Arrow Right Top Bg

6 Maggio, 2024

Claudia Maremonti. Il mio Vinitaly 2024

Si è conclusa da poco la 56 edizione di Vinitaly che per gli amanti del vino come me può essere considerato un grandissimo lunapark dove poter trascorrere tre giorni insieme ad amici e produttori, assaggiando i vini del cuore, scoprendo nuove realtà, e approfondendo grazie alle tante masterclass organizzate i vari temi legati al mondo del vino e dell’olio. Ed eccomi qui a raccontarvi anche quest’anno “le giostre” che mi hanno particolarmente colpito in questo magico mondo…. Live Bodypaint da La Viarte Vini La Viarte Vini è una giovane azienda del Friuli Venezia Giulia, gestita dalla famiglia Polegato, che ha accompagnato la presentazione della nuova etichetta del Rose’ Liende a un servizio di Bodypaint Live, infatti nello stand l’artista Emanuela Peretto ha realizzato con la modella Gessica Perusi La Dea Fiorita del vino Rose’, simbolo proprio della cantina. “La Viarte” in friulano significa proprio primavera. Rose’ Liende -100% Schioppettino – Annata 2023 – 13,5% vol. Lunch dall’anima Rock con Terre de la custodia Terre de la Custodia è una cantina Umbra che da secoli raccoglie i frutti del territorio trasformandoli in vino. In un’atmosfera totalmente rock, legata alla passione del titolare Giampaolo Farchioni, abbiamo degustato, accompagnate dai piatti preparati dallo Chef Marco Lupi, alcune delle loro etichette, Gladius -100% Chardonnay – Metodo Classico – Grechetto e Pinot Nero – Affinamento 48 mesi sui lieviti – 13% vol. Plentis Montefalco Bianco – Annata 2020 – Affinamento 6 mesi sui lieviti – 13,5% vol. Farchioni Colli Martani Merlot Riserva – Affinamento 24 mesi in barriques e 12 mesi in bottiglia -14,5% vol. Exubera – Montefalco Sagrantino – Annata 2017 – Affinamento 18 mesi in barriques e tonnaux e 12 mesi in bottiglia – 15% vol. Progetto “Korale”: Le donne del vino calabrese contro la violenza di genere. “Korale” il primo vino, edizione limitata, voluto dalla Donne del Vino Calabria, a sostegno del “Centro antiviolenza Roberta Lanzino di Cosenza”. Un vino “corale” perché nato dalla collaborazione delle associate, ognuna delle produttrici della delegazione ha messo a disposizione il suo rosso migliore, e ispirato ai vitigni autoctoni e antichissimi della regione., Un vino che diventa “Kora-le” perché vuole ricordare l’importanza del femmineo, dell’agricoltura e del vino nella Magna Graecia. In greco antico “kora” era infatti la donna, la fanciulla. E “Kora”, la giovane per eccellenza, era proprio uno dei nomi con cui era invocata la dea Persefone (Proserpina in età romana), che secondo il mito guidava l’alternarsi delle stagioni propizie per la crescita dei frutti della Terra. Nell’etichetta è riprodotto il profilo del volto di una delle tante statue ex-voto a lei dedicate, di cui la Magna Grecia era ed è costellata.
Assaggi interessanti tra Toscana e Calabria Capezzana: Trebbiano BIO Annata 2022 Toscana IGT –Trebbiano – 14% vol. La Regola: L’eccezione 60 Brut Nature – Metodo Classico Millesimato – 60 mesi sui lieviti con remuage naturale senza dosaggio – 12,5% vol. Contucci: Pietra Rossa Vino Nobile di Montepulciano Annata 2019 – 80% Prugnolo gentile, 10% Canaiolo nero, 10% Colorino – affinamento 30 mesi in legno e 8 mesi in bottiglia – 14% vol. Casa Comerci: Granatu – IGP Calabria – Magliocco Canino – Annata 2022 – 13% vol. Magna Graecia: Zephiros Passito Calabria IGP – Magliocco – 15% vol. Spente le luci del Lunapark, all’uscita, la gioia e l’adrenalina hanno fatto rivivere la bambina felice e curiosa che è in me, lasciando la voglia di tornare ancora per nuove scoperte. Ci vediamo l’ anno prossimo con nuovi giri di giostra e nuovi vini….. Claudia Maremonti
Mi trovi su Instagram come @claudia_sommelier
Leggi
Arrow Right Top Bg

4 Maggio, 2024

Orcia Wine Festival: che vi siete persi!

