09 Ago 2024
Suggestioni di Vino

Stefano Poser. Sassocorno, la vigna del medico

Stefano Poser è un medico specializzato in kinesiologia applicata. Una pratica scientifica volta a diagnosticare e curare una serie di malattie mediante l’analisi della forza e del tono muscolare.

Come medico sono alternativo, uso rimedi naturali e una medicina non convenzionale. La disciplina che faccio io si chiama kinesiologia applicata che consiste nel lavorare con dei test muscolari. Individuare le cause dei problemi e curare la causa non i sintomi. Dovrebbe essere utile alla salute delle persone.

La pratica kinesiologica gliela ha insegnata papà Giuliano salito alla ribalta delle cronache nel 2016 quando alcuni giornali scovarono Lionel Messi in quel di Sacile, un paesino poco distante da Pordenone e luogo ove il dott. Poser operava da tempo. Messi frequentava Sacile e il dott. Poser già da tempo per risolvere alcuni suoi problemini. Medicina dello sport e kinesiologia. Grande attenzione alla alimentazione con il principio di assumere solo cibi di derivazione biologica o comunque lavorati in maniera naturale; eliminazione di cibi contenenti conservanti, pesticidi, anticrittogamici, glutammato sodico, aspartame, grassi saturi, ecc; eliminazione di saccarosio, alcol, lattosio, lieviti, farina di frumento raffinata e comunque tutto quanto risultato non tollerato ai testi kinesiologici. 

Se dobbiamo parlare di vini qualche principio del dott. Giuliano dobbiamo, purtroppo, non prenderlo in considerazione. O almeno non dirglielo. Alcol e vino sono ovviamente un binomio inscindibile (non ditemi che i dealcolati sono vino per cortesia!). 

Stefano è il protagonista di questa storia e parlare subito del padre aiuta a capire come, visti gli insegnamenti avuti, si possa certamente connotarlo come vignaiolo poco “convenzionale”. 

Un momento. Ma non si era detto che Stefano fosse un medico? Che c’entra ora la vigna e il vignaiolo?

Eh direte voi, di personaggi che hanno deviato dalla professione originale alla vigna ne abbiamo visti un bel pò. Ingegneri, avvocati, impiegati, architetti. Mancava il medico. 

È proprio vero che la vigna in qualche modo strega le persone. Secondo me occorrerebbe far spiegare questa cosa ad uno psicanalista. Uno bravo si intende. Per quanto infatti la professione del vignaiolo possa essere romanticamente affascinante, c’è da farsi il mazzo (sempre per essere romantici) tutto l’anno con la speranza di guadagnare qualcosa. Anche se, diciamocela tutta, chi fa il vignaiolo e lo fa per scelta, di guadagnare proprio non ha voglia. Basta quanto serve per vivere e mandare avanti la passione. Appunto, passione.

Ho scoperto la passione per il vino nell’epoca in cui si tende a bere del vino. 18/20 anni. 

Negli anni 90 quando ci fu un pò l’esplosione del vino. Mio padre, che come me fa il medico, portava a casa tante bottiglie di vino che gli venivano regalate. Non andavano a scatola ma a singola bottiglia. Così ne avevamo tante. In tante famiglie si compravano le damigiane mentre nella nostra con le bottiglie ho iniziato a capire le infinite possibilità. 

Ecco la mia era una di quelle famiglie invece dove papà mi mandava a comprare il vino in damigiana. Voleva solo quello e quando, in età adulta, gli portavo le bottiglie, anche serie, niente, voleva la damigiana della Cantina Sant’Andrea di San Felice Circeo. Le bottiglie che portavo io finivano o nella credenza oppure in frigo. Non dite niente vi prego.

Si assaggiava e la passione si sviluppava in parallelo con gli studi. Liceo Scientifico, Facoltà di Medicina. Visto che questo mondo mi piaceva parecchio, il bivio è stato se concentrarsi sull’aspetto degustativo, come è successo a molti che hanno fatto i sommelier o i giornalisti, oppure se impegnarsi sull’aspetto produttivo. L’aspettò agricolo aveva sempre avuto un certo fascino nei miei confronti. Mi sono trovato a capire cosa ci sta sotto e come si produce il vino. Ho iniziato a documentarmi come autodidatta senza iscrivermi ad un corso di studi ufficiali. 

