29 Set 2024
Cantine di cui anche Bacco andrebbe fiero

Il vino si fa in vigna. In una capanna vinicola

Siamo nel pieno del periodo magico della vendemmia.
L’aria è intrisa di profumi intensi, odori dolci e fermenti gioiosi, e mai come ora il nostro contributo poteva essere più puntuale e… provocatorio!

In queste notti di fine estate, mi torna in mente, come un ritornello di un’antica cantica, uno dei detti più noti e venerandi del mondo vinicolo: “il vino buono si fa in vigna”. O, secondo declinazioni alternative, “il vino si fa in vigna”.

fig. 01 – Ottobre, affresco il Ciclo dei Mesi (1390-1400 circa) c/o castello del Buonconsiglio a Trento: la capanna vinicola del XV° secolo si trova nella parte superiore dell’affresco.

Contestualmente, medito a pezzi di Storia enotecnica importanti, fondamentali, andati infranti, perduti nella notte dei tempi, dimenticati a beneficio della promessa della facile modernità e del progresso, lasciati andare come fossero scarti ed orpelli inutili senza arte né parte.

Dioniso, Bacco ed io, siamo stati “assunti” dal Magazine per raccontare e descrivere le meraviglie della tecnologia enotecnica moderna e le avveniristiche metodologie di progettazione della “Madre del Vino“. Ci arriveremo!

Ma Dioniso e Bacco, che la sanno più lunga di me, e vanno controcorrente, mi hanno convinto che era il caso di implementare tali racconti, fino a spingersi ad illustrare e raccontare le tecniche e i princìpi degli antichi impegnati nella realizzazione delle costruzioni enotecniche dei secoli passati.

Ed è così che ho messo in relazione il detto “il vino si fa in vigna” con un pezzo di Storia enotecnica, definita secoli fa d’incalcolabile utilità, e in uso soprattutto nei periodi delle vendemmie già a partire dal XV° sec., soprattutto nel sette-ottocento, e parte del Novecento: la Capanna vinicola!
In Francia, les cabanes de vigne, <<petit patrimoine rural diffus>>, iniziarono ad apparire almeno dal XVIII° secolo e questo paesaggio culturale è classificato già Patrimonio dell’Unesco.

fig. 02 – La Cabane de vigne dans la Juridiction de Saint-Emilion, Lussac et Puisseguin, in Lucu Pierre, 2014, op. cit.
fig. 02 – La Cabane de vigne dans la Juridiction de Saint-Emilion, Lussac et Puisseguin, in Lucu Pierre, 2014, op. cit.

Perché ciò mi tormenta? E per quale motivo?

A sentir ripetere quella frase a pappagallo da tanti giovani e meno giovani inesperti influencer e blogger, privi del culto poderoso delle fonti storiche, dei riferimenti bibliografici, mi corre urgente raccontarvi di un’altra verità, sicuramente più antica, che è stata rimossa, dimenticata, e anche omessa.
Grave tutto ciò!
Ma, per fortuna, le sue numerose rovine giacciono tuttora lì fra le vigne, incredibilmente ancora lì sopravvissute a ricordarci che un tempo erano strumento funzionale alle vendemmie. E al vino.

La verità è che quel vecchio detto “il vino si fa in vigna” cela un significato più profondo di quanto si possa pensare o di quanto vanno raccontando. Non si tratta solo di coltivazione, ma di un’arte antica che aveva nel suo cuore un luogo semplice e fondamentale.

Forse è giunta l’ora di riportare alla luce l’importanza della Capanna vinicola, un ambiente umile ma carico di significato e fondamentale, dove il vino iniziava il suo viaggio verso la perfezione.

E forse, è giunta anche l’ora di procurar imbarazzo.

Alzi la mano chi sa cos’è e a cosa serviva la Capanna vinicola?! Uno, due … Lo sapevo!

La Capanna vinicola: una lezione dimenticata

fig. 03 – esempi di capanne vinicole
ig. 03 – esempi di capanne vinicole

La Capanna vinicola era il fulcro della vita vinicola durante la vendemmia. Era qui che il vino iniziava davvero a prendere vita, lontano dalle sofisticate tecnologie che oggi ci affascinano. Era un luogo dove la tradizione e il sapere antico si incontravano in modo naturale, senza la necessità di strumenti iper-precisi, ma con una consapevolezza artigianale che gli enologi moderni hanno un po’ perso per strada.

La Capanna vinicola era una piccola, umile, struttura che i vignaioli costruivano nei punti strategici dei vigneti, per i lavori attinenti alla vendemmia. E non solo.
Quello era il vero cuore pulsante del lavoro, il punto nevralgico dove iniziava davvero la trasformazione dell’uva in vino.

fig. 04 – Senatore Conte Vincenzo Dandolo

Locale d’incalcolabile utilità, di dimensioni proporzionali alla quantità di uva che si voleva raccogliere in quella determinata vigna, doveva essere esposto a settentrione per riparare l’uva da balzi di temperature, rivestito di uno strato di paglia fitta capace di far filtrare un corso moderato di aria.

