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11 Aprile, 2024

IO VINO 2024

IL COSA E IL DOVE IO VINO è l’ormai irrinunciabile appuntamento romano con i grandi vini di Marche e Campania. Due regioni che non c’azzeccano niente tra loro ma che in questa occasione si ritrovano confinanti grazie alla passione di Manilo Frattari (che ancora si ostina a non voler doppiare l’appuntamento dandomi modo di assaggiare qualcosa in più). Andato in onda lo scorso 17 Marzo, ha riempito sale e corridoi del TH CARPEGNA PALACE di Roma. Location azzeccatissima (e ormai collaudata) per uno scontato successo di pubblico. Un centinaio di Aziende presenti, ‘na cifra de vini da assaggià, masterclass (addirittura una dedicata agli EVO), tricchettracche e bombe a mano. GLI ASSAGGI Come avrete già capito, l’idea di assaggiare tutto non m’era passata neppure per l’anticamera del cervello. Mi serviva un piano preciso e una rotta da seguire e allora…mi sono fatto suggerire qualche novità, ho lasciato il giusto spazio all’estro e, caso più unico che raro, soltanto salutato gli Amici Produttori già stressati in altre occasioni. Davvero alto il livello qualitativo, tanto che anche un “cattivone” come me ha fatto fatica a trovare etichette “anonime”. Ma una sorta di classifica (per quanto priva dell’orpello del punteggio) ho comunque creduto giusto stilarla (gli altri vini li potete trovare qui).. Personale e discutibilissima ma che ho cercato premiasse in egual misura i due protagonisti. Dategli una letta e magari, almeno stavolta, suggeritemi Voi qualcosa da mettere in agenda per l’Edizione 2025. LA TOP SIX (3 + 3) LE MARCHE SOCCI Siamo a Castelplaino, al centro dell’area Classica di produzione del Verdicchio dei Castelli di Jesi. 3ha sulla collina del Monte Deserto (che tanto deserto non deve essere visto quello che riesce a produrre). Marika al timone di questa Azienda familiare interamente dedicata a quel Verdicchio di cui propongono diverse interpretazioni vanno dalle bolle alla potenza senza dimenticarsi passando per l’estrazione. VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI DOC CLASSICO SUPERIORE “BIANCA” 2021: vinificato in totale assenza d’ossigeno grazie al sistema VINOXYGEN e privo di SO2 (come evidenzia il “cattivone bernoccoluto” in retroetichetta) arricchisce il proprio corredo olfattivo di una certa atmosfera “green” ma sottolinea le dolcezze fruttate della pesca e del melone in aggiunta alla carnosa florealità dell’acacia e, coup de theatre, vi affianca una profonda nota iodata. Sorso energizzante, glicericamente abbracciante (15.5°, mica miciomicio!), di irruente sapidità eppure fedelmente legato a quella frutta nettarina che aveva riempito il naso. Bellobello! Da bere ascoltando, manco a dirlo, “BIANCA” degli AFTERHOURS. VER.SER. Acronimo di VERnaccia di SERrapetrona. 3ha e 3 vigneti a San Severino Marche dedicati al Pecorino e alla Vernaccia Nera. Una storia familiare iniziata alla fine degli anni ’90. Una storia fatta di curiosità, di studio e di lavoro. Prima vendemmia nel 2020 un oggi di Tradizione e modernità e un futuro tutto da scrivere (con l’accento però). SERRAPETRONA DOC “CLE MÈ” 2022: naso esplosivo! Un mix di fiori di campo, boscaglia, more, visciole, impennate vegetali e friccicorii di gioventù firmati dal pepe verde con una chiusura sottilmente chinata e minerale. Sorso inarrestabile, varietale e con i tannini giustigiusti che conducono alla progressione fruttata del finale. Fighissima! Si becca il mio premio “VERSAMENE ANCORA SAM”. Da bere ascoltando “AS TIME GOES BY” di HERMAN HUPFELD ma interpretata da BOB DYLAN. DANTE DURI La cantina più piccola di Serrapetrona e un agricoltore figlio di agricoltori. Un cognome che mal si confà al modo con cui descrive il proprio lavoro e all’amore viscerale per quelle uve che producono i suoi vini e sono protagoniste dei suoi begli scatti (quelli che mi sono permesso di rubargli). MARCHE IGT ROSSO PASSITO “’PPICCATO” 2014: eccaallà! Beh, che la Vernaccia Nera abbia un “animo passito” è risaputo ma qui… Un naso saggio, da esplorare ruga per ruga, un’esplosione di ciliegia, polvere di cacao, amaretto, pepe e cannella. Racconta di miele ma anche di profonde note amaricanti di olive nere e di un ché di forse carciofo. In bocca governano le dolcezze del miele e della prugna secca ma noci e nocciole sono lì, sedute in prima fila e quei legni che percepiva l’olfatto sanno d’Oriente. “PPICCATO” (qui senza l’apostrofo) averne potuto bere solo un sorso! Da bere ascoltando “STRANGE FRUIT” di BILLIE HOLIDAY. LA CAMPANIA SALVATORE MARTUSCIELLO 12ha nel cuore dei Campi Flegrei per una produzione legata a filo doppio con il Territorio e i vitigni autoctoni (compresi quelli semisconosciuti come Sauca, Suppezza, Surbegna, Castagnara). GRAGNANO DELLA PENISOLA SORRENTINA DOC “OTTOUVE” 2023: per raccontarVi questo vino ho bisogno del Vostro aiuto. Dovete immaginare la scena più famosa del film MISERIA E NOBILTÀ di Mario Mattioli, quella del “PALTÒ DI NAPOLEONE”. Le due famiglie protagoniste sono alla fame più nera e Don Pasquale decide di dare in pegno il suo cappotto in cambio di alcuni generi alimentari. Totò ha in braccio il cappotto di Don Pasquale, e durante la scena, se lo coccola come se si trattasse di un bimbo. Don Pasquale: Vai dallo sciarcuttiere qui alla cantonata.
Toto: Da chi?
Don Pasquale: Dallo sciarcuttiere qui alla cantonata.
Totò: E chi è questo sciacquettiere?
Don Pasquale: Il pizzicagnolo, il salumiere!
Totò: Il casatuoglio!
Don Pasquale: Il bottegaio! Gli lasci questa roba in pegno e ti fai dare un chilo e mezzo di spaghetti, non pigliare la pasta grossa che non la digerisco. Totò: Pasquale con questa fame tu digerisci pure le corde di contrabbasso Don Pasquale: Ti fai dare una bella buatta di pomodoro perché a me gli spaghetti piacciono pieni di sugo. A proposito, il sugo come lo facciamo, con la salsiccia?? Con la salsiccia! Ti fai dare un chilogrammo di salsiccia. Non pigliare quella stantia, quella già fatta. C’ha la macchina tritacarne: piglia la pelle taratatà taratatà taratatà. E poi rimaniamo asciutti asciutti, solo spaghetti e salsicce? Vogliamo fare una bella padellata di uova? Uova in padella? Te le mangi, le uova? Totò: Si, se me le dai me le mangio! Don Pasquale: Allora 10 uova; assicurati che siano fresche, le agiti, se sono fresche le prendi, se no, desisti; come le vogliamo fare, con la mozzarella? Si, con la mozzarella, le uova vanno fatte con la mozzarella! Ti fai dare mezzo chilogrammo di mozzarelle di Aversa, assicurati che siano buone, pigli queste dita, premi la mozzarella, se cola il latte le prendi, se no desisti.
Poi, che altro?