13esima edizione supera tutti i record L’incantevole città di San Quirico d’Orcia ha nuovamente ospitato l’Orcia Wine Festival: dal 25 aprile al 28 aprile, appassionati di vino, intenditori e famiglie si sono riuniti per gustare i sapori dei vini Orcia Doc e immergersi nel tessuto culturale di questo angolo pittoresco della Toscana.
Già alla sua tredicesima edizione, la manifestazione ha preso il via con un notevole aumento di presenze (oltre 1350 gli ingressi), stabilendo un nuovo record di partecipazione. Per chi non è riuscito ad esserci è stato davvero un grosso peccato!!!
Cercherò dunque con questo articolo di condurvi con me alla scoperta di una bellissima kermesse enologica. Un programma d’eccezione Sotto la guida di Giulitta Zamperini, presidente del Consorzio del Vino Orcia, e in collaborazione con il Comune di San Quirico d’Orcia, il festival si è svolto come una celebrazione multiforme che ha soddisfatto tutte le età e tutti gli interessi. Il programma del festival è stato variegato quanto i vini che celebrava, offrendo qualcosa per tutti. Dalle degustazioni guidate da esperti alle attività adatte alle famiglie come l’iniziativa Orcia Wine for Kids, l’evento ha mostrato la versatilità e l’accessibilità dei vini Orcia. Zamperini ha sottolineato il ruolo del festival come piattaforma per mostrare il terroir unico e la qualità in ascesa dei vini Orcia Doc, evidenziando la partnership preziosa con la comunità locale. Il programma del festival ha offerto una proposta vincente per tutta la famiglia. Tra le varie iniziative, ho particolarmente apprezzato l’idea del laboratorio per bambini chiamato “Orcia Wine for Kids”. In questi giorni, spesso vissuti in compagnia della famiglia, questa iniziativa offre un’opportunità preziosa: un laboratorio pensato appositamente per i più piccoli, della durata di ben tre ore, che permette ai genitori di godersi appieno le degustazioni e le masterclass senza preoccuparsi dei figlioli. Durante tutto il festival, i partecipanti hanno avuto l’opportunità di esplorare le strade storiche di San Quirico d’Orcia attraverso passeggiate urbane e visite guidate, immergendosi nel ricco patrimonio culturale della città. l Museo Barbarossa e il Museo Forme nel Verde hanno accolto i visitatori, offrendo spunti sulla storia e la bellezza naturale della regione.
Questo festival ha regalato un’atmosfera unica, lontana dalla confusione che spesso caratterizza altri eventi simili. Immergiamoci dunque nell’energia travolgente dell’Orcia Wine Festival. Un ringraziamento speciale a Marco Capitoni e al Consorzio Orcia che mi hanno dato l’opportunità di esplorare a fondo i vini, il territorio e le cantine. Ma prima facciamo un salto nella storia della DOC e del territorio. Il vino più bello del mondo! Questo slogan, coniato dalla mitica Donatella Cinelli Colombini, incarna il profondo legame dei vini di questa regione con il territorio della Val d’Orcia, riconosciuto nel 2004 come patrimonio dell’UNESCO, diventando il primo territorio rurale a conseguire tale prestigioso riconoscimento.
La storia geologica e pedologica della Val d’Orcia risale a milioni di anni fa, quando questa regione faceva parte di un vasto mare che si estendeva attraverso l’attuale area conosciuta come Toscana. I movimenti tettonici della crosta terrestre nel corso dei millenni hanno portato all’innalzamento del suolo, emergendo dal mare e dando inizio alla formazione delle catene montuose che circondano la valle.
Le rocce marine e sedimentarie che costituivano il fondale marino hanno creato un substrato geologico ricco di minerali e nutrienti che ha reso la regione estremamente fertile, caratterizzata da una grande varietà di terreni e suoli, che vanno dalla terra argillosa alle rocce calcaree e al galestro conferendo ai vini complessità e struttura. Altro fattore importante è il microclima favorevole alla maturazione delle uve che fa godere di ampie escursioni termine tra giorno e notte, fondamentali per la concentrazione degli aromi e per il mantenimento dell’acidità nei vini. Un po’ di storia della Doc La DOC Orcia è stata istituita il 14 febbraio 2000, su impulso di alcuni produttori e fondatori del Consorzio Vini Orcia, con l’obiettivo di sostenere e promuovere l’immagine del vino e del territorio straordinario in cui viene prodotto. Il Sangiovese è il vitigno principale utilizzato nei Vini Orcia: nell’area sono coltivati anche altri vitigni autoctoni e alloctoni, tra cui Foglia Tonda, Colorino, Merlot, Petit Verdot, Trebbiano, Vermentino, Malvasia, Chardonnay, Marsanne e Roussanne.
La denominazione Orcia DOC comprende varie tipologie di vino: Orcia, Orcia Sangiovese, Orcia Riserva, Orcia Rosato, Orcia Bianco e Orcia Vin Santo. La zona di produzione dell’Orcia DOC si trova tra due rinomate denominazioni enologiche, il Brunello di Montalcino e il Vino Nobile di Montepulciano, famose per la produzione di grandi vini rossi apprezzati in tutto il mondo.
Dodici sono i comuni coinvolti nella produzione di questo vino nella denominazione, situati nella parte sud della provincia di Siena: Buonconvento, Castiglione d’Orcia, Pienza, Radicofani, San Quirico d’Orcia e Trequanda, oltre a parte dei comuni di Abbadia San Salvatore, Chianciano Terme, Montalcino, San Casciano dei Bagni, Sarteano e Torrita di Siena. Alla scoperta dei volti dell’Orcia Doc Ecco le 20 Cantine partecipanti all’Orcia Wine Festival: Atrivm, Bagnaia, Campotondo, Capitoni Marco, Dirimpettaio, Donatella Cinelli Colombini, Fabbrica, La Canonica, La Nascosta, La Grancia di Spedaletto, Olivi – Le Buche, Palazzo Massaini, Podere Albiano, Roberto Mascelloni, Poggio Grande, Sampieri del fa, Sassodisole, Tenuta Sanoner, Val d’Orcia Terre Senesi, Vegliena. Dopo aver esplorato i banchi d’assaggio allestiti nelle magnifiche sale affrescate di Palazzo Chigi Zondadari, mi sono concessa una veloce rinfrescata e ho indossato un outfit elegante, pronta per un appuntamento imperdibile.
Al centro del festival c’era infatti la “Cena a Palazzo” del 27 aprile, a cui ho avuto l’onore di essere invitata e che ho molto apprezzato. Una festa culinaria curata in collaborazione con l’Alleanza Slow Food dei Cuochi Toscana. Si è trattata di un’esperienza esclusiva: una cena a quattro mani curata dai talentuosi chef Massimo Rossi del ristorante Belvedere di Monte San Savino e Tiziana Tacchi de Il Grillo è Buon Cantore di Chiusi. Cena a palazzo Chigi Sullo sfondo di Palazzo Chigi Zondadari, gli ospiti hanno gustato un menu creato per esaltare i sapori della regione, con ingredienti provenienti dalla “Comunità dell’olivo minuta” di Chiusi e dalla “Comunità della cassetta di cottura” di San Casciano dei Bagni. Ogni piatto è stato abbinato con cura ai vini delle venti cantine presenti al OWF, mostrando la relazione armoniosa tra cibo e vino profondamente radicata nella tradizione toscana. Una bellissima scoperta è stata la Cassetta di cottura, che ha permesso di creare piatti a lunga cottura in modo sostenibile e con risultati eccellenti.     Ecco il menu. L’atmosfera della serata era pregna di soddisfazione per il buon andamento della manifestazione, e si respirava una bella armonia tra i produttori, che oltre ad essere colleghi sono anche amici. Si percepisce un’autentica collaborazione che permette alla denominazione di crescere sempre di più. Risveglio speciale in Val d’Orcia Domenica mattina, il risveglio a Campiglia in Val d’Orcia è stato magico. Cielo terso e un paesaggio mozzafiato. Avevo voglia di correre a Palazzo Chigi per riprendere gli assaggi e soprattutto partecipare alla masterclass con 9 riserve. Ma prima, una ricca colazione e un salto con Paolo Salviucci della Cantina Campo Tondo, ad ammirare le vigne ad alberello. Spero di parlarvene presto in un articolo dedicato, magari quando in autunno sarà finita la nuova cantina!   La masterclass con le Riserve a Palazzo A Palazzo Chigi iniziamo una splendida masterclass che mi permette di valutare i vini Orcia nel tempo. Fondamentale l’introduzione dei produttori e magnifica la degustazione di Andrea Frassineti Delegato ONAV Siena, un vero conoscitore sia del territorio che dei vini. Andrea ci ha accompagnato calice dopo calice alla scoperta di ben nove vini: l’annata 2019 sicuramente ha mostrato di avere una marcia in più. Dagli assaggi più semplici ai vini più complessi è stato un crescendo molto coinvolgente e rivelatore! Altra masterclass interessante è stata quelli dei bianchi, sabato mattina sempre a Palazzo Chigi,  dove è stato possibile paragonare i vari Orcia Bianco DOC  e IGT andando da vini più semplici e beverini come lo chardonnay Il Tavoleto di Campo Tondo fino a vini più complessi ed evoluti come il Toscana Bianco IGT  di Poggio Grande da uve Marsanne e Roussanne che fermentano e affinano per circa il 50% in legno,  creando un vino di grande struttura, complesso e persistente da gustare nel tempo. Ma passiamo agli assaggi più significativi Tra i bianchi mi hanno colpito il Vermentino Toscana IGT BattiBecco 2023 di Bagnaia per la sua mineralità, ma anche l’ORCIA DOC Rosato MaLamore 2023, dal colore tenue ma brillante. Vini molto beverini e ideali per le serate estive. Particolarmente azzeccato il rosato a base di Sangiovese 100%. Due vini diversi ma che in comune hanno la succosità e lo stacco sapido finale. Bravi, perché il sangiovese in purezza nella versione rosata, non è mai facile da lavorare! Un altro assaggio che mi ha colpito è stato il vino frizzante PetNat Fabbrica – Pienza, originariamente parte della gamma sperimentale, prototipo prima di diventare un nuovo prodotto l’anno scorso, con un nome e un’etichetta completamente nuovi! PopNat 2023 è un vino frizzante naturale, con la fermentazione che ha inizio nel tino e si conclude in bottiglia. Nessun solfito aggiunto, non filtrato, chiarificato o degorgiato; si tratta sicuramente di un vino naturale, caratterizzato da un carattere eccentrico e da una torbidezza che ne enfatizza l’originalità. Lo Spumante Rosato brut (metodo charmat) ultimo nato dell’azienda Sassodisole, che produce vino a Montalcino da ben 4 generazioni,  come spiega Roberto Terzuoli, è il sangiovese più festaiolo, che però grazie alla sua struttura, ben celata dietro l’estrema piacevolezza, può essere un vino da tutto pasto. 6 ore di macerazione, presa di spuma in autoclave, colore accattivante, quasi ipnotico: il sangiovese che non ti aspetti! Altro passo per Bulles Metodo Classico Rosato brut, ottenuto da uve Sangiovese in purezza, dell’Azienda Atrivm situata a San Giovanni d’Asso, nel territorio di Montalcino.
Ho avuto il piacere di assaggiare il millesimo 2018, sboccato a gennaio 2024 dopo aver trascorso circa 72 mesi sui lieviti.
Questo vino viene prodotto solo nelle annate migliori, con una produzione limitata a 500-600 bottiglie. Il perlage è fine e il colore delicato, ottenuto grazie a poche ore di macerazione delle bucce. Si tratta di un brut in cui il dosaggio rende il sorso equilibrato e piacevole, con una persistenza che invoglia a continuare a gustarlo. Pluralità di espressione nei rossi fra Orcia doc, Riserve e IGT Passando ai rossi il discorso si complica perché incontro una pluralità di stili e intenzioni che dapprima possono un po’ disorientare ma poi comprendo: alcuni vini sono figli del territorio, altri sono espressione del vignaiolo. Marco Capitoni mi colpisce sempre per la genuinità e la franchezza dei suoi vini. Pur avendo poche etichette, i suoi vini sono identitari e rappresentano un ritorno alle radici per chi conosce questa realtà. Tra le sue creazioni più riconoscibili, troviamo il Troccolone Orcia Sangiovese Doc 2022, un vino che fermenta e affina in anfora di terracotta dell’Impruneta. È una vera e propria “astuzia enologica”, capace di mantenere intatto il frutto e la freschezza del Sangiovese, mentre in bocca addolcisce le sue asprezze. Il Capitoni Orcia Riserva Doc 2020, un Sangiovese con una percentuale variabile di Merlot, incarna lo stile ormai consolidato dell’azienda. Ancora qualche mese di affinamento in bottiglia e sarà pronto a rivelare appieno la sua complessità. Non posso dimenticare la nuova etichetta presentata al Vinitaly, il Merlot in Magnum dal suggestivo nome “L’uomo e l’uva” IGT Toscana 2019, che conferma la costante ricerca di eccellenza da parte di Capitoni. Se desideri comprendere appieno l’essenza dell’Orcia DOC di Pienza, lui è lo stile di riferimento. Le sue vigne, situate appunto a Pienza, si sviluppano su stratificazioni di sabbie e argille plioceniche a 460 metri sul livello del mare. Capitoni Orcia doc è l’unica etichetta che, dal 2001, viene prodotta ogni anno e secondo Marco Capitoni, è come un puzzle. Frutto di un lavoro certosino, il vino passa attraverso vendemmie separate, vinificazioni separate e affinamento in legni separati. Dopo due anni, si decide il blend vincente che, seppur costante, è sempre il risultato dell’annata. Infine, segue un anno di affinamento in bottiglia prima di essere commercializzato, garantendo una qualità eccezionale e una perfetta espressione del territorio. Podere Albiano: tanto impegno e una scommessa vinta
Ci troviamo nel suggestivo territorio di Trequanda, precisamente nella Frazione di Petroio, dove nei primi anni del 2000 Anna Becheri e Alberto Turri decidono di abbandonare Milano per intraprendere una nuova vita nella Val d’Orcia, partendo da zero. Con determinazione e passione, impiantano manualmente le prime vigne in un territorio ricco di ulivi, boschi e altre coltivazioni. Dopo tre anni di sperimentazioni e microvinificazioni, mirate a comprendere le caratteristiche delle uve e le potenzialità che potevano esprimere, nel 2009 inaugurano una cantina nuova e sostenibile.
I nomi dei loro vini sono un omaggio alla tradizione che li circonda, come Ciriè (che significa “è di nuovo”), a simboleggiare la rinascita della vigna proprio nel luogo in cui era sempre stata! Distintive anche le etichette artistiche che richiamano ai paesaggi della Val d’Orcia.
Tra le loro creazioni, l’Orcia DOC Riserva 2019 Tribolo mi ha particolarmente colpito per la sua schiettezza e verticalità, per la freschezza succosa che caratterizza i grandi Sangiovese. Una nota di grafite arricchisce il bouquet, mentre la complessità e la persistenza in bocca sono testimonianza di una vendemmia eccezionale.   La Grancia di Spedaletto e i sogni che si avverano La Grancia di Spedaletto è il frutto del sogno del nonno di Francesco, il quale, all’età di vent’anni, lasciò le Marche insieme alla nonna per intraprendere una nuova vita in Toscana. Qui avviarono un’azienda agricola e, negli anni successivi, il celebre agriturismo del Castello di Spedaletto, situato nel cuore della Val d’Orcia. Nel 2002, anno della nascita di Francesco, sono state impiantate le prime vigne e ha avuto inizio la produzione vinicola. Oggi, la Grancia di Spedaletto è un’azienda vitivinicola di dimensioni ridotte, con circa un ettaro di vigneto, che si distingue per la produzione di due vini, di cui uno è una riserva di Sangiovese in purezza sottoposta a lungo affinamento.
Questa realtà è a conduzione familiare, e recentemente Francesco insieme al cugino, Mirko Pifferi, hanno preso il timone dell’azienda, occupandosi sia della gestione del vigneto che della cantina, con l’obiettivo di combinare tradizione e innovazione. I vini prodotti sono genuini e sinceri, espressione autentica del territorio e del lavoro appassionato della famiglia. Nonostante debbano ancora crescere, l’entusiasmo e la passione per il lavoro non mancano, e questo si riflette nella qualità e nell’unicità dei loro vini. Sornione come un gatto acquattato tra le viti che uniscono vite Quando ascolti Gabriella parlare dei vigneti, dell’azienda e dei vini, è evidente la dedizione e la passione che ci sta dietro, e non manca mai un sorriso sul suo volto. Valdorcia Terre Senesi, situata a Castiglione d’Orcia, ospita i loro vigneti, incastonati tra boschi e altre realtà biologiche, a un’altitudine compresa tra i 380 e i 500 metri sul livello del mare. Oggi, quasi 7 ettari di vigneti si estendono su una collina che guarda il Monte Amiata, con un’esposizione est-ovest che regala una generosa illuminazione solare e un microclima adatto alla vite. In vigna vengono adottate esclusivamente pratiche tradizionali e sostenibili, evitando l’uso di prodotti chimici. Tutta la produzione è tracciata, certificata e controllata.
Accanto al Sangiovese, coltivano varietà come Cabernet Franc, Merlot, Colorino, Pugnitello, Ciliegiolo e Foglia Tonda. Vorrei soffermarmi sulla loro Riserva Orcia DOC 2019  Sornione, un Sangiovese in purezza che affina per 24 mesi in legno e un ulteriore anno in bottiglia. Il nome stesso fa riferimento a un gatto panciuto che attende di catturare il topo, proprio come questo vino attende pazientemente nelle botti panciute di essere gustato. E in effetti, è un vino che cattura l’attenzione con la sua complessità, la sua eleganza e la sua capacità di raccontare il territorio e la passione che vi è dietro ogni sorso. Luca e Giulitta Zamperini e la storia di un amore grande! Sarebbe facile raccontare la storia di un’azienda con una tradizione lunga più di un secolo, eppure Poggio Grande va oltre. Fondata nel lontano 1907 da Giovanni Zamperini, la famiglia ha vissuto per generazioni nella campagna che circonda il Castello di Ripa d’Orcia, dedicandosi con amore e passione alla fattoria e alle antiche tradizioni agricole dell’allevamento e della coltivazione. Ma Poggio Grande è molto di più. Dal 1999 è anche una cantina, grazie alla dedizione di Luca, attuale proprietario, che ha investito tempo e cura in ogni dettaglio. Dalla scelta delle migliori terre per impiantare nuovi vigneti ai metodi sperimentativi utilizzati nei processi di cantina, l’obiettivo è sempre stato quello di ottenere una produzione di alta qualità.
Ma è anche la storia di un padre e una figlia che condividono una grande passione e che tutti i giorni si impegnano nella gestione della vigna e della cantina mettendoci sempre tanto amore. Ed è quello che si ritrova poi nel calice, insieme a una certa “follia” del voler fare tutto a modo suo di Luca. E così nasce la riserva che vi voglio raccontare: Di Testa Mia Orcia Riserva 2019. Solo 1060 bottiglie prodotte non nelle annate migliori (per ora solo 3 annate dal 2015), ma nelle annate che piacciono di più a Luca, in cui ci crede! La storia del vino la potete ascoltare direttamente da loro, io vi descriverò il vino. Nasce da una sola botte di 10 hl che Luca mette da parte per gli amici, le uve migliori provenienti dal primo vigneto impiantato, e fa quasi 4 anni di affinamento in tonneaux di rovere francese e poi bottiglia. Un vino complesso e longevo, che incarna tutta la passione e l’impegno di una famiglia che ha fatto della viticoltura una vera e propria arte. Cantina Campo Tondo e una famiglia che ci crede Cantina Campo Tondo è molto più di un’azienda vitivinicola: è una famiglia che crede nel proprio territorio e nella passione per il vino. L’affinità nata con la famiglia Salviucci è stata immediata e ho apprezzato ogni membro della famiglia. Persone diverse ma con valori saldi, che portano con loro in vigna, in cantina e nel calice. Mi hanno riservato un’accoglienza speciale, e desidero ringraziare in modo particolare Paolo, che domenica mattina mi ha condotto a vedere le loro viti ad alberello, Elena che ha curato tanti dettagli della manifestazione e, in particolare, la cena a Palazzo, e Sabrina, con cui sento di aver instaurato una bella amicizia. Non vedo l’ora di tornare quando sarà ultimata la nuova cantina per poter scrivere e  raccontare di più.
Dal coraggio di Paolo e Sabrina nasce la loro azienda a Campiglia d’Orcia nel 2000. Oggi è subentrata anche Elena, mentre Sabrina continua a dare un supporto importante. I loro vini si possono considerare di montagna, con altitudini che sfiorano i 600 m slm e un microclima caratterizzato da forti escursioni termiche che permettono maturazioni lente e una grande concentrazione di aromi. Vi parlerò dell’Orcia DOC Banditone 2020. Il nome deriva dal toponimo del vigneto La Bandita, la prima vigna impiantata nel 2000 a Sangiovese con qualche filare di Merlot e Colorino. Esiste un legame profondo tra Banditone e Paolo Salviucci perché è il primo vino che ha prodotto, quello in cui si riconosce di più. Si presenta con un colore rubino brillante e un naso preciso e fine che ci parla chiaramente del Sangiovese: note di viola mammola, frutti rossi e speziatura dolce, con delicate nuance leggermente tostate. In bocca si apprezza la sua complessità: freschezza, note balsamiche e una piacevole trama tannica. Il palato è appagante, grazie anche all’ottima spalla acida che lo rende un vino dalla grande bevibilità, una caratteristica che contraddistingue tutti i vini di Campo Tondo. Ci vediamo alla XIV edizione di OWF Vorrei continuare a condividere con voi tanti altri assaggi straordinari, ma temo di dilungarmi troppo.
Pertanto, vi invito caldamente a visitare la Val d’Orcia e i suoi vignaioli, scoprendo personalmente le meraviglie di questa terra e assaggiando i suoi vini unici. Inoltre, non perdete l’occasione di partecipare alla prossima edizione dell’Orcia Wine Festival , in programma dal 25 al 27 aprile 2025. Io ci sarò e non vedo l’ora di incontrarvi e condividere insieme questa straordinaria esperienza enologica! Benedetta Costanzo
benedetta.costanzo@winetalesmagazine.com
Mi trovi su Instagram come @benedetta.costanzo
Leggi
Arrow Right Top Bg

