30 Ago 2024
Food&Life

Birrificio Sangermano 18. Lorenzo Pirani: piccolo piccolo, grande grande

Ne ho conosciuti nella mia vita di figli di papà. Ragazzi che hanno goduto dei successi dei propri genitori o dei nonni. Per nulla impazienti di cominciare a darsi da fare nell’azienda di famiglia. Per nulla vogliosi di contribuire allo sviluppo. Molto interessati a godersi la vita con i soldi della famiglia. 

L’altra notte vedevo un film in seconda serata (che ormai inizia alle ventitré se va bene). Si chiamava Belli di papà. Un film del 2015 diretto da Guido Chiesa con Diego Abatantuono nel ruolo del padre imprenditore di successo e i figli, Andrea Pisani, Matilde Gioli e Francesco Di Raimondo impegnati, ognuno con le loro inettitudini, a sperperare i soldi paterni. Un convincente film ben diretto capace di mettere in risalto, con ironia, l’incapacità di alcuni giovani di assumersi le proprie responsabilità. Tanto, c’è sempre qualcuno in famiglia che lo fa per loro.

Sono Lorenzo Pirani. Sono nato il 9 dicembre del 2003 dunque sono giovanissimo. Ho fatto le superiori a Fabriano, all’Agrario. Sono un Perito Agrario. Il mio birrificio è un birrificio agricolo perché la mia birra non parte dal birrificio ma dal campo. Per coltivare tutta la mia passione per la birra ho fatto la scelta di iniziare a studiare dal campo. Affascinato dalla terra che era ed è la mia passione. La natura, le piante, gli animali. Mi fa sentire bene. Due anni fa ho lavorato in fabbrica per tre mesi e mi sono trovato male. Essere un robot mi dava fastidio. Voglio essere padrone delle mie azioni e della mia vita variando ogni giorno. 

La famiglia di Lorenzo è una famiglia semplice. Marchigiana di Camerano. Mamma Lisa, un fratello più grande Antonio e una sorella più piccola, Viola. Papà Corrado purtroppo non c’è più. Nel gennaio del 2013 una brutta malattia se lo è portato via. Aveva lavorato per tanti anni in quella che era l’azienda dove lavoravano gran parte delle persone della zona, la Merloni.

Mai affidarsi totalmente ad una grande azienda: prima o poi presenta il conto. Già, ma come fai se c’è solo quella. Se i politici e gli amministratori fanno di tutto per far assumere persone. Se l’economia della zona si basa solo su quella. Ne abbiamo avuti di esempi, sempre mal gestiti e andati a finire male, in Italia. 

Gli anni che vanno dal 2007 al 2010 segnano per il settore degli elettrodomestici una crisi che non può che sfociare in tagli e ristrutturazioni. Non bastano i soldi dello Stato per evitare i licenziamenti definiti, con scarso senso di innovazione, necessari per far ripartire l’azienda!

Il 2009 è l’ultimo anno di Corrado Pirani alla Merloni. Una volta senza lavoro, occorre trovare altro. Complicato, dannatamente complicato per quelle zone e per quei tempi se non fosse che il papà di Lisa è proprietario di una bella azienda, la German Plast. Un posto per Corrado magari lo trova pure.

Al tempo. Non voglio certo intromettermi in affari di famiglia ne giudicare nessuno. Dico solo che Corrado un posto lo avrebbe certamente avuto li. Lui però fa una scelta diversa: decide di produrre birra artigianale. 

Le cose non vengono da sole. Hanno bisogno di essere coltivate come si coltiva un campo di grano. Crescono e si sviluppano solo se hai cura di loro. Se riesci, giorno dopo giorno, a non stancarti di curarle. 

Corrado aveva la passione della birra. Come tanti, produceva la birra in casa sfruttando le varie ricette e i kit che oramai si trovano sempre più in commercio. Una tendenza che negli ultimi anni ha diviso e fatto discutere in rete e al bar per chi considerava gli homebrewer dei piccoli chimici o ancora peggio dei vignaioli mancati.