Un po’ di frutta fresca. Ecco, ti fai dare pure cinque lire in contanti e vai dirimpetto dal vinaio a nome mio, di Don Pasquale il fotografo, e ti fai dare due litri di Gragnano frizzante, assicurati che sia Gragnano. Tu lo saggi; se è frizzante, lo pigli, se no… Totò: …Desisto! Don Pasquale: Che altro? Tornando a casa, a fianco al portone c’è il tabacchino, prendi due sigari, uno per me e uno per te e il resto me lo porti. Totò: Pasquale dimmi una cosa: ma qui dentro c’è il paltò di Napoleone? Tenete conto che io non sono un fan di Totò ma quale scena potrebbe meglio descrivere il rapporto tra Napolie un vino di cui pure il grande Mario Soldati subiva il fascino? Se il Barolo può essere l’Aglianico del nord, perché il Lambrusco non può essere il Gragnano dell’Emilia Romagna? L’anima enoica di Napoli. Provola, salame, pizza…il capitone! Il Gragnano non fa prigionieri…è amico di tutti. E questo non fa eccezione! Come non cadere in deliquio sotto i colpi della sua essenza vinosa, delle more, dei lamponi, delle fragoline di bosco… E poi la succosità dell’arancia rossa, le freschezze del prato verde, quel tocco di liquirizia in chiusura… Sorso di devastante piacevolezza che rende inarrestabile la voglia di sostituire il calice con la cannuccia, ciliegioso, fragoloso eppure sapido, con quei tannini mariuoli. Gli ammollo il mio premio “LEVATEMELO” e corro a farmene una flebo! Da bere ascoltando “8 MILE” di EMINEM. ANTICA MASSERIA A CANC’LLERA Quattro ettari e mezzo di Sannio. Una storia di famiglia con uno ieri da conferitori e un oggi, targato 2007, che ha sacrificato, a colpi di zappa, la quantità sull’altare della Qualità per una produzione centrata sui vitigni autoctoni (Barbera del Sannio, Coda di Volpe e Agostinella) tutta da assaggiare. SANNIO DOP BARBERA “GROTTA DI FUTA” 2020: quella frutta rossa, fresca e succosa, vorrebbe recitare il ruolo di protagonista ma quelle foglie di menta ed eucalipto masticate la riconducono a più miti consigli lasciando che anche le spezie sussurrino qualcosa. Il sorso è di profumata sostanza, leggiadro, morbido quanto serve ad apparire di affascinante rusticità. Chiude ricordandoVi che menta ed eucalipto masticati sono amaricanti e che la prossima volta dovete aver pronta una seconda bottiglia. Da bere ascoltando “B-SIDE” dei KHRUANGBIN & LEON BRIDGES. MUSTILLI 15ha a Sant’Agata dei Goti. Cinquant’anni di storia ed un oggi a trazione femminile. Tutela dell’ambiente e valorizzazione dei vitigni autoctoni per produzioni davvero identitarie. PIEDIROSSO DEL SANNIO SANT’AGATA DEI GOTI DOC “ARTUS” 2019: nette le sensazioni di prugna e piccoli frutti rossi e ancor di più quelle balsamiche di rabarbaro, liquirizia ed eucalipto, un accenno floreale e una nota selvatica (che subito mi fa tradurre Piedirosso in Per’e Palummo) che rende dannatamente intrigante il pentagramma olfattivo. Morbidezza e fitta trama tannica rendono ammaliante un sorso in cui risuonano a lungo le eco dei descrittori olfattivi e l’assolo finale delle balsamicità. Da non perdere! Da bere ascoltando “CORTO CIRCUITO” dei 99 POSSE. I “QUASIQUASI” LE MARCHE TERRALIBERA Quella di Gian Mario Bongini è una delle tante storie di “ritorno” alla campagna, di sogni realizzati. Dalla finanza alla vigna in cerca di spazi per respirare. 7ha e 2 versanti a Serra de’ Conti dedicati alla libertà e al Verdicchio. VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI DOC CLASSICO SUPERIORE “DA SOLO” 2022: l’indirizzo è quello della Particella 140, Foglio 17 di Serra de’ Conti. Una singola vigna di 1.38ha esposta a NW sull’altro versante della collina. Più fresco dell’annata 2021 (in cui avevo riscontrato la timidezza di mostrare il proprio animo vegetale nascondendolo tra i frutti) vuol dire anche più “giusto”. Credo possano bastare queste sole parole per descrivere un vino che è libera espressione delle vigne da cui proviene e che, interpretato diversamente, perderebbe interesse. Davvero un bel lavoro. COSSIGNANI L. E. TEMPO Da 5 anni, Letizia ed Edoardo Cossignani si dedicano alle cinquantennali vigne del nonno e alla produzione esclusiva di spumanti Metodo Classico con l’occhio attento alla valorizzazione dei vitigni autoctoni e nessun timore reverenziale nei confronti dei cugini d’oltralpe. SPUMANTE METODO CLASSICO “BLANC DE BLANCS”: cuvée 2017-2020, 60% legno e 40% cemento, una parte di malolattica e 24 mesi sui lieviti per questo Pecorino “Cocci Grifoni Original” che di vegetalità ne ha da vendere e che le note di burrosa pasticceria e agrumi canditi provano a tenere a bada. Sorso diretto, tagliente, affilato, fresco e profondamente sapido, che alla grande corrispondenza con l’olfatto aggiunge ben più che una nota di tè. Lungo e coinvolgente. LA CAMPANIA ANTICA MASSERIA A CANC’LLERA BENEVENTANO IGP AGLIANICO “NOTTE DI SAN LORENZO” 2021: punterebbe sull’equilibrio ma lascia che spicchino le freschezze del frutto nero su un’idea di cassis e macchia mediterranea e un’atmosfera sottilmente balsamica. In bocca riempie, invita e, se non fosse per quei tannini di razza ma ancora ineducati, quell’equilibrio cercato lo avrebbe anche raggiunto ma, per ora, si accontenta di lasciarVi con un finale lunghissimo in cui si bea di sottolineare balsamicità e animo minerale. Seducente ma con distinguo. “ERIBIANO” PASSITO 2019: Agostinella, un’uva che si è cercato di accostare al Piemonte, così come accaduto per quella Barbera del Sannio che oggi è Camaiola. Al naso apprezzate cotognata, miele ed agrumi canditi ma non potete non meravigliarVi di una nota “arrostita” di castagna e quasi carciofo Al sorso nulla risulta essere fuori posto. Freschezza, sapidità, le dolcezze pasticcere d’albicocca a prender per mano arancia candita e mandorle… Davvero un bel passito. MONSERRATO 1973 Azienda a conduzione familiare. 13ha vitati, conduzione biologica e focalizzata su Aglianico e Falanghina. BARBERA DEL SANNIO DOP 2021: 9 mesi di anfora fanno tanto e, seppur imperanti i varietali di frutti di bosco, prugna e rosa canina, aggiungono a questi un tocco d’Oriente che profuma di spezie pepose e una balsamicità, a firma tutta “sailamenta”, da aprire i polmoni. Sorso decisamente sapido e freschezza adeguata regalano un sorso mai borioso, leggero, succoso e dinamico che rimanda continuamente al frutto e spinge al bis (ma pure al ter). Si merita un “PIÙ” per quell’etichetta che celebra il vitigno a voce alta. MUSTILLI SANNIO AGLIANICO SANT’AGATA DEI GOTI DOC “CESCO DI NECE” 2017: dolce di mirtillo e aspro di marasca, non dimentica prugne e viole e regala una ventata d’arancia prima concentrarsi sulle piccantezze speziate. Sorso freschissimo (nonostante l’annata avesse fatto supporre il contrario) che lascia si esprimano, nel grande equilibrio complessivo, assoli di mentolata balsamicità, squilli di spezie e cori fruttati. Coinvolgente. E ORA? Ora è il momento dei ringraziamenti, a Manilo Frattari per avermi ospitato e ai Produttori per avermi sopportato. È anche il momento di scusarmi con tutte quelle Aziende cui ho detto: “ci vediamo dopo” e che (spero di no) mi stanno ancora aspettando. E poi è il momento di mettere in agenda l’Edizione 2025 di un Evento davvero TOPPP come IO VINO e mettersi al lavoro per approfondire tutto quanto di nuovo mi è stato insegnato in una giornata così intensa Roberto Alloi VINODENTRO  
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10 Aprile, 2024