3 Maggio, 2024

Cantina Murales. Piero, su strangiu. Anzi no, su sambenau

“Su sambenau” o “sangunau” è una termine sardo (e il sardo è una lingua) che denota il cognome di una persona: il nome di sangue. Il nome che è legato alla terra sarda per nascita. Una vera appartenenza. Si contrappone a “su strangiu o “istranziu” ovvero il forestiero, lo straniero, l’estraneo. Non sempre in accezione negativa. Ma comunque non sardo, non nato sull’isola.  Ora, immaginatevi di essere ad Olbia, in Sardegna e di incontrare una persona con tipico accento nordico, quasi milanese o giù di li. Magari non saprete bene distinguere la zona ma la differenza con il modo tipico di parlare di questo luoghi sarebbe evidente.  In fondo Olbia è limitrofa alla Costa Smeralda e di milanesi o lombardi ce ne sono a iosa. Turisti certo ma anche strangiu, stranieri colonizzatori. Proprietari di ristoranti e hotel frequentati, per via dei prezzi stratosferici, solo dai ricchi. O perlomeno benestanti.  Se poi il presunto lombardo vi accoglie nella sua meravigliosa cantina insieme alle sue figlie che parlano varie lingue, beh allora ogni dubbio è fugato. Un altro strangiu in terra sarda.  Eh le apparenze le apparenze quanto ingannano e quanto possono fornire una visione distorta del mondo. Fermarsi in superficie è sempre un errore. Vedere il cielo da un oblò come cantava Gianni Togni vuol dire perdersene un bel pezzo.  Quando conosco Piero Canopoli in qualità di titolare della Cantina Murales, non posso fare a meno di chiedergli: scusa, ma sei sardo? E lui: certo che sono sardo? Ma con questo accento? Ecco qui inizia la mia conversazione con Piero. La scoperta di quante vite ci siano al mondo, quante storie possano celarsi dietro le persone, è meraviglia. Quanto ognuna sia diversa dall’altra e rechi in se la meraviglia di un racconto. Sono le storie come questa che meritano di essere raccontate. La mia anima oltre ad esserlo è sarda. Ragiono da sardo. Amo questa terra in maniera viscerale. Accento del nord Italia ma sardo fino al midollo. L’accento non mi colloca sulla mia terra di origine. Con quell’accento li non sei sardo dice la gente qui.  Se cinquanta anni fa i giovani scappavano dalla Sardegna era perché non c’era possibilità di lavorare. Forse possiamo dire che non c’era “ancora”. Poco il turismo sviluppato. Poche le necessità ricettive. Poco il focus sulle risorse locali. Toccava emigrare. Spostarsi altrove.  Il papà di Piero faceva un lavoro antico e nobile. Un livello di artigianalità che in Sardegna non si sarebbe potuto esprimere al meglio. Restaurava arazzi. Un lavoro particolare. Unico.  Il destino gioca scherzi strani. C’è chi arriva e chi va. Sfiorandosi senza mai incontrarsi davvero. Capita questo in un paese sulle sponde del Lago Maggiore, Leggiuno, provincia di Varese.  Leggiuno. Un paese sconosciuto e sfido chiunque non sappia di calcio a dirmi se lo conosce.  Calcio? Si, proprio calcio. In questo paese di poco più di 3000 anime, nacque nel 1944 Rombo di tuono. Così un maestro del giornalismo sportivo italiano, Gianni Brera, definì Gigi Riva. La leggenda del calcio italiano da poco scomparso.  Una bandiera per i sardi. Una specie di Dio. Qui lo vedevano come qualcosa di unico. E probabilmente lo era. Da bambini all’oratorio lui ci spiegava il calcio. Anche io come Gigi Riva sono tornato in Sardegna. Però dopo 40 anni.  Gigi Riva in Sardegna approda, al Cagliari nel 1963. Gioca con la squadra sarda per 14 anni vincendo anche uno scudetto (campionato 1969/70) ma dalla Sardegna non se ne andò mai più. Legato a questa terra. Stregato da questa terra. Un sardo di adozione adorato dai sardi.  “S’istranziu“ (o S’istranzu), l’ospite d’onore che diventa uno del luogo.  Piero invece torna in Sardegna nel 2000. Molti anni dopo di Gigi Riva. Piero ad Olbia, Gigi Riva a Cagliari.  Gli anni a Leggiuno Piero li dedica al mondo del vino. Insieme alla moglie Giuliana fanno consulenze, formazione, didattica per associazioni.  Da sommelier ci siamo occupati di questo modo sia dal punto di vista produttivo sia formativo. Ma anche commerciale. Facevo molto estero come consulenza. Prendevo 120 aerei all’anno. Prenderli da Malpensa mi creava fastidio. Perché non vivere dove ci piace vivere? Farò uno scalo in più ma almeno viviamo dove ci piace. Così ci siamo trasferiti in Sardegna. Insomma, trasferirsi in Sardegna è solo un modo per tornare alle origini. Per vivere nella terra che si ama e nella quale si riesce a tornare solo nel periodo estivo come vacanzieri. Si continua a fare il lavoro di prima. Si continua a fare la vita di prima. Piero, Giuliana e le tre figlie Martina, Arianna e Greta.  La scelta di andare via è stata anche legata a loro, le nostre figlie. La grande ha finito le scuole a Leggiuno e poi si è trasferita qui. Le altre due erano in età prescolare. Abbiamo ritenuto giusto che quel momento lo vivessero qui. Nessun trauma e adesso nessuna vuole spostarsi da qui. Su strangiu. Piero è sardo. Il papà era sardo. La sua famiglia è sarda. Ragiona come un sardo. Però parla con il tipico accento del varesotto. Lui come la sua famiglia. È lo straniero. Non certo quello del quale occorre temere perché Piero, solo a vederlo negli occhi, è un buono. La sua professione, quella che continua a portarlo fuori dalla Sardegna per le consulenze, non passa certo inosservata, cosa questa che gli comporta l’iniziale ad essere coinvolto in piccole consulenze enologiche.  Hanno cominciato a chiedermi delle piccole consulenze. Poi senza quasi e rendermi conto ho acquisto dei terreni insieme a qualche altro che non era all’altezza. Ci siamo ritrovati soli e cosi partiti con il progetto definitivo di Cantina Murales. Inizialmente, nel 2007, erano 5 ettari poi sono diventati 8, poi 12, adesso 25. L’idea è ridurli per concentrarci ancora maggiormente su un concetto di nicchia. È brutto dire di nicchia perché sembra che produciamo solo per pochi. Però produciamo 100.000 bottiglie e io le voglio ridurre a 60.000 per aumentare e stressare il concetto di qualità. Che non potesse più fare il lavoro di prima, viaggiando per mezza Europa, Piero non l’aveva messo in conto anche se, inesorabilmente, i viaggi iniziano a diminuire con il crescere dei vigneti. Adesso quasi non viaggio. Non me ne sono praticamente accorto. Adesso a mia volta pur non avendone necessità, ho un consulente. Sono sempre stato un tecnico con le mani in pasta. Dunque non c’è stato un cambiamento. Mi avvalgo di collaboratori perché delego molto. E mi piace.  Spesso si dice che i consulenti siano dei teorici. Persone certo preziose per il bagaglio di esperienza derivante dagli studi e dal poterli applicare in molteplici e variegate realtà. Quanto però a mettere personalmente in pratica i loro dettami, è altra cosa. Piero invece, è riuscito in questo salto. Magari per qualcosa presente nel DNA in maniera innata. Siamo una famiglia di sei fratelli cinque dei quali sono imprenditori. In vari settori ma imprenditori. Ristorazione, gelati..siamo sparpagliati tra Sardegna, Germania, Canarie. Forse nostro padre, con intenzione o meno, ce l’ha trasmessa. Anche se papà non è riuscita a vedere questa imprenditorialità. La differenza con i produttori locali, raramente con esperienze fuori dall’isola, è evidente. Piero ha nel bagaglio, grazie alla sua precedente professione, una grande conoscenza del mondo enologico. Capire cosa si possa ottenere da un suolo, da un ambiente piuttosto che da una filosofia di vita o necessità commerciale è un valore aggiunto che porta con se. Ho fatto una sintesi e l’ho applicata al territorio. Così i nostri vini non sono tradizionali. Tipici si ma non tradizionali. Anche se il concetto di tradizionale è strano. I territori vanno sperimentati e bisogna farli evolverli attraverso la conoscenza.  25 ettari sono una discreta superficie. Le 13 etichette in gamma sono certamente compatibili con tanta vigna ancorché sembrano un pò troppe. Troppe se non si capisce nel profondo l’uomo e il professionista Piero. Pacato si ma istrionico e sempre alla ricerca, per necessità caratteriale, di sfide e di qualcosa da inventare. Sperimentare per capire. Non c’è da parte sua esigenza di una personale consacrazione. Per lui i vini sono suoi fino a quando non vengono messi in bottiglia. Poi li considera del cliente. Una filosofia che lo porta a cercare quella tipicità territoriale volta a capire cosa il terroir può fornire.  La molteplicità nasce un pò per esigenze di natura commerciale della quale si occupa mia moglie. Aveva esigenza di toccare più segmenti. Io sono stato in disaccordo con questa filosofia anche se i territori che si esprimevano in modo diverso. Mi permettevano di fare questo. Non mi è mai andato di contaminare i vigneti combinandoli tra loro. Ogni territorio esprime un vino e per questo tante etichette. Ma sono tante. Andrò ad eliminarne qualcuna. Almeno cinque etichette sono di annate eccezionali. Ogni due tre anni e non di più. Quando tappo la bottiglia ho la sensazione che non mi appartenga più. Il giudizio sul vino che c’è dentro sono gli altri che devono darmelo. Fino a che non lo chiudo in bottiglia lo sento mio. Poi dopo no. Credo che questo appartenga a molti tecnici. Mi piace sentire i feedback. Il nostro è un mondo dove parlare e giudicare è alla portata di tutti.  Prima si diceva che eravamo tutti tecnici della Nazionale di calcio e Gigi Riva ne sapeva qualcosa pur essendo stato (e ancora lo è) il miglior realizzatore di sempre. Ora siamo tutti sommelier e abili degustatori. Bello comunque assistere ad un confronto di sensazioni. Siamo soggetti sensorialmente diversi uno dall’altro e le differenze sono senz’altro preziose. Ciò che però non si capisce è come, per diventare Commissario Tecnico della Nazionale di calcio occorra studio, preparazione, esperienza. Idem per essere un divulgatore di vino. Non ci si improvvisa. La personalità di Piero è in ogni suo vino. A partire dall’etichetta. Lui è una di quelle persone che usa l’istinto e l’improvvisazione. Non in maniera geniale ma in modo viscerale. Sono gli attimi, sono le situazioni, è l’ascolto a nutrire questa capacità.  È un pò di follia anti commerciale. È l’istinto. L’etichetta nasce con il vino. Il vino mi ha dato degli stimoli. Sono accadute delle cose, belle e brutte. Così nasce il nome e l’etichetta. Tutto è legato al momento.  Vermentino Lumenera. È un Vermentino di Gallura superiore. Ha poco a che fare con i Vermentini tradizionali perché ragionato in stile Borgogna. Le uve fermentano in tonneau per poi affinare in cemento con bâtonnage quotidiani. Ne deriva un vino corposo e strutturato, complesso e armonioso. Un vino che piace e si fa piacere senza snaturare il vitigno. A fine fermentazione, nello spostamento dalla tonneau al cemento, il vino aveva un colore che sembrava brutto, crepuscolare, come quando sta per tramontare il sole e la luce ci abbandona. La prima volta questa operazione l’abbiamo fatta proprio a quell’orario. Aveva un colore crepuscolare, eravamo al crepuscolo ed è andata via la corrente. Per cui abbiamo acceso delle lampade ad olio che in Sardegna si chiamano Lumenere. Queste lampade sono state accese durante il primo travaso ed il vino ha ripreso luce tornando ad essere bello. Era la prima sfecciatura. L’etichetta ritrae proprio questa scena. È proprio Piero che abbozza le etichette. Metto giù le idee e lascia fare ad un suo amico grafico che le mette in bella. Miradas è un Vermentino di Gallura. Classico direi ma dal gusto che ricorda in pieno la Sardegna per la sua finezza ed eleganza. Iodio ed agrumi, frutta tropicale, biancospino, macchia mediterranea avvolgono il naso per poi lasciare spazio ad un insolito balsamico che punge il naso. L’agrume spinge ancora. Senza dare fastidio o ingolfare il naso. Le noti risultano dolci, non pungenti, non stucchevoli. Un naso che invita clamorosamente al sorso. Lo chiama e, quando arriva, appaga riempiendo completamente la bocca con l’agrumato che, anche qui, non sovrasta bilanciandosi perfettamente con la dolcezza. C’è quasi una botta di salmastro che affascina per la sua forza e pienezza. Un vino secco e fresco con un finale quasi mandorlato, ma mandorla dolce. Persistenza decisamente buona. Un vino  mai banale, mai civettuolo. Al contrario, preciso e che in una tavola della Costa Smeralda colmo di crostacei diventa una celebrità.  Quando nasceva quel vino in cantina avevamo due ragazzi che facevano l’alternanza scuola lavoro. Erano un giovane e una giovane. 14/15 anni. Erano li per osservare. Una signora che lavorava con noi, aggredì questa ragazzina parlandone in sardo. Chiuse la sua invettiva dicendole Miradas. “Ma perché l’hai aggredita e perché le hai detto Miradas?” Mi disse che la ragazza, nascosta da un velo, mandava dei messaggi in codice al ragazzino. Il vino voleva essere un pò ammiccante ed ammaliante. Dunque ci stava. Bastat una mirada