Nel 2010, a 28 anni, anno in cui mi sono sposato e ho iniziato ad avere figli ma questo è un altro capitolo, un amico mi ha prestato un piccolo appezzamento cosi che potessi fare i miei esperimenti. Un micro vigneto di Cabernet Sauvignon che tra l’altro non produco come vino anche se quel piccolo appezzamento continuo a gestirlo perché si fa un vino da garage per divertimento con degli amici. Fino al 2018 ci siamo divertiti a fare le nostre potature, vendemmia, comprare le barrique, metterci il vino, fare le bottiglie e bersele in compagnia senza vi fosse un intento commerciale sotto. 

Un altro garagista. Un altro professionista che si mette a giocare non sapendo nulla di vino. Niente esperienza. 

Già me le immagino queste espressioni, magari condite con del colore, da parte di chi nel vino e con il vino ci convive da generazioni spaccandosi la schiena tutti i santi giorni. Grazie però a questi pazzi sognatori passionali come Stefano abbiamo oggi in Italia una incredibile e unica varietà di prodotti qualitativamente eccellenti. La diversità è una ricchezza. Occorre ricordarselo.

Poi si è innestata anche un’altra passione che è il ciclismo. Quando ero all’università mi facevo tanti giri nel Friuli orientale dove ci sono le colline. Girando mi sono innamorato di un posto che si chiama Rocca Bernarda e non lo so perché, sono quelle cose che non te lo chiedi, ma mi piaceva più degli altri. Casualmente guardando delle app di annunci immobiliari, intorno al 2016/17, salta fuori una vigna in vendita. Così ho iniziato a capire se era una strada percorribile. Inizialmente non lo sembrava molto anche perché non abito esattamente li ma in provincia di Pordenone a circa un’ora di strada. Quella con cui giocavamo stava pure lontano ovvero sempre in provincia di Pordenone ma vicino Treviso. Il Cansiglio si chiamava. Mi sono comunque interessato sempre di più a quel terreno che non veniva venduto. Così il prezzo è calato e per farla breve siamo arrivati all’acquisizione di questo terreno. Sempre in quel periodo parlando con mio cugino con la mia stessa passione decidemmo di metterci in società. Adesso però questa società si sta dissolvendo.

Non so se la pazzia è contagiosa ma di certo è lucida. Certe cose avvengono per caso o magari dando a questo una spintarella. Cercare un terreno non è certo usuale. Trovarlo nel posto del quale ti sei innamorato può essere un caso. Se pure tuo cugino poi ti presta una spalla, o lo hai contagiato oppure la follia è davvero diffusa. Con l’aggravante che la stessa follia non si ferma. Continua e continua ancora.

Abbiamo cosi trovato altri terreni più al cento del Corno di Rosazzo che comprendevano anche un casolare e un piccolo borgo che poteva diventare la cantina, il deposito degli attrezzi, la sala degustazione. Insomma tutto quello che adesso esiste e all’epoca non esisteva. Non abbiamo rilevato una azienda operativa nel settore ma terreni ed edifici che non erano utilizzati per questo scopo. Dunque la vigna a Rocca Bernarda, terreno ed immobili a Corno di Rosazzo. Nell’assetto attuale siamo arrivati a sei ettari di vigna. Un pò alla volta. Io mio cugino, sua moglie e mia moglie.

Vedete come la pazzia dilaghi? Una vigna ci poteva stare. Un piccolo rifugio utile per fuggire nei fine settimana dalla monotonia della vita quotidiana. Un luogo dove coltivare la propria passione per farsi qualche bottiglia da bere con gli amici. Poco importa se poi il vino viene bene o male, tanto, nessuno si azzarderebbe a dire che fa schifo. 

Invece si acquisiscono altri terreni da coltivare e altre vigne da impiantare. Poi strutture fisiche, attrezzi, utensili. Tanta roba e tanta follia. Fino a che qualcuno rinsavisce o perlomeno si rende conto che l’entusiasmo era solo iniziale. Un pò come quando compriamo qualcosa di stravagante sulle ali dell’entusiasmo e appena tornati a casa ci rendiamo conto di aver fatto una totale stupidaggine. 

Mio cugino e la moglie hanno poi scoperto di non avere tutta questa propensione all’ambiente e hanno deciso di lasciare. Stiamo vedendo come fare per la parte societaria. 