La Lombardia a Vinitaly 2024

Cosa ha a che fare l’intelligenza artificiale con il vino?
Molto e ancora molto si può fare. Immaginate infatti di avere dei sensori collegati alle piante e di poter controllare lo stato della maturazione delle uve, dello zucchero, della acidità, ecc. Andate avanti con l’immaginazione e pensate di avere anche dei droni in grado di controllare ogni singola particella. Spingetevi oltre e pensate alle rilevazioni satellitari in grado di capire le temperature o l’umidita al suolo. Ecco, un simile sistema di sorveglianza consentirebbe di agire in prevenzione individuando i giusti tempi per le lavorazioni consentendo l’utilizzo di tecniche ad impatto ambientale pressoché nullo.
Fantascienza? No! È ciò che in Lombardia si usa ormai da qualche tempo nel campo agricolo e vitivinicolo. Grazie anche a queste tecnologie nell’ultimo decennio la superficie a vite da vino coltivata a biologico è più che quadruplicata, passando dai 941 ettari del 2012 ai 4.231 del 2022, pari al 18% della superficie vitata regionale. La vendemmia 2023 si è chiusa con una produzione pari a 154 milioni di bottiglie potenziali (+9,2% rispetto al 2022), l’89% delle quali a marchio di qualità. Questo è quanto emerge dai dati dell’Osservatorio sulla competitività delle Regioni del vino, elaborati da Unicredit-Nomisma Wine Monitor per la 56^ edizione di Vinitaly e presentati il 9 aprile nel corso della conferenza stampa in Regione Lombardia. Il Presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana commenta I vini di Lombardia sono i migliori testimoni del saper fare delle nostre aziende e puntano sempre di più su un’offerta orientata alla qualità, come confermato anche nell’ultima vendemmia, che vede l’89% della produzione riconducibile alle 5 DOCG, 21 DOC e 15 IGT lombarde, contro una media nazionale del 77%. Un’identità forte, che anche quest’anno farà del Padiglione Lombardia a Vinitaly una meta obbligata per gli appassionati e gli addetti ai lavori, che apprezzano un patrimonio vitivinicolo unico per varietà e tipicità, presente a Verona con la consapevolezza dei risultati raggiunti, ma anche con la voglia e le capacità di crescere ancora. Produzione e produzione di qualità che ha ottenuto il giusto riconoscimento in termini di export. Lo scorso anno il valore dei vini lombardi sui mercati esteri è infatti cresciuto del 3,1% rispetto al 2022, raggiungendo un nuovo massimo storico, in controtendenza rispetto al calo dello 0,8% registrato dalla produzione nazionale (elaborazione del Centro studi di Unioncamere Lombardia su dati Istat). L’Assessore Regionale all’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste Alessandro Beduschi dichiara Anche quest’anno il mondo del vino lombardo arriva a Vinitaly forte di un successo sempre più riconosciuto in Italia e nel mondo, come dimostra il nuovo record dell’export e la crescita su mercati storici come quelli di Germania (+6%), Francia (+14%) e Spagna (+8,2%), così come in altri Paesi che sempre di più apprezzano le nostre etichette. È una tendenza positiva e non scontata in questo particolare periodo economico, che premia l’impegno dei produttori e la loro capacità di investire in ricerca, innovazione e sostenibilità lungo tutta la filiera. Un valore aggiunto che i mercati riconoscono sempre di più. Le circa 3 mila aziende del comparto vitivinicolo lombardo, un quarto delle quali a guida femminile, sono espressione di un tessuto imprenditoriale estremamente vitale, la cui crescita produce benefici non solo in termini di fatturato, ma anche di occupazione. Il presidente di Unioncamere Lombardia, Gian Domenico Auricchio sottolinea Negli ultimi dieci anni l’occupazione nel settore ha mantenuto un trend in crescita arrivando a 6.381 addetti nel 2023, anche grazie al progressivo apprezzamento sui mercati esteri dei nostri vini (+3,1% l’export nel 2023, a fronte di un calo del -0,8% delle esportazioni italiane). Inoltre, la Lombardia è capofila in Italia quando si guarda all’adozione di nuove tecnologie e ricerca per migliorare la qualità delle produzioni, ridurre l’impronta carbonica e ottimizzare l’utilizzo delle risorse. La vitivinicoltura è uno degli ambiti in cui le sinergie tra mondo delle imprese, istituzioni e università trovano la loro massima espressione. Proprio per valorizzare il lavoro del mondo vitivinicolo lombardo, anche quest’anno Ascovilo (l’associazione dei Consorzi Vitivinicoli Lombardi) sarà presente nel Padiglione Lombardia con uno spazio Lounge per B2B e stampa e con una proposta culturale dedicata ai vini di Lombardia nella Sala polivalente – Stand D14 – al secondo Piano del PalaExpo. Giovanna Prandini, presidente di Ascovilo sottolinea Ascovilo è l’associazione di ben 13 Consorzi di Tutela della qualità dei vini di Lombardia, nata nel 1977 e mai come oggi necessaria per dare al vino regionale una immagine coordinata. Il mercato ci chiede di comunicare e rafforzare gli elementi di distintività delle nostre produzioni. Questo è l’obiettivo che perseguiamo insieme valorizzando le piccole e grandi produzioni. I Consorzi presenti nel Padiglione Lombardia a Vinitaly 2024 sono: Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, Ente Vini Bresciani, Consorzio Franciacorta, Consorzio Tutela Moscato di Scanzo, Consorzio Volontario Vino DOC San Colombano, Consorzio Montenetto, Consorzio Vini IGT Terre Lariane, Consorzio Vini Mantovani, Consorzio Tutela Lugana DOC, Consorzio Tutela Valcalepio, Consorzio Tutela Vini di Valtellina, Consorzio Valtènesi Riviera del Garda Classico e Produttori San Martino della Battaglia DOC, Consorzio Botticino DOC, Consorzio Tutela IGT Valcamonica. Appuntamento con i vini lombardi è dunque al Vinitaly 2024, il Salone internazionale dei vini e distillati la cui 56^ edizione andrà in scena a Verona dal 14 al 17 aprile.
Nei 3.300 metri quadrati del PalaExpo, all’interno degli spazi espositivi finanziati e realizzati da Regione Lombardia e Unioncamere, saranno presenti oltre 150 le realtà in rappresentanza di tutto ciò che di meglio sa offrire il territorio lombardo, per un totale di oltre mille etichette in degustazione. Ci vediamo tutti al Vinitaly! Ivan Vellucci ivan.vellucci@winetalesmagazine.com Mi trovi su Instagram come @ivan_1969
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10 Aprile, 2024