ch’essit dae su coro
po ti narrer chi t’amo.
Columba mia amada
ses su meu tesoro
ischis cantu ti bramo Il Sentenzia, da uve Viognier rappresenta le anime di Piero. Da un lato quella del tecnico, del professionista che vuole sperimentare perché capisce che in una terra come la Gallura un vitigno del genere ha tutte le potenzialità per esprimersi. Dall’altro quella del sardo, testardo per antonomasia, che quando si mette una cosa in testa, la vuole fare.  Ha un punto esclamativo che sta per perplessità. Ho piantato un vigneto di Viognier che in Sardegna nessuno aveva mai fatto. Io lo volevo ma ho beccato un sacco di no. Dalle istituzioni dai tradizionalisti, dalle persone. Ma volevo sperimentare. È partita una diatriba territoriale che è finita con il vino Sentenzia. Una sentenza. Oggi è diventato un IGT e tutti possono piantare Viognier poiché nell’elenco regionale.  Ha fatto bene Piero ad insistere perché la versione Sentenzia è una positiva e inappellabile sentenza per il Viognier qui. L’eleganza, la complessità, la capacità di questo vitigno di raccogliere qui ogni sentore del territorio e del mare è a dir poco magico e sorprendente. Rotondità e sapidità i punti di forza in bocca.  Nativo è il rosso da Carignano che esprime la forza e la magia di questo territorio. È come se la Sardegna, centro del Mediterraneo, sia riuscita a raccogliere tutto nel calice. Poderoso, armonico, equilibrato, possente ma al contempo morbido e speziato. Un vino che nasce tra la macchia mediterranea che generosamente restituisce. Bisogna guardare l’etichetta. È un tronco di pianta da sughero. Molto bella. Rispecchia la nostra volontà di essere una azienda molto rispettosa dell’ambiente. Per impiantare quel vigneto abbiamo tolto qualche pianta da sughero. Un ciocco di albero era rimasto nel vigneto. Dopo un anno passando di li vidi che aveva buttato un germoglio. Ho fatto una fotografia e l’ho data al grafico. Voglio questa per l’etichetta. “L’etichetta è già fatta” risponde lui. Il germoglio è diventato dorato perché prezioso. Vicino ci ho messo un’ape che idealmente aspetta un fiore per ripartire per l’impollinazione.  Il Cannonau Riserva è Arcanos. Un vino che lascia l’impronta e che può lasciarla per molto visto la sua capacità di essere longevo. Ribes, mirtilli, prugna, arancia. Poi sentori di muschio e fiori rossi che si uniscono alla cannella, al pepe, alla noce moscata. Infine un insolito incenso che rende il balsamico e la macchia mediterranea, davvero uniche. In bocca arriva subito una importante freschezza. Arriva come lo schiaffo di gelosia, intenso, passionale, vibrante di una donna che ti ama e ti vuole per se e solo per se così da baciarti intensamente subito dopo. La freschezza lascia infatti spazio ad un sorso pieno e morbido. Corposo. Così corposo da avvolgere completamente la bocca con un vero calore. Quello dei suoi 14 gradi, dei quali te ne freghi perché il bacio è ancora lungo dal finire. Come la sua persistenza. Sublime Se guardi l’etichetta ci sono dei compagnoni festosi. Sono i nonnetti della Sardegna. Mi piace molto di questo territorio. Quando mi voglio rilassare prendo la macchina, vado in uno dei paesi sulle colline, mi siedo in una piazzetta e mi metto a chiacchierare con queste meravigliose persone. È un pò una dedica a questo mondo di persone meravigliose. Certo che me lo vedo Piero che si va a sedere con i vecchietti del paese. Li ascolta, li guarda. È uno di loro. Immagino però quando è lui a parlare.  Devi capire che il sardo è quello che parla meglio di tutti l’italiano. Il sardo è una lingua e quando parlano l’italiano, è quello corretto. Hanno l’accento sardo però non lo contaminano con forme dialettali come fanno in altre regioni. Al limite ci mettono dento un aiò  Continuando a parlare di vino ci sono altre etichette che Piero definisce “di nicchia” perché prodotte raramente. Non eccezioni ma veri e propri inni.  Come Millant’Anni, inno alla longevità del territorio. Blend di Cabernet Sauvignon e Syrah. C’è un murales realizzato dal professor Francesco Del Casino, colui  che ha iniziato il muralismo in Sardegna. Mi piaceva concettualmente quel tipo di idea. Questo uomo anziano con la maro enorme che ha lavorato tanto nella vita. Il bastone ha il profilo dorato per esaltare la qualità del lavoro e dell’esistenza.  Ai Posteri rappresenta, come Sentenzia, la voglia di Piero di sperimentare in Sardegna attraverso la sua esperienza. Da uve Cannonau, Merlot e Syrah lasciate ad appassire in pianta fino a novembre. Possibile solo in particolari annate ovviamente.  C’è una mano timida che si vede poco che concede un grappolo d’uva ad una mano preziosa, dorata, che ha il compito di trasformarlo in un grande vino.  Ai posteri l’ardua sentenza insomma! PEP infine. Un vino che Piero ha nel cuore poiché legato all’amicizia. Quelle amicizie che ti porti dentro nel cuore. Che hanno quel sapore speciale dolce ed amaro. Un ricordo di un amico che non c’è più che ad ogni sorso riemerge per parlarti dei bei momenti trascorsi insieme. Cannonau, Syrah e Malvasia Nera vinificati separatamente dopo una appassimento in pianta. Lungo affinamento in cemento e in botte. Tempo di meditazione per un vero amico.  Lo chiamo il vino dell’amicizia. PEP è diminutivo di Peppino o Peppino e Piero. Era un ingegnere nucleare che aveva una fabbrica sua nel padovano. Per passione aveva realizzato un grande caveau e due o tre volte la settimana radunava alcuni amici industriali veneti. Guadagnava di più con le degustazioni che con la sua fabbrica. Mi ha coinvolto in un progetto a Dubai. Gli era stato chiesto di fare un vino assoluto. Così lo chiamava. “Piero lo faccio cont te o non lo faccio”. Siamo partiti per realizzarlo e raggiunto l’obiettivo con una etichetta diversa da quella che doveva avere ed era stata già pubblicizzata sulla rivista Living. Doveva chiamarsi Santabarbara. Nel bel mezzo dell’operazione Peppino è venuto meno e ho deciso di non seguire più quel business ma di dedicargli una bottiglia.  Nonostante Piero sia un tecnico di grande professionalità ha deciso di avere in cantina una sorta di contro altare. Confrontarsi per sentire non solo la propria testa. Confrontarsi per non farsi prendere dal facile entusiasmo. Maurizio Saltini è con lui da vari anni.  Mi piace confrontarmi perché spesso il mio gusto tende ad ingannarmi. Lui è un amico e mi rimette con i piedi per terra. Poi ci sono due cantinieri e un genero che lavora in vigna con la squadra.  Parlando con le donne di casa, definiscono, amorevolmente, Piero “fuori controllo”. Anche se non sembra è uno di quelli che non si ferma mai. Di quelli che quando hanno finito un progetto ne iniziano subito un altro. Sto lavorando su una mia personale versione del Vermouth che non ha nulla a che fare con quelli sul mercato. Non sarà la conseguenza di un vino da smaltire ma partirà dalle uve. Ho studiato molto e sono andato a vedere le origini del Vermouth. A Berlino, alla Biblioteca Culinaria, ho trovato un manoscritto del 1720 dove ci sono delle indicazioni. Sono quattro anni che ci lavoro e adesso ho trovato la formula giusta. L’ho messo sul mercato di nicchia degli amici e ora è il momento. Ma poi avrò bisogno di altro. Ho già testato per nicchia è metodo classico utilizzando i fichi d’india. Ho raggiunto una età che posso giocare. Martina, Arianna e Greta le tre figlie di Piero e Giuliana lavorano in azienda. Una azienda che si concentra certo sul vino ma, forte del richiamo turistico della Gallura e della Costa Smeralda, ha fatto dell’enoturismo un pilastro fondamentale. Martina si occupa della locanda e le sue dieci camere oltre che della parte amministrativa dell’azienda. Arianna che forte delle sue quattro lingue parlate correttamente si occupa dell’accoglienza (e qui di persone e arrivano davvero tante). Greta si è integrata nel gruppo e si sta formando in cantina. Abbiamo un bel flusso di persone. Abbiamo anche realizzato una linea di cosmetici con gli scarti della lavorazione della vinificazione: Acini nobili. Abbiamo anche la vinoterapia. Fanno massaggi con i nostri prodotti, poi una sauna e infine il bagno in un tino colmo di vino ed essenze. Magari facendo l’aperitivo. Li vedo che arrivano stressai e vanno via sollevati ad un metro da terra. La Sardegna è una terra meravigliosa ma impegnativa. Di quelle terra che ami o odi. Anche se sei nato qui, puoi scappare perché pensi di non amarla o perché pensi di non trovare la tua strada. C’è chi la lascia per trovare uno sfogo alle proprie attitudini anche se poi, il richiamo, il richiamo di questa terra è forte.  Un’isola che fa storia a se nel bacino del Mediterraneo. Qui sono approdati popoli prima di qualunque altro posto. Qui ci sono tradizioni antiche che si perdono nella notte dei tempi. Qui dove si parla una lingua vera, incomprensibile se non sei un  sangunau. I giovani scappano nonostante ci sia tanto da fare. Nella accoglienza come nell’agricoltura. Giovani che scappano e adulti che tornano. Come Piero.  E se anche un campione come Gigi Riva decise di vivere qui, diventando di fatto, sardo, vuol dire che questa terra rappresenta, anzi è, qualcosa di speciale.  Però. Però, invece di parlare di Piero e di Gigi Riva vorrei concludere lodando le donne della famiglia di Piero. Giuliana, la moglie, che ha scelto di seguire Piero. Una scelta consapevole e mai rinnegata. Le figlie Martina, Arianna e Greta perché pur non scegliendo ma subendo la scelta dei genitori adesso non se ne andrebbero più. Avere una azienda non è condizione necessaria e sufficiente per rimanere. C’è molto di più in questa scelta e se un merito si può dare a Piero, oltre a quello di produrre vini che sono sogni, è quello di aver fatto innamorare della sua terra a chi gli sta intorno. Sarà per quel suo carattere mite. Sarà per la gentilezza nei modi. Sarà per l’istrionicità e la capacità imprenditoriale. Sarà qualcosa che non ho visto. Ma l’unione di questa famiglia ne è il risultato.  Così, il risultato di questo amore, di questa necessità di essere sardi e come tali parte di un tessuto sociale non può che aver trasformato se stesso e tutta la sua famiglia da Su strangiu in Su sambenau. Non si è ospiti nella propria terra. Si è parte di essa. Ivan Vellucci ivan.vellucci@winetalesmagazine.com Mi trovi su Instagram come @ivan_1969  
Leggi
Arrow Right Top Bg

