ed equilibrato come il Territorio di Montespertoli vuole. Prugna, marasca, lamponi, sottigliezze speziate di chiodi di garofano e ben più dell’atteso in termini di mazzo di rose. Sorso molto coerente, frescofresco e ben sapido che cela nel fondo del bicchiere un ricordo contadino che lo accomuna per un attimo al vino precedente. LA TOP FIVE TENUTA COELI AULA Dalla metà del Secolo scorso sono quattro le generazioni della Famiglia Barni che si sono succedute alla guida dell’Azienda. Certificata BIO pone grande attenzione alla cura dei vigneti e alla salvaguardia del Territorio producendo vini che mixano con sapienza Tradizione ed evoluzione. TOSCANA IGT CILIEGIOLO “CERASUS” 2022: nato con idee di legno e sostanza trova in questa “quasi” nuova release la sua più didattica espressione. Già al naso dimostra il suo essere legato a filo doppio con il Sangiovese proponendosi con quel frutto pieno (qui, guardacaso, ciliegia in testa) senza dimenticarsi delle note vegetali che qui ricordano boschi e foglie di pomodoro. Seguono i toni floreali della viola e quelli balsamici della liquirizia e del rabarbaro ed un ché di ematico. Ottimo l’equilibrio in bocca per un sorso ricco e gustoso supportato da tannini presenti ma educati e da una progressione sapida che culmina in un finale decisamente saporito. Una bevuta a 360° da provare ascoltando “SEXY BOY” degli AIR. TENUTA BARBADORO 36 gli ettari coltivati a vigneto da questa Azienda. Questione di famiglia sin dal 1860 e certificata BIO dal 2007, parte da minime pratiche agronomiche e di cantina per produrre vini di eccellenza spostando costantemente più in alto l’asticella della Qualità. TOSCANA IGT ROSSO BIOLOGICO “IO TESTONE” 2022: mentre si becca subito il mio premio “PADRETERNO” per l’irriverenza tutta toscana del proprio nome di fantasia mi cedono le gambe e mi scappa un italianissimo “UAUUU”. Niente solfiti e una dimostrazione di pulizia da indicare ad esempio per molti di quei produttori che si avventurano sull’insidiosa ed affilata cresta che separa il versante dell’eccellenza dal baratro del difetto. Cresta che ‘sto rosso toscanaccio percorre con la sicurezza dell’alpinista esperto e l’eleganza di un Philippe Petit a spasso tra le Torri Gemelle. Attento, educato, mai un’esitazione nella sua prepotenza fruttata e nessuna vergogna nel proporsi con rustica, contadina eleganza. Sorso che dimostra alcuna esitazione, succoso, trascinante, financo traditore (occhio a quei 14° alcolici che possono giocare brutti scherzi alle gambe), coerente in corpo e spirito con l’olfatto e che sottolinea una macchia mediterranea neppure immaginata in precedenza. SORPRENDENTISSIMO! Da bere ascoltando “B-SIDE” dei KHRUANGBIN & LEON BRIDGES. PODERE DELL’ANSELMO Una storia lunga quasi due secoli con un oggi trentennale. Grande attenzione ai vitigni del Territorio (anche quelli meno noti) con una piccola digressione internazionale. Una produzione attenta all’ambiente e alla Tradizione senza dimenticarsi mai di guardare avanti. CHIANTI MONTESPERTOLI DOCG “INGANNAMATTI” RISERVA 2018: se il piccolo frutto rosso/nero vuole distrarVi siate forti! Andate oltre. Troverete un Mediterraneo di bacche di macchia, di pietre arroventate dal sole, di tabacco rollato contemplando l’orizzonte e un contorno gentile di viole e spezie. Sorso di traviante, carezzevole, malia, che esalta il cioccolato puntando su una sapidità quasi marina. Di questo ne leggerete ancora, perché si e perché bisognerebbe essere matti per non cadere nel suo tranello. Da bere ascoltando “MAD MAN MOON” dei GENESIS. TOSCANA IGT ROSSO “ERA ORA” 2018: legno di tutte le dimensioni per questo Sangiovese che propone confettura di more ma sorprende per quell’atmosfera da sagrestia tutta incenso e canfora per i paramenti prima di lasciarsi andare alla gentilezza delle viole e a una presa di tabacco dalla sacca di cuoio. In bocca accarezza e riempie con una sostanza materica di cui anche i tannini vogliono far parte. Sostanzialmente equilibrato, spinge sulle dolcezze speziate facendo leva sulla balsamicità e su una atmosfera ferrosa che sa cielo da temporale per rimettere le cose in paro. Da bere ascoltando “GOD’S AWAY ON BUSINESS” di TOM WAITS. FATTORIA LA GIGLIOLA 60 gli ettari vitati e il Sangiovese sul gradino più alto del podio senza dimenticarsi dei vitigni internazionali e di quelli a bacca bianca. VINSANTO “LO STOIATO” 2007: un “occhio di pernice” messo lì, a farmi l’agguato giusto prima che corressi via in tempo perché la carrozza (vabbè, la metropolitana) non si trasformasse nuovamente in zucca. Ed eccomi dunque cadere sotto i colpi di un olfatto carico di affascinanti contrasti. La noce e il miele, il fico secco e la nocciola ancora non matura, gli agrumi della pasticceria delle feste, la noce moscata, l’anice e una potente nota di camino spento. Il sorso è di masticabile sostanza, fresco ma soprattutto salato di profondità da natural burella e con un allungo cui si fatica a star dietro. Disarmante. Da bere ascoltando “THE END” dei DOORS. I QUASIQUASI TOSCANA IGT BIANCO “I’VE” 2022 (TENUTA COELI AULA): insolito accostamento di Chardonnay, Sauvignon e Pinot Bianco con il secondo a comandare con delicatezza un procedere olfattivo di sottili freschezze di sambuco e soffi di salvia cui si accostano nespole e florealità di campo. In bocca comanda, manco a dirlo, lo Chardonnay, con quelle sue grassezze che la carezza del legno amplifica vieppiù. Bel connubio di freschezza e sostanza che il Pinot Bianco incravatta di eleganza rendendo quasi naturale il paragone con un Collio distante fisicamente ma non in spirito. Davvero una bella sorpresa. CHIANTI MONTESPERTOLI DOCG 2022 (LE FONTI A SAN GIORGIO): VV. masterclass TOSCANA IGT ROSSO “PAX” 2018 (PODERE DELL’ANSELMO): un pamphlet di dolcezze boschive che rimanda a fragoline e more mature, dolci le spezie, dolce la cioccolatosa atmosfera e poi freschezze amaricanti! Ecco dunque la liquirizia, la china, le erbe aromatiche ed un tocco di tabacco mentolato. Sorso concertato con l’olfatto, ampio e sostanzioso, di grande morbidezza ma vivissimo, mai seduto e di lunghezza… “PAX”: definitivo! CHIANTI MONTESPERTOLI DOCG “SONNINO” 2022 (CASTELLO SONNINO): VV. masterclass TOSCANA IGT CANAIOLO 2021 (FATTORIA LA GIGLIOLA): al naso evidenzia, con selvatica rusticità, sfumature vinose, frutti