Invece di inneggiare alla bellezza delle diversità, ci si divide in sette che si cortocircuitano da sole. È senz’altro vero che ì birraioli producono la birra con ricette ed ingredienti che si possono trovare in ogni momento dell’anno mentre i vignaioli possono fare il vino una volta l’anno. Ma non è anche vero che la chimica c’è in entrambe le parti?

Occorre sempre quel sano equilibrio che non tutti hanno (anche se pensano il contrario).

La passione delle birra è nata da mio padre. Nel 2009 papà venne licenziato dalla azienda di Camerano, la Merloni. Lui già faceva birra in casa con i kit. Gli veniva bene e gli piaceva. Io ci provo disse. Noi abitiamo sopra il birrificio che era una ex fabbrica di mio nonno. L’ha ristrutturata e ridipinta. Messo su un piccolo impianto. Da 100 litri. Da homebrewer più che da birraio professionista. Ha funzionato.

Ha funzionato davvero perché il tredici luglio del 2013 nasce ufficialmente il Birrificio San Germano 18. Un nome per il quale papà Corrado non è che si sia sforzato più di tanto ne attuato particolari analisi di mercato. Ha scelto l’indirizzo di casa ovvero quello del birrificio. Situato appunto al numero 18 di via San Germano a Camerano. Che grande dico io: sono le cose semplici quelle davvero meravigliose.

Così il nome, altrettanto il marchio. Corrado scelse la tigre di Sandokan, quello delle Tigri di Mompracem. Ve lo ricordate Kabir Bedi nello sceneggiato che ci ha tenuti incollati allo schermo nel 1976? Sei puntate così intense da creare una tale breccia nel cuore degli italiani che per ben 20 anni (fino al 1996!) siamo stati bombardati da film e ulteriori serie tv tutte tratte (o ispirate) ai romanzi di Emilio Salgari.

Mitica la scena di Sandokan che, trovandosi faccia a faccia con la tigre della Malesia, le corre incontro e con un balzo nel vuoto a mò di tuffatore di una prova RedBull, le squarcia la pancia con il proprio affilatissimo coltello. Applausi a scena aperta di tutti gli spettatori ivi inclusa la Perla di Labuan alias Lady Marianna Guillonk alias Carole Andrè. Divina.

A mio padre piaceva Sandokan. Rivisitata un pò per evitare problemi con il copyright. 

Un piccolo birrificio che produceva e vendeva birra quel tanto che bastava per sperimentare, divertirsi e tirar su i soldi necessari a continuare a portare a casa uno stipendio.

Un impegno non da poco perché Corrado oltre a studiare e creare birre diverse partecipava alle fiere di settore e gestiva il birrificio anche con i tavoli all’aperto in estate utili per creare una atmosfera da beer garden. 

Mi sono appassionato a differenza di mio fratello e sorella che lo vedevano come un peso. Papà è riuscito a trasmettermi la sua passione. Così quando nel novembre del 2022 si è ammalato e nel gennaio del 2023 è morto, con la famiglia abbiamo preso il birrificio e io lo sto portando avanti.

Lorenzo non ha ancora finito la scuola quando muore papà Corrado. 

Una perdita. Uno shock. Alle volte è come uno schiaffone che ti arriva quando meno te lo aspetti anche se te lo aspetti perché sai di aver combinato qualcosa. Così puoi arrabbiarti con il mondo e prendere la strada della ribellione oppure capisci che la tua strada è proprio dinanzi ai tuoi occhi. È li. È sempre stata li. Ma eri troppo impegnato a fare (o non fare) altro per accorgertene. 

Finito il diploma mi sono iscritto in un corso a Padova, una accademia per diventare birraio professionista. Corso intensivo e a marzo dello stesso anno mi sono diplomato dopo uno stage. 

Avere un pezzo di carta vuol dire tutto e niente. È l’esperienza per far crescere la qualità di birra che mi interessa.

Lorenzo vuole continuare nel solco tracciato da papà Corrado. Suo fratello Antonio ha preso un’altra strada e dopo la laurea in ingegneria, lavora in fabbrica dal nonno. Viola, sua sorella, è ancora troppo piccola per decidere. Mamma Lisa non può che assecondare questa passione mista a voglia di Lorenzo. 