2 Maggio, 2024

Valeria Valdata. Il mio Vinitaly 2024

Anche quest’anno…finalmente Vinitaly, che dal 1967 accoglie oltre 4000 aziende produttrici di vino, olio, distillati, italiane ed estere e quest’anno ha visto un forte incremento di partecipazione di operatori stranieri. Non dico a quante presenze sono arrivata, sia per non svelare la mia vera età, sia per lasciare il dubbio a chi mi accoglie allo stand, sul fatto che io sia una “ragazzina” interessata solo a bere o una “professionista” del settore a caccia di novità! Anche dopo tutte queste stagioni l’entusiasmo resta lo stesso, sicuramente grazie al fatto che rimane una fiera di settore a livello business fra le top nella panoramica mondiale, sicuramente per l’ organizzazione e l’evoluzione che in tutti questi anni Vinitaly ha compiuto. Per questa edizione ho scelto i 3 giorni esclusa l’affollatissima domenica! Peccato che il karma abbia voluto che io fossi presente, fra un termosifone esploso in casa sopra al mio body bianco e una rimozione auto per parcheggio in luogo di mercato, solo un’ora e due mezze giornate! È sempre troppo poco per esplorare l’Italia enologica da nord a sud e per deliziarsi con gli oli italiani ed i vini internazionali. Parlando dal punto di vista del visitatore, posso dire che la location è sempre perfetta per quanto riguarda gli spazi, la conservazione dei vini, la velocità di ricambio bicchieri e quindi di servizio, anche se forse, dal punto di vista degli espositori, non è così. Unica pecca che ho potuto notare, è stata la difficoltà nell’orientarsi all’interno dei padiglioni, a causa della mancanza all’ingresso dei consueti tabelloni, con esposta la mappa di produttori presenti. Ma se ti lasci trasportare alla curiosità, la mappa non serve e puoi scoprire tante nuove realtà. COSA MI PIACE DI VINITALY Lo standard di qualità delle aziende presenti, elevato. La professionalità degli addetti. L’atmosfera elegante e gioiosa che si può respirare, pur essendo comunque un evento dedicato al marketing e alla vendita. L’evidente aumento di presenze di operatori di settore e di conseguenza un atteggiamento più rilassato da parte degli espositori non costretti a spiegare il vino solamente a Santi bevitori anche se…..leggi dopo! …….L’EVENTO POCO PIACEVOLE Ancora accade… Io e le mie amiche, su mio consiglio, ci avviciniamo allo stand per un assaggio di un buonissimo vino bianco toscano. Già degustato in passato, durante la visita in cantina, già bevuto a casa, di qualche annata indietro, l’ho sempre trovato un vino spettacolare.
La produttrice ci serve il vino, guardo Manuela e le dico: “Sa di tappo!”
Lei mi guarda e dice: “Vedi la seconda bottiglia aperta?”
“Sì, la vedo!” rispondo tristemente e il pensiero corre al fatto che la produttrice era al corrente del difetto del vino e solamente guardandoci in faccia ha scelto per la bottiglia “tapposa” credendo di avere davanti tre pivelle!
Ringrazio nel mio caso, per avermi tolto degli anni. Nel caso della mia amica giornalista, sicuramente giudizio affrettato, dettato non so da quale parametro.
Manuela glielo fa notare ed ancora, facendo finta di niente dice: ” Ah sì!? Lo riassaggerò, non mi sembrava!”
E certo che lo sapevi, altrimenti perché aprire una seconda bottiglia di questo Vermentino spettacolare, nonché prodotto da uno dei personaggi più famosi del mondo enologico Italiano? Succede ancora, anche a questa edizione che sembra davvero aver scremato i bevitori seriali, che solo l’osservazione faccia “scegliere” al produttore il ruolo del suo interlocutore. Ma in una fiera di settore come questa, anche una mente più aperta e libera dal giudizio, potrebbe fare la differenza e si potrebbero evitare queste situazioni dove, il consumatore, anche se non esperto, si sente a disagio nell’avvicinarsi al banco degustazione. Peccato! Il “C…..” non lo berrò più e nemmeno lo farò assaggiare!!! A buon intenditor pochi indizi…. L’ESPERIENZA SENSORIALE INDIMENTICABILE Per i non tradizionali fumatori esiste un mondo a sé, che consente di avvicinarsi al fumo solamente con il gusto.
Questo mondo è quello dei sigari. Grande presenza, anche in questa edizione, del “Club Amici del Toscano” che ha organizzato numerose sessioni di degustazione sigaro, in abbinamento ai prodotti dell’eccellenza italiana.
In particolare ho partecipato alla presentazione del sigaro “Antica Riserva” in abbinamento a salame DOP Toscano. Insolito? Sì
Intenso? Sì, per il perfetto connubio tra acidità del sigaro e grassezza del salame, la corrispondenza fra aromaticità della fumata e la speziatura del salame
Decisamente l’abbinamento più azzeccato mai provato in vita mia!! I MIEI PREFERITI Antica Cantina Leonardi, Lazio, vino Spumante di qualità.
Metodo Classico, dosaggio zero, Chardonnay e Riesling Renano 12,5%, oltre 24 mesi sui lieviti. L’azienda si trova a Montefiascone, vicino al lago di Bolsena, territorio nato dall’eruzione di un vulcano avvenuta più di 300.000 anni fa. Il microclima del lago consente di avere un territorio molto vocato alla coltivazione della vite e alla produzione di vini dalle note intense, grazie all’aerazione e alle forti escursioni termiche. Appena versato si presenta con spuma voluminosa e bollicina fine, naso netto e deciso di mela e pesca matura, note di panificazione e note vulcaniche, palato fresco dal finale morbido.
Abbinamento: crudité di mare. Antichi Vinai 1877, “A Sangue Freddo”, Nerello Mascalese, Terre Siciliane IGT, 2023,12,5%, vinificazione in acciaio. Prodotto nella zona dell’Etna su terreni di roccia lavica, si presenta con colore rosso rubino dalle lievi note violacee ad intensificarne la vividezza. La corrispondenza fra naso e palato è sorprendente. Un vino semplice ma che dona tutto il carattere del Nerello Mascalese, dalle note di frutti rossi e spezie. Freschissimo e di ottima bevibilità.
Abbinamento: polpa di ricci, ostriche di Scardovari. Vignalta “Alpianae”, colli Euganei Fior D’Arancio, Moscato giallo passito DOCG, 2019, 10% Questo passito nasce da uve coltivate in vigneti con età media di 15 anni e che affondano le radici in un sottosuolo di origine vulcanica. L’appassimento avviene in fruttaio per 4 mesi e il mosto fermenta in botti di rovere, con un successivo affinamento di 18 mesi in tonneau. Il colore nel calice è dorato intenso, bellissimo. Il palato e il naso si fondono in un assaggio ricco di note di frutta candita la cui stucchevolezza viene smorzata e bilanciata dagli accenni balsamici e dalla notevole freschezza minerale. Abbinamento: solo lui. Che dire….. scelte VULCANICHE!!!! Se tornerò alla prossima edizione!? Secondo voi!? Mai uscire senza…un gadget di Vinitaly e i tacchi!!   A cura di Valeria Valdata Seguimi su Instagram su @valery_and_the_wine e sulla pagina Facebook @VallyWine
Leggi
Arrow Right Top Bg