di rovo e fiori di campo, sottobosco, ferrosa mineralità e un quid di chiodi di garofano. Sorso più strutturato di quanto credessi pur nella sua primaverile freschezza, che evidenzia dolcezze semplici di schiaccia proponendole con i modi eleganti di un Pinot Nero. Canaiolo, canaglia! ED ORA Beh, intanto è ora di ringraziare i Tre Moschettieri di VINARIO4 per l’invito e per lo spot che hanno saputo accendere su un Territorio troppo spesso (e colpevolmente) dimenticato anche da quelli che vanno in giro a curiosare ma che in regioni blasonate come la Toscana si fermano sulla superficie delle etichette più gettonate senza grattarne via la polvere per scoprire i tesori che cela. E poi è ora di ringraziare i Produttori che m’hanno sopportato e scusarmi con quanti non sono riuscito a conoscere (ma ci saranno altre occasioni). Bella esperienza davvero, spero la ripetano presto (qualche nano-denominazione cui rivolgere sguardi più attenti ce l’avrei già in mente). Roberto Alloi VINODENTRO
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11 Aprile, 2024

IO VINO 2024

IL COSA E IL DOVE IO VINO è l’ormai irrinunciabile appuntamento romano con i grandi vini di Marche e Campania. Due regioni che non c’azzeccano niente tra loro ma che in questa occasione si ritrovano confinanti grazie alla passione di Manilo Frattari (che ancora si ostina a non voler doppiare l’appuntamento dandomi modo di assaggiare qualcosa in più). Andato in onda lo scorso 17 Marzo, ha riempito sale e corridoi del TH CARPEGNA PALACE di Roma. Location azzeccatissima (e ormai collaudata) per uno scontato successo di pubblico. Un centinaio di Aziende presenti, ‘na cifra de vini da assaggià, masterclass (addirittura una dedicata agli EVO), tricchettracche e bombe a mano. GLI ASSAGGI Come avrete già capito, l’idea di assaggiare tutto non m’era passata neppure per l’anticamera del cervello. Mi serviva un piano preciso e una rotta da seguire e allora…mi sono fatto suggerire qualche novità, ho lasciato il giusto spazio all’estro e, caso più unico che raro, soltanto salutato gli Amici Produttori già stressati in altre occasioni. Davvero alto il livello qualitativo, tanto che anche un “cattivone” come me ha fatto fatica a trovare etichette “anonime”. Ma una sorta di classifica (per quanto priva dell’orpello del punteggio) ho comunque creduto giusto stilarla (gli altri vini li potete trovare qui).. Personale e discutibilissima ma che ho cercato premiasse in egual misura i due protagonisti. Dategli una letta e magari, almeno stavolta, suggeritemi Voi qualcosa da mettere in agenda per l’Edizione 2025. LA TOP SIX (3 + 3) LE MARCHE SOCCI Siamo a Castelplaino, al centro dell’area Classica di produzione del Verdicchio dei Castelli di Jesi. 3ha sulla collina del Monte Deserto (che tanto deserto non deve essere visto quello che riesce a produrre). Marika al timone di questa Azienda familiare interamente dedicata a quel Verdicchio di cui propongono diverse interpretazioni vanno dalle bolle alla potenza senza dimenticarsi passando per l’estrazione. VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI DOC CLASSICO SUPERIORE “BIANCA” 2021: vinificato in totale assenza d’ossigeno grazie al sistema VINOXYGEN e privo di SO2 (come evidenzia il “cattivone bernoccoluto” in retroetichetta) arricchisce il proprio corredo olfattivo di una certa atmosfera “green” ma sottolinea le dolcezze fruttate della pesca e del melone in aggiunta alla carnosa florealità dell’acacia e, coup de theatre, vi affianca una profonda nota iodata. Sorso energizzante, glicericamente abbracciante (15.5°, mica miciomicio!), di irruente sapidità eppure fedelmente legato a quella frutta nettarina che aveva riempito il naso. Bellobello! Da bere ascoltando, manco a dirlo, “BIANCA” degli AFTERHOURS. VER.SER. Acronimo di VERnaccia di SERrapetrona. 3ha e 3 vigneti a San Severino Marche dedicati al Pecorino e alla Vernaccia Nera. Una storia familiare iniziata alla fine degli anni ’90. Una storia fatta di curiosità, di studio e di lavoro. Prima vendemmia nel 2020 un oggi di Tradizione e modernità e un futuro tutto da scrivere (con l’accento però). SERRAPETRONA DOC “CLE MÈ” 2022: naso esplosivo! Un mix di fiori di campo, boscaglia, more, visciole, impennate vegetali e friccicorii di gioventù firmati dal pepe verde con una chiusura sottilmente chinata e minerale. Sorso inarrestabile, varietale e con i tannini giustigiusti che conducono alla progressione fruttata del finale. Fighissima! Si becca il mio premio “VERSAMENE ANCORA SAM”. Da bere ascoltando “AS TIME GOES BY” di HERMAN HUPFELD ma interpretata da BOB DYLAN. DANTE DURI La cantina più piccola di Serrapetrona e un agricoltore figlio di agricoltori. Un cognome che mal si confà al modo con cui descrive il proprio lavoro e all’amore viscerale per quelle uve che producono i suoi vini e sono protagoniste dei suoi begli scatti (quelli che mi sono permesso di rubargli). MARCHE IGT ROSSO PASSITO “’PPICCATO” 2014: eccaallà! Beh, che la Vernaccia Nera abbia un “animo passito” è risaputo ma qui… Un naso saggio, da esplorare ruga per ruga, un’esplosione di ciliegia, polvere di cacao, amaretto, pepe e cannella. Racconta di miele ma anche di profonde note amaricanti di olive nere e di un ché di forse carciofo. In bocca governano le dolcezze del miele e della prugna secca ma noci e nocciole sono lì, sedute in prima fila e quei legni che percepiva l’olfatto sanno d’Oriente. “PPICCATO” (qui senza l’apostrofo) averne potuto bere solo un sorso! Da bere ascoltando “STRANGE FRUIT” di BILLIE HOLIDAY. LA CAMPANIA SALVATORE MARTUSCIELLO 12ha nel cuore dei Campi Flegrei per una produzione legata a filo doppio con il Territorio e i vitigni autoctoni (compresi quelli semisconosciuti come Sauca, Suppezza, Surbegna, Castagnara). GRAGNANO DELLA PENISOLA SORRENTINA DOC “OTTOUVE” 2023: per raccontarVi questo vino ho bisogno del Vostro aiuto. Dovete immaginare la scena più famosa del film MISERIA E NOBILTÀ di Mario Mattioli, quella del “PALTÒ DI NAPOLEONE”. Le due famiglie protagoniste sono alla fame più nera e Don Pasquale decide di dare in pegno il suo cappotto in cambio di alcuni generi alimentari. Totò ha in braccio il cappotto di Don Pasquale, e durante la scena, se lo coccola come se si trattasse di un bimbo. Don Pasquale: Vai dallo sciarcuttiere qui alla cantonata.