Al suo interno, un letto di paglia, lontano dal terreno umido, alto due dita per riporvi l’uva appena vendemmiata.
Tuttavia, tra i vigneti si incontravano, e si incontrano tuttora, anche capanne realizzate in muratura, tufo, di pietra locale ed altri materiali, con minute finestre per produrre una ventilazione naturale.

Per testimoniare le prove storiche di ciò, voglio servirmi della capacità narrativa dei due Dèi perché più volte hanno espresso il desiderio di inscenare e recitare, su un immaginario palcoscenico di un teatro greco-romano, le testimonianze riferite dal più importante studioso “dei locali necessarj all’arte di ben fare e conservare i vini“, e loro amico, Senatore Vincenzo Conte Dandolo.

Pronti, via:
motore, azione! Ciak, si gira!

Dioniso, con l’aria sorniona di chi conosce il Segreto, rompe il silenzio con le sue frecciatine:

Quindi, moderni ragazzi, pensate davvero che il vino si faccia solo in vigna? Interessante… Ma sapete che noi ci servivamo delle Capanne vinicole?

Bacco lo interrompe con una irriverente risata fragorosa, mentre pregusta l’irrisione alle spalle dei moderni wine influencer, wine lovers, wine specialist e chi più ne ha più ne metta, perché a suo dire ripetono come una litania sacra, una preghiera, un mantra, in ogni angolo del globo, il detto “il vino si fa in vigna” senza comprenderne il significato e la profondità che si cela dietro;

Dioniso, ch’è più saggio e meno irriverente, tenta di stemperare l’atmosfera pesante che si è creata

Ah, già! Ai nostri tempi la Capanna vinicola era tutto! Là si concepivano idee, progetti… e naturalmente, il vino. Si sentiva nell’aria, il cuore stesso lo sapeva quando era tempo di vendemmiare.”

Dioniso, alzando teatralmente la mano, tuona:

Le capanne erano piccole, sì, ma magiche. Qui si sentiva l’odore della terra… Quella, miei cari, era enologia!

fig. 05 – Dioniso inscena le dieci regole del Senatore Vincenzo Conte Dandolo

Così Dioniso, fattosi serio, annunzia di voler recitare le antiche regole del Senatore Dandolo.

Testimoniate nel 1812, dieci erano le regole per eseguire il piano delle operazioniDel modo di far la vendemmia, citeremo quelle che interessano più da vicino la capanna.

La prima: “Il giorno avanti la vendemmia si fissa quali siano le vigne da vendemmiare ..(.) ..”

La seconda regola è: “uomini e donne devono trovarsi tutti alla capanna della vigna all’ora in cui si comincia la vendemmia”;

Bacco, con tono solenne, prosegue la narrazione recitando la quinta regola:

le persone destinate alla vendemmia si dividono così. Se i vendemmiatori non sono molti, due donne rimangono costantemente colle forbici alla capanna. Gli uomini si dividano in proporzione, parte a vendemmiare e parte a trasportare a spalla alla capanna i cesti di uva vendemmiata a due per volta

Dioniso, passa a ricordare l’ottava regola, aggiungendo:

le donne alla capanna ricevono questi cesti pieni e danno i voti. Guardano pur esse i grappoli ad uno ad uno , di nuovo li mondano colla forbice, e levano le foglie, se ancor ve ne sono, indi ripongono ne’ rispettivi mucchj le uve monde e quelle di scarto

Bacco, volgendo al termine, recita la decima e ultima regola:

Questo piano di operazioni suppone la capanna: ma chi non l’avesse , chi non volesse mettere a coperto l’uva, chi trar non volesse i vantaggi derivanti dalla maturazione zuccherosa dell’uva, cerchi almeno:
1. Di far che l’uva venga raccolta colle indicate avvertenze, ponendo l’uva scelta in una ben monda beneccia ..(.)..;
2. Di assistere che non venga fatta adulterazione qualunque nel trasporto dell’uva posta nella benaccia al luogo dove si dee pigiare ..(.)..;
3. Di far sì che raccolta venga entro ventiquattr’ore al più tant’uva quanta basti, pigiata che sia ..(.)..