2 Maggio, 2024

VINALIA PRIORA 2024, il Frascati e i suoi versanti

IL COSA E IL DOVE In un’atmosfera che ricordava certamente più un’ottobrata frascatana che i tepori primaverili, si è svolta la presentazione alla stampa della terza Edizione di VINALIA PRIORA, manifestazione ispirata alle vecchie festività romane celebrate in Aprile in onore dell’uva raccolta l’anno precedente. Un Evento organizzato dal Comune tuscolano in collaborazione con IPERICO Servizi per la Cultura e ODEA su impulso del Consorzio Tutela Denominazioni Vino Frascati. Nella splendida cornice di TENUTA DI PIETRA PORZIA è toccato a Jacopo Manni (ricercatore presso l’Università di Tor Vergata e profondo conoscitore delle realtà vitivinicole dei Castelli Romani) introdurre i lavori, condurre una masterclass interessantissima nella quale al Vino veniva assegnato il titolo di oggetto geografico alimentare per autonomasia e dare ufficialmente inizio a una tre giorni che ha celebrato l’imbottigliamento della nuova annata di quel FRASCATI che è la più vecchia tra le DOC italiane. 3 + 1 i vini in degustazione (ne troverete 5 perché alla voglia di assaggiarne un altro non sono riuscito a resistere) a rappresentare i differenti versanti dell’enorme complesso del Vulcano Laziale. Da 600000 a (forse) 25000 anni fa, quasi 300km^3 di materiali eruttati nel corso di tre fasi di attività hanno dato origine a un complesso vulcanico alto in origine oltre 2000m e del diametro di quasi 70Km. Un intero universo di suoli con pedologie infinite (altro che le Langhe)! Versanti differenti, quote differenti, temperature, irradiazione solare, ventilazione differenti. Dai 100m slm ai circa 600 (potenzialmente, perché no, anche oltre 800), una differenza di oltre 2 gradi di gradiente termico anche considerando soltanto Frascati e il Monte Tuscolo, oltre 1h di irraggiamento solare in più sul versante E rispetto a quello occidentale di Grottaferrata, un “ponentino” che riesce a portare il mare fin nel bicchiere… Questi in estrema sintesi i numeri di un Territorio assolutamente unico, culla della Civiltà Occidentale, in cui si produce vino da oltre duemila anni. E il vino di Frascati racconta la storia dell’uomo e dell’agricoltura. Qui Marco Porcio Catone ha scritto il De Agri Cultura (cUltura che, forse non a caso, un tempo si scriveva con la “U” e non con la “O”). Qui, negli anni del boom economico, l’abbandono delle campagne inseguendo il mito della grande città ha relegato la produzione vinicola a hobby incidendo in maniera inevitabilmente negativa sul livello qualitativo. Qui, ora, si sta tentando di invertire la rotta, di contestualizzare il vino in un oggi che, pur non potendo essere dimentico dei trascorsi storici, deve guardare a un domani fatto di consumi differenti. Qui si sta prendendo finalmente coscienza (o almeno sono tanti coloro che lo stanno facendo) che il FRASCATI può accostare al suo tradizionale pragmatismo nasi che meritano qualche annusata in più, che possono emozionare anziché solo raccontare. Qui si deve provare agli scettici che se ci troviamo di fronte ad uno dei pochissimi vini bianchi in grado di potersi fregiare, in alcuni casi, dell’appellativo “RISERVA” beh…un motivo ci sarà! GLI ASSAGGI I vini di questa sera sono frutto dell’annata 2023 (a parte quello di Gabriele e Luigi che c’ha un anno di più), un’annata funesta (soprattutto per il Centro-Sud), che ha messo alla prova nervi e risorse economiche dei Produttori. Un’annata che, raccontata da Lorenzo Costantini, si può riassumere in un “menocinquantapercento” che spaventa ancor più pensando all’incertezza di un futuro sempre più segnato da un clima che abbiamo già cambiato e che non si vergogna di presentarci il conto. Annata difficile dunque, ma uve di qualità assoluta per produzioni tutte da assaggiare. Dunque, tre vini per tre versanti. 1. VILLA SIMONE: dalle Marche al Lazio inseguendo la Qualità. Lorenzo Costantini non ha certo bisogno di presentazioni o di un altro che ne tessa le lodi in quanto enologo ma non fa certo male ricordare qui quanto la sua passione per il Territorio dei Castelli Romani e per quella Malvasia Puntinata che ne è vitigno principe giovi a tutto il movimento del vino. FRASCATI SUPERIORE DOCG “VILLA DEI PRETI” 2023: il versante E del Vulcano è quello delle freschezze boschive, delle vegetalità balsamiche. Qui però la frutta, ancorché croccante (anzi: quasi acerba) alza subito la voce. E se l’agrume non può essere taciuto, sono l’albicocca e la buccia della mela che contrastano la nespola quelle che comandano i giochi. E poi, mentre visualizzate il giallo delle ginestre, e le brezze che scendono dal Monte Tuscolo trasportano ombre e frescure, ecco arrivare i pendii lavici a saturare l’atmosfera. Il sorso è sgambettante, dinamico, morbido quanto deve ma profondamente inciso dalla piccante, minerale sapidità. 2. CASALE VALLECHIESA: al centro dell’areale produttivo del Frascati, l’Azienda della Famiglia Gasperini ha da tempo lasciato il “carretto a vino” imboccando la strada della Qualità e dell’innovazione senza però mai abbandonare la Tradizione. FRASCATI SUPERIORE DOCG “HEREDIO” 2023: qui, al centro, è il frutto ad essere protagonista. E questo FRASCATI non smentisce le aspettative, carico com’è di dolcezze esotiche, di pesca matura, di florealità d’acacia che lasciano poche speranze di poter emergere alle erbe di campo. Ci vuole il sorso per pareggiare (quasi) i conti con la sua sbarazzina freschezza e il segreto svelato di una mineralità vulcanica presente ma garbata. Forse un po’ più “uozzamerica” rispetto alle annate passate (o quantomeno rispetto a quanto ricordassi). 3. GABRIELE MAGNO: Azienda nata nel 2015 (indimenticabile per me l’assaggio di quella annata, di quel Frascati che, magicamente, gettava un ponte tra la Tradizione e il futuro remoto). Vecchi vigneti nel pieno della Valle Marciana e qualcosa in affitto per produzioni da additare a esempio. FRASCATI SUPERIORE DOCG “GABRIELE MAGNO” 2022: Grottaferrata, Valle Marciana, tufi degni di un esame di rilevamento geologico e un mare che è ben più che panorama lontano. Quella pesca e quella mela Golden che quasi schiacciano la mediterranea balsamicità di timo e maggiorana provano quanto l’annata differente e 365 giorni di vetro in più facciano la differenza ma il ponentino che sembra trasportare anche la risacca non si fa mettere i piedi in testa. Il sorso è d’altri tempi ma di disarmante modernità. Fresco e di marina sapidità avvolge il palato con glicerico abbraccio e calore alcolico d’altri tempi gettando un ponte tra la tradizione e il futuro. Da bere ascoltando “COME SCOGLIO” da “COSÌ FAN TUTTE” di W. A. MOZART (interpretata dal soprano MARIANGELA SICILIA, Orchestra Sinfonica della RAI diretta dal Maestro SPERANZA SCAPUCCI. GLI EXTRA TENUTA DI PIETRA PORZIA: il Lago Regillo, la battaglia tra Romani e Latini, i Dioscuri, Marco Porcio Catone… E poi la distruzione di Tuscolo e la nascita di Frascati, i passaggi di mano del feudo fino all’attuale proprietà della Famiglia Giulini. Questa in sintesi la storia di un’Azienda nella quale, come in rarissimi altri casi, la Storia (quella con la “S” Maiuscola) si mescola al vino. Un corpo unico di 60ha che non ha uguali, produzioni identitarie e, recentemente, ben più che un occhio di riguardo per autoctoni di nicchia. FRASCATI SUPERIORE DOCG “DANAE” 2023: ha nell’animo un legame stretto con il n° 2 ma…quel 30% di Greco… Un’iniezione di classicità in un vino altrimenti di romano pragmatismo. C’è il frutto, pieno e rotondo. Pesca, pera, mela a piena maturità con un quid di limone (maturo anche lui) a evitare ridondanti dolcezze. Poi un richiamo al sottosuolo, minerale e sorgivo e una brezza vegetale di felci e sottobosco. Sorso pieno, di carezzevole morbidezza, fresco quanto serve e sapido di più con un finale nel quale le dolcezze schiacciano i richiami minerali. L’avrei preferito con più polso ma… BORGO DEL CEDRO: costola (o frutto di gemmazione” della Famiglia Costantini, BORGO DEL CEDRO rappresenta uno dei volti nuovi della rinascita frascatana. VINALIA PRIORA mi hanno dato l’opportunità di ficcare il naso in un’Azienda che conosco solo di nome grazie all’interposta persona di Alessandro Filomusi Guelfi. Troverò il modo di saperne di più per me e per Voi. FRASCATI SUPERIORE DOCG “FILIAE” 2023: un assaggio “rubato” (ma che spero davvero di poter ripetere con più calma) che rivela un olfatto elegante ancorché un po’ troppo esotico per i miei gusti, con quell’ananas in evidenza cui segue un lungo corteo di albicocche, melone, fiori d’acacia e un agrume che, esotico anch’esso, è lime più che limone. Non manca certo la mineralità, più silicea forse che non lavica, di pietre umide asciugate dal sole. Sorso vispo ma compitamente morbido esprime vivace freschezza coerente sapidità e corretta rispondenza olfattiva. Chiude discretamente lungo sottolineando la mineralità e il varietale della Malvasia. Magari non emozionante ma da tenere assolutamente d’occhio per il futuro. ED ORA? Ora, mentre ringrazio gli Organizzatori tutti di VINALIA PRIORA, mi corre l’obbligo di sottolineare come, dal “passaggio a vuoto” dello scorso anno sia risorta un’araba fenice. Un Evento in grado di accomunare Storia, bellezza, archeologia e Territorio sotto l’ombrello di quel Frascati che, pur stentando ancora, pur non avendo ancora (in molti casi) scelto se inseguire l’identità territoriale o i mercati, dimostra di voler rialzare la testa e riappropriarsi di una dignità per lungo tempo perduta. E ne approfitto anche per darVi appuntamento alla prossima settimana, quando Vi racconterò una storia che coinvolge Territorio, paesaggio, Tradizione, uomini, vino, lavoro e Roberto Alloi VINODENTRO  
Leggi
Arrow Right Top Bg