Toto: Da chi?
Don Pasquale: Dallo sciarcuttiere qui alla cantonata.
Totò: E chi è questo sciacquettiere?
Don Pasquale: Il pizzicagnolo, il salumiere!
Totò: Il casatuoglio!
Don Pasquale: Il bottegaio! Gli lasci questa roba in pegno e ti fai dare un chilo e mezzo di spaghetti, non pigliare la pasta grossa che non la digerisco. Totò: Pasquale con questa fame tu digerisci pure le corde di contrabbasso Don Pasquale: Ti fai dare una bella buatta di pomodoro perché a me gli spaghetti piacciono pieni di sugo. A proposito, il sugo come lo facciamo, con la salsiccia?? Con la salsiccia! Ti fai dare un chilogrammo di salsiccia. Non pigliare quella stantia, quella già fatta. C’ha la macchina tritacarne: piglia la pelle taratatà taratatà taratatà. E poi rimaniamo asciutti asciutti, solo spaghetti e salsicce? Vogliamo fare una bella padellata di uova? Uova in padella? Te le mangi, le uova? Totò: Si, se me le dai me le mangio! Don Pasquale: Allora 10 uova; assicurati che siano fresche, le agiti, se sono fresche le prendi, se no, desisti; come le vogliamo fare, con la mozzarella? Si, con la mozzarella, le uova vanno fatte con la mozzarella! Ti fai dare mezzo chilogrammo di mozzarelle di Aversa, assicurati che siano buone, pigli queste dita, premi la mozzarella, se cola il latte le prendi, se no desisti.
Poi, che altro?
Un po’ di frutta fresca. Ecco, ti fai dare pure cinque lire in contanti e vai dirimpetto dal vinaio a nome mio, di Don Pasquale il fotografo, e ti fai dare due litri di Gragnano frizzante, assicurati che sia Gragnano. Tu lo saggi; se è frizzante, lo pigli, se no… Totò: …Desisto! Don Pasquale: Che altro? Tornando a casa, a fianco al portone c’è il tabacchino, prendi due sigari, uno per me e uno per te e il resto me lo porti. Totò: Pasquale dimmi una cosa: ma qui dentro c’è il paltò di Napoleone? Tenete conto che io non sono un fan di Totò ma quale scena potrebbe meglio descrivere il rapporto tra Napolie un vino di cui pure il grande Mario Soldati subiva il fascino? Se il Barolo può essere l’Aglianico del nord, perché il Lambrusco non può essere il Gragnano dell’Emilia Romagna? L’anima enoica di Napoli. Provola, salame, pizza…il capitone! Il Gragnano non fa prigionieri…è amico di tutti. E questo non fa eccezione! Come non cadere in deliquio sotto i colpi della sua essenza vinosa, delle more, dei lamponi, delle fragoline di bosco… E poi la succosità dell’arancia rossa, le freschezze del prato verde, quel tocco di liquirizia in chiusura… Sorso di devastante piacevolezza che rende inarrestabile la voglia di sostituire il calice con la cannuccia, ciliegioso, fragoloso eppure sapido, con quei tannini mariuoli. Gli ammollo il mio premio “LEVATEMELO” e corro a farmene una flebo! Da bere ascoltando “8 MILE” di EMINEM. ANTICA MASSERIA A CANC’LLERA Quattro ettari e mezzo di Sannio. Una storia di famiglia con uno ieri da conferitori e un oggi, targato 2007, che ha sacrificato, a colpi di zappa, la quantità sull’altare della Qualità per una produzione centrata sui vitigni autoctoni (Barbera del Sannio, Coda di Volpe e Agostinella) tutta da assaggiare. SANNIO DOP BARBERA “GROTTA DI FUTA” 2020: quella frutta rossa, fresca e succosa, vorrebbe recitare il ruolo di protagonista ma quelle foglie di menta ed eucalipto masticate la riconducono a più miti consigli lasciando che anche le spezie sussurrino qualcosa. Il sorso è di profumata sostanza, leggiadro, morbido quanto serve ad apparire di affascinante rusticità. Chiude ricordandoVi che menta ed eucalipto masticati sono amaricanti e che la prossima volta dovete aver pronta una seconda bottiglia. Da bere ascoltando “B-SIDE” dei KHRUANGBIN & LEON BRIDGES. MUSTILLI 15ha a Sant’Agata dei Goti. Cinquant’anni di storia ed un oggi a trazione femminile. Tutela dell’ambiente e valorizzazione dei vitigni autoctoni per produzioni davvero identitarie. PIEDIROSSO DEL SANNIO SANT’AGATA DEI GOTI DOC “ARTUS” 2019: nette le sensazioni di prugna e piccoli frutti rossi e ancor di più quelle balsamiche di rabarbaro, liquirizia ed eucalipto, un accenno floreale e una nota selvatica (che subito mi fa tradurre Piedirosso in Per’e Palummo) che rende dannatamente intrigante il pentagramma olfattivo. Morbidezza e fitta trama tannica rendono ammaliante un sorso in cui risuonano a lungo le eco dei descrittori olfattivi e l’assolo finale delle balsamicità. Da non perdere! Da bere ascoltando “CORTO CIRCUITO” dei 99 POSSE. I “QUASIQUASI” LE MARCHE TERRALIBERA Quella di Gian Mario Bongini è una delle tante storie di “ritorno” alla campagna, di sogni realizzati. Dalla finanza alla vigna in cerca di spazi per respirare. 7ha e 2 versanti a Serra de’ Conti dedicati alla libertà e al Verdicchio. VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI DOC CLASSICO SUPERIORE “DA SOLO” 2022: l’indirizzo è quello della Particella 140, Foglio 17 di Serra de’ Conti. Una singola vigna di 1.38ha esposta a NW sull’altro versante della collina. Più fresco dell’annata 2021 (in cui avevo riscontrato la timidezza di mostrare il proprio animo vegetale nascondendolo tra i frutti) vuol dire anche più “giusto”. Credo possano bastare queste sole parole per descrivere un vino che è libera espressione delle vigne da cui proviene e che, interpretato diversamente, perderebbe interesse. Davvero un bel lavoro. COSSIGNANI L. E. TEMPO Da 5 anni, Letizia ed Edoardo Cossignani si dedicano alle cinquantennali vigne del nonno e alla produzione esclusiva di spumanti Metodo Classico con l’occhio attento alla valorizzazione dei vitigni autoctoni e nessun timore reverenziale nei confronti dei cugini d’oltralpe. SPUMANTE METODO CLASSICO “BLANC DE BLANCS”: cuvée 2017-2020, 60% legno e 40% cemento, una parte di malolattica e 24 mesi sui lieviti per questo Pecorino “Cocci Grifoni Original” che di vegetalità ne ha da vendere e che le note di burrosa pasticceria e agrumi canditi provano a tenere a bada. Sorso diretto, tagliente, affilato, fresco e profondamente sapido, che alla grande corrispondenza con l’olfatto aggiunge ben più che una nota di tè. Lungo e coinvolgente. LA CAMPANIA ANTICA MASSERIA A CANC’LLERA BENEVENTANO IGP AGLIANICO “NOTTE DI SAN LORENZO” 2021: punterebbe sull’equilibrio ma lascia che spicchino le freschezze del frutto nero su un’idea di cassis e macchia mediterranea e un’atmosfera sottilmente balsamica. In bocca riempie, invita e, se non fosse per quei tannini di razza ma ancora ineducati, quell’equilibrio cercato lo avrebbe anche raggiunto ma, per ora, si accontenta di lasciarVi con un finale lunghissimo in cui si bea di sottolineare balsamicità e animo minerale. Seducente ma con distinguo. “ERIBIANO” PASSITO 2019: Agostinella, un’uva che si è cercato di accostare al Piemonte, così come accaduto per quella Barbera del Sannio che oggi è Camaiola. Al naso apprezzate cotognata, miele ed agrumi canditi ma non potete non meravigliarVi di una nota “arrostita” di castagna e quasi carciofo Al sorso nulla risulta essere fuori posto. Freschezza, sapidità, le dolcezze pasticcere d’albicocca a prender per mano arancia candita e mandorle… Davvero un bel passito. MONSERRATO 1973 Azienda a conduzione familiare. 