Dioniso, invitando a riflettere “Per convincersi dei vantaggi di queste capanne, e quindi della grandissima loro influenza sulla qualità dei vini,..(.)..“, ricorda i sommi quattro vantaggi elencati dal Senatore Dandolo:

  1. Che le uve poste nelle capanne sono al coperto dalle rugiade dalle piogge e da ogni altra intemperie dell’aria che loro nuocerebbe quando dovessero rimanere esposte, come non rare volte succede.
  2. Che in una stagione che domandi una sollecita vendemmia per tempi piovosi od altro, il vignajuolo che ha la capanna, può di mano in mano riporre le sue uve all’asciutto ed al sicuro, senza perder tempo nel trasportarle alla lontana casa, e corre rischio, che prendano acqua nella benaccia; e sopra tutto gode del sommo vantaggio di unire tanta uva che basti per empiere di seguito o senza interruzione uno o più tini, vantaggio di cui abbiamo altrove dimostrata l’importanza.
  3. Che le uve quando si raccolgono, essendo necessariamente a temperature differenti, si riducono tutte nella capanna ad una temperatura uniforme, il che ha una utilissima influenza sulle successive operazioni.
  4. Che di queste capanne si ritrae un vantaggio maggiore di tutti, quello cioè, che nelle uve ripostevi ed ammucchiate si forma, mercè un movimento intestino fermentante che vi si eccita, molta più sostanza zuccherosa, che non era ancora giunta al suo compimento, e ch’è tanto necessaria alla generosità dei vini. Succede così alla maturità di vegetazione, che l’uva ha acquistato sulla vite, una progressione di maturità, opera di questa fermentazione zuccherosa, che in essa si eccita quand’è nella capanna.
    Noi vediamo questa maturazione zuccherosa portata a grado ben maggiore in tanti altri frutti che si spiccano acerbi dalla pianta, come pomi, pera, nespole, sorbe, ec.

    Questa addizione di maturazione zuccherosa diventa specialmente preziosa negli anni e ne’ luoghi, in cui l’uva non ha potuto maturar sulla vite.

Queste capanne in somma vengono in soccorso della natura allorché la stagione ed atri accidenti tolgono ad essa le forze o le negano ajuti, mentre l’uva è sulla vite.”

fig. 06 – unico esempio di capanna vinicola in paglia in Veneto, foto: arch. Edoardo Venturini

Ed è così che, quella semplice struttura, la Capanna vinicola, seppur dimenticata e oserei dire disonorata dai più, era un luogo sacro, ponte tra la terra e il vino.
Un luogo in cui si custodiva un sapere antico, fatto di gesti, tradizioni e connessioni profonde con la natura, in cui si svolgevano operazioni che avevano un impatto profondo sulla qualità del vino.
Le uve, protette dal sole cocente e sottoposte a una fermentazione spontanea, sviluppavano una maturità zuccherina essenziale alla generosità del vino stesso.

Come diceva il Senatore Dandolo: “Le uve, riposte nella capanna, sviluppano una dolcezza che la vigna sola non sa dare.”

Ma non tutto è perduto, anzi!
Ogni cantina, azienda vinicola e agricola d’Italia che sia possiede almeno una capanna vinicola immersa e persa tra i propri vigneti.
Ebbene, Dioniso e Bacco hanno una idea ben precisa e innovativa di come questi luoghi sacri potrebbero essere rivalutati, riabilitati e riqualificati dal punto di vista dell’utilità e delle attività alternative.

Anche enoturisticamente.

Quindi, cantine vitivinicole d’Italia unitevi e, se possedete questo luogo ancestrale, fatevi avanti. Noi siamo pronti a rinvigorire la luce della magia.

Ma intanto, la prossima volta che sentirete un wine qualcosa affermare “Il vino si fa in vigna”, chiedetegli cosa sa della Capanna vinicola. E poi guardate se il suo sguardo vacilla.

Arch. Edoardo Venturini

Cantine di cui anche Bacco andrebbe fiero

Per approfondimenti, mi trovi qui:
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Fonti bibliografia:
– Dandolo Senatore Conte Vincenzo, 1812, “Enologia ovvero l’arte di fare, conservare e far viaggiare i vini del Regno”, Parte I, Ed. Silvestri, Milano;

– Lucu Pierre, 2014, “Guide des cabanes de vigne et de pêche. De la juridiction de Saint-Emilion“, Les Editions de l’Entre-deux-Mers, Saint-Quentin-de-Baron.

 

Fonti immagini:

– Maestro Venceslao o Wenceslao (1352 ? – 1411 ?) è stato un pittore boemo al quale è attribuito il Ciclo dei Mesi (1390-1400 circa) del castello del Buonconsiglio a Trento, in Welber M., Affreschi dei mesi di torre d’Aquila Castello Buonconsiglio (sec. XV), 1995;

– Senatore Conte Dandolo Vincenzo, (copertina libro): Commendatore dell’ordine della Corona di Ferro, Cavaliere della Legion d’Onore, Membro dell’Istituto reale, uno de’ quaranta della Società Italiana delle Scienze, e socio di molte Accademie nazionali e straniere;

– figg. 03-05-06 archivio Edoardo Venturini