1 Maggio, 2024

AIS contro FISAR all'Enoteca Ambrogio di Siena

Una nuova sfida AIS vs FISAR all’Enoteca Ambrogio di Siena Abbiamo una nuova enoteca a Siena! Siamo in via Pantaneto, nel cuore della Siena più giovane, a due passi da piazza del Campo dove, da gennaio 2024, abbiamo una nuovissima enoteca! E’ quasi un obbligo, come guida turistica e sommelier della città, indagare su una nuova realtà enologica, soprattutto quando l’insegna riporta il nome del famoso vescovo di Milano, a cui tutti i meneghini – me inclusa- sono affezionati. Andiamo, vi porto a conoscere la proprietaria, Valentina Ambrogio, una ragazza giovane e sorridente. La prima domanda è la più scontata: sei da sempre appassionata di vino? In realtà il mio percorso è iniziato diversamente: ero responsabile commerciale per un’azienda di cosmetici, ben lontana dal mondo del vino. Poi c’è stato il grande sconvolgimento del nostro secolo, covid con lockdown incluso. Lì tutto è cambiato e il fatturato è precipitato, insieme al mio lavoro. Mio fratello, già da diverso tempo, insinuava in me l’idea di un percorso di avvicinamento al vino, ma sappiamo tutti quali sono i costi dei tre corsi, e per questo avevo sempre procrastinato. Nei vari tentativi di reinventarmi, inviai un curriculum ad una banca che stava cercando, e loro mi assunsero. Fu lo stipendio più corposo a convincermi ad iscrivermi alla Fisar. Del tutto inaspettatamente, il primo livello fu una rivelazione… mi si aprì un mondo. Feci gli altri due a ruota, e la mia passione diventava sempre più forte. Il lavoro in banca divenne presto un part time, e c’era bisogno di un cambiamento. Dopo un primo tiepido tentativo di impiego in un’enoteca, a gennaio 2024 ho aperto la mia enoteca. Lo ricordi il momento esatto in cui hai preso la decisione? Certo, era l’ultima domenica di maggio e c’era l’estrazione delle contrade – momento molto concitato per i senesi, dal momento che l’estrazione determina le tre contrade che andranno ad aggiungersi alle già note sette per correre la carriera di luglio.
Fu lì, in quel momento, che presi la mia decisione. Qual è il concept? Lo spazio è piccolo, poco più di una stanza, ma volevo che l’enoteca fosse prima di tutto per i senesi, e quindi ho un vario assortimento di etichette, con prodotti da un po’ tutta Italia.   Volevi che fosse proprio questa la zona della città oppure è capitato? È capitato; all’inizio il locale doveva essere da tutt’altra parte, ma ho avuto una serie di problemi con le dimensioni e la destinazione d’uso, e alla fine sono finita qui, ma ne sono molto contenta. Quanto c’è voluto a selezionare le etichette e quale criterio hai utilizzato? Bhe, inconsapevolmente le stavo selezionando già da un anno.
Nel 2023 al Vinitaly feci scorta di contatti e degustazioni in vista dell’imminente esame di terzo livello sommelier.
Quando ho deciso per l’apertura, sono andata a riprendere tutti questi contatti, ho stilato dei preventivi, ho capito che era fattibile, e l’ho reso possibile. Il criterio è semplice, se piace a me, é sui miei scaffali, altrimenti, non importa quanto rinomato possa essere, non troverà posto nel mio negozio.   L’accento ti tradisce… Di Dove sei? Si, niente parlata Toscana, sono della provincia di Cosenza. Mi trasferì qui nel 2002 per studiare medicina all’università senese, e non me ne sono mai più andata. Ci sono delle etichette di cui sei particolarmente orgogliosa? Mah… Diverse. Sono davvero molto orgogliosa dei rapporti con i vari produttori che espongo.
Sono quasi tutte persone con le quali collaboro nel vero senso della parola, che conosco personalmente, che stimo e col quale sono felice di lavorare. Ecco la storia di una ragazza ‘semplice’ che ha ‘semplicemente’ avuto la forza di portare avanti un suo progetto. Io e Valentina abbiamo dato vita ad una nuova offerta: Tour guidato di Siena con degustazione seguita da due sommelier, io AIS e lei FISAR. Un incontro-scontro fra le due grandi scuole di pensiero enologico. Prima vi accompagnerò in una coinvolgente visita della città di Siena con approfondimenti sul Palio e le sue contrade, sul Duomo, e, ovviamente, sulla meravigliosa storia medievale.
Al termine della visita, ci sposteremo in enoteca per l’assaggio di alcune etichette rappresentative del territorio, con indicazioni di approccio alla degustazione AIS vs FISAR. Vi aspettiamo!   A cura di Ambra Sargentoni. Se vuoi sapere di più su di me scopri il mio sito      
Leggi
Arrow Right Top Bg

30 Aprile, 2024

Francesca Pagnoncelli Folcieri. Il mio Vinitaly 2024

Dalla parte del piccolo produttore Sono diversi anni che, come piccolissima azienda vitivinicola e come piccolissimo Consorzio di tutela, partecipiamo a Vinitaly. C’è una storia pre-covid, fatta di partecipazione da parte del Consorzio di un piccolo stand espositivo, il cui costo veniva poi diviso in proporzione tra i Soci interessati a partecipare- e una storia post-covid, fatta di partecipazione del Consorzio in collaborazione con Ascovilo – Associazione dei Consorzi vinicoli lombardi- e Grana Padano. La prima formula per una realtà come la nostra è sempre risultata molto onerosa e poco redditizia, causa la difficoltà a chiudere ordini durante la fiera stessa per la particolarità e il valore, anche economico, del Moscato di Scanzo, e a creare reali opportunità per i soci. La seconda formula, messa in atto negli ultimi tre anni, sta dando soddisfazioni e risultati. La nostra presenza nella Lounge Ascovilo infatti ci consente di curare maggiormente, sia come aziende che come Consorzio, il rapporto con gli ospiti davvero interessati. Ci consente inoltre di organizzare ogni anno una masterclass dedicata al nostro passito unico al mondo che ha come obiettivo quello di diffonderne la conoscenza e di valorizzarlo come si merita. E’ un vino difficile da raccontare perché scardina ogni convinzione su questa tipologia di vini. Stupisce sempre e comunque. Farlo degustare è fondamentale per farne cogliere le potenzialità, la versatilità, la longevità. E’ un vino da invecchiamento e da investimento, e chi ha orecchie per intendere intenda e chi ha tempo non aspetti tempo. Guardando a quello che è stato e a quello che è oggi Vinitaly devo ammettere che un salto di qualità è stato fatto, sia da un punto di vista organizzativo che di selezione di pubblico presente. Questi ultimi anni vedono una grande partecipazione, quest’anno decisamente evidente, di persone preparate e molto curiose di ampliare le proprie conoscenze nell’universo del vino. E’ importante ed è molto importante per realtà come la nostra che vanno in qualche modo capitee sostenute per la loro unicità, aiutate da chi è davvero in grado di capire quale esperienza possa offrire un calice di Moscato di Scanzo. In questi ultimi tre anni siamo stati in grado, nel nostro piccolo, di diffondere la conoscenza e l’amore per il Moscato di Scanzo, apprezzato non solo per la complessità e l’assurdità delle sue caratteristiche organolettiche, ma anche per la storia che è in grado di raccontare. Una storia, quella del Moscato di Scanzo, che affonda le sue radici in un passato lontanissimo ma che vede il suo presente e il suo futuro legato alla cocciutaggine dei piccoli e pochi produttori che si fanno carico di salvaguardare e difendere questo gioiello enoico. In questi ultimi tre anni il numero di ospiti di Vinitaly che chiedono di poter degustare Moscato di Scanzo è aumentato in modo esponenziale e quest’anno in particolare è stato il più richiesto al Padiglione Lombardia. Un traguardo incredibile reso possibile solo dalla nostra voglia di farlo conoscere e dalla collaborazione con Consorzi Lombardi più grandi di noi, che hanno coraggiosamente scelto di fare da traino anche per i più piccoli, e al sostegno di Regione Lombardia. Quindi, anche se sono sempre stata allergica alle grandi kermesse, Vinitaly sta riuscendo a darsi nuova forma per poter affrontare le nuove sfide che attendono l’intero comparto vitivinicolo italiano.   Francesca Pagnoncelli Folcieri Cantina Pagnoncelli | Moscato di Scanzo Vendita e Degustazione Vini (moscatopagnoncelli.com) Mi trovi su Instagram    
Leggi
Arrow Right Top Bg

30 Aprile, 2024

Gli ingredienti relazionali per progettare una cantina vinicola: Dioniso, Bacco, Mina, enologo e architetto

