Stefano Camilucci. Precisione ingegneristica e pensiero controcorrente in Franciacorta
Da 25 ettari vitati Stefano Camilucci ha ricavato 35 vigneti e a ciascuno di questi ha dedicato un percorso a sé, con un monitoraggio delle rese ed una pianificazione della produzione scrupolosi per esaltare al massimo le potenzialità produttive di ogni appezzamento, fino a quando ciascuna delle 110mila bottiglia mediamente in commercio ogni anno può raccontare il suo stile e la sua storia.
Una storia di vignaioli illustri, di quelli che per primi hanno contribuito alla svolta di qualità decisiva in Franciacorta. Stefano è infatti figlio di Giulia Pezzola, fondatrice insieme al fratello Eugenio dell’azienda “La Valle” di Rodengo Saiano.
Stefano ha seguito negli anni vari aspetti della vista aziendale, amministrativi, produttivi, commerciali… fino al 2018, quando unisce tutte queste esperienze alla sua personale d’ingegnere edile specializzato in sismica ed energetica, e firma la sua prima annata di Franciacorta nell’azienda di Erbusco che oggi porta il suo nome.
Dopo una breve visita ai locali produttivi e di stoccaggio, Stefano si siede con il nostro gruppo, una quindicina di ospiti, in una degustazione che conduce con entusiasmo e franchezza, ironizzando argutamente su scelte enologiche che sembrano talvolta dettate da vere e proprie mode:
Complice il cambiamento climatico, pare che negli ultimi anni ci sia una gara a chi vendemmia per primo. La ricerca spasmodica dell’acidità ad ogni costo, spinge certi produttori a vendemmiare uve – di fatto – acerbe, ammaliati forse dalla prospettiva di una pagina sensazionalista su qualche giornale. Spesso venivo beffeggiato dai coltivatori di zona, che vedevano i miei grappoli ancora in pianta quando nei campi confinanti tutto era stato raccolto, ma sorridevo con loro e andavo avanti con la mia idea: da sempre ho voluto usare tutto il patrimonio aromatico delle mie uve.
Non solo in vigneto, anche in cantina Stefano Camilucci fa scelte coraggiose e senza compromessi: nessuna malolattica, nessun arricchimento zuccherino del mosto, nessuna aggiunta di liqueur. Tutte le sue etichette sono infatti Dosaggio Zero.
La linea d’entrata “Ammonites”, il cui nome rende omaggio ai fossili d’origine oceanica ritrovati nei vigneti, è interamente percorsa, sia nelle versioni blanc de blancs sia nel Rosé, da una piacevole nota agrumata, che buona parte del gruppo ha ritrovato anche negli assaggi successivi più evoluti.
Da 18 mesi di affinamento passiamo ad oltre 36 con le versioni Blanc e Noir della la linea “Anthologie”, che porta meritatamente il suo nome dal greco antico tradotto con “raccolta del fiore”. Assembla infatti solo il primo 25% della prima spremitura dei migliori appezzamenti.
Ci apprestiamo a concludere con travolgenti esperimenti sensoriali dati da Perpetuelle 14/18, in cui l’approccio selettivo dell’Anthologie Blanc si fa ancora più stringente e unisce mosto fiore 100% Chardonnay di 5 annate (dal 2014 al 2018, appunto) in una sorta di “metodo solera” in acciaio, con sboccatura 2022.
Infine S.T., Sboccature Tardive dell’Anthologie Blanc proposte in solo 1.000 bottiglie l’anno, di cui Stefano ne firma per noi alcune prima di congedarci.
Una degustazione memorabile di cui ringrazio per l’invito Monica Rosetti, enologa italo-brasiliana con oltre 40 vendemmie condotte tra l’Europa ed il Sud America, premiata insieme a me ed altre professioniste del settore poche settimane fa, alla quarta edizione della Notte Rosa del Vino di Trebisacce.
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