Salviati, eccellenza italiana

Tra le belle esperienze vissute durante Wine in Venice, la visita esclusiva a Salviati è stata una tra le più interessanti. Mi vergogno a scriverlo, ma la prima e ultima volta che andai all’isola di Murano prima di questa credo risalga a una gita di scuola. Salviati, per il secondo anno, ha realizzato il premio che è stato consegnato alle 20 cantine vincitrici sulla base dei tre principi cardine della manifestazione, ovvero etica, sostenibilità ed innovazione. Il calice di una particolare sfumatura di rosso è un insieme di colore, potenza ed eleganza che mi ha lasciato senza fiato!  Il “viaggio” inizia con il trasferimento in barca dalla Scuola Grande della Misericordia, sede della manifestazione, all’Isola di Murano. E’ una fredda e soleggiata giornata di gennaio e veniamo accolti nella fornace. Questo è il cuore pulsante delle lavorazioni, dove tutto ci parla di una lunga storia iniziata più di 160 anni fa, precisamente nel 1859 sul Canal Grande, nel centro storico di Venezia. La storia della passione di un avvocato-chimico-archeologo vicentino di nome Antonio Salviati.  ORIGINI DEL VETRO  Probabilmente il vetro è noto all’uomo sin dalla preistoria. Nel 2000 a.C. il vetro era utilizzato in Egitto per produrre stoviglie e monili, come perle di vetro. Altri rinvenimenti archeologici di piccoli vasi ne dimostrano la diffusione anche in India e Cina, tra il 1000 e il 500 a.C.. E’ nell’area del Mediterraneo, però, che se ne sono maggiormente sviluppate diffusione e commercializzazione. L’ampia esportazione di questi oggetti favorì la nascita di fornaci in Campania, in Spagna e a Roma, tutte molto attive durante l’alto Medioevo. Generalizzando, mentre l’Occidente preferiva una produzione più ordinaria e utile, l’Oriente privilegiava la raffinatezza. Nel tempo, gli artigiani vetrai divennero sempre più abili fino a sviluppare, nel I secolo a.C., la tecnica del soffiaggio. Nel V-VII d.C., a Bisanzio, si iniziarono a produrre tessere di vetro per la creazione di mosaici a dire poco spettacolari come quelli presenti a Ravenna, i più belli del mondo (ma questa è un’altra storia). LA LAVORAZIONE DEL VETRO DI MURANO Semplifichiamo ancora parecchio… Il vetro è formato da silice, che ad elevate temperature diventa liquida (stiamo parlando di temperature che si aggirano tra gli 800 e i 1100 gradi). E’ nel momento del passaggio tra lo stato liquido e quello solido che il vetro diventa morbido e malleabile, permettendo così al vetraio di plasmarlo e creare opere uniche ed inimitabili.  L’esperienza acquisita nel tempo portò i mastri vetrai di Murano a fare un’importante scoperta. Essi realizzarono che l’uso di diversi materiali durante la lavorazione fa sì che il vetro modifichi il suo aspetto creando effetti visivi singolari e suggestivi. E’ il caso del sodio, ad esempio, che viene utilizzato dall’artigiano per rendere la superficie di vetro opaca, mentre i nitrati e l’arsenico vengono impiegati per eliminare le bolle. Colori, tecniche e materiali variano a seconda del risultato che il vetraio vuole creare e si declinano in un’infinita e affascinante varietà di forme e colori. NASCITA E CRISI DEL VETRO A MURANO L’avvincente storia del vetro di Murano nasce nel 1291, quando si decise che le vetrerie di Venezia fossero trasferite sull’omonima isola. Questa decisione, che si rivelò ben presto importante per i suoi abitanti, fu presa in quanto i forni dei laboratori a Venezia erano i principali responsabili di gravi incendi. Concentrare tutte le vetrerie a Murano fu inoltre utile a Venezia per controllare l’attività dei mastri vetrai e per custodire quell’arte che l’aveva resa famosa in tutto il mondo. Gelosa della fama acquisita, Venezia obbligò in seguito i mastri vetrai a vivere sull’isola, impedendo loro di lasciarla senza prima ottenere un permesso speciale. Nonostante queste restrizioni, tuttavia, molti riuscirono a fuggire. Con loro, portarono un bagaglio importante di esperienza e conoscenza artigianale ed esportarono, anche all’estero, le loro raffinate tecniche. SALVIATI: RISCOPERTA E RINASCITA  La crisi più significativa che il vetro di Murano dovette affrontare fu nel XV secolo, quando si cominciò la fabbricazione dei cristalli di Boemia. Murano perse sempre più posizioni rispetto alle nuove vetrerie in Europa. Si aprì così un periodo di decadenza dell’arte vetraria dalla quale Venezia, poco alla volta, riuscì ad uscire, grazie anche all’impiego del vetro di Murano per la realizzazione di lampadari. Questi sono, ancora oggi, le opere forse più note ed apprezzate tra quelle realizzate in questo materiale. In questa crisi si inserisce la figura di Antonio Salviati, amante dell’arte in generale ed in particolare di quella del vetro. Iniziando la produzione di mosaici e di oggetti in vetro di Murano, decise di risollevare le sorti di questa arte, avendo la lungimiranza di circondarsi di valenti collaboratori. Uno fu il sindaco dell’isola di Murano Antonio Colleoni, un altro l’Abate Vincenzo Zanetti, fondatore del Museo del Vetro e della prima scuola di disegno per vetrai. Insieme, attraverso un’instancabile ricerca e sperimentazione, riscoprirono l’arte delle antiche colorazioni, con quelle tecniche e quei saperi che con il tempo si erano quasi completamente perduti. Antonio Salviati si fece apprezzare in tutta Europa, dove la sua “consacrazione” avvenne in quel di Parigi nel 1867, quando partecipò all’Esposizione Universale. Qui propose i tipetti, calici da parata molto celebri nel ‘400, leggeri, coloratissimi e personalizzabili. Salviati operò infatti come un moderno agente, presentandosi presso le varie corti europee con una valigetta composta da 6 bevanti, 6 steli e 6 piedi separati. In questo modo, poteva consentire ai potenziali clienti di creare i propri tipetti su misura. Antesignano della personalizzazione, ebbe un enorme successo e la sua collezione si sviluppò sempre più negli anni, arricchendosi di oggetti decorativi, preziose coppette, calici e sistemi di illuminazione. SALVIATI OGGI Salviati oggi è un’azienda che rispetta e celebra ogni giorno la millenaria tradizione del vetro di Murano attraverso le proprie maestranze in fornace e con un management che si impegna quotidianamente a diffondere la cultura del vetro artistico soffiato a mano in tutto il mondo. L’azienda è oggi una moderna fornace, con una guida “giovane” (Stefano Schiavon, Presidente e Alberto Lago, Direttore Artistico) e quotati designers in grado di portare ottimizzazione e innovazione. Salviati affianca infatti alla produzione tradizionale un dipartimento di sperimentazione dove fare crescere idee e persone. Una curiosità tuta veneziana… sapevate che i primi occhiali con lenti di vetro nacquero proprio a Venezia intorno alla fine del XII secolo? Fonti https://www.mademuranoglass.com/it/lisola-di-murano-e-la-lavorazione-del-vetro/ La storia di Salviati è ricca e moderna e la potete trovare  qui https://www.salviati.com/storia/   Sono Claudia Riva di Sanseverino. Assaggio, degusto, scopro, curioso, provo e condivido. Seguimi su Instagram @crivads  
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9 Aprile, 2024