Prendete ora tuto quello che potete pensare circa la follia e metterlo da parte. Quando la ragione infatti assume la guida dei pensieri generando idee e progetti allora non c’è più follia ma diventa vita alimentata dalla irrefrenabile passione.  

 La mia idea era puntare su vigne vecchie soprattutto nelle zone di collina. Età tra i 50 e 100 anni, che ospitano il Tocai Friulano e un pò di Merlot. Nei terreni prossimi alla sede aziendale abbiamo deciso di piantare vitigni autoctoni idonei a quel tipo di terreno: Malvasia Istriana, Refosco, Schioppettino. Nel corso del tempo abbiamo aggiunto Pignolo, Verduzzo, Ribolla. 

Vitigni autoctoni, viti vecchie, rese molto basse, trasformazioni senza interventi e lunghi affinamenti. 

Eccolo il Credo di Stefano. Poche parole che dicono tutto. 

Qualunque altro vignaiolo avrebbe specificato il significato di “trasformazioni senza interventi”. Invece Stefano no. Ci ho riflettuto a lungo su questa cosa e mi sono convinto che gli insegnamenti del padre prima, la sua professione medica con la particolare specializzazione dopo, comportino per Stefano il pensare che quello che lui fa e il modo con cui lo fa, sia l’unico veramente possibile. 

La conseguenza per la su azienda, Sassocorno, è il produrre poco più di undicimila bottiglie. 

Io sono in autonomia dal punto di vista decisionale. Ci sono delle persone che aiutano in campagna perché con queste superfici anche se fossi li al cento per cento non ce la farei. Abbiamo un trattorista e una operaia agricola che fanno i lavori in campagna. A livello di gestione enologica della cantina mi arrangio tutto io. Deraspatrice, pressa, travasi, batonnage. 

L’esperienza della piccola vigna con gli amici è certamente servita. Piccolissime produzioni che hanno senz’altro avuto il merito di consentire sperimentazioni. Poi tante domande ai contadini e ai produttori della zona. 

L’idea di non avvalersi di consulenti ma di documentarsi e chiedere in giro. Senza paura di sbagliare. Tutti sbagliano ed in effetti nella prima vendemmia 2018 ci sono stati errori grossolani. Dopo è stato aggiustato molto il tiro. Quando noi veniamo assaggiati nel contesto di fiere di vini naturali ci viene detto che siamo fin troppo puliti per essere naturali. Tutti i possibili errori grossolani si sono limitati alla 2018. Dopo niente più.

Quando Stefano parla del 2018 è come se gli errori fossero stati commessi in laboratorio dove la paura di sbagliare non c’è e non deve esserci. In un laboratorio è necessario commettere errori perché solo attraverso questi e la comprensione di ciò che è accaduto si può generare il miglioramento necessario. Miglioramento e non involuzione. Chiunque dinanzi ad un vino non venuto bene avrebbe immediatamente preso la strada più facile, quella della chimica. Solforosa in fermentazione, inoculazione di lieviti, pied de cuve e chi più ne ha più ne metta. L’importante è non sbagliare più. E il proprio Credo? Può andarsi a fare benedire?

Mi sono reso conto che le cose erano andate un pò come volevano loro. Come se il processo non fosse davvero governabile. Ho chiesto a qualcuno e la risposta è stata: se vuoi lavorare cosi dai la possibilità a queste masse di fare la fermentazione spontanea tanto la cantina si sarà già un colonizzata dall’anno prima. Importante è gestire bene le operazioni per ottenere fermentazioni pulite. Così ho fatto e sembrerebbe aver funzionato. Per certi versi abbiamo anche terreni e vitigni che hanno qualcosa di miracoloso. Tocai e Malvasia in questi terreni producono delle fermentazioni spontanee eccezionali. Uve che provengono da fuori come il Merlot ti fanno certe sorprese in negativo. Magari c’è necessità di rispettare la zona. 

In effetti il ragionamento di Stefano è ineccepibile. I lieviti sono in cantina. Si sviluppano in cantina e qui rimangono. Quando si inocula un lievito selezionato, probabilmente quella cantina è segnata per sempre. Così, quello che si sarebbe potuto generare e sviluppare in quella cantina, di quel territorio, forse è perso. Se non per sempre per parecchio tempo. 