13ha vitati, conduzione biologica e focalizzata su Aglianico e Falanghina. BARBERA DEL SANNIO DOP 2021: 9 mesi di anfora fanno tanto e, seppur imperanti i varietali di frutti di bosco, prugna e rosa canina, aggiungono a questi un tocco d’Oriente che profuma di spezie pepose e una balsamicità, a firma tutta “sailamenta”, da aprire i polmoni. Sorso decisamente sapido e freschezza adeguata regalano un sorso mai borioso, leggero, succoso e dinamico che rimanda continuamente al frutto e spinge al bis (ma pure al ter). Si merita un “PIÙ” per quell’etichetta che celebra il vitigno a voce alta. MUSTILLI SANNIO AGLIANICO SANT’AGATA DEI GOTI DOC “CESCO DI NECE” 2017: dolce di mirtillo e aspro di marasca, non dimentica prugne e viole e regala una ventata d’arancia prima concentrarsi sulle piccantezze speziate. Sorso freschissimo (nonostante l’annata avesse fatto supporre il contrario) che lascia si esprimano, nel grande equilibrio complessivo, assoli di mentolata balsamicità, squilli di spezie e cori fruttati. Coinvolgente. E ORA? Ora è il momento dei ringraziamenti, a Manilo Frattari per avermi ospitato e ai Produttori per avermi sopportato. È anche il momento di scusarmi con tutte quelle Aziende cui ho detto: “ci vediamo dopo” e che (spero di no) mi stanno ancora aspettando. E poi è il momento di mettere in agenda l’Edizione 2025 di un Evento davvero TOPPP come IO VINO e mettersi al lavoro per approfondire tutto quanto di nuovo mi è stato insegnato in una giornata così intensa Roberto Alloi VINODENTRO  
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4 Aprile, 2024

ROSA, ROSATI, ROSÉ la Guida 2024 (by Decanter Wine Academy)

IL COSA E IL DOVE Lo scorso 16 Marzo, Renato Rovetta e DECANTER WINE ACADEMY hanno organizzato la presentazione alla Stampa e ai Produttori della Guida 2024 ROSA, ROSATI, ROSÉ. Sede dell’Evento il Ristorante Domus Magnanimi di Roma, all’interno del quale sono stati allestiti i banchi d’assaggio destinati ad accogliere il grande pubblico di winelovers intervenuti e organizzate le masterclass dedicate ai Territori più vocati per la produzione di vini rosati. GLI ASSAGGI Oltre 150 le etichette in degustazione a rappresentare da Nord a Sud l’intero stivale italico attraverso un caleidoscopio di interpretazioni “en rose” del vino. Beh, dato per scontato che non avrei mai potuto assaggiare tutto, sono partito da casa con la mia “road map” di degustazioni e…ovviamente ho poi fatto di testa mia. Cioè, non proprio completamente, diciamo che ho deciso di dare priorità a quelle Aziende delle quali fosse presente il Produttore e affidarmi poi all’estro. Cosa ho trovato? Mhhhh…nella mia solita, totale, sincerità Vi dico che m’aspettavo non “qualcosa” ma “MOLTO” di più! Il mondo dei vini rosati sta giustamente cavalcando la moda del momento ma credo che questo non debba essere un alibi per la produzione di vini “omologati”. Accostarsi a un bicchiere dovrebbe essere solo un primo passo, stimolare la curiosità del consumatore all’approfondimento, alla conoscenza di uomini, Storia, storie, Territori. Mi duole invece dire che, in troppi casi, ho trovato anonimato e facili piacionerie di cui il mondo del vino, nel 2024, non ha bisogno. Comunque, bando alle ciance! Di seguito troverete il mio consueto e incompleto “recit de dégustation” oltre ad una personalissima (e forse troppo cattiva) classifica che Vi invito a discutere e confutare (tra l’altro mi sono reso conto di aver “premiato” solo vini di una Regione che non ha una grandissima tradizione di vini rosati). Dategli una letta e correte ad assaggiare! LA “TOP FOUR” LA TOSCANA AZIENDA GUIDO F. FENDI Una giovane (2009) Azienda a conduzione familiare molto attenta al Territorio, piedi ben piantati nella Tradizione ma sguardo rivolto al futuro. TOSCANA IGT ROSATO “CHICCA ROSATO” 2022: 90% Grenache e il saldo di Syrah regalano un naso di respirosa balsamicità, fresco d’agrume e di una menta che sembra quasi di masticare. La fragola ci sta bene e, ben disegnata, s’accosta a friccicori piccanti di pepe rosa. In bocca mette da parte le durezze balsamiche e si concentra sulle succosità fruttate. Fresco e di comparabile sapidità dimostra grande equilibrio e un finale da acquolina in bocca. Da bere ascoltando “DIRTY BOULEVARD” di LOU REED. VALDONICA Proprietà austriaca per questi 15ha di campagna grossetana con vista sulle Isola del Giglio e Isola d’Elba. Vermentino, Ciliegiolo e Sangiovese, produzioni succose che raccontano il Territorio con dovizia di particolari e spirito moderno. VINO ROSATO FRIZZANTE “COCO” 2021: acronimo di COoperazione tra uomini e COllaborazione con la natura (ma a me piace leggerlo come “COCO CHANEL o, in maniera molto più terraterra come il protagonista di un noto film di animazione). Via di mezzo tra la ricercata eleganza di un Metodo Classico e la rustica semplicità di un “rifermentato” si propone con vegetalità così intense da quasi nascondere i colori della frutta accostandole a note di frutta secca. In bocca è spiritoso ma dimostra sostanza, comandano quei lieviti che sottolineano la nocciola ma emergono intriganti piccantezze a prendere per mano i ricordi fruttati. Chiude leggermente fumé lasciandoVi col dubbio di quanto Vi piaccia e, nel dubbio, allungate la mano per chiederne ancora. Da