Papà non ha avuto la possibilità di insegnarmi le cose perché è stato male. Mi diceva butta questo, butta quello. Facevo le cose perché me lo chiedeva lui. Dopo l’ho capito. Mi ha trasmesso però l’educazione verso i clienti e la metodicità e l’attenzione ai particolari. Puntando sempre al top. Io so che potrei fare una birra più alta di qualità ma non avendo le attrezzature adatte, non riuscirei mai. 

Quando parlo con Lorenzo trovo un ragazzo ancora acerbo (normale vista l’età) me umile e riflessivo. Non è di quelli che pensano di saper fare le cose meglio degli altri. Studia, si documenta, parla con le persone, si confronta in continuazione. Sa che per arrivare occorre rimboccarsi le maniche e lavorare sodo. A partire da una filosofia di produzione delle birre.

Prodotti del territorio e controllo della filiera sono i primi punti sui quali appoggiarsi con solidità così da ritrovarli nelle bottiglie.

Pianto l’orzo, lo porto alla cooperativa per conferirlo. Viene stoccato e poi trasformato in malto. È mischiato ma è un malto d’orzo di qualità con filiera certificata. Selezioniamo ogni destinazione d’uso del singolo lotto. Lavoriamo con livelli elevati di proteine altrimenti perde tutta la caratteristica delle birre agricole. Diventa industriale. Quando i livelli di proteine salgono facciamo altri tipi di malto più intensi. Scartiamo fino al 55% del totale. Lo scarto serve per altri prodotti anche animali.

Poi la standardizzazione dei prodotti che non vuol dire cercare di creare qualcosa di industriale ma la voglia di offrire una solidità al marchio attraverso la riconoscibilità dei prodotti. 

Papà era più da vecchio birraiolo. Non era aggiornato nei tempi. Utilizzava ricette vecchie. Più da cose di casa che da birra professionale. Però vendeva la birra e andava pure bene. Solo che le sue birre erano sempre diverse. Provava, cambiava le ricette. Io sto cercando un prodotto più standard. Papà aveva delle birre a catalogo ma alle volte erano più amare, magari più dolce, poi più profumate. Erano buone e alla gente piaceva. 

Se da un lato è affascinante trovare con lo stesso nome birre leggermente o profondamente diverse, dall’altro diventa complicato spiegarlo e motivarlo ai clienti. 

Lorenzo lo sa e lo capisce. Da qui la necessità, mantenendo le ricette originali del papà, cercare di standardizzare la produzione per avere prodotti sempre simili. Ricette da custodire gelosamente e migliorare a poco a poco. Nessuna, davvero nessuna velleità di cambiarle perché sa di non essere ancora abbastanza esperto. Cambiare qualcosa, qualche piccola cosa, però per migliorare.

Le mie sono quelle di una volta ma sto migliorando la linea di mio padre. Cambio le percentuali o un ingrediente per farla venire migliore. Soprattutto è cambiata la filosofia: prima si lavorava in famiglia e si produceva per far star bene la famiglia. Io voglio più produzione per far conoscere il birrificio e crescere con questo. 

Giusta ambizione per un ragazzo che vuole puntare in alto. Perché questa deve essere la sua vita. In rispetto di se stessi e del padre che lo ha indirizzato. 

È ancora agli inizi e lo sa. Gli attuali 10.000 litri annui lo collocano tra i micro birrifici. 

Ne ha di strada da fare!

Le sue birre o, se vogliamo, le birre di papà Corrado rivisitate da Lorenzo, sono decisamente interessanti. Ne ho assaggiate tre che, come tutte le altre, sono crude, non filtrate e rifermentate in bottiglia.

La prima è la Giana. Una bionda che per la sua semplicità alcolica 4/5° è fatta perlopiù da acqua. Proprio all’acqua deve il suo nome ovvero a quella che per gli abitanti di Camerano è la presenza spettrale che si aggira a protezione de “La Fontanina”. 

Giana è semplice ma di impatto per via del vegetale che si sposa con l’agrume donando alla bocca una piacevole freschezza e scorrevolezza. Grande sapidità e buona persistenza. Una birra che accompagna piacevolmente l’aperitivo o un pranzo leggero. Per goderne a pieno direi patatine fritte a go go!