Vignamaggio: sintonia con la natura

Realtà come Vignamaggio non possono assolutamente mancare nel nostro bagaglio di conoscenza, ecco perché ve la racconto oggi. Adagiata sulle colline del Chianti, tra boschi e ruscelli, Vignamaggio rappresenta un grande giardino dove il vigneto è parte integrante di un sistema agricolo biologico in cui uomo e terra vivono in sintonia in una comunità sostenibile, reinterpretando la tradizione policolturale delle tipiche fattorie toscane. Una tenuta di 400 ettari tra Greve e Panzano in Chianti, patrimonio condotto a regime biologico che si integra con il paesaggio circostante all’interno di una visione policulturale e che, oltre alla centralità del vino, comprende la cura del bosco, gli uliveti, i cereali, gli orti, l’allevamento di maiali di Cinta Senese e di pecore. Osservando il loro marchio si possono scorgere tutti questi elementi, infatti insieme alla Villa, simbolo di accoglienza e dell’offerta di ospitalità che offre Vignamaggio, ci sono la vigna, il giardino riqualificato, gli olivi, simbolo della produzione storica, e i cereali, rappresentativi della diversificazione colturale, tutti a testimonianza della molteplice attività dell’azienda. Oggi Vignamaggio è un microcosmo produttivo retto da un ecosistema autosufficiente: un laboratorio di biodiversità che pensa al presente per progettare il futuro di un’agricoltura sostenibile, il più possibile varia e interconnessa. Le cantine quattrocentesche della villa di Vignamaggio costituiscono il punto di partenza di un lungo percorso cominciato più di 600 anni fa. Oggi Vignamaggio è una fattoria biologica con una cantina all’avanguardia e produce vini di alta qualità, esprimendo le peculiarità dei diversi terroir della tenuta. La prima attestazione della produzione vitivinicola a Vignamaggio risale al 1404. In una pergamena dell’epoca venuva pianificava l’utilizzo delle botti vuote a disposizione e stabiliva quanto vino elargire all’assetato destinatario della lettera. I vigneti di Vignamaggio coprono una superficie di oltre 70 ettari, coltivati secondo i principi dell’agricoltura biologica. Sangiovese, Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Malvasia Bianca e Trebbiano costituiscono i vitigni principali della tenuta, ma un particolare riguardo è stato rivolto al recupero di alcune varietà di viti locali come il Canaiolo nero e il Mammolo. Nella cantina di Vignamaggio si svolge tutto il processo di vinificazione, dalla selezione delle uve raccolte all’affinamento del vino in barriques e in grandi botti di rovere. Durante la vendemmia, sulla terrazza superiore, che costituisce il tetto della cantina stessa, vengono selezionate le uve; da qui esse scendono per caduta nei serbatoi in acciaio sottostanti, dove inizia il processo di fermentazione. Vignamaggio è una delle più antiche aziende agricole d’Italia, annoverata tra le aziende fondatrici del Consorzio del Chianti Classico, di cui è ambasciatrice nel mondo con i suoi prodotti d’eccellenza tra cui il Chianti Classico Riserva Gherardino e il Gran Selezione Monna Lisa. Il nome del CHIANTI CLASSICO DOCG RISERVA GHERARDINO è dedicato a Gherardino Gherardini capostipite della illustre casata che edificò Vignamaggio nel XIV secolo. Questo vino viene prodotto con uve Sangiovese per l’80-90% e Merlot per il 10-20%. Dopo le fasi di raccolta e vinificazione, si effettua un affinamento di circa 18-20 mesi in botti e barrique di rovere. Le uve provengono dai vigneti del Prato (Ovest), Solatio (Sud-Ovest) e di Querceto (Ovest/Sud-Ovest). Il CHIANTI CLASSICO DOCG GRAN SELEZIONE MONNA LISA: la villa rinascimentale di Vignamaggio è opera della famiglia Gherardini, la cui fama è legata alla figura leggendaria di Monna Lisa de Gherardini, la celebre Gioconda ritratta da Leonardo da Vinci tra il 1503 e il 1506. Folclore e storia si fondono e confondono nei secoli a venire: l’assonanza tra Via Maggio a Firenze (luogo di nascita di Monna Lisa) e Vignamaggio, unita al paesaggio ritratto da Leonardo, hanno portato molti a ritenere erroneamente che la Gioconda fosse nata qui. Per questa ragione, ancora oggi, la figura della Monna Lisa è legata a Vignamaggio, che ha voluto dedicarle questo vino. Il Chianti Classico Gran Selezione viene prodotto solo nelle annate migliori, con le uve aziendali provenienti dai vigneti più vocati, ovvero quelli del Prato (Ovest), Solatio (Sud-Ovest) e Querceto (Ovest / Sud-Ovest). L’uvaggio è costituito da Sangiovese per il 95% e da Cabernet Sauvignon per il 5%. Il vino è affinato in parte in barriques di rovere francese per 18-20 mesi e in parte in botti più grandi. L’affinamento complessivo minimo è di 30 mesi, di cui almeno 6 in bottiglia. Di grandissimo pregio anche le espressioni internazionali di Vignamaggio. IGT TOSCANA ROSSO CABERNET FRANC DI VIGNAMAGGIO è un vino storico dell’azienda, il Cabernet Franc di Vignamaggio viene prodotto con uve provenienti da viti di oltre quaranta anni, riscoperte per caso negli anni ’90 nei vigneti Solatio (Sud-Ovest) e Orto (Est). Il vino che si ottiene sfugge agli schemi tradizionali, infatti le bassissime produzioni per pianta e il clima piuttosto caldo della zona, rendono questo vino pieno e ricco di tannini eleganti. Il vino è affinato per 18-20 mesi in barriques di rovere francese, in parte nuove e in parte di secondo impiego, per poi proseguire con un lungo affinamento in bottiglia. L’IGT TOSCANA ROSSO MERLOT DI SANTA MARIA: Dopo oltre 25 anni di coltivazione del Merlot a Vignamaggio, l’azienda ha deciso di dedicargli un cru, espressione del vigneto migliore chiamato appunto Santa Maria a Petriolo, situato poco distante dalla Villa ed esposto ad ovest. Il Merlot di Santa Maria unisce alle note fruttate del vitigno, l’eleganza e la freschezza tipiche di Vignamaggio e del territorio di Greve. Il vino è affinato per circa 20 mesi in barriques di rovere francese, in parte nuove e in parte di secondo impiego, e successivamente per almeno 6 mesi in bottiglia. I vini di Vignamaggio vogliono esprimere l’essenza stessa di questo territorio con l’obiettivo di trovare persistenza, colore, equilibrio, profumo e storia, in un unico sorso, vini da non perdere e che non possono mancare nel vostro bagaglio di conoscenza! Vignamaggio: storia e qualità in sintonia con la natura A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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8 Aprile, 2024

Franchini, il vino tra i mosaici

Un viaggio sensoriale che celebra la cultura del vino e la bellezza del territorio veronese Nella pittoresca cornice della Valpolicella, dove il verde dei vigneti si estende a perdita d’occhio e le colline si susseguono in un abbraccio armonioso, sorge la Cantina Franchini. Un’oasi di pace e di tradizione, dove il tempo sembra rallentare e l’anima si lascia incantare da un’esperienza sensoriale unica e indimenticabile. I mosaici di Villa Franchini: un tuffo nella storia e nella cultura romana Varcando la soglia di Villa Franchini, si viene immediatamente rapiti dalla bellezza dei mosaici di Cortesele. Un tesoro archeologico di inestimabile valore, risalente al IV secolo d.C., che offre una finestra preziosa sulla vita quotidiana, le attività agricole e la cultura vitivinicola dell’epoca romana. Scene di caccia, di vita quotidiana e di mitologia si dispiegano in un tripudio di colori e di forme, raccontando storie di uomini e di donne, di divinità e di creature fantastiche. Le tessere di pietra policroma, disposte con maestria e precisione millimetrica, creano un effetto di vivacità e di realismo che lascia senza fiato. Un legame indissolubile tra uomo e terra: le radici profonde della tradizione vitivinicola Ogni mosaico è più di una semplice opera d’arte: è una testimonianza tangibile del profondo legame che da sempre unisce l’uomo alla terra in questa zona. Le scene raffigurate, infatti, celebrano la dedizione al lavoro agricolo, la fatica e la passione che si celano dietro ogni bottiglia di vino. La filosofia Franchini: un terroir unico che si esprime in vini pregiati La stessa filosofia che anima la cantina Franchini, dove la cura artigianale e il rispetto per la natura si traducono in vini pregiati e di grande personalità. Dalle uve autoctone della Valpolicella, come Corvina, Rondinella e Molinara, nascono Amarone, Recioto, Valpolicella e Ripasso, vini che racchiudono in sé l’essenza del territorio e la maestria di una famiglia di vignaioli. Un’eredità di generazioni che si tramanda di padre in figlio, un sapere antico che si rinnova di anno in anno, in un costante dialogo tra tradizione e innovazione. Degustazione storica: un itinerario emozionante tra arte e sapori La degustazione storica proposta dalla cantina Franchini è un vero e proprio viaggio nel tempo e nel gusto. Un’occasione imperdibile per assaporare i vini pregiati della Valpolicella accompagnati dalle affascinanti storie raccontate dai mosaici. Un percorso emozionante che coinvolge tutti i sensi, alla scoperta di un territorio ricco di storia, cultura e sapori autentici. Un’esperienza unica che si snoda tra le suggestive sale della villa, dove i mosaici incorniciano le degustazioni, e la cantina, dove il fascino della tradizione si mescola alle moderne tecnologie di produzione. Un’esperienza da non perdere per gli appassionati di vino, di storia e di bellezza Che siate appassionati di vino, di storia o semplicemente di arte e cultura, la degustazione storica della cantina Franchini è un’esperienza che non dovete perdervi. Un’occasione unica per immergervi nella bellezza della Valpolicella, per conoscere la storia millenaria della viticoltura locale e per degustare vini di altissima qualità. Oltre il vino: un’immersione nella cultura e nella tradizione veronese Franchini non è solo una cantina, ma un luogo dove la tradizione si fa esperienza viva. Un luogo dove il fattore umano e la passione per il vino si traducono in un’accoglienza calorosa e in un’atmosfera familiare. Un luogo dove il tempo sembra rallentare e dove ci si può perdere tra i profumi e i sapori di una terra autentica. Un invito a tutti gli appassionati Se siete alla ricerca di un’esperienza che vada oltre il semplice assaggio di un vino, se desiderate immergervi nella cultura e nella storia di un territorio unico, allora la cantina Franchini vi aspetta. Lasciatevi guidare dalla passione e dalla genialità italiana, per un viaggio indimenticabile tra mosaici e vini pregiati. Un’esperienza che arricchisce l’anima e il palato, un ricordo indelebile che vi accompagnerà per sempre.     Cristina Mascanzoni Kaiser Titolare di WineHO ® www.wineho.it Autrice di “Wine Hospitality – Quando il fattore umano e la genialità Italiana cambiano il marketing” Mi trovi su Instagram    
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6 Aprile, 2024

Aprile, aprile, ogni goccia fa barile!