Forse dovremmo considerare sempre la naturalezza delle scelte come necessarie per il raggiungimento della massima qualità ed espressione di quel territorio e di quella terra. Lo strumento più efficace per esprimere il territorio insomma.

Per me era la strada più spontanea perché anche da un punto di vista degustativo mi stavo orientando verso quel mondo li. Consapevole del ritorno immediato con altri tipi di filosofia. Il mercato di questi vini esisti e nel Friuli orientale c’è una fetta di produttori che hanno fatto questo tipo di percorso già venti o venticinque ani fa. 

Poi c’è il lungo affinamento. Una scelta dettata certamente dal dover domare alcuni vitigni tipicamente ostici ma al contempo per problemi di spazio. Si di spazio

Abbiamo un lungo affinamento. Non puntiamo ad avere un grande affinamento in bottiglia perché tendo a mettere il vino pronto. Non abbiamo poi lo spazio fisico per le bottiglie. Un piccolo magazzino di bottiglie che non consente di accumulare annate.

Gli affinamenti in legno gestiti per accompagnare al meglio il vino senza aggressione con il principio di usare botti solo già utilizzate in azienda. Nessuna barrique ma dimensione variabile da 10 a 15 ettolitri. Bassa tostatura e idrolizzate per consentire micro ossigenazione senza cessioni.

Sto provando l’anfora e il cemento. Non voglio che la botte faccia da tisana.

Stefano è davvero un personaggio. La sua è calma serafica. Di un dottore così potrei proprio fidarmi. Ogni pensiero è espresso in maniera pacata, pesando e scegliendo le parole giuste. Ogni tanto un pò di ironia ma senza strafare. Come se non siano questi gli ambiti nei quali si possa scherzare. Magari a tavola, bevendo il vino.

Mi viene in mente una battuta del Marchese del Grillo quando diceva 

Quando si scherza bisogna esse seri. 

Dalla medicina mi sono portato che i sistemi biologici sono complessi e non si prestano alle banalizzazioni. Un sistema ipercomplesso in vigna e uno in cantina. Devi capire che stai lavorando con degli organismi viventi che non fanno esattamente quello che vuoi ma ciò che la genetica e l’ambiente in cui vivono li portano a fare. Tutti in genere mi dicono: Quando inizia la fermentazione metti un pò di solforosa cosi ti seleziona i lieviti. Ma io gli rispondo: tu hai provato a fare una vasca con e una senza? Perché l’approccio scientifico in realtà è questo: provare e vedere cosa succede. Nella mia esperienza succedono cose che non sono proprio quelle che si dicono in giro. Cose che non pensavi. Abbiamo avuto tante sorprese delle quali occorre fare tesoro. 

L’approccio può sembrare tipicamente scientifico ma è del tutto romantico. Nelle sue parole c’è una sorta di fatalismo. Un modo per dire a se stesso prima, al mondo poi (anche se forse di questa seconda parte non è che gliene interessi più di tanto) che è la natura a dettare il corso delle cose. La chimica magari può influenzare, modificare, gestire. Ma che se ne ottiene? Non certo un prodotto di trasformazione. Semmai di manipolazione. 

Io consiglierei essenzialmente di non bere troppo vino. Consiglierei di bere il mio vino in alternativa ad uno che contiene troppa chimica. Anche come medico sono alternativo, uso rimedi naturali e una medicina non convenzionale. Con un tipo di medicina del genere hai una mentalità e un animo che ti porta a lavorare alla fonte e non aggiungere. Ovvero non un farmaco. Così in vigna e in cantina. I vini anche a me fanno venire mal di testa. Molte persone quando vengono da me li hanno trovati molto digeribili e poco dannoso per la testa. Poi se esageri fa male lo stesso. 

In vigna usiamo il rame perché comunque dalle nostre parti non ho alternativa al momento. Ne usiamo circa metà di quella che la normativa biologica ci consentirebbe di usare. Usiamo solfato di rame. Usiamo lo zolfo e l’olio essenziale di arancio dolce per il controllo delle malattie funginee. Nessun insetticida ma prodotti che cercano di evitare la peronospora. La chiave è la fermentazione spontanea per raggiungere la quale cerchiamo di evitare prodotti che non la inneschino. 

I vini sono tutti caratterizzati dall’avere un solo ingrediente: l’uva. Niente altro che uva. A dimostrazione di come si possano realizzare vini intriganti ed interessanti solo immettendo nel processo tanta cura. Certo, come dice Stefano, i vitigni, la loro storia e il terreno dove sono nati e cresciuti, fanno la maggior parte del lavoro. Poi occorre “solo” assecondare il processo di trasformazione. 