bere ascoltando “GET THE PARTY STARTED” di PINK. POGGIO L’APPARITA Appena un ettaro e mezzo tra le DOC Maremma e Montecucco che da vent’anni raccontano il Sangiovese(anche in bianco). MAREMMA TOSCANA DOC ROSATO “SAN MICHELE N. 3” 2023: un Sangiovese che non si vergogna della propria anima vegetale e la accosta orgoglioso ai piccoli frutti rossi, all’arancia tarocco, al melone, agli sguardi marini, a un tocco di intrigante fumosità. Sorso di decisa sapidità, che la freschezza pareggia a stento ma cui le morbidezze vengono in aiuto. Chiude saporito e invogliante facendoVi allungare la mano. Peccato non averlo assaggiato tra qualche mese! Da bere ascoltando “MICHAEL” dei FRANZ FERDINAND. I VINI DI MAREMMA Fondata nel 1959, la cooperativa raccoglie oggi 215 soci distribuiti sull’intero territorio della provincia di Grosseto. Grande attenzione alla tradizione vinicola locale e occhio attento alla sostenibilità ambientale. TOSCANA IGT ROSATO “TRAMONTO DI MAREMMA” 2022: completamente differente da quello della precedente annata, si dimostra di marina completezza, affatto dimentico di una nota (fidateVi, non avevo bevuto troppo) di come pesce azzurro propone poi i caratteri varietali del vitigno esaltando in egual misura il frutto rosso e le aromatiche vegetalità in una atmosfera vagamente fumé. Sorso di grande sostanza ed equilibrio, che il connubio “piccantezze di pepe rosa-carezza tannica” spingono a ripetere più e più volte. Fatene scorta! Da bere ascoltando “DIRTY BOULEVARD” di LOU REED. GLI “INSEGUITORI” IL CIPRESSO (LOMBARDIA) 7.5ha che da vent’anni sono dedicati principalmente al Moscato di Scanzo. BERGAMASCA IGT ROSATO “ROSARIO” 2023: un naso tutto da sgranare quello di questo Merlot che, orgoglioso del proprio animo vegetale, non lo nasconde dietro il sipario del frutto rosso ma lo esalta con accenti d’agrume, mandorle ed erbe aromatiche. Sorso sostanzioso (ma davvero sostanzioso!), riempie, disseta e invoglia a sedersi con le gambe sotto il tavolino perché qui, a occhi chiusi, sbaglieremmo colore! TOSCANA IGT ROSATO “ROSAJO” 2023, VALDONICA (TOSCANA): naso ombroso per un rosato! Ben più che sottilmente affumicato Vi mette sotto il naso l’intrico di una macchia boschiva non dimentica di foglie secche, nocciole e forse anche funghi mentre la luce la portano le bacche di corniolo e rosa canina. Sorso di tagliente, verticale freschezza, sottilmente sapido, fin troppo rigoroso nel ricordaVi le acidità della frutta e con un finale che ancora una volta Vi fa stare seduti davanti a un camino spento. LE MARCHE TENUTA BARBAROSSA Siamo a Pesaro sotto quel Castello di Candelara che ospitò “IL” Barbarossa in fuga dopo essere stato sconfitto dalla Lega Lombarda. Una storia recente fatta di recupero di vecchi vigneti, valorizzazione dei vitigni del Territorio, rispetto per l’Ambiente e sostenibilità ai massimi livelli. MARCHE IGP ROSATO “R OSÈ” 2022: un Sangiovese dal naso timido, che sembra vergognarsi di fronte all’invito della bella donna in copertina. Dei gerani e dei ciclamini richiama più la parte erbacea del gambo che la gentilezza delle corolle e arrossisce proponendo fragole e ciliegie. In bocca è vivo il contrasto tra la salata sostanza del sorso e l’accentuata dolcezza di quei richiami fruttati che suggerirebbero un certo residuo zuccherino. Chiude goliardico e quasi vinoso nel sottolineare i sapori dell’uva. E ORA? Adesso è il momento dei ringraziamenti, a DECANTER WINE ACADEMY per avermi ospitato e ai produttori per avermi sopportato. Metto sin da ora in agenda l’Edizione 2025 di una manifestazione che mi auguro che mi piacerebbe potesse contribuire a un successo dei vini rosati che vada al di là delle mode del momento, un successo che deve però necessariamente passare dalla presa di coscienza da parte delle Aziende delle potenzialità delle produzioni “en rose” Roberto Alloi VINODENTRO    
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28 Marzo, 2024

Aglianico MEMINI - 2006 - GUASTAFERRO

L’Aglianico racconta l’Irpinia nel bicchiere dall’alto di una storia millenaria e di un oggi appenappena iniziato. Un oggi firmato da numerosi Produttori illuminati, consci di un Territorio che nulla ha da invidiare a quelli di più nordici blasoni, capace di regalare vini inossidabili. Non conosco la cantina GUASTAFERRO se non per le poche parole dell’amica che m’ha fatto stappare ‘sta bottiglia di emozioni. E proprio perché non la conosco mi limito alle scarne notizie che il web mi concede con la promessa di approfondire il discorso relativo all’Uomo passando, spero, per gli altri vini che produce. 10ha nell’Irpinia di Taurasi, lì dove mi piace pensare che i piemontesi abbiano spiato l’Aglianico per immaginare il loro Barolo. 10ha con una storia che affonda le radici nelle profondità della viticoltura irpina e con un oggi ventennale guidato da Raffaele. Ora, non so se “MEMINI” stia per quel latino “ricordare” cui la professoressa voleva facessimo seguire “meministi” e “meminisse”, certo è che, se così fosse, questo Aglianico avrebbe tanto da far ricordare. Racconterebbe dei vini che furono, sacrificati oggi all’opulenza a scapito di una bevibilità cui lui non ha intenzione di rinunciare. E racconterebbe dell’Uomo che lo fa. Quell’uomo che è vero discrimine e componente spesso dimenticata in quel termine “terroir” troppe volte abusato ed usato a sproposito. Quell’uomo che qui ci mette sotto il naso un fazzoletto di un Territorio che ha forse solo nelle Langhe paragone di complessità e parcellizzazione strutturale. Si, vabbè, ma il vino?! Beh, questo “MEMINI”, pur al giro di boa della maggiore età, dimostra tutta l’incoscienza di un monello. Verticalmente profondo come il cono di un vulcano eppure di grandangolare ampiezza. Riempie il bicchiere come magma che risale dal centro della terra, dirompente come una nuvola di piroclastica, balsamica freschezza. Ed ecco che riuscite dunque a catalogare con precisione tutte le erbe alpine che avete messo a macerare per fare il vostro amaro, le balsamicità di tabacco, le ferrose mineralità. Arrivano poi le grassezze della frutta rossa e nera matura e quelle di un cioccolato che fa comunella con il mentolo per ricordarVi degli “after