Questa volta, sono entusiasta di condividere con voi un articolo un po’ diverso dal solito. Piuttosto che raccontare di una visita in cantina o di un evento enoico specifico, ho il piacere di introdurvi a una selezione di etichette che ho personalmente gustato e apprezzato enormemente. È un’esperienza che spero diventi un appuntamento ricorrente, permettendoci di esplorare insieme il vasto panorama delle eccellenze enogastronomiche che il nostro paese – e non solo – ha da offrire. Attraverso la degustazione di questi vini, vi condurrò in un viaggio attraverso i territori più affascinanti, suscitando curiosità e interesse per le diverse tradizioni vinicole. Pronti a sollevare i calici e iniziare questo viaggio? Ho scelto di presentarvi sei tipologie diverse di vino, ognuna portatrice di caratteristiche uniche e affascinanti, in modo da offrirvi un viaggio attraverso gusti e profumi che si adattano a una vasta gamma di piatti. La mia priorità è stata sempre privilegiare abbinamenti che valorizzino il territorio di provenienza del vino. Quindi, preparatevi a scoprire insieme le stelle del mese che hanno saputo conquistarmi con la loro straordinaria unicità e raffinatezza.   Bollicina Metodo Classico: Frecciarossa Extra Brut Millesimato 2020 Nel magico mondo delle bollicine, il Frecciarossa Extra Brut Millesimato 2020 della rinomata Azienda Frecciarossa si distingue per la sua eleganza e raffinatezza. Fondata nel lontano 1919 da Mario Odero, un visionario innamorato delle colline dell’Oltrepò Pavese, l’azienda ha saputo tramandare nel tempo la sua passione per il territorio e la produzione di spumanti di alta qualità. Il nome suggestivo dell’azienda, nato da un errore di trascrizione del toponimo “Fraccia Rossa”, racchiude in sé l’essenza di una storia intrisa di tradizione e innovazione. Azienda: Frecciarossa è da sempre una pioniera nello sviluppo dello spumante di qualità, sia sul territorio italiano che oltre confine. Attualmente alla guida c’è quarta generazione, Valeria che insieme alla madre Margherita Odero, nipote di Mario portano avanti l’azienda con una gestione al femminile e dalla forte impronta biologica. Con 21 ettari di vigneto su una tenuta complessiva di 31 ettari, la biodiversità è una realtà tangibile, grazie alle innumerevoli tecniche ed attenzioni. Vitigno: Questa eccellente bollicina è ottenuta esclusivamente da uve di Pinot Nero, espressione autentica del territorio dell’Oltrepò Pavese. Territorio: Le colline dell’Oltrepò Pavese, anticamente sommerse dal mare, custodiscono terreni ricchi di storia e mineralità. La varietà geologica dei suoli, che comprende argille rosse, marne e vene di gesso, conferisce al vino una complessità e un carattere unici, che si riflettono pienamente nel bicchiere. Scheda Tecnica: La vendemmia manuale e la pressatura soffice delle uve intere permettono di ottenere un mosto fiore di alta qualità. La fermentazione alcolica avviene a temperature controllate, seguita da una decantazione spontanea e una stabilizzazione a freddo durante l’inverno. Il tiraggio avviene nella primavera successiva alla vendemmia, seguito da una presa di spuma a 16 °C e un affinamento sui lieviti di 22 mesi, con successiva sboccatura avvenuta nel febbraio 2023. Degustazione Il Frecciarossa Extra Brut Millesimato 2020 si presenta nel bicchiere con un invitante colore giallo paglierino, arricchito da riflessi dorati e un perlage visibile e persistente. Al naso, si apre con fragranti note di fiori bianchi, arricchite da suggestivi sentori balsamici e minerali. In bocca, regala un’esperienza di grande armonia e piacevolezza, con una buona vena acida che pulisce il palato, lasciando un retrogusto caratterizzato da note minerali distintive. Un autentico Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese in purezza, che incanta con la sua complessità e eleganza. Abbinamento Questa bollicina di classe si presta magnificamente a essere gustata come aperitivo di benvenuto o in accompagnamento a piatti raffinati a base di pesce, come un carpaccio di tonno o un crudo di gamberi. La sua freschezza e complessità lo rendono inoltre ideale da abbinare a formaggi cremosi e delicati, come il brie o il camembert, e la sua struttura permette di abbinarlo anche a un primo piatto con funghi e tartufo,  esaltando al meglio il carattere unico di questo vino.   2. Vino Bianco: MEZZO BRACCIO TOSCANA IGT 2019 RIESLING In un viaggio attraverso la Toscana, nel cuore della Tenuta Monteloro dei Marchesi Antinori, scopriamo un tesoro enologico, un Riesling Renano che incanta con la sua unicità e raffinatezza. Azienda: Immersa tra le suggestive colline dell’Appennino alle spalle di Fiesole, la Tenuta Monteloro dei Marchesi Antinori è un vero gioiello. I paesaggi mozzafiato, che si dice abbiano ispirato il viaggio dantesco della Divina Commedia, raccontano storie antiche di nobili famiglie fiorentine, tra cui quella di Dante Alighieri e Beatrice Portinari. La tenuta, situata a un’altitudine media di 500 metri s.l.m. su 600 ettari totali, si contraddistingue per un clima fresco e terreni ricchi di minerali, ideali per la coltivazione di varietà aromatiche a bacca bianca. Vitigno e  Annata 2019 Il Riesling Renano trova in questa terra toscana un’espressione unica, grazie ai suoli argillosi e calcarei che conferiscono al vino una straordinaria complessità. Il Mezzo Braccio, prodotto a partire dall’annata 2007, prende il nome da un’antica unità di misura fiorentina, testimone di un passato ricco di storia e tradizione. L’annata 2019 ha visto un inverno rigido seguito da una primavera caratterizzata da piogge benefiche per lo sviluppo vegetativo. L’estate calda è stata mitigata da alcune precipitazioni che hanno favorito un’ottima maturazione delle uve, mantenendo un equilibrio perfetto tra acidità e maturità aromatica.
Vinificazione: Le uve, raccolte manualmente tra settembre e ottobre, sono state diraspate e delicatamente pressate per estrarre il succo con la massima delicatezza. La fermentazione alcolica avviene in tini di acciaio inox a temperatura controllata, seguita da un affinamento sui lieviti e un successivo affinamento in bottiglia per 18 mesi. Degustazione e Abbinamento Il Mezzo Braccio si presenta nel bicchiere con un affascinante colore giallo paglierino. Al naso si aprono fragranti aromi floreali di sambuco e fiori bianchi, accarezzati da leggere note verdi di bosso e sensazioni iodate. In bocca, il vino colpisce per la sua freschezza arricchita da una sapidità che sostiene un’elegante mineralità che conferisce profondità e struttura.
Questo Riesling Renano toscano è l’ideale compagno di piatti di pesce, come un plateau di ostriche o un piatto di linguine con cernia e asparagi. La sua freschezza e complessità lo rendono perfetto anche in abbinamento a piatti a base di verdure, come una terrina di verdure croccanti o un risotto primaverile. 3. Rosato: Vesuvio Lacryma Christi DOC Rosato Black Label della Cantina Del Vesuvio Nel cuore delle terre fertili ai piedi del Vesuvio, la Cantina Del Vesuvio ci regala un’esperienza enologica unica con il suo prestigioso Vesuvio Lacryma Christi DOC Rosato Black Label. Fondata nel 1930 da Giovanni Russo e oggi gestita con passione e dedizione dall’intera famiglia, l’azienda si distingue per la produzione di vini biologici e sostenibili, mantenendo vive le tradizioni vinicole campane e offrendo esperienze autentiche ai visitatori. Filosofia aziendale La Cantina Del Vesuvio ha fatto una scelta coraggiosa nel 1996: quella di produrre esclusivamente vino biologico, mantenendo un approccio sostenibile in tutte le fasi della produzione. Questa decisione, sebbene non facile, si è rivelata fondamentale per preservare l’autenticità e la qualità dei loro vini. La conduzione familiare dell’azienda, con Maurizio Russo e la sua famiglia al timone, testimonia l’impegno e la passione che animano ogni processo, dalla vigna alla bottiglia. Un vitigno autoctono campano Il Vesuvio Lacryma Christi DOC Rosato Black Label è ottenuto da sole uve di Piedirosso, detto pier’e palummo, un antico vitigno autoctono un po’ capriccioso ma dalle caratteristiche uniche. Le vecchie vigne, coltivate con cura e rispetto per il territorio, contribuiscono a conferire al vino una straordinaria complessità e profondità. Vinificazione e Caratteristiche Questo rosato campano si distingue per il suo colore rosa e il suo bouquet floreale e fruttato, arricchito da note di frutti di bosco e fiori primaverili. Al palato, si presenta fresco e vivace, con una piacevole morbidezza e una sottile mineralità che lo rende particolarmente intrigante. Affinato per 6 mesi in acciaio, questo vino esprime al meglio il carattere unico del terroir vesuviano.   Abbinamento Il Vesuvio Lacryma Christi DOC Rosato Black Label è un vino versatile, adatto ad accompagnare una vasta gamma di piatti. Perfetto in abbinamento a formaggi freschi, piatti a base di pesce, risotti e carne bianca. ottimo con un primo condito con pomodorini del piennolo, tipici di questa terra! Si consiglia di servirlo a una temperatura di 8-10°C per apprezzarne al meglio tutte le sfumature aromatiche e gustative.   Vino Rosso: Montetarbato IGT Ravenna Centesimino 2018 di Cantina San Biagio Vecchio Immersi tra le colline romagnole di Oriolo dei Fichi, Andrea e Lucia sono i custodi dell’anima della Cantina San Biagio Vecchio, un’autentica oasi vitivinicola a due passi da Faenza. Con passione e dedizione, coltivano sei ettari di terra dove prendono vita vitigni autoctoni come l’Albana, il Sangiovese e il Centesimino, un tesoro enologico dalla storia avvincente.   Storia e Filosofia La Cantina San Biagio Vecchio è il risultato di un amore condiviso per la terra e la viticoltura. Andrea, subentrato nella conduzione del podere a Don Antonio Baldassari, parroco di San Biagio e appassionato vignaiolo, e Lucia, proveniente dal mondo della ristorazione, uniscono le loro passioni e competenze per dare vita a vini unici e autentici. Con una profonda connessione con il territorio e una filosofia improntata alla sostenibilità, la coppia dà vita a vini che raccontano la storia e le tradizioni della Romagna. Ottenuto al 100% da una selezione di vecchi cloni di Centesimino, vitigno semi-aromatico autoctono della Romagna, questo vino rappresenta un’autentica espressione del territorio di San Biagio Vecchio. Se come me vi recherete a trovarli in azienda, sarà la stessa a Lucia a raccontarvi la storia proprio calpestando i vigneti in cui nasce la storia di questo vitigno. Vinificazione e Caratteristiche: Il Montetarbato si distingue per il suo colore rosso rubino intenso e la sua prorompente aromaticità, che avvolge il palato con note speziate, rosa canina e alloro. In bocca, riprende fedelmente il quadro olfattivo, sviluppando una piacevole persistenza sostenuta dalla sottilissima trama dei tannini e grande freschezza. La fermentazione spontanea con i propri lieviti indigeni e la maturazione in acciaio conferiscono al vino un carattere unico e autentico.
Abbinamento Gastronomico: Il Montetarbato si presta magnificamente all’abbinamento con piatti di carne, come le succulente costolette di agnello con erbe aromatiche. La sua complessità aromatica e la freschezza in bocca si sposano alla perfezione con i sapori intensi come una tartare di manzo al tartufo con germogli verdi.   Vino Dolce: ROMAGNA DOCG ALBANA PASSITO di Cantina Bissoni 2018 Immersa tra le affascinanti colline romagnole di Bertinoro, la Cantina Bissoni rappresenta un autentico scrigno di tradizione e qualità, dove Raffaella Bissoni, donna straordinaria e custode appassionata della terra, crea vini che raccontano la storia e la bellezza di bertinoro e dello Spungone.     Storia e Filosofia Fondata nel 1988 da Raffaella Bissoni, la Cantina Bissoni si estende su un terreno di 12 ettari, di cui 6 vitati, e rappresenta un’eccellenza nella produzione di vini di alta qualità. Da quasi trent’anni, Raffaella si dedica con passione alla coltivazione di uve autoctone come il Sangiovese e l’Albana, seguendo una filosofia improntata al rispetto per l’ambiente e alla valorizzazione delle tradizioni locali. Nel 2016, la Cantina ha ottenuto la certificazione biologica, confermando l’impegno di Raffaella per la sostenibilità e il benessere del territorio. Tra le eccellenze della Cantina Bissoni spicca il ROMAGNA DOCG ALBANA PASSITO, un nettare dorato ottenuto con il metodo di appassimento su pianta. L’Albana, regina indiscussa della Romagna, si trasforma in un vino straordinario, ricco di aromi e note gustative che conquistano i sensi. Vinificazione e Caratteristiche Il processo di vinificazione di appassimento delle uve in pianta, nelle annate favorevoli è impreziosita dall’azione della Botrytis Cinerea. Dopo una vendemmia effettuata in più passaggi per la raccolta delle uve appassite, segue una fermentazione alcolica con lieviti indigeni e un affinamento di circa due anni, parte in acciaio e parte in barriques di rovere francese, seguito da almeno 18 mesi in bottiglia. Il risultato è un vino di una straordinaria complessità, dal colore giallo oro intenso tendente all’ambrato con l’invecchiamento. Al naso si aprono profumi di confettura di albicocca, dattero, fichi secchi, miele e vaniglia, con note speziate e, con l’invecchiamento, sentori tipici di zafferano. In bocca si rivela grasso, suadente a volte con una leggera sensazione tannica, con una persistenza indelebile. Abbinamenti: questo passito è un vino ricco e strutturato, adatto a grandi invecchiamenti. Si sposa magnificamente con formaggi stagionati e erborinati, foie gras, ma anche con torte al cioccolato e pasticceria secca. Da degustare almeno 3 anni dopo la vendemmia, questo vino è in grado di regalare emozioni uniche e indimenticabili, rappresentando il meglio della tradizione vinicola della Romagna. Concludo questo viaggio attraverso i sapori del mese di aprile invitandovi a non dormire ma a scoprire ulteriori delizie enogastronomiche su Winetales Magazine e a vivere ogni sorso in modo consapevole e appassionato. Che ogni bottiglia sia un racconto da gustare con curiosità e che ogni sorso sia un viaggio nei paesaggi e nelle tradizioni che rendono unici i vini che amiamo. Cin cin e buona degustazione! Benedetta Costanzo
benedetta.costanzo@winetalesmagazine.com
Mi trovi su Instagram come @benedetta.costanzo    
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5 Aprile, 2024