Noi raccogliamo in media i trenta quintali per ettaro anziché i cento dieci concessi dal disciplinare. Questo implica maggiore concentrazione, tanta mineralità. Nelle versioni più riusciti una complessità aromatica e per certi versi una pienezza del sorso. Il mio obiettivo è far trovare complessità ed eleganza senza che si perda la beva. Puntiamo li.

Rex è l’espressione senza legno del Refosco dal Peduncolo Rosso a dimostrare che può essere un vino fresco e croccante anche con il solo acciaio. Lo definirei intrigante per quella sua capacità di stuzzicare il palato con una altalena di gusti non particolarmente corposi. Un vino non impegnato, sicuramente sapido, sicuramente fresco, sicuramente secco, non particolarmente caldo. Lo si può bere anche leggermente fresco per quanto è intrigante.
I sentori sono vinosi corredati da una frutta fresca e da un bel bouquet di fiori rossi che danno la sensazione di rosso scarlatto. La ciliegia prevale sul melograno e l’arancia sanguinella arriva al naso donando freschezza. I fiori piano piano diventano quasi in potpourri insieme ad un piacevole sentore vegetale. Sembra quasi arrivino delle spezie. 
Il sorso è fresco e sapido con la ciliegia che si presente prepotente unendosi a del giaggiolo. I tannini sono levigati così che in bocca si realizza un perfetto bilanciamento. La ciliegia si trasforma in candita come quella che si trova su certi pasticcini. Si realizza quella altalena di gusti che freschi e stuzzicanti necessitando di continuare a berlo. Anche perché la bocca rimane davvero incantata. 

Badie (terroir storico nei pressi dell’Abbazia di Rosazzo) è il Tocai Friulano (qui lo chiamano così, c’è poco da fare) che proviene da vigne vecchissime di oltre 90 anni. Bassa resa (circa 0 quintali per ettaro e affinamento di due anni in botte d’acacia. 
La due settimane di macerazione e il successivo passaggio in botte hanno donato a questo vino un colore mieloso, quasi aranciato. La pulizia, in assenza di pratiche diverse, stupisce. Vivace al limite del luminoso. Davvero bello.
La “mielosità” torna al naso: miele di acacia. Poi frutta matura a pasta gialla come melone, pesca e mandarino rimane donando freschezza. I fiori la fanno da padrone: margherite e camomilla. Le spezie e le tostature sono delicate: tabacco, salvia e alloro ma anche del curry e della paprika dolce. Un accenno di pietra focaia e gesso. Che bel corredo!
Il sorso è fresco nonostante i suoi quattro anni (versione 2020), secco e molto minerale, non particolarmente caldo. Il sapore è vinoso, piacevole e pieno: sembra di bere il vino nel quale è stata in macerazione una pesca. I tannini sono evidenti ma non invadenti. Bilanciamento riuscito!
Non ci sono mezze misure: un vino come questo o lo odi o lo ami. Io l’ho amato già dal colore e poi per la avvolgenza che offre in bocca. Senza strafare, senza dare noia, anzi, lasciando una sensazione di “appagamento” che dura il giusto per via della buona persistenza. Freddo può provocare assuefazione; leggermente più caldo accompagna una carne bianca o del formaggio non stagionato. Super interessante.

Io sono un innamorato della Malvasia in generale e me la sono piantata nel terreno che mi sono scelto io. Non vedo l’ora di arrivare con Refosco e Schioppettino dove voglio io.