eihgt” degli anni 80. E poi un secondo giro di freschezze, stavolta succose di arancia rossa e ombrose di sottobosco umido e terroso (foglie e funghi compresi). Cupa la chiusura, che ricorda china, radice di liquirizia, goudron, e grafite. Totemico il sorso, a raccogliere intorno e coinvolgere. Un druido che racconta di sostanza, sottolineando, qualora ce ne fosse bisogno, che le vigne da cui proviene ‘sto vino respirano l’aria frizzantina di quei 500m che sono quasi montagna. Dunque: freschezze a gogo! Da quelle dell’arancia succosa a quelle di un dissetante tè alla menta che ci porta per un istante nello speziato oriente. I tannini? Educati ma non proprio con le braccia conserte, che stanno al loro posto ma vorrebbero uscirsene in giardino a giocare a ‘chiapparella con quella sapida mineralità che si impadronisce del lungo finale di bocca. Da bere ascoltando “B.O.B. (BOMBS OVER BAGHDAD)” degli OUTKAST Roberto Alloi VINODENTRO    
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21 Marzo, 2024

VINI SELVAGGI 2024

IL COSA E IL DOVE Nei giorni 10 e 11 Marzo u.s. le ampie sale de SPAZIO NOVECENTO a Roma hanno ospitato la quarta Edizione di VINI SELVAGGI fiera indipendente dei vini naturali organizzata da Lorenzo Macinanti, Giulia Arimattei e Francesco Testa. Una due giorni pensata per far incontrare chi fa il vino, chi lo racconta, chi lo vende e chi lo beve. Oltre 100 Produttori provenienti da 9 Paesi hanno dunque potuto presentare i frutti di una viticoltura artigiana e rispettosa del Territorio e dell’Ambiente. LO STRANO CASO DEL V.A.N. Alla fiera era presente anche una delegazione V.A.N. e mi sarebbe davvero piaciuto fare due chiacchiere con loro riguardo una brutta situazione che sta andando avanti da tanto, troppo tempo, ma considerando il fattore “folla” ho creduto fosse meglio rimandare ad altro luogo e altra data. Comunque, per farvela breve, il plot di questo fotoromanzo ha come protagonista un EX tesoriere (Emilio Falcione) che “scappa” portandosi via le credenziali di accesso al sito web e alle pagine social e comincia a emettere comunicati “fantasiosi” a nome di un gruppo che non rappresenta più e di un altro che neppure esiste. Il V.A.N. si è nel frattempo riorganizzato cercando per quanto possibile di arginare i danni economici e di immagine derivanti da tale comportamento. Ma nuovo sito internet e nuova pagina ig (https://www.vignaioliartigianinaturali.org/ e https://www.instagram.com/events_van/) poco possono contro il “cattivone” ed ecco dunque che, mentre l’eco di VINI SELVAGGI 2024 ancora risuona, arriva un nuovo comunicato in puro stile Totò nel quale si invitano i Produttori non a votare Antonio La Trippa ma a ribellarsi al comune nemico, quegli Organizzatori rei, a suo dire, di far pagare gabelle troppo salate in cambio di un tavolo sul quale proporre al pubblico i frutti del proprio lavoro. E siccome la realtà supera sempre la fantasia, prosegue dettando più che suggerendo, un proprio D.P.E.F. con tanto di tariffario e calcolo dei profitti cui gli “imprenditori” (leggasi coloro i quali mettono su un qualsiasi Evento enoico) dovrebbero attenersi. Robin Hood scansete proprio!!!! Vabbè, la faccio breve e mentre concludo sottolineando che la Presidente del V.A.N. (quello VERO) Mariangela Parrilla (di cui qui ospiterei più che volentieri le ragioni) ha subito preso posizione difendendo le fiere e chi le mette in piedi oltreché, ovviamente l’unica e sola Associazione che riunisce i Vignaioli Artigiani Naturali, armato di pop corn e patatine, mi dispongo in trepida attesa di una nuova puntata di questa imperdibile telenovela. GLI ASSAGGI Ma ora, dopo la parentesi hollywoodiana, parliamo di vino. È complicato dirVi dei miei assaggi… Complicato perché dovevo scegliere tra più di 1000 etichette, complicato perché non è che c’era molta gente…DEPPIÙ! E complicato perché ben conoscete la mia posizione nei confronti dei vini “naturali”. Riguardo quest’ultima cosa Vi chiederete (e molti Produttori m’hanno chiesto) che caspita ci fossi andato a fare a un evento dl genere. Che domande! Per imparare! Bisogna essere sempre curiosi, uscire dalla strada maestra, percorrere sentieri tortuosi e essere pronti a meravigliarsi di fronte all’inaspettato. Armato dunque di tanta buona volontà ho sfidato l’acqua che il cielo elargiva a piene mani per farmi largo tra la folla seguendo estro, fortuna e spazi miracolosamente liberi. Si, m’ero fatto la mia bella lista di Aziende da “disturbare” ma, come nella migliore tradizione, l’ho dimenticata sul tavolo e allora libero sfogo alla fantasia. Cosa ho trovato? Beh, devo ammettere che rispetto a qualche anno fa il livello qualitativo si è decisamente alzato. Certo questo non vuol dire che l’improvvisazione sia sparita del tutto, ma quelle nebbie di volatile o l’atmosfera “bagni di Tivoli style” che si respiravano tempo addietro si sono notevolmente affievolite. I Produttori assaggiano, studiano, imparano, a volte sbagliano ma è chiara la volontà di (quasi) tutti di crescere e proporre vini “puliti” al di là delle mode e di quegli appellativi dietro cui mascheravano impreparazione e risultati discutibli. Vabbè, bando alle ciance. Vi lascio alla lettura della mia personalissima “TOP SEVEN” (cui, perché non diciate che sono troppo cattivo, ho affiancato 8 “QUASIQUASI”). Una classifica estrapolata dall’assaggio di una cinquantina di vini, un viaggio tra assaggi “discutibili”, sorsi di cui si potrebbe tranquillamente fare a meno e perle di assoluto valore.   