L’aneddoto da cui partiamo oggi racconta del mio primo, ed UNICO, incidente “diplomatico” che ebbi con il più importante collaboratore dell’azienda vinicola e cioè l’enologo. Corre l’anno 2004 e una piccola azienda vinicola di un piccolo paese di campagna dell’Italia centrale, che tuttora produce olio e vino di alta qualità, mi contatta tramite una conoscenza in comune perché vuole assegnarmi l’incarico per la progettazione della loro piccola cantina vinicola. Messomi immediatamente al lavoro: cerco più volte l’enologo, lo contatto, fisso l’incontro, parto senza indugio, solco e supero quattro confini di regione, percorro circa 650 km senza mai fermarmi “evitando le buche più dure”, arrivo nella località, la sede dell’incontro cambia tre volte, riprendo per tre volte l’auto e assecondo le volontà dell’astro nascente. Giunti a definitiva destinazione, finalmente illustro le intenzioni del progetto e porto a supporto i miei riferimenti culturali enotecnici. <<MINA chiiiiiiiiii?????>> Questiona sommessamente il giovane enologo con fare “decoroso”. Percepisco che l’avventura sarà una passeggiata tutta in discesa.  Ma nel frattempo, stranamente nulla trapela del progetto appena illustrato da parte di colui che dovrebbe essere il mio più stretto collaboratore. Ohibò!  A conferma dell’entusiasmante avventura cui mi sono infilato, vengo messo a conoscenza da quest’ultimo che sono gradito ospite dello studio dell’ingegnere XY, a sua volta suo stretto collaboratore. Come dire: non posso rifiutare.  Evidentemente, devono aver scoperto che io amo le sorprese.  Inevitabili, dunque, le mille domande che mi pongo sull’incontro inatteso e le altrettante mille risposte che cerco di elaborare onestamente, tra cui: “vuoi vedere che vogliono farmi i complimenti!?” Oppure, “stai a vedere che vogliono supportarmi in questo interessante progetto!?”  Arrivati in studio, tralasciando i convenevoli, i due campioni sollecitano affinché  avvii il pc per esporre il progetto: che re-illustro e ri-spiego mentre li osservo in più occasioni confabulare a bassa voce. Medito che sia per non disturbarmi e non interrompermi. In realtà, tutto era teso a “sollevarmi” dal mio compito e dal mio lavoro prospettandomi la consegna dei disegni e arrogandosi l’esigenza di procedere motu proprio giustificata dal fatto che: <<sa architetto, l’ing. X Y oramai mi conosce e sa cosa voglio e come voglio gestire gli spazi nelle mie cantine …(.)..>> “. The end del triste aneddoto! Cosa significa progettare una cantina vinicola
La progettazione di una cantina vinicola richiede molto più di una semplice pianificazione strutturale o di una combinazione di spazi funzionali ed estetici.
Una cantina vinicola è un’impresa complessa che richiede la sinergia tra diverse competenze e prospettive.
È un’opera d’arte che richiede la collaborazione armoniosa di figure chiave interne ed esterne l’azienda vinicola.
Tra le figure chiave coinvolte in questo processo, l’enologo e l’architetto emergono come pilastri fondamentali il cui rapporto collaborativo può determinare il successo o il fallimento del progetto.
E, in questo esercizio di creazione di una cantina vinicola, il rapporto tra l’enologo e l’architetto va, o dovrebbe andare, ben oltre una semplice collaborazione professionale.
È un’interazione che riflette la convergenza tra due mondi: quello della cultura greca rappresentata da Dioniso, il dio greco del vino, della gioia e dell’estasi e quello del vino incarnato da Bacco, il dio romano della vendemmia e del vino.
Questi due simboli mitologici incarnano l’anima della cantina vinicola, quasi aleggiano volteggiando a protezione di essa, e la sua progettazione richiede una sinergia perfetta tra l’enologo e l’architetto, raffigurando il partenariato tra Dioniso e Bacco. La convergenza di competenze: l’enologo e l’architetto
L’enologo e l’architetto fanno convergere competenze e prospettive uniche al tavolo di progettazione di una cantina vinicola.
L’enologo, il custode del vino, possiede una profonda conoscenza dei processi di vinificazione, delle varietà di uva e delle tecniche di produzione.
È responsabile della qualità del vino e comprende le complessità sensoriali e chimiche coinvolte nel processo di produzione.
Dall’altra parte, l’architetto di cantine (non quello generalista), con la sua creatività e competenza nel design degli spazi enotecnici, trasforma i bisogni e le necessità dell’enologo in realtà tangibili.
È responsabile della creazione di una cantina vinicola funzionale, esteticamente accattivante e culturalmente significativa. Comunicazione e comprensione: la chiave del successo
La chiave del successo, come in tutti i settori, è la comunicazione e la comprensione.
La comunicazione aperta e la comprensione reciproca sono fondamentali per una collaborazione efficace tra Bacco e Dioniso, ovvero tra l’enologo e l’architetto.
Devono essere in grado di ascoltarsi e comprendere le esigenze e le visioni dell’altro, integrando le rispettive competenze per ottenere il miglior risultato possibile.
Questo significa che l’enologo deve spiegare all’architetto le esigenze specifiche della produzione vinicola, come per esempio il controllo della temperatura e dell’umidità, mentre l’architetto deve tradurre queste esigenze in soluzioni creative e funzionali di design. Rispetto per la tradizione e l’innovazione: un bilanciamento armonioso
Bacco e Dioniso rappresentano la tradizione e l’innovazione nel mondo del vino.
Nella progettazione della cantina vinicola, l’enologo e l’architetto devono trovare un equilibrio armonioso tra il rispetto per le pratiche tradizionali e la voglia di innovare e sperimentare.
Questo può significare, per esempio, l’uso di materiali tradizionali come la pietra e il legno, combinati con tecnologie moderne per garantire una produzione vinicola efficiente e sostenibile.
Inoltre, possono essere integrate soluzioni innovative di design che celebrano la cultura e la storia del vino in modo nuovo e originale. Celebrare l’anima della cantina vinicola: un obiettivo condiviso
Riconoscere l’anima di ogni cantina vinicola, celebrarla e contemplarla, attraverso l’ideazione compositiva e progettuale prima e la meccanica funzionale dopo, deve essere un obiettivo condiviso dei nostri due collaboratori tecnici.
Bacco e Dioniso condividono loro stessi un obiettivo comune: celebrare l’anima della cantina vinicola e la sua connessione con la terra, la cultura e la tradizione.
L’enologo e l’architetto devono lavorare insieme per creare uno spazio divino, per progettare “un’architettura divina per il vino“, che non solo produca grandi vini, ma che ispiri e coinvolga emotivamente tutti coloro che vivono e esercitano questo spazio e anche coloro che lo visitano.
Attraverso l’armoniosa fusione delle loro competenze e prospettive, danno vita a un tempio vinicolo che riflette l’eccellenza e la bellezza della loro collaborazione.
Si potrebbe quasi affermare, per concludere, che il rapporto collaborativo tra l’enologo e l’architetto nella fase di ideazione, progettazione e realizzazione di una cantina vinicola è una danza sinfonica tra Bacco e Dioniso.
Se la comunicazione è aperta, la comprensione è reciproca, il rispetto per la tradizione e l’innovazione è l’obiettivo condiviso al fine di celebrare l’anima del vino, i due possono creare insieme una cantina vinicola di successo che incarna la bellezza e l’essenza del vino. Ehi, psss, psss…. Ma avete notato il silenzio assordante dei due narcisi Dioniso e Bacco? Sono in visibilio per quello che ho scritto su di loro… E comunque, da quel primo incidente, la provocazione agli enologi è diventata una regola e non l’ho mai più abbonata… Parola di architetto! Arch. Edoardo Venturini Cantine di cui anche Bacco andrebbe fiero   Della rubrica ti può interessare anche l’articolo:
– Costruzioni enotecniche o cantine vinicole?   Per approfondimenti, mi trovi qui:
– Cantine fatte ad Arte (link Sito Web)
– Cantine fatte ad Arte (link Linkedin)
– Cantine fatte ad Arte (link Instagram)
– Cantine fatte ad Arte (link Facebook)     PS: La rubrica raccoglie spunti, consigli, suggerimenti e altro ancora attinente al tema e soprattutto segnalazioni di titoli di testi antichi sulle costruzioni enotecniche e cantine vinicole. Grazie!
Leggi
Arrow Right Top Bg

29 Aprile, 2024

Adele Gorni Silvestrini. Il mio Vinitaly 2024

Un Vinitaly… oleocentrico Vite e olivo, due piante emblematiche per i popoli del Mediterraneo. Da una visita a Vinitaly, e dalla rubrica per cui scrivo in WineTales Magazine, ci si aspetterebbe forse un focus sulla vite. Invece il mio Vinitaly, al netto dei saluti a clienti e colleghi sommelier, si è imperniato sull’olivo e ancor di più sull’olio, patrimonio culturale e gastronomico della dieta mediterranea, oltre che simbolo della tradizione e della maestria artigianale italiana. Il 15 aprile Gambero Rosso e Banca Monte dei Paschi di Siena hanno presentato la 14esima edizione della Guida Oli d’Italia dedicata agli extravergine italiani, giunta alla sua 14esima edizione e alla quinta in doppia lingua italiano-inglese. La Guida celebra la ricchezza e la diversità delle varietà di olive e di oli presenti nel nostro Paese, evidenziando le peculiarità delle diverse Regioni e valorizzando le storie dei produttori che portano avanti con passione e dedizione la tradizione millenaria della produzione olearia: dalla delicata Casaliva gardesana, alla robusta Leccino, passando per la Frantoio e la vigorosa Carboncella fino alla Ogliarola, tipica della zona barese, garganica e salentina. Il mondo dell’olio extravergine di oliva è complesso e affascinante allo stesso tempo: ciascun prodotto presenta caratteristiche uniche e la nostra Guida vuole orientare professionisti e consumatori nella scelta del miglior prodotto capace di soddisfare gusti e abbinamenti diversi Ha commentato Stefano Polacchi, curatore della Guida. Sono 389 le aziende produttrici, per 679 etichette di extravergine valutate e inserite nella Guida, di cui 191 le Tre Foglie e 34 le Stelle, che hanno ottenuto il massimo punteggio per dieci anni. La Stella è sempre il risultato di un lungo percorso di ricerca, selezione e valutazione per arrivare alle qualità organolettiche più sublimi ma anche di un impegno concreto verso la sostenibilità, in un’economia globale dove la concorrenza si gioca sui prezzi più bassi. Cinque le fasce di prezzo considerate, dagli oli con prezzo inferiore ai 10 euro fino a prodotti di nicchia che superano i 30 euro al litro. I singoli extraverginebsono stati valutati inoltre per il loro profilo aromatico, sulla base dell’intensità di fruttato, amaro e piccante, utile a determinare eventuali abbinamenti con cibi e ingredienti. La Guida riporta infine produttori di olive da mensa ed aziende che offrono ospitalità e ristorazione in campagna, per un’informazione non solo più esaustiva, ma anche utile a promuovere il turismo enogastronomico del nostro Paese. Ecco alcuni premi che ricordo: Azienda dell’anno: Miceli & Sensat di Monreale (PA), realtà all’avanguardia di 115 ettari, 100 dei quali ospitano anche coltivazioni di grani antichi. Olivicoltore dell’anno: Alfredo Cetrone di Sonnino (LT), che coltiva 100 ettari di terreno roccioso a 500 metri di altitudine, con 20mila piante di varietà itrana. Olio & Vino: Dop Chianti Classico di Fonterutoli a Castellina in Chianti (SI), splendida struttura dei marchesi Mazzei dove, oltre al noto vino, si produce uno strepitoso extravergine Dop, con sentori di carciofo, mandorla, cipresso, rucola e note balsamiche. Come cita l’ultimo premio elencato, vite e olivo sono dunque davvero connessi! Esattamente alla maniera del vino, anche l’”oro verde” italiano, nelle sue molteplici sfumature, ci dispone a viaggi sensoriali memorabili e ci stimola a conoscere meglio i territori del nostro Paese. Adele Gorni Silvestrini, aprile 2024    
Leggi