Michele Petri. Tra i grandi Supertuscan, ci sarà il mio

Cosa facevo io a 25 anni? Ero a Torino a lavorare da mamma Fiat. Come ingegnere, ancorché aeronautico, lavorare per Fiat era un onore. Bellissimo periodo della mia vita. La prima esperienza lontano, l’addio a casa di mamma e papà, la grande città dove tutto è nuovo e bello, un lavoro fantastico, dei colleghi accomunati dagli stessi obiettivi. Insomma una vera figata. Anche perché andavo in giro a scoprire il mondo. Non solo Torino.
Il ragazzo che ero voleva conquistare il mondo. Aveva il carattere e la preparazione per farlo. Aveva l’energia e la voglia. Aveva soprattutto il tempo per farlo. Michele Petri ha anche lui 25 anni e il suo obiettivo è quello di portare i suoi vini allo stesso livello di quelli più blasonati. Vorrei arrivare che tra i grandi Supertuscan ci sia anche il mio. Per ora è un segreto. Non credo sia impossibile ma credo che la strada sia tanta. Guadagnare, vivere bene, avere una vita felice. Certo. Ma la soddisfazione lavorativa è pensare che c’è il Sassicaia, il Solaia, il Tignanello, l’Ornellaia e poi il mio. Questo mi scalda il cuore. Sognare non costa nulla. Sognare è qualcosa che se manca rende la vita piatta e stanca. Il sogno invece arde dentro di noi e ci porta a lavorare per questo. In maniera forte e determinata. Senza patemi magari ma lottando per raggiungere un risultato. Senza questo cosa saremmo se non persone che affrontano l’oggi solo perché passi? Michele ha solo 25 anni. Terzo di tre figli (Sofia e Pietro) è quello che si potrebbe definire figlio d’arte. Papà Alessandro è agronomo e prima di mettersi a fare il docente all’istituto agrario di Portoferraio è stato per oltre trent’anni il responsabile agronomo di Tenuta San Guido. Non “uno qualsiasi” insomma. Mamma Anna, agronoma pure lei, tiene in piedi la tenuta di famiglia, Azienda Agricola Lombardi Anna in quel di Suvereto (LI): 4 ettari e mezzo di vigna, 8 di uliveto, 4 di seminativo. Tanto per non farci mancare niente anche Sofia è agronoma e adesso cura l’uliveto.
Cosa può studiare uno che proviene da una famiglia del genere? Enologia ovvio! La terra che lavoro io è di mia madre. Arrivata a lei dal nonno che l’aveva comprata ad un’asta giudiziaria. Nicolò Incisa della Rocchetta, il terzo genito di Mario chiese di impiantare dell’uva a casa nostra. “Abbiamo bisogno di uva per fare le difese. Te la pianteresti a casa tua?”
Mio padre era interessato. Più che del vino della vigna e della sua coltivazione. Si decise di piantarla. La vera colonna portante era mia madre che da sola coltivava tutto per tutto l’anno dedicato. Per me era una cosa eroica. Con una famiglia così (solo Pietro ha scelto di fare altro, il musicista) non puoi che respirarla la vite ed il vino. Magari può non piacerti a tal punto che vuoi scappare. O puoi innamorartene perpetuamente così da far diventare l’amore, la tua stessa vita. E se fossero entrambe le cose? Facevamo poca roba a livello di casa. 300/400 bottiglie. Mia zia ha 12 figli. A natale siamo in 50 e serviva il vino. Così mi sono appassionato alla vera enologia. Vedere l’uva nel tino, la fermentazione roboante che però da vita a qualcosa di elegante. Mi affascinò. In casa mia si è sempre parlato di vino e papà portava a casa anche vino dalla Francia. Anche se i princìpi a casa ci facevano stare sempre con i piedi per terra. I valori erano alti. A 14 anni Michele non può che stare in cantina con il papà. Ve li immaginate padre e figlio a sperimentare, provare? Un modo per legare. Per creare un rapporto meraviglioso, quel legame padre-figlio che può diventare indissolubile. Michele, come tanti ragazzi nella sua stessa situazione, impara, si pervade di una cultura che diventa sua. E cresce. Io spendo tanto in vino. Se trovo un Sassicaia me lo compro. Per fare un vino super devi assaggiare vini super altrimenti non hai in bocca il gusto di ciò che deve i creare. L’intelligenza di Michele arriva a fargli capire che se vuole essere annoverato tra i grandi del vino deve prima conoscerli. Non si può e non si deve essere autoreferenziali. C’è bisogno di confrontarsi. Lavorando e lavorando tanto. Il lavoro è un modo di unire le persone. Come toscani non andiamo sempre d’accordo ma la visione è la stessa. Fare un prodotto eccellente che rispetti le cose dette. Facciamo 6000 bottiglie e non vogliamo prendere in giro nessuno. Io mio occupo della parte di cantina e di commercializzazione. Faccio tutti i processi di cantina. Faccio le pubbliche relazioni. Poi manovalanza quando ce ne è bisogno. Siamo una cantina familiare. Bisogna fare le cose manuali. Forse non tutti capiscono cosa voglia dire lavorare in vigna ma quando entri in un vigneto e in fondo alla fila ti giri e vedi tutto sistemato pensi: questo l’ho fatto io. Ti stai prendendo cura di qualcosa. Questo è legato alle persone che usufruiranno del tuto prodotto. Questo è il bello. Un ragazzo molto maturo per la sua età. Si racconta con un tono che sa di gioia nell’avere qualcuno cui poter raccontare di ciò che prova. Sa che quello che lo aspetta è un percorso lungo e faticoso. Ma ce la può fare. Ha il tempo e la voglia dalla sua. Mamma ha 61 anni. È una vita che spero continui per poco. Se stai in ginocchio in vigna il fisico ti dice basta. Papà insegna all’agrario a Portoferraio. È un divulgatore per eccellenza. Non sa stare zitto. Deve cercare qualcosa dove la gente lo ascolta. Poi aiuta in cantina. La cosa che mi spaventa è che ha sempre dato molto spazio. Quando vado a chiedere un consiglio mi dice “fai te”. Questo fai te un pò me la fa fare sotto. Vuol dire sia “mi fido di te” sia “sei grande e la responsabilità” è tua. Ho fatto i miei errori, ho avuto le mie delusioni, ho detto basta questa cosa non la faccio più, rinuncio e punto a capo sono qui a combattere. Michele fa il capo scout. Ha a che fare con ragazzi dagli undici ai sedici anni. Li, nella filosofia di di Robert Baden-Powel gli scout sono un posto dove non solo si può sbagliare, ma si deve. Perché nella vita in ogni luogo dove si sbaglia, c’è una conseguenza, cosa questa che non ti fa vivere serenamente. Come puoi imparare se c’è sempre qualcuno o qualcosa che ti penalizza? Negli scout ti si insegna a sbagliare. Anche se quando sbaglio mi lecco le ferite e riparto. Michele ha imparato in poco tempo che in cantina il suo non deve essere una invasione ma una osservazione. Lasciar parlare il vino mettendosi da parte. Quando c’è bisogno del mio intervento, intervengo. Se le barrique sono buone, i batonnage sono giusti, le proteine sono giuste, non c’è molto da fare. Aggiungere qualcosa vuol dire che non si è fatto un buon lavoro prima e non è il terroir che parla ma l’enologo. Ammazza che maturità questo ragazzo di 25 anni. Non vuole scorciatoie ne le cerca. Perché non è con le scorciatoie che si arriva prima. Voler fare un vino di eccellenza non è una gara a tempo. È una competizione sulla lunga distanza. Più con se stessi che con il mondo intero. Anche se è questo che deve poi giudicarti. Io ho filosofia di farmi da parte. Mi sento un dottore per il vino. Se il paziente sta bene non lo devo curare e lui va alla grande. Se sta male tocca intervenire perché stai facendo bene al vino e a le tue tasche. L’importante è che ci sia il terroir. Sono importanti le persone senza però che mettano la propria l’impronta. Dei custodi di ciò che ci è stato dato. Alzo le mani dianzi ad un simile pensiero. Non è quello di un ragazzo di 25 anni. Non può essere. È davvero intenso. Intenso e incredibilmente vero. Ha in se quella consapevolezza che non è superbia. Il suo modo di parlare è di quelli entusiastici di un ragazzo di 25 anni. Modestia e tanta voglia di cimentarsi. Lavorando e sudando.
Michele capisce anche che lavorare solo nella sua azienda non gli fa bene. Ha bisogno di altro per crescere. Confrontarsi non basta. Deve e vuole imparare. Non fosse altro perché la teoria dell’Università necessita di un pò di sana pratica. Mi sentivo un bambino sperso. L’unico modo che potevo fare era mettere le mani in pasta e capire come funziona. Mi sono così fatto sei mesi di esperienza alle Ripalte all’Elba. Uno dei soci è Piercarlo Meletti Cavallari che ha inventato il Grattamacco ed è uno dei fautori della doc Bolgheri. Poi sono andato da Casadei a Suvereto. Ho fatto il cantiniere. Stare accanto ad enologi importanti è stato importante perché mi sono reso conto che fare l’enologo professionista non è una cosa che mi interessa. Te pensa che nel mio anno eravamo in 70 e se ne sono laureati 30. Un enologo può tenere anche 60 cantine. Una jungla. È una vita che non mi appartiene. Non mi interessa risolvere i problemi alle cantine o mettere una mano per farli diventare buoni al pubblico. Io voglio fare buoni vini. Non oso dire grandi perché la strada è lunga. Un padre importante nel mondo del vino. Una madre con tanta esperienza. Una sorella maggiore che potrebbe supportarlo. Invece Michele sceglie di andare a fare una esperienza fuori dall’azienda. Un misto di paura e voglia di crescere. Paura di non essere all’altezza della sua famiglia. Paura di fallire. Paura di non riuscire.
Andare all’Elba vuol dire lontano. L’isola mette il mare tra lui e casa. L’isola non consente di tornare quando si vuole.
Nonostante ciò, Michele deve tornare perché la responsabilità della cantina comunque è sua e solo sua. Rientravo una volta a settimana dall’Elba e facevo i travasi. Ho cercato di stargli dietro il più possibile. Cosa è mancato? Il batonnage giornaliero. Piccole accortezze che forse danno una marcia in più. Non è stato particolarmente destabilizzante per il prodotto perché i miei genitori mi hanno dato una mano. Tenere mano ai travasi è complesso ma bello. Serve che sai le cose con cognizione di causa altrimenti devi seguire la scheda. Oppure puoi giocare sapendo le cose. Un ragazzo come Michele è veramente da lodare. Ha fatto le sue scelte con uno scopo ben preciso in testa. La paura gli è rimasta e probabilmente gli rimarrà sempre. Ma ha dalla sua sani principi e dei genitori che hanno saputo instradarlo correttamente. Consentendogli di sbagliare e di decidere, da se, del proprio futuro.
Adesso è consapevole. Sa cosa succede. Ha capito che senza esperienza, ma anche senza studio, manca comunque qualcosa. Adesso sono estremamente più pronto. Anche più sicuro di cosa devo fare. È stato un anno complesso perché lavorare dipendente vuol dire prendere pochi soldi. Sono ambizioso e voglio molto di più dalla mia vita. “Ma a me cosa piace?” mi sono iniziato a dire. Mettermi in gioco anche se sono un vero “cagasotto”. Ma ho voglia di sfidarmi. La risposta era a casa. Son fuggito da casa per sapere di più. Poi mi sono reso conto che il fallimento è solo una ripartenza. Me ne sono andato per paura. Ma anche per imparare. Se me ne fossi andato per imparare sarei andato vicino casa. All’Elba era più per scappare. In questo la grande maturità di un ragazzo che di vendemmie dinanzi a se ne ha davvero tante da fare. Vendemmie così come tanto altro. Perché Michele sa che oltre a produrlo il vino, occorre anche venderlo. E li ha molto ma davvero molto da costruire.
Le idee comunque sul futuro sono chiare. Piccoli passi da compiere ma sicuramente chiari. Il vigneto ha un anno meno di me, 24 anni. Andrebbe con calma espiantato e rifatto. La qualità che facciamo è ottima. Si potrebbe far di più ma abbiamo paura che non porti bene a maturazione l’uva. Ci sono poi altri 4 o cinque ettari da piantare. Che pianteremo alla grande. Piano piano. Siamo tutti molto bravi a livello tecnico ma a livello commerciale siamo disastrosi. Abbiamo ripiantato 2.5 ettari di Cabernet Sauvignon che entra in produzione quest’anno. Poi abbiamo un Syrah che ha bisogno di essere ripiantato. Facciamo il rosato al quale tengo particolarmente perché è stata la mia tesi di laurea. Il rosato è il vino nostro più bello poiché particolare. Tre i vini in lista. Ancora magari pochi ma di assoluto spessore e identità.
Il rosato, La dama del lago da Syrah è assolutamente particolare forse anche grazie al suo periodo di immersione nel lago (dopo la fermentazione viene messo in damigiane sigillate e via, giù nel lago!).
Le gatte bigie è un blend Cabernet Sauvignon e Merlot con 18 mesi di affinamento. Potrebbe essere tranquillamente un DOCG Suvereto ma la caoticità di Michele si è un pò persa nelle questioni burocratiche (come non comprenderlo”).
Infine Le rotte del vento, un blend di Cabernet Sauvignon e Merlot che, insolito in Toscana, affina in anfora. Sul mio blog la recensione completa di questa chicca. Una scelta quella dell’anfora per puntare a rendere qualcosa dall’anima bordolese, più tagliente. L’altra parte del nostro piano prevede che il terreno che abbiamo a Segalari, sopra Bolgheri. È in una delle zone più belle di Bolgheri con l’altitudine che Mario incisa aveva pensato. Uno dei miei sogni è di poter creare lavoro. Mi preme molto. Vediamo se arriverà. Nella mia idea futura vorrei aprire una enoteca di vini di pregio. È tosta ma voglio farlo. Michele Petri. 25 anni. Vignaiolo. Segnatevi su un taccuino questo nome perché nel giro di dieci anni ne sentiremo parlare. I vini che ho avuto il piacere di assaggiare lasciano presagire uno sviluppo degno di nota.
Segnatevi questo nome, sentite a me. Michele, capisco che hai tante cose che magari ogni tanto ti provocano affanno ma cerca sempre di pensare che occorre mettere proprio le cose da fare, una dietro l’altro. Come una fila di formichine che si aiutano reciprocamente. Una cosa dopo l’altra. In fila, fanno meno paura.   Ivan Vellucci ivan.vellucci@winetalesmagazine.com Mi trovi su Instagram come @ivan_1969
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4 Aprile, 2024

ROSA, ROSATI, ROSÉ la Guida 2024 (by Decanter Wine Academy)