A proposito: come sempre, degli altri vini potrete leggere qui. Let’s go tasting! LA SLOVENIA JNK Tre ettari e mezzo dalle parti di Šempas, in quel Collio Goriziano che dall’altra parte dei confini tracciati dall’uomo diventa Goriska Brda. Sta lì dal 1890 e io è da un po’ di tempo che dico di farci un salto (in fondo sta a un’oretta di macchina da casa) ma i miei soggiorni friulani sono un caos di “saluta qua, saluta là” e il tempo non basta mai. Qui le macerazioni non sono moda ma tradizione e i risultati lo confermano. Produzioni tutte da provare, vini cui avvicinarsi curiosi e aperti alle esperienze, senza aver paura di lasciare la propria confort-zone di assaggio. VIPAVSKA DOLINA ZGP CHARDONNAY 2018: il naso rivela un animo giallo come le mele renette mature, come l’albicocca, come la camomilla, come la scorza d’agrume. Grasso come il burro, dolce come il miele e la frutta secca in pasticceria, come il profumo dei tigli in fiore portato dalle brezze. Il sorso è un caldo abbraccio al palato, una carezza glicerica che la freschezza prova a gestire e la sapidità di un mare che era a squarciare. Finale lungo, lunghissimo, dolce, pulito. Un vino massiccio eppure incredibilmente scorrevole. Da bere ascoltando “SMOOTH OPERATOR”di SADE. VIPAVSKA DOLINA ZGP REBULA 2013: al naso emana un fascino tutto femminile, evidenzia persino il rossetto, la cipria, il fondotinta… Gli basta una strizzatina d’occhio perché Voi cadiate ai suoi piedi! Se però doveste riuscire ad aprire gli occhi, scoprireste il fieno con che cela mele messe lì ad appassire, note di frutta secca, fiori gialli, un’idea di rabarbaro, legni nobili… In bocca il tannino c’è e si sente, nessuna voglia di mascherarlo, Vi schiaffeggia, amplifica le amaritudini di frutta secca e affianca una sapidità profonda non pareggiata dalla pur vivace freschezza. Un sorso che, se dovesse essere un colore, sarebbe rosso, come la passione. Da bere ascoltando “LIFE ON MARS?” di DAVID BOWIE. IL MOLISE AGRICOLAVINICA VI.NI.CA. (acronimo di VIttorio, NIcholas e CArola) nasce nel 2007 sulla collinare dorsale appenninica di Ripalimosani da passione e voglia di valorizzare un territorio, come quello collinare molisano, storicamente vocato alla viticoltura. 220ha complessivi di cui il 10% vitato. Primi impianti nel 2009, grande attenzione alla Tintilia (quella di montagna) ma senza dimenticare gli internazionali Sauvignon, Riesling e Merlot. SAUVIGNON DEL MOLISE DOC “LAME DEL SORBO” 2020: un naso colorato e caleidoscopico BBOOOMM che oggi se la gioca per il premio “SURPRAIS”. Il primo colore che mi viene in mente è il verde, quello dell’erba da sfalcio e quello della pesca, dolce ma ancora lungi dall’essere matura. Poi il rosa del pompelmo, il grigio del camino spento, il bianco dei fiori d’acacia e quella sottile nota foxy che lo rende giustamente rustico facendocelo valutare per un prodotto della fatica e della terra piuttosto che un qualcosa di trascendentale. In bocca me lo aspettavo più fresco eppure è un bisturi che seziona con cura e a fette sottili i descrittori olfattivi. Lungo il finale salino di un vino che DOVETE assaggiare assolutamente. Da bere ascoltando “THINGS ARE LOOKING UP AGAIN” di LYAMBIKO. VINO FRIZZANTE “OUTSIDER” 2020: beh, questo è un vino di quelli che passano dal naso giusto il tempo di finire in bocca. È un attimo! Quel tanto che serve a riempirsi le narici di pompelmo. Poi è un sorso (il primo), lungo, dissetante… Ne seguiranno altri senza scuse, per puro piacere. Da evitare di tenere in frigo quando si ha sete! Si becca il mio premio “LEVATEMELO”. Da bere ascoltando “ME SO’ ‘MBRIACATO” di MANNARINO. LA SICILIA ETNELLA Un’Azienda giovane, nata nel 2008 sui versanti Orientali e Nord-Orientali dell’Etna. Impianti anche secolari (e pre-fillosserici) che sfidano il limite altimetrico della vite e sono praticamente esenti da qualsiasi intervento umano. Produzioni “artigianali” che in alcuni casi si muovono scaltramente sul filo del difetto e che interpretano benissimo le diverse sfaccettature della lavica mineralità della “Muntagna”. Sorvolo sui due assaggi di Sidro (il primo a base di mele Gelato Cola il secondo che aggiunge alle stesse il mosto del Nerello Mascalese) perché confesso di saperne meno di quanto sappia di vino e…prima di azzardare parole tocca studiare. VINO BIANCO “OXYGEN” 2022: Chardonnay da botte scolma a scimmiottare i prodotti del Jura. Confesso di esserne disorientato! Ossidazione e volatile menano fendenti a destra e a manca e io sono lì, inerme, preda di sensazioni contrastanti. Poi scelgo la via dello Zen e mi si schiude un panorama di frutta gialla disidratata e fiori secchi, freschezze d’agrume amaro a irridere dolcezze di vaniglia e albicocca e accompagnare il sale di un mare lontano. Deve varcare la soglia delle labbra per farVi felici. Sorso velocissimo e traditore (okkio ai suoi 14° alcolici), complesso eppure di disarmante spontaneità viscerale, privo di dubbi. Un vino che non comprerei ma che mi piace davvero un sacco. Da bere ascoltando “OSSIGENO” degli AFTERHOURS. LA SARDEGNA DETTORI Da più di quarant’anni DETTORI rappresenta una splendida realtà di quella Romangia che si affaccia sul Golfo dell’Asinara. Un mix di studiata biodinamica e libere interpretazioni che, al di fuori delle Denominazioni, valorizza i vitigni autoctoni regalandoci risultati di assoluta eccellenza. ROMANGIA IGT ROSSO “CHIMBANTA” 2021: Monica e basta. Il naso vi fa camminare in bosco scuro, resinoso, calcare terra, foglie bagnate, funghi e poi uscite a “riveder le stelle” a respirare brezze salmastre e cespugli di rosmarino, a fumare tabacco… In bocca la rispondenza è disarmante, strapiombante la freschezza granitica la sapida mineralità, infinita la chiusura. Bello, bello davvero! Da bere ascoltando “CHERI CHERI LADY” dei MODERN TALKING. ROMANGIA IGT ROSSO “DETTORI” 2020: uno dei tre vini provenienti dal CRU BADDE NIGOLOSU (quello prodotto con le uve del vigneto più vecchio). Tre vini da tre vigneti diversi, tre vini per capire un fazzoletto di Territorio. L’imprinting olfattivo è di aromatiche dolcezze e sciorina fichi e datteri (forse perché sono appena rientrato dalla Giordania), poi arriva l’arancia a rinfrescare, il mirto a far schioccare la lingua, il tabacco…quello da fumare a fine pasto. Ed un’eco di mare lontano soffiata dal maestrale che piega i cespugli di macchia mediterranea. Sorso potente ed elegante, di grande rispondenza e tannini sapientemente smussati e chiusura mentolata. Un vino per piccoli gesti e grandi amicizie, un vino per i silenzi del fuori pasto, un sorso per sogni e pensieri. Da bere ascoltando “THE SOUND OF SILENCE” DI SIMON & GARFUNKEL. I QUASIQUASI RIEDENGERHOF (ALTO ADIGE) Piccola realtà che, pur facendo perno su quelli che circondano il maso omonimo, ha vigneti assolutamente “urbani” tra i quali passeggiare visitando Merano. I vitigni sono quelli classici, gli interventi ridotti all’essenziale (la certificazione BIOLAND è particolarmente rigida) e la produzione artigianale, affatto scontata e…tutta da assaggiare. DOLOMITI IGT SCHIAVA “FRASCHIATA” 2021: abita da subito i tonneau aperti e ci si chiude poi in letargo per un annetto uscendone fuori carico di ciliegie croccanti, di vispa peposità e di intriganti amaritudini di osso di pesca. Il sorso è un’armonia di morbidezze e freschezza fino a quel finale così salato da far scuotere la testa! Chiude amaricante rincarando la dose di freschezza ed invitandoVi a vedere cosa può regalare un vigneto “di città”. TEREN (FRIULI VENEZIA GIULIA) Sacile, un pezzo di Friuli che è ancora Veneto. 