La seconda è la IPA Gradina che fa sentire subito il suo luppolo al naso per poi riprodurlo fedelmente in bocca. L’amaro del naso sembra quasi scontrarsi con l’affascinante colore dorato che sa di oro zecchino. Un finale di bocca pulitissimo che tende (tende e meno male non riesce!) grazie ad un olfatto e retrogusto di agrumi, carrube, banane, cedro e mallo di noce, ad alleviare quel meraviglioso senso di prezioso e tipico amarognolo. Persistenza anche lunga.

A proposito, in omaggio al territorio, la Gradina di Camerano è una sorta di collina a forma conica utilizzata in epoche preistoriche come sede di villaggi fortificati. 

La terza è l’Upupa, una birra rifermentata con il miele. L’Upupa è l’uccello che si nutre di ciò che trova nel bosco. Un pò come le api che vanno di fiore in fiore per generare il miele così da consentire all’azienda Upupa di produrre il miele che Lorenzo usa per la sua birra. 

Molto rotonda quasi a ricordare una rossa. Le note di miele, luppolo e agrumi che appaiono al naso si ritrovano immediatamente al sorso donando avvolgenza, intensità e persistenza. Il finale amarognolo consente a questa birra di non essere stucchevole. Volete un abbinamento perfetto? Un’anatra con condimento al miele o, per stupire, dei biscottini di pasta frolla.

Non ho assaggiato ma lo farò alla prima occasione alcune birre delle quali mi ha parlato Lorenzo. Stagionali perlopiù ma dal mio punto di vista interessanti per il gusto, la possibilità di abbinamenti ma ancor di più per gli elementi di produzione:

Maratta la bionda aromatizzata al karkadè e ai frutti rossi (elementi coloranti utilizzati dai pittori del 1600 tra i quali Carlo Moratti detto Maratta nato a pochi metri da via Sangermano);

Primizia, l’ambrata aromatizzata che coniuga i sapori dei frutti primaverili ed estivi (pesca e uva fragola) con quelli autunnali ed invernali (castagne e cachi);

Sprevengoli (i folletti del Conero) per la birra Smoked Ale;

Zen, la bionda aromatizzato allo zenzero;

Sbriuda, la ragazza libera e ribelle del dialetto del Conero, fatta con la fermentazione e rifermentazione del mosto d’uva della campagna di Lorenzo.

Ce ne sono tante altre. Ne ho contato sul catalogo oltre 15. Non so dire se troppe, forse si ma le ricette di papà Corrado da onorare e riformulare sono tante. 

Molte birre che sono a listino non le facciamo tutti gli anni. Quando riusciamo facciamo quelle speciali. Negli ultimi anni è aumentata la richiesta di birra così metto da parte il fare quelle stagionali o speciali.

Tutti gli stili delle birre le ha create mio padre. Io ho portato la standardizzazione di questi. Mi metto dalla parte del cliente che compra la mia birra. Non avendo un prodotto standard non lo racconterebbe bene. Devo essere certo che quando un cliente assaggia una birra sia riconoscibile.

La passione per la terra. La passione per la birra. Uno shock che prima ti abbatte poi ti fa rialzare. Capisci che non puoi rimanere a terra. Che la tua strada è quella che qualcuno, in qualche modo, ti ha lasciato come vera eredità. Il tempo è giusto per te. La strada adesso è per te e solo tu dovrai trovare il modo per coinvolgere il resto della famiglia e chi verrà dopo di te.

L’umiltà nel pensare di non essere già arrivato. Di dover preservare il lavoro fatto prima di te. La necessità di studiare e confrontarsi come come di sperimentare e innovare. 

Bravo Lorenzo. Questo tuo essere piccolo piccolo oggi, ti aiuterà a diventare grande grande domani. Anche se la grandezza sta già nella tua umiltà e nei prodotti che crei.

Me lo immagino papà Corrado si scola con soddisfazione una tua birra dicendo: bravo il mio ragazzo!

Bravo Lorenzo!

PS a via Sangermano 18 oltre al birrificio agricolo c’è anche il Pub di Lorenzo. Se passate da Camerano, magari per capire se qualche strega riuscite a vederla a La Fontanina, fateci un salto!

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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