IL COSA E IL DOVE Lo scorso 16 Marzo, Renato Rovetta e DECANTER WINE ACADEMY hanno organizzato la presentazione alla Stampa e ai Produttori della Guida 2024 ROSA, ROSATI, ROSÉ. Sede dell’Evento il Ristorante Domus Magnanimi di Roma, all’interno del quale sono stati allestiti i banchi d’assaggio destinati ad accogliere il grande pubblico di winelovers intervenuti e organizzate le masterclass dedicate ai Territori più vocati per la produzione di vini rosati. GLI ASSAGGI Oltre 150 le etichette in degustazione a rappresentare da Nord a Sud l’intero stivale italico attraverso un caleidoscopio di interpretazioni “en rose” del vino. Beh, dato per scontato che non avrei mai potuto assaggiare tutto, sono partito da casa con la mia “road map” di degustazioni e…ovviamente ho poi fatto di testa mia. Cioè, non proprio completamente, diciamo che ho deciso di dare priorità a quelle Aziende delle quali fosse presente il Produttore e affidarmi poi all’estro. Cosa ho trovato? Mhhhh…nella mia solita, totale, sincerità Vi dico che m’aspettavo non “qualcosa” ma “MOLTO” di più! Il mondo dei vini rosati sta giustamente cavalcando la moda del momento ma credo che questo non debba essere un alibi per la produzione di vini “omologati”. Accostarsi a un bicchiere dovrebbe essere solo un primo passo, stimolare la curiosità del consumatore all’approfondimento, alla conoscenza di uomini, Storia, storie, Territori. Mi duole invece dire che, in troppi casi, ho trovato anonimato e facili piacionerie di cui il mondo del vino, nel 2024, non ha bisogno. Comunque, bando alle ciance! Di seguito troverete il mio consueto e incompleto “recit de dégustation” oltre ad una personalissima (e forse troppo cattiva) classifica che Vi invito a discutere e confutare (tra l’altro mi sono reso conto di aver “premiato” solo vini di una Regione che non ha una grandissima tradizione di vini rosati). Dategli una letta e correte ad assaggiare! LA “TOP FOUR” LA TOSCANA AZIENDA GUIDO F. FENDI Una giovane (2009) Azienda a conduzione familiare molto attenta al Territorio, piedi ben piantati nella Tradizione ma sguardo rivolto al futuro. TOSCANA IGT ROSATO “CHICCA ROSATO” 2022: 90% Grenache e il saldo di Syrah regalano un naso di respirosa balsamicità, fresco d’agrume e di una menta che sembra quasi di masticare. La fragola ci sta bene e, ben disegnata, s’accosta a friccicori piccanti di pepe rosa. In bocca mette da parte le durezze balsamiche e si concentra sulle succosità fruttate. Fresco e di comparabile sapidità dimostra grande equilibrio e un finale da acquolina in bocca. Da bere ascoltando “DIRTY BOULEVARD” di LOU REED. VALDONICA Proprietà austriaca per questi 15ha di campagna grossetana con vista sulle Isola del Giglio e Isola d’Elba. Vermentino, Ciliegiolo e Sangiovese, produzioni succose che raccontano il Territorio con dovizia di particolari e spirito moderno. VINO ROSATO FRIZZANTE “COCO” 2021: acronimo di COoperazione tra uomini e COllaborazione con la natura (ma a me piace leggerlo come “COCO CHANEL o, in maniera molto più terraterra come il protagonista di un noto film di animazione). Via di mezzo tra la ricercata eleganza di un Metodo Classico e la rustica semplicità di un “rifermentato” si propone con vegetalità così intense da quasi nascondere i colori della frutta accostandole a note di frutta secca. In bocca è spiritoso ma dimostra sostanza, comandano quei lieviti che sottolineano la nocciola ma emergono intriganti piccantezze a prendere per mano i ricordi fruttati. Chiude leggermente fumé lasciandoVi col dubbio di quanto Vi piaccia e, nel dubbio, allungate la mano per chiederne ancora. Da bere ascoltando “GET THE PARTY STARTED” di PINK. POGGIO L’APPARITA Appena un ettaro e mezzo tra le DOC Maremma e Montecucco che da vent’anni raccontano il Sangiovese(anche in bianco). MAREMMA TOSCANA DOC ROSATO “SAN MICHELE N. 3” 2023: un Sangiovese che non si vergogna della propria anima vegetale e la accosta orgoglioso ai piccoli frutti rossi, all’arancia tarocco, al melone, agli sguardi marini, a un tocco di intrigante fumosità. Sorso di decisa sapidità, che la freschezza pareggia a stento ma cui le morbidezze vengono in aiuto. Chiude saporito e invogliante facendoVi allungare la mano. Peccato non averlo assaggiato tra qualche mese! Da bere ascoltando “MICHAEL” dei FRANZ FERDINAND. I VINI DI MAREMMA Fondata nel 1959, la cooperativa raccoglie oggi 215 soci distribuiti sull’intero territorio della provincia di Grosseto. Grande attenzione alla tradizione vinicola locale e occhio attento alla sostenibilità ambientale. TOSCANA IGT ROSATO “TRAMONTO DI MAREMMA” 2022: completamente differente da quello della precedente annata, si dimostra di marina completezza, affatto dimentico di una nota (fidateVi, non avevo bevuto troppo) di come pesce azzurro propone poi i caratteri varietali del vitigno esaltando in egual misura il frutto rosso e le aromatiche vegetalità in una atmosfera vagamente fumé. Sorso di grande sostanza ed equilibrio, che il connubio “piccantezze di pepe rosa-carezza tannica” spingono a ripetere più e più volte. Fatene scorta! Da bere ascoltando “DIRTY BOULEVARD” di LOU REED. GLI “INSEGUITORI” IL CIPRESSO (LOMBARDIA) 7.5ha che da vent’anni sono dedicati principalmente al Moscato di Scanzo. BERGAMASCA IGT ROSATO “ROSARIO” 2023: un naso tutto da sgranare quello di questo Merlot che, orgoglioso del proprio animo vegetale, non lo nasconde dietro il sipario del frutto rosso ma lo esalta con accenti d’agrume, mandorle ed erbe aromatiche. Sorso sostanzioso (ma davvero sostanzioso!), riempie, disseta e invoglia a sedersi con le gambe sotto il tavolino perché qui, a occhi chiusi, sbaglieremmo colore! TOSCANA IGT ROSATO “ROSAJO” 2023, VALDONICA (TOSCANA): naso ombroso per un rosato! Ben più che sottilmente affumicato Vi mette sotto il naso l’intrico di una macchia boschiva non dimentica di foglie secche, nocciole e forse anche funghi mentre la luce la portano le bacche di corniolo e rosa canina. Sorso di tagliente, verticale freschezza, sottilmente sapido, fin troppo rigoroso nel ricordaVi le acidità della frutta e con un finale che ancora una volta Vi fa stare seduti davanti a un camino spento. LE MARCHE TENUTA BARBAROSSA Siamo a Pesaro sotto quel Castello di Candelara che ospitò “IL” Barbarossa in fuga dopo essere stato sconfitto dalla Lega Lombarda. Una storia recente fatta di recupero di vecchi vigneti, valorizzazione dei vitigni del Territorio, rispetto per l’Ambiente e sostenibilità ai massimi livelli. MARCHE IGP ROSATO “R OSÈ” 2022: un Sangiovese dal naso timido, che sembra vergognarsi di fronte all’invito della bella donna in copertina. Dei gerani e dei ciclamini richiama più la parte erbacea del gambo che la gentilezza delle corolle e arrossisce proponendo fragole e ciliegie. In bocca è vivo il contrasto tra la salata sostanza del sorso e l’accentuata dolcezza di quei richiami fruttati che suggerirebbero un certo residuo zuccherino. Chiude goliardico e quasi vinoso nel sottolineare i sapori dell’uva. E ORA? Adesso è il momento dei ringraziamenti, a DECANTER WINE ACADEMY per avermi ospitato e ai produttori per avermi sopportato. Metto sin da ora in agenda l’Edizione 2025 di una manifestazione che mi auguro che mi piacerebbe potesse contribuire a un successo dei vini rosati che vada al di là delle mode del momento, un successo che deve però necessariamente passare dalla presa di coscienza da parte delle Aziende delle potenzialità delle produzioni “en rose” Roberto Alloi VINODENTRO    
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3 Aprile, 2024

Le Masche: qualità dal cuore dell’Alto Canavese

Cari amici, oggi parliamo di un territorio meno usuale del solito, siamo in Piemonte, nella zona nord della Provincia di Torino, in particolare, sulle colline dei comuni di Levone e Rivara. Qui nel 2007 nasce l’Azienda agricola Le Masche, dal desiderio del giovane Lorenzo Simone che, mosso da una grande passione per il proprio territorio e per la viticoltura, recupera all’avanzare del bosco circa 10 ettari di terre vitate. Nel 2013 terminati gli studi di agraria, decide di intraprendere in maniera concreta questa esperienza professionale realizzando la sua cantina. Egli stesso segue costantemente tutte le fasi del ciclo produttivo dal vigneto alla cantina puntando sempre ad esprimere al massimo le qualità dei suoi vigneti e del suo vino, con l’obiettivo di valorizzare le denominazioni della Doc del Canavese producendo un vino che possa diventare immagine del suo territorio. Il vitigno più rappresentativo, il Nebbiolo, lo ritroviamo nel Vigneto “Gaiarda”. Sul versante con esposizione a Sud / Est della collina di Rivara caratterizzato da un terreno sabbioso ghiaioso. Questo versante grazie alla sua esposizione permette un clima ventilato e mite durante tutto l’anno che conferisce una maggior sanità e maturazione delle uve. Le vigne storiche e più antiche sono situate sulla collina di Rivara in località Vigna Grande e Vigna Veja dove i vitigni principali: Barbera, Freisa, Uva rara, Neretto, Chatus ed altre varietà autoctone producono il Canavese Doc. Ulteriori vigneti di Barbera, Pinot e Cortese sono situati nel comune di Levone, sul versante Est del Monte Sepegna rivolti verso la collina di Pescemonte, vigneti scoscesi caratterizzati dalla presenza di rocce di tufo emergenti ai bordi dei vigneti che catturano il calore durante il giorno per rilasciarlo durante la notte. L’azienda, a testimonianza del rispetto per l’ambiente e autenticità del prodotto, accompagnato da passione e ricerca di qualità, è certificata SQNPI – Sistema di qualità nazionale di produzione integrata. Come detto, a farla da padrone è il Canavese Nebbiolo DOC, prodotto nelle versioni Gaiarda, macerazione a contatto con le bucce circa tre settimane in vinificatore controllato e affinamento di 18 mesi in legno e almeno 12 mesi di bottiglia, Gaiarda A l’è Chièl, macerazione sulle bucce più lunga, di circa 50 giorni cui segue poi un affinamento di 18 mesi in barrique di rovere e almeno 12 mesi di bottiglia, versioni che risaltano le tipicità del nebbiolo con una distinta nota speziata balsamica, e il Roccia, versione più giovane e delicata che fa solo acciaio. Molto interessante per eleganza e struttura anche il Piemonte pinot nero DOC spumante 1474, uve in purezza vendemmiate tra la fine di agosto e la prima settimana di settembre, rapida e delicata pressatura delle uve senza sgretolamento della massa e avvio della fermentazione alcolica a temperatura controllata e fermentazione di circa 10-15 giorni. Affinamento sui lieviti in vasca di acciaio per 4-5 mesi. In bottiglia affina poi per un minimo 36 mesi. Notevoli infine il Canavese Barbera DOC Bonaveria, l’Erbaluce di Caluso DOCG Antonia e il Canavese rosato DOC Francesca prodotto da Barbera e Nebbiolo. Un viaggio davvero notevole in una zona del Nebbiolo diversa dal solito, vini realizzati con cura e sapienza, testimoni del territorio, da non perdere! Le Masche: qualità dal cuore dell’Alto Canavese A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio OLYMPUS DIGITAL CAMERA
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