12ha vitati (più altri 16 dedicati in gran parte a grani antichi su cui mi piacerebbe indagare per saperne qualcosa in più), una storia iniziata trent’anni fa, biodinamica da 4 anni e una produzione enoica che punta alla leggerezza e strizza l’occhio al tempo che fu. VINO BIANCO “ARGILLA BIANCO” 2022: due le vendemmie più un’altra dedicata a solo tre filari lasciati lì a “surmaturare” per portare a casa questo Tocai Giallo che si lascia andare a dolcezze di acacia e di miele piuttosto che raccontare una mandorla bianca spellata e di dolce mette anche un pizzico di spezia a separare fiori di campo e erbe amare. Il sorso, di buona freschezza, è segnato da quei tre filari tre che sottolineano le morbidezze, ma non dimentica inserti sapidi e ricordi di mandorla. BOSSANOVA (ABRUZZO) Una giovane realtà che, sulle Colline Teramane di Controguerra, alleva vitigni autoctoni seguendo biodinamica e tradizione. 9ha vitati sui 26 complessivi, niente legno e solo cemento per produzioni vibranti come il genere musicale da cui prende nome la cantina. TREBBIANO D’ABRUZZO DOC 2022: da vigne di cinquant’anni un Trebbiano che si presenta al naso con una riduzione DAVVERO difficile da digerire. Ma oggi sono nella tana del lupo e pronto a slogarmi il polso a furia di roteare il calice. Ecco dunque diradarsi le nebbie sulfuree e palesarsi la frutta gialla e i piccoli fiori di campo. C’è la camomilla ad addolcire ma è il tè che alza la voce mascherando quasi del tutto il calore delle messi assolate. Sorso che il quid di grappolo intero restituisce più tannico di quanto atteso da un Trebbiano. Un bel gradino avanti rispetto all’olfatto, maturo, di alcolica, glicerica sostanza, di eleganza contadina, non borghese, piacevolmente sapido e con una chiusura tutta dedicata alla frutta. Mannaggia a quel naso! MONTEPULCIANO D’ABRUZZO DOC 2022: le stesse vigne da cui proviene il Cerasuolo ci regalano un  che non nasconde affatto il proprio grado di parentela con il fratello “decolorato” (e neppure la firma del Produttore). Al naso sottolinea il proprio animo green lasciando al frutto (più prugna che ciliegia) ed alla spezia il ruolo di coristi con soffi balsamici a fare da controcanto. In bocca è agile e scattante, fresco, succoso, piacevolmente grippante, tratteggia un panorama più ampio rispetto al Cerasuolo ma senza vergognarsi del proprio stile naif. AGRICOLAVINICA (MOLISE) TINTILIA DEL MOLISE DOC ROSATO “LAME DEL SORBO” 2021: delicato all’occhio, delicato al naso. Ha un “appena” di tutto, un “appena” di colore, un “appena” di lampone, un “quasi” di agrume, un “soffio” balsamico. Il sorso è invece una lama, non quella “del Sorbo”, ma quella di una sega. Affilata ma per un taglio rustico, non come quello di un bisturi, uno zigozago di succosa melagrana e sottili peposità. Inatteso. ETNELLA (SICILIA) TERRE SICILIANE IGT ROSSO “VILLA PETROSA”: 80% di Nerello Mascalese e il resto di Cappuccio provenienti da una piccola vigna in una GRANDE contrada. Un po’ di volatile è lì a disturbare l’olfatto ma qualche colpo ben assestato al calice e la dovuta “tara” risolvono in fretta lasciando ampio spazio ad un vino duro, pietroso, che mette a fuoco i pochi ciuffi d’erba verde tra gli arbusti secchi e non si dimentica dell’incarnato rosso dei piccoli frutti, della cannella, delle erbe aromatiche. Sorso profondo come il camino vulcanico, a pescare calore dalle viscere della terra e mixarlo con la freschezza dei quasi mille metri di quota. Confonde poi il solletico tannico dietro sopite dolcezze e chiude su lunghe aromaticità facendoci alzare lo sguardo verso il cratere. Gli do il mio premio “MANNAGGIA” per quella volatile che…mannaggia! DETTORI (SARDEGNA) ROMANGIA IGT BIANCO “DETTORI BIANCO”: un Vermentino che, in una atmosfera più salmastra che minerale, riempie il naso di fieno caldo e dolcezze di miele e fichi che fanno a sportellate con amaricanti sensazioni balsamiche di finocchietto selvatico per chiudere poi su note di pompelmo maturo e lasciarci lì a pensare a quella nota smaltata che… Sorso che riserva una carbonica sorpresa (imbottigliato Maggio 2022 quindi ampiamente voluta), ampio, rispondente, fresco e morbido al contempo evidenzia una salinità che sembra cercare lo scontro e conduce invece ad un finale estremamente lungo. Credo diventi un gran vino ma non ora, non qui. VINO ROSSO “RENOSU”: metà Cannonau e il resto Pascale e Monica a mezzi per un olfatto mediterraneo che spazia dalle olive ai cespugli di rosmarino e origano passando per dolcezze di spezie e frutta disidratata e chiude lasciandoVi seduti di fronte al camino a mangiare frutta secca. Sorso di compiacente scorrevolezza e di decisa, minerale sapidità che non si vergogna di ricordarVi, con rustica eleganza, quanto apprezzato dall’olfatto, sottolineando le note vegetali senza dimenticarsi del frutto. Così “quotidiano” che verrebbe voglia di dimenticarsi del calice e tornare ai cari, vecchi, bicchieri da osteria. E ORA? Beh, ora è come sempre il momento dei ringraziamenti, agli Organizzatori per avermi ospitato e ai Produttori per avermi sopportato, avermi insegnato tante cose nuove e avermi fatto conoscere filosofie, territori e stili che saranno motivo di approfondimento nei mesi a venire. Metto dunque in agenda sin da ora una Edizione 2025 che spero ancora più vivace e nel frattempo cerco di star dietro a un calendario di Eventi che si preannuncia davvero impegnativo. Roberto Alloi VINODENTRO  
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