Cuar è il blend di Merlot (80%), Cabernet Franc (10%) e il resto di quello che c’è in vigna. Anche qui c’è la botte grande ma stavolta usata. Usata sempre in azienda secondo i dettami di Stefano.
Questo vino, al pari degli altri, è la dimostrazione di come si possa fare qualcosa di pulito e interessantissimo anche senza alcuna aggiunta. Meraviglioso infatti già  colore rubino con riflessi granata: di una pulizia unica.
I sentori sono immediatamente di frutta cotta con la prugna che spicca insieme al sottobosco. Un riuscito mix riuscito che dona una sensazione piacevolissima. Il balsamico apre subito le narici consentendo di apprezzare tutto il resto in maniera facile.
I frutti rossi continuano a farsi sentire in una alternanza di cotti, maturi, meno maturi. Il vegetale, come la foglia di pomodoro, si innesta in un gioco di caldo e fresco. La rotondità del Merlot viene fuori mentre la spigolosità del Cabernet Franc si intrufola garantendo l’alternanza necessaria. La ciliegia ed il lampone si uniscono alla cannella e alla vaniglia per poi lasciare spazio ai chiodi di garofano, al tabacco, al cacao, alla noce moscata, al goutron. Una bella, piacevole, intrigante complessità.
Un insieme di sentori di buona complessità, ben bilanciato e che lascia presagire una certa rotondità in bocca. Invece ecco che arriva l’inaspettato: c’è tanta freschezza, ma non asprezza, proprio freschezza. Tannino quasi rotondo, non particolarmente aggressivo, secco e con bella sapidità. La frutta, meno cotta di quella che ci si aspetterebbe, si insinua nel sorso e si lega alla freschezza donando una sensazione che richiede sempre di essere riprovata. Insomma un sorso fresco e rotondo al tempo stesso che lascia piano piano spazio alla finezza. La bocca si chiude in maniera elegante con la frutta che rimane nel sottofondo, senza essere stucchevole anzi, richiedendo un nuovo sorso. Bilanciamento da applausi.

Questi vini li trovo puliti ed in ordine anche se il mercato non è che ci abbia premiato in modo clamoroso. Non vendo le bottiglie prima di averle prodotte. 

Alla fine, chi è Stefano Poser? Un medico o un vignaiolo? Per quello che l’ho conosciuto, convintamente entrambe. Una persona che fa e bene entrambe i mestieri. Ama il suo lavoro da medico e ama la sua passione di vignaiolo.

Per motivi finanziari devo fare ancora il medico. Mi piacerebbe fare il vignaiolo. Sono un libero professionista e posso gestirmi gli orari. Anche se c’è una agenda che tende ad essere molto piena. Mia moglie mi segue formalmente tutta la parte di imprenditrice agricola poi mi segue la segreteria del mio studio e poi abbiamo anche quattro figli misti dai tredici ai quattro anni. Noi abbiamo quarantadue dunque li abbiamo fatti giovani.

Cosa sceglierà dunque appare decisamente chiaro. O forse no.

Tra qualche anno mi vedo gradualmente semper più orientato nella direzione del vignaiolo. Se però le cose andassero come voglio io non è escluso che possa accogliere le persone in azienda. Faccio anche un approccio nutrizionale dunque si può trovare un punto di incontro. Non voglio aspettare la pensione perché quelli della mia età non la prendono la pensione. Avendo la bacchetta magica mi premerebbe prima riuscire a formare qualcuno che faccia il medico come lo faccio io. Mio padre ha formato solo me perché non è bravo ad insegnare. Come medico dello sport lui ha ottenuto il massimo del successo professionale. Mi piacerebbe quantomeno che non finisse qui questa esperienza e potesse avere un seguito e non andasse sprecata. 

Il Giuramento di Ippocrate, quello antico, inizia cosi

Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per gli dèi tutti e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto: di stimare il mio maestro di questa arte come mio padre e di vivere insieme a lui e di soccorrerlo se ha bisogno e che considererò i suoi figli come fratelli e insegnerò quest’arte, se essi desiderano apprenderla; di rendere partecipi dei precetti e degli insegnamenti orali e di ogni altra dottrina i miei figli e i figli del mio maestro e gli allievi legati da un contratto e vincolati dal giuramento del medico, ma nessun altro. 

Insegnerò quest’arte”. Si può essere folli. Si può cambiare la propria vita seguendo i sogni e la passione. Si può e si deve cercare di essere felici e di rendere felici le persone che ci sono care. Ciò che non si può e non si deve fare, è non rispettare un giuramento. Quello di Ippocrate è un giuramento che molti medici dimenticano anche di aver fatto, cosa questa che non giustificherebbe ma almeno renderebbe comprensibili gli scempi di taluni, presunti, medici. 

Stefano, no. Stefano sa di aver non solo giurato ma ricevuto un dono dal padre. Uno di quei doni che non si può ne si deve tenere solamente per se. Deve essere trasmesso a qualcuno. Qualcuno che perlomeno avrà giurato come Ippocrate prescrisse.