Château La Coste: vino, arte e architettura
Château La Coste è un museo en plein air, capace di portare tra le vigne della Provenza il meglio dell’arte e dell’architettura contemporanea. Da Ai Weiwei a Renzo Piano, passando per Bob Dylan.
Château La Coste, tra Aix en Provence e il parco vinicolo del Louberon, è una tenuta estesa su 200 ettari, di cui 130 coltivati a regime biologico. Un luogo di produzione di grandi vini rosé (non solo), ma soprattutto di cultura. Una meta da non perdere per chi, come me, ama il vino, l’arte e l’architettura. Meglio ancora se goduti in simultanea, e nella rilassata dimensione del viaggio.
Un muro di cemento, un hangar e un enorme ragno: questi i tre “segnali” di benvenuto alla tenuta, non esattamente incoraggianti. Ma non tutto è ciò che sembra, ovviamente.
Il grande muro non delimita nulla, è come una quinta d’autore nel paesaggio. Chi mastica di architettura riconosce subito la cifra stilistica di Tadao Ando, progettista cult giapponese. A lui il proprietario della tenuta – il collezionista d’arte e magnate irlandese dell’hotellerie Patrick McKillen – chiede nel 2007 di progettare L’Art Centre, aperto al pubblico nel 2011. L’edificio triangolare in vetro e cemento, che cita Le Corbusier, funge da centro di informazioni e accoglienza, libreria, ristorante, ma anche contenitore museale. Nello specchio d’acqua che lo circonda giganteggia il ragno di cui sopra, dalla celeberrima serie Crouching Spiders di Louise Bourgeois, ma si specchia anche una delle sculture mobili di Alexander Calder. Non male come premessa.
Questo è il centro nevralgico da cui si diparte una promenade naturalistica (tra vigneti e boschi), artistica e architettonica unica al mondo, che conta oltre 40 “tappe”, tra sculture, installazioni, padiglioni per esposizioni temporanee. Gran parte delle opere nascono in-situ: artisti e architetti sono stati negli anni invitati nella tenuta (che ovviamente comprende anche un resort esclusivo, Villa La Coste) e hanno personalmente scelto il luogo di ispirazione e collocazione del proprio lavoro.
Tra le varie architetture spicca la doppia struttura metallica a tunnel, il già citato hangar. L’avveniristica costruzione in lamiera ondulata d’acciaio non è una rimessa: è la cantina di vinificazione, progettata da Jean Nouvel nel 2008, in sostituzione di quella storica riconvertita a sede espositiva.
Poco distante, da un movimento tellurico di coperture in vetro dall’apparente equilibrio precario prende forma il Music Pavillion firmato da Frank Gehry.
Inaugurato da pochi mesi, un edificio curvilineo, immerso in una vigna di vermentino, ospita una sala mostre e un auditorium. Ha un valore speciale, perché è l’ultimo progetto del grande architetto brasiliano Oscar Niemeyer: vede la luce a dieci anni esatti dalla sua scomparsa, alla veneranda età di 105 anni.
Anche la galleria che si protende a sbalzo nel paesaggio, come un cannocchiale puntato sulle colline, è il testamento del suo autore, Richard Rogers. Non a caso l’estetica industriale della struttura richiama quella del Centre Pompidou a Parigi, coprogettato con Renzo Piano.
E poteva forse mancare Piano, in questo gotha dell’architettura contemporanea radunato tra le vigne? Il suo padiglione espositivo si immerge nella terra con una lunga e austera rampa, ma è inondato dalla luce grazie ai lucernari a vela che ricalcano i profili dei colli in lontananza.
Al momento della mia visita ospitava la mostra Drawn Blank in Provence: una serie di dipinti di Bob Dylan, evidentemente folgorato dalla luce della regione, come ai tempi Cezanne e Van Gogh. Il tutto in dialogo con opere di Picasso, Matisse, Monet, e Chagall. Chapeau, si dice lì in zona.
Il Nobel-cantautore ha voluto definitivamente accreditarsi come artista lasciando allo Chateau anche una grande installazione permanente in ferro, Rail Car. Ci si può arrivare percorrendo un sentiero in pietra, opera di Ai WeiWei, dopo avere magari già apprezzato gli interventi di artisti del calibro di Richard Serra, Sean Scully, Yoko Ono, Sophie Calle, Jenny Holzer, Daniel Buren solo per citarne alcuni.
Concludere la visita con la degustazione delle tre gamme di vini proposte dalla Cantina, ognuna declinata in rosé, rosso e bianco (che meritano una trattazione a parte), è la degna conclusione di un’esperienza totale, dei sensi e dello spirito.
Château La Coste rappresenta al meglio una tendenza in atto già da qualche anno (anche in Italia, vedi Ceretto, Antinori, Cà del Bosco e molti altri) per cui dalla cantina passano nuove forme di mecenatismo d’arte, di marketing territoriale, di alta ospitalità che unisce gusto e cultura. E la cantina stessa, grazie all’architettura, si trasforma in landmark.
A